1.1
Prologo
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Misurava la stanza a
grandi passi. Il pavimento di dura pietra echeggiava in modo sinistro
mentre Octavio lo calpestava, più violentemente di quanto
avrebbe voluto. Di lì a poco avrebbe incontrato il famoso
Signore Oscuro, Lord Voldemort. Aveva lavorato sodo per ottenere quel
privilegio e intendeva sfruttare a pieno quella possibilità che
avrebbe potuto essere l’unica. Non doveva fallire.
Era giunto in Inghilterra solo qualche mese prima. Il potente Lord
Voldemort aveva fatto ritorno e presto avrebbe recuperato il tempo
perduto, avrebbe distrutto i suoi nemici e avrebbe preso il controllo
assoluto sul mondo magico. Octavio non aveva resistito al richiamo di
una forza così potente.
In verità, era
partito con un doppio intento. Non era stato solo il desiderio di
unirsi al grande mago oscuro a destare la sua attenzione. Le voci su
Voldemort e sul piccolo Potter che era scampato alla sua maledizione
avevano fatto il giro del mondo, anche se lui all’epoca non era
altro che un bambino, ignaro del suo potere, della sua vera natura.
Aveva passato i primi undici anni della sua vita in un anonimo e
patetico paesino tra le montagne andaluse. Ogni giornata si svolgeva
sempre allo stesso modo, ogni gesto, ogni parola, sempre uguali a
sé stessi.
Poi, un mattino
d’estate, Octavio aveva percepito qualcosa di diverso
nell’aria, anche se non aveva davvero capito che cosa fosse, o a
che cosa fosse dovuto.
Come ogni giorno si era
alzato di buon ora. Si era lavato, si era vestito ed era uscito fuori,
nel cortile che circondava il vecchio edificio rurale.
Nella piccola stalla
adiacente, Maya, la vecchia mucca di famiglia, aveva girato il muso
stanco nella sua direzione, avendolo sentito arrivare. Aveva un aspetto
ancora più macilento del solito, evidentemente la sua ora
sarebbe giunta molto presto.
Aveva sbrigato le sue
faccende in fretta, ma il sole era già completamente sorto
quando finalmente si era chiuso il recinto dell’aia alle spalle.
Era rientrato nella
piccola cucina dell’abitazione, un locale umido e mal concepito.
Sul tavolo rozzamente intagliato lo attendeva la sua misera colazione.
Sua madre doveva già essere uscita per andare in paese.
Tuttavia, qualcosa aveva catturato la sua attenzione.
C’era un colombo bianco appollaiato sul davanzale della piccola finestra.
Octavio si era
avvicinato per scacciarlo via, ma quello era rimasto immobile a
fissarlo, minimante impensierito dall’umano che agitava le
braccia minaccioso.
Ben presto Octavio aveva
notato una busta. L’animale la tratteneva saldamente tra le sue
zampette rosa e sembrava volesse invitarlo a prenderla.
Era di un
bell’azzurro pastello e l’indirizzo era scritto in un
elegante calligrafia dorata. Il colombo aveva quasi ammiccato prima di
spiccare il volo. Octavio lo aveva seguito con lo sguardo, quindi aveva
spostato la sua attenzione alla lettera.
Era indirizzata inequivocabilmente a lui, un fatto decisamente strano.
L’aveva aperta con le dita leggermente tremanti.
Proveniva da un’accademia, un istituto di cui Octavio non aveva mai sentito il nome.
Annunciava che era stato
ammesso a quella che veniva descritta come “La Prestigiosissima
Accademia di Magia di Beauxbatons”.
Octavio aveva strizzato
gli occhi confuso, credendo di aver letto male, ma quando era tornato a
osservare il testo, quello recitava ancora le stesse parole.
C’era anche un
secondo foglio, scritto nella medesima calligrafia dorata. Era un lungo
elenco di libri, oggetti e altre cose dai nomi sconosciuti.
C’erano parole come “Incantesimi” ,
“Magia” e “Stregoneria”.
Octavio si era chiesto se non fosse per caso impazzito di colpo.
In fondo alla pagina,
c’era una nota, scritta con un inchiostro di un viola acceso.
Diceva “Tutti gli studenti che non possiedono una buona
conoscenza della lingua francese sono obbligati a frequentare un corso
della durata di due settimane che si terrà a Parigi. La data di
inizio del corso verrà comunicata tramite piccione nei prossimi
giorni”.
Insieme ai due fogli c’era anche un biglietto ferroviario dall’aria ufficiale.
Octavio era tornato a
leggere sul primo foglio cercando una spiegazione, che infatti
c’era. Il testo proseguiva: “Lo studente è pregato
di recarsi alla stazione di Sevilla – Santa Justa, munito di
tutto il materiale scolastico, il giorno 1 del mese di settembre. La
partenza avrà luogo al binario 13 X”.
Che diavolo aveva appena letto?
Aveva deciso di
attendere il ritorno dei suoi genitori. Si era seduto sulla staccionata
che delimitava il piccolo podere, lo stomaco ormai completamente chiuso.
Circa un’ora dopo
sua madre era tornata. Suo padre non era con lei, un fatto insolito
perché la riaccompagnava sempre a casa con il suo piccolo
furgoncino. Poi aveva capito il perché.
Sua madre non aveva
fatto acquisti in paese, in compenso stringeva tra le mani una busta,
la carta del medesimo colore azzurro della lettera che aveva ricevuto
lui.
A quanto pareva, chi
dirigeva l’istituto di Magia (davvero esisteva una cosa simile?)
si era premurato di informare i suoi genitori che il loro unico figlio
era un mago e che quindi era loro dovere permettergli di ricevere
un’istruzione appropriata.
Dopo lo shock iniziale, per Octavio era stato semplice adattarsi alla
nuova realtà. In fondo lui lo aveva sempre saputo di essere
diverso, migliore dei suoi coetanei Moldus.
Era questa la parola,
Moldu, quella che i maghi usavano per definire una persona senza poteri
magici, come i genitori di Octavio.
E così, una
settimana dopo la prima lettera, ne era giunta un’altra. Il dieci
di agosto sarebbe dovuto andare a Parigi per il “Corso di
Francese Accelerato per Giovani Maghi Stranieri”, poi sarebbe
ritornato a casa, avrebbe fatto i bagagli e sarebbe partito per
Beauxbatons.
Il corso si era tenuto in vecchio edificio nel cuore della capitale, in
un palazzo lussuoso, dall’aria imponente, che però agli
occhi dei Moldus appariva completamente abbandonato e in rovina.
Anche il treno che lo avrebbe condotto all’Accademia era celato
alla vista dei non maghi. Il binario non era segnato su nessuna mappa
ferroviaria, ma a Parigi aveva ricevuto istruzioni precise su come
raggiungerlo.
Era entrato in uno dei
bagni della stazione, il più lontano dai binari, con un grosso
cartello con scritto “Guasto” attaccato alla porta. Era
talmente fetente che nessuno se ne sarebbe mai servito di sua spontanea
volontà.
Oltre la porta
dell’ultimo cubicolo, infine, si apriva finalmente la banchina
del treno, gremita di maghi e streghe, giovani e non.
La grande locomotiva a
vapore era azzurra, con vagoni di un bianco perlaceo. Gli
scompartimenti erano riccamente decorati e a pranzo a tutti erano state
servite delicate zuppe Vichyssoise, seguite da un vasto assortimento di
formaggi francesi e, per ultima, un’abbondante porzione di Tarte
Tatin.
L’Accademia poi, era stupenda.
Era un bel palazzo dalle
mura bianche, solide eppure leggere, quasi fosse stato semplicemente
posato sulla soffice erba del vasto prato, pronto per sollevarsi in
aria, fluttuando dolcemente tra le nuvole.
Appena scesi dal treno,
gli studenti più grandi si erano diretti verso alcune carrozze,
ciascuna trainata da splenditi cavalli alati dal manto palomino.
Octavio si era unito
agli altri studenti del primo anno e, insieme, guidati da una strega in
uniforme azzurra, avevano preso a salire il dolce rilievo che portava
alla scuola.
Era stata una lunga scampagnata, ma il luogo era così pregno di magia che nessuno ci aveva fatto caso.
Una grande fontana si
trovava nel centro esatto del parco e le sue acque zampillanti erano
cristalline e sembravano brillare di luce propria.
Una volta varcato
l’imponente portone dorato, erano stati introdotti in una grande
Sala candida. Quelle che Octavio scoprì più tardi essere
Ninfee dei Boschi, si erano messe a cantare al loro ingresso.
A quel punto era stato chiesto loro di disporsi in fila di fronte al resto della scuola.
Gli altri studenti erano
ritti in piedi davanti ai lunghi tavoli di cristallo e avevano preso
posto sulle lisce panche azzurre solo dopo che una gigantesca donna si
era accomodata al centro del tavolo che si trovava in posizione
rialzata e che sembrava abbracciare l’intero locale.
A quel punto la stessa strega che li aveva scortati fin lì aveva fatto cenno ad alcuni uomini di farsi avanti.
Erano in quattro,
abbigliati in una perfetta uniforme azzurra, con il blasone della
scuola ricamato sul petto e sul cappello da mago che portavano sotto il
braccio.
Erano avanzati dal fondo
della Sala, in formazione, due per lato, le bacchette puntate in avanti
a sorreggere con fili invisibili un strano oggetto brillante.
Era un collare
d’oro, tempestato di pietre preziose. Era rimasto a fluttuare
davanti ai primini, finché la donna che dirigeva le
presentazioni non aveva estratto un lungo rotolo di pergamena dorata,
stendendolo poi delicatamente.
«Ora
chiamerò i vostri nomi» aveva esordito «E una volta
chiamati indosserete il Collare della Sapientiae, che vi
assegnerà alle vostre Case» aveva detto. Tra i ragazzi
più grandi era corso un mormorio eccitato.
«Le Case della
Nobile Accademia di Beauxbatons sono quattro e prendono il nome dai
fondatori della nostra amata scuola. Il collare è stato
incantato secoli fa perché potesse esaminare la magia degli
studenti e tentare così di determinare le vostre qualità
e attitudini» aveva proseguito.
«I nomi delle
quattro Casate sono: Faucony, Renardge, Chien-Loupie e Cougarden {*}.
Esse prediligono rispettivamente l’Acume, l’Ingegno, la
Fedeltà e la Forza» aveva concluso.
Era stato chiamato il
primo nome e uno dei ragazzini del primo anno si era fatto avanti, un
po’ titubante. Aveva indossato il collare e dopo pochi istanti
una lunga scia dorata si era snodata fino al tavolo più lontano
e lettere brillanti aveva composto il nome della Casa Chien-Lupie.
Il ragazzino, ora felice, si era affrettato a seguire la scia luminosa che, nell’istante in cui aveva preso posto, era svanita.
Erano andati avanti allo
stesso modo per quelle che a Octavio erano parse ore, finché la
strega non aveva pronunciato il suo nome: «García Torres
Octavio».
Lui si era fatto avanti
e aveva imitato gli altri. Il contatto con il metallo gelido del
Collare lo aveva fatto rabbrividire. Poi si era sentito investire da
una strana sensazione, calda e umida, come se un lungo sorso di
cioccolata bollente si fosse insinuato dentro di lui, nel suo stomaco,
nelle sue viscere, invadendolo completamente. Era stato strano, ma
anche piacevole. Per un attimo era stato come se una cappa fosse stata
posta sopra di lui e attraverso di essa poteva vedere il resto della
scolaresca osservarlo, i loro contorni non perfettamente a fuoco. Aveva
visto una sorta di campo energetico avvolgerlo completamente, mentre la
frastagliata immagine di uomo alto e imponente si componeva davanti ai
suoi occhi, invisibile agli altri. Era strano, ma gli sembrava di
conoscerlo.
E in attimo la scia
dorata era corsa in mezzo alla sala, disegnando un nome nell’aria
e, di colpo, così come si era formata, l’immagine e la
cappa che lo avvolgeva erano svanite. Octavio aveva seguito la striscia
luminosa fino al tavolo che ospitava i suoi nuovi compagni della Casa
Cougarden.
Si era adattato subito al nuovo ambiente, alle nuove persone e alle
nuove cose che ogni giorno imparava. Nel giro di pochi mesi aveva fatto
enormi passi avanti e in breve la differenza linguistica e di status
(la maggior parte dei suoi compagni aveva almeno un parente magico) si
era colmata, tanto che prima della fine dell’anno era diventato
uno degli studenti più brillanti.
Ma già dopo il terzo anno Octavio aveva cominciato a stufarsi di
quel luogo così frivolo e molle. Aveva fatto amicizia con pochi
ragazzi, gli unici che sembravano avere un qualche reale talento,
mentre la maggior parte si limitava a scuotere le bacchette e a
intontirsi con lo stucchevole cibo e le altre meraviglie fatate che
popolavano il palazzo e che, per Octavio, avevano perso ogni attrattiva
già da parecchio tempo.
I suoi sogni erano
popolati dai mitici eroi che si trovavano sui libri di Storia della
Magia, maghi e streghe potenti, che di certo non avevano perso il loro
tempo e i loro anni migliori a fare incantesimi inutili.
E poi c’erano le
storie su Harry Potter, un ragazzo che aveva sconfitto ad appena un
anno di età il più grande mago oscuro del secolo. Octavio
aveva immaginato più volte la vita meravigliosa che quel ragazzo
stava ora vivendo. Doveva essere un mago estremamente potente e spesso
Octavio si ritrovava a invidiarlo.
Poi, poco dopo la fine
del suo quarto anno, la Professoressa Dubois, la sua Capo-Casa, era
venuta a chiamarlo durante una noiosa lezione di Pozioni. Aveva
l’aria contrita, un fatto molto insolito. Lo aveva condotto nel
suo ufficio, senza dire una parola.
Lì ad aspettarli
c’era l’enorme Preside, Madame Maxime, che con voce cupa lo
aveva informato di un fatto terribile: i suoi genitori erano morti, la
loro vecchia casa distrutta da un’esplosione. La bombola del gas
era scoppiata durante la notte, riducendo in macerie la mal tenuta
abitazione, seppellendo i suoi genitori tra le macerie.
Quello era stato il segnale che Octavio aveva sempre aspettato senza
saperlo. Terminato l’anno scolastico, aveva preso con sé
solo le cose necessarie e aveva lasciato Beauxbatons per sempre.
Non vi avrebbe mai più fatto ritorno.
L’Accademia gli
aveva ormai fornito tutto quello che poteva e Octavio era pronto per
proseguire i suoi studi da solo, per perfezionarsi, per diventare a sua
volta grande e potente.
E così, quando le voci su Voldemort avevano ripreso a circolare,
Octavio non aveva avuto alcuna esitazione. Voleva unirsi a lui,
conoscerlo se ci riusciva, diventare suo allievo e apprendista.
Giravano molte storie sul suo conto e su quello di Harry Potter.
Erano molto discordanti
tra loro, tanto che l’unica cosa che avevano in comune era il
fatto che il potente mago si faceva chiamare Lord Voldemort (e questo
non poteva di certo dirsi una novità) e che il Ragazzo
Sopravvissuto, beh, non era altro che un ragazzo appunto.
Gli ci era voluto qualche tempo per organizzare il viaggio.
Aveva avuto parecchi
problemi a celare la propria vera natura, non solo agli occhi dei
Moldus, ma anche a quelli delle autorità magiche: temevano che
stesse compiendo incantesimi oscuri e proibiti. Octavio trovava
divertente pensare quanto quegli sciocchi ci fossero andati vicini,
senza però mai trovare prove per incastrarlo.
I burocrati, che esseri patetici.
Lord Voldemort li aveva
spazzati via tutti una volta tornato al potere. Incredibile pensare che
quegli incapaci del Ministero inglese fossero stati tanto ciechi da
ignorare i segnali per un intero anno. Avevano lasciato via libera
all’Oscuro Signore, che così ne aveva potuto approfittare
per rafforzarsi e per raccogliere seguaci.
Ad ogni modo, finalmente, in un caldo mattino di luglio, Octavio era sbarcato sulle coste inglesi.
Aveva cercato un posto
tranquillo e fuori vista, quindi si era Smaterializzato ed era
ricomparso a Londra. Non gli ci era voluto molto per trovare
l’ingresso nel mondo magico, aveva estorto molte informazioni
utili prima di avventurarsi fin lì.
La strada principale, che un tempo doveva essere stata colorata e piena di negozi stravaganti, ora era cupa e desolata.
Manifesti di ricercati erano appesi a ogni angolo, sovrapposti l’uno sull’altro, alcuni stracciati a metà.
Aveva visto tra tutti
spiccare quello che ritraeva Harry Potter, il nome scritto a chiare
lettere nere. Era un ragazzo dall’aspetto anonimo in effetti,
poco più giovane di lui, con magnetici occhi chiari, forse verdi
o azzurri, era difficile indovinarlo dall’immagine in bianco e
nero.
Octavio sapeva che le
apparenze spesso ingannavano e non si sarebbe fatto un’idea
precisa sul ragazzo senza prima aver avuto modo di incontrarlo. Forse
era stato sottovalutato, come spesso era accaduto a lui stesso.
Aveva gironzolato un
po’ tra le vetrine distrutte. Il panorama tetro e grigio era
spezzato solo dalla presenza di un edificio bianco come la neve, che
stonava parecchio con i negozi bui che lo circondavano.
Tuttavia, non gli ci era voluto molto per trovare chi stava cercando.
Alcuni Ghermidori,
attirati dall’improvvisa presenza estranea, lo avevano
accerchiato e condotto immediatamente al Ministero.
Octavio non aveva opposto resistenza.
Una volta arrivato nell’edificio istituzionale, gli era stato chiesto di chiarire la sua posizione e le sue intenzioni.
Octavio sapeva già cosa rispondere e con calma accettò dare le informazioni che gli venivano chieste.
«Mi chiamo Killian
Murphy e sono figlio di un Mago e di una Babbana» aveva detto,
mentre quelli si affrettavano a verificare la autenticità delle
sue affermazioni.
Lo erano.
Aveva ucciso un mago qualche settimana prima e ne aveva rubato le generalità.
Il suo inglese, poi, era
perfetto: aveva avuto modo di affinarlo durante i suoi numerosi viaggi
e infatti, nessuno sollevò dubbi.
«Sono qui
perché ho sentito delle grandi azioni dell’Oscuro Signore
e della sua grande potenza e voglio unirmi al suo esercito» aveva
dichiarato senza mezzi termini. Odiava dover perdere tempo con inutili
giri di parole, gli ricordavano i tempi passati a Beauxbatons, dove gli
insegnanti sprecavano ore per dire in realtà molto poco.
A queste parole molti visi avevano annuito soddisfatti: c’era sempre bisogno di una bacchetta in più.
Gli avevano fatto altre domande, ma era una perdita di tempo necessaria, si era detto.
Infine aveva dovuto dare
prova delle proprie abilità, che Octavio aveva volutamente
tenuto a freno. Non voleva rivelare troppo. Non subito almeno.
Ad ogni modo, il tutto era stato pienamente soddisfacente.
Nella stessa giornata
del suo arrivo, Octavio aveva ottenuto ciò che voleva: era stato
assegnato a una squadra di Ghermidori, composta da una mezza dozzina di
maghi dall’aspetto cattivo.
E ben presto avrebbe trovato il modo di distinguersi.
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Note
I nomi della Case sono
un po’ bruttarelli, lo ammetto, così come quello del
Collare (sigh!) ma non sono particolarmente brava a inventare questo
genere di cose XD
Zia Row non ci ha detto
praticamente nulla (o almeno io non so nulla) sull’organizzazione
di Beauxbatons, perciò l’ho immaginata prendendo spunto da
Hogwarts e da Ilvermorny.
Ad ogni modo tutti nomi
delle Case prendono spunto dagli animali che io ho associato alle
caratteristiche della Case, tradotti poi in francese (con qualche
aggiunta per farli sembrare dei cognomi):
- Faucony: (faucon) è la traduzione francese di Falco,
animale nobile e divino che quindi simboleggia il “vedere
oltre”. Indica la caratteristica principale dei membri della
Casa, che sono molto sensibili agli aspetti nascosti della
realtà e che dedicano molto tempo allo studio della Divinazione,
oltre che di altre discipline, tutte però viste in
un’ottica di indagine approfondita (per capirci un Indicibile
probabilmente verrebbe smistato in questa Casa). Hanno dei tratti in
comune con i Corvonero
- Renardge: (renard) significa Volpe,
animale ovviamente associato alla furbizia. Gli studenti di questa Casa
hanno quindi caratteristiche comuni ai Corvonero e, a seconda
dell’indole di ciascuno, anche alle altre Case di Hogwarts.
- Chien-Loupie: (chien-loup) è la traduzione di cane-lupo
e ho voluto associare l’aspetto di fedeltà del cane, unito
però anche a una certa indipendenza (il lupo è un animale
sociale, che trova forza nel branco i cui membri si aiutano a vicenda,
ma può anche essere un leader forte che guida e protegge tutti,
o può anche essere, raramente, solitario). Le caratteristiche di
questa Casa la rendono quindi simile ai Tassorosso, ma anche ai
Grifondoro.
- Cougarden: (cougar) significa Puma.
Simboleggia la forza appunto, ma è un animale ambiguo. I membri
di questa Casa hanno un grande potenziale, anche se spesso tendono ad
avere troppa fiducia in sé stessi e quindi il confine tra il
Bene e il Male diventa molto sottile. Hanno perciò molti tratti
in comune sia con i Serpeverde che con i Grifondoro.
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Angolo Autrice
Salve a tutti!
Ecco un’altra fan fiction partorita della mia mente un po’ bacata.
Spero davvero che il prologo vi abbia incuriositi e a breve pubblicherò il primo capitolo!
_Jo
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