Irma
non avrebbe mai dimenticato quella gita nella jungla. Come avrebbe potuto?
Era
certa che, qualsiasi cosa fosse accaduta in quella caverna, non era una
faccenda conclusa. Chi abitava la spelonca? Un Asura?
Un Rakshasa? Qualcos’altro di cui ignorava la conoscenza?
Qualcosa legato al passato di Goa, smarrito dalla memoria anche delle leggende?
Hanuman era davvero
intervenuto in suo aiuto? Se sì, era stato in grado di sconfiggere l’invisibile
nemico, oppure lo aveva trattenuto solo il tempo necessario per consentirle di
mettersi in salvo? Hanuman era forte, era figlio di Vayu, il dio del vento, non poteva essere facilmente
sconfitto. Certo ormai doveva avere qualche decina di migliaia di anni; chissà
se aveva ancora le stesse abilità narrate nei poemi. Forse si era limitato a
distruggere i leoni di pietra …
Troppe
domande, troppi dubbi e non aveva nessuno con cui poter parlarne.
Irma
non si godette il primo giorno di scavo proprio a causa dei mille quesiti che
continuava a porsi circa cosa fosse realmente accaduto nella jungla, chi poteva
essere in combutta con un mostro antropofago e se il pericolo si sarebbe
ripresentato.
Si
scosse da quei pensieri solo a metà pomeriggio, quando dallo scavo emerse
qualcosa: cinque pietre lavorate. Per la precisione erano la parte più alta di
qualcosa che, per il momento, non si poteva stabilire se fosse una stele, un
cippo, una statua o i resti di una qualche struttura.
Purtroppo
si era fatto ormai tardi e per quel giorno non potevano approfondire la
scoperta. Irma e Dhvana coprirono lo scavo con grandi teli impermeabili per
evitare che le piogge lo danneggiassero, poi tornarono ognuno nella
propria stanza per ripulirsi dalla terra
e dal sudore, prima della cena.
Quella
sera, Irma si era ritirata presto nella propria stanza, sia perché stanca dal
lavoro fisico della giornata, sia perché ormai si era decisa a consultarsi con
qualcuno. Si sdraiò sul letto, sollevò il braccio a cui era avvolto il serpente
d’oro e lo scrutò attentamente per diversi istanti, poi si rilassò e si concentrò
su Iravan, cercando di chiamarlo. In fondo non aveva ricevuto istruzioni circa
l’utilizzo di quel bracciale. Dopo pochi istanti, la testa del serpente si
mosse, si srotolò dal braccio e assunse l’aspetto di un piccolo essere umano,
sempre in oro.
La
ragazza lo osservò meglio ed esclamò: “Iravan! Sei proprio tu?”
“All’incirca.
Sono io, ma non mi trovo lì con te, sono a Vasukiprastha,
tuttavia riesco a comunicare con te … un po’ come i vostri telefoni. Mi fa
piacere sentirti, allora che cosa mi racconti? Come procedono le cose al
museo?”
Irma
fece un gran respiro e raccontò per filo e per segno quanto aveva vissuto nella
jungla.
“E
stai bene? Ne sei sicura?” si preoccupò vivamente il Naga, dopo aver ascoltato
tutto.
“Sì,
sono tutta intera, grazie agli aiuti inaspettati. Vorrei però tanto sapere con
cosa ho avuto a che fare, voglio essere pronta se il pericolo dovesse
ripresentarsi. Tu puoi aiutarmi a capire qualcosa di più?”
“Le
lucciole che ti hanno aiutato, probabilmente erano una manifestazione di un Rakandar.”
“Un
che?” si stupì la giovane “Credevo di conoscere ormai tutte le creature
mitologiche indiane.”
“Non
ti illudere, non le conosco tutte nemmeno io che ho un paio di secoli in più di
te e sono cresciuto nel mondo che voi definite del mito. I Rakandar
sono spettri buoni, protettori dei viandanti e della natura. Il loro reale
aspetto sarebbe quello di un gigante, ma possono assumere molte forme a seconda
del bisogno o del loro umore. Se la prendono spesso con gli ubriachi: li
afferrano e li lasciano sui rami più alti degli alberi; non è raro, poi, che
appaiano come lucciole per aiutare chi si è perso a ritrovare il giusto
cammino. Spesso le persone li confondono con i Vetala
che sono sempre spettri, anzi sarebbe il nome proprio del re dei fantasmi, per
essere precisi, i quali hanno funzioni protettive più guerresche, attaccando
entità demoniache. Sei stata fortunata, anche se non credo che il Rakandar ti abbia soccorsa per puro caso.”
“Ciò
che hai detto è stato molto interessante, sicuramente, tuttavia le lucciole non
erano la mia preoccupazione principale.” ribatté Irma “Iravan, per favore,
parlami con franchezza. Eravamo fratelli e forse tu non mi hai voluto dire
nulla prima perché credevi di tenermi maggiormente al sicuro, ma ormai ho
incontrato qualcosa di pericolo e quella cosa ha visto me. Devo sapere con cosa
ho a che fare. Per favore.”
“Hai
ragione. Visto che le mie preoccupazioni non erano del tutto infondate, tanto
vale condividerle totalmente. Hai mai sentito parlare dei Kalakeya
oppure della città di Hiranyapura?”
“Della
città sì. Vi abitavano degli Asura, una volta era sul
fondo dell’oceano e poi è stata anche sospesa nel cielo … si è spostata spesso,
insomma. Sono state combattute molte battaglie tra i suoi abitanti e i Deva,
perfino Arjuna ha dovuto affrontarli; ricordo un
altro caso in cui nella lotta fu coinvolto il saggio Agastya.”
“Complimenti,
sai comunque abbastanza cose, per essere un’umana e occidentale.” scherzò un
poco l’altro “I Kalakeya sono stati un clan di Asura particolarmente feroce e crudele, il più noto di loro
fu Vritra.”
“Il
drago della siccità che aveva imprigionato le acque?”
“Sì,
quello è sicuramente l’episodio più famoso. In generale fu un nemico assai
temibile per i Deva, li sconfisse più volte e pure li sottomise, addirittura
inghiottì Indra e solo con grande difficoltà gli
altri dei riuscirono a farglielo sputare fuori. Dominò anche vari luoghi nei
cieli, sulla terra, negli abissi, nel sottosuolo e procurò indicibili
sofferenze. Infine, Indra riuscì a sconfiggerlo solo
grazie all’aiuto di Visnu e di alcuni suoi saggi seguaci. Dopo la sconfitta di Vritra, i Kalakeya non ottennero
più un così sconfinato potere e dominio, ma continuarono a prosperare, non si
estinsero. Persa la loro città, si stabilirono proprio in questa regione e vi
regnarono efferatamente per millenni anche nei tempi riconosciuti col nome di
storia. Nonostante col passare dei secoli abbiano imparato ad essere più cauti
e a non manifestare apertamente poteri e crudeltà, pare che solamente poco più di
seicento anni fa siano stati definitivamente sconfitti … o per lo meno
annientati quasi totalmente. Pare che in realtà qualche loro discendente sia
ancora sopravvissuto. Non si sa che cosa sia realmente accaduto e come sia
stato possibile che un re umano abbia potuto distruggere i Kalakeya
che dominavano segretamente Goa da millenni. Si dice che fosse un grande devoto
di Visnu, in particolare del suo avatara di Rama, e che sia stato aiutato da Hanuman e dal suo esercito di scimmie; infatti la capitale
del suo impero era nello stesso luogo in cui millenni prima sorgeva il regno
delle scimmie. Non mi stupisce che una scimmia sia accorsa in tuo aiuto: è
comprensibile che alcune siano rimaste qui per contrastare i possibili
discendenti dei Kalakeya. Paradossalmente, però, questo fatto relativamente
recente, è avvolto da maggiore mistero che le leggende.”
“Tu
credi che nella grotta ci fosse un Kalakeya? Quei
signori che vivono nella foresta potrebbero essere dei suoi adoratori?”
“Oppure
esserne terribilmente spaventati … oppure potrebbe essere qualcun altro che
voleva compiere il sacrificio. Hai detto che c’erano altre tre persone in
viaggio, oltre a te e alla ragazza.”
“È
vero … ma preferirei non pensare al fatto che un adoratore degli Asura possa vivere in questo museo!”
“Invece
ti converrebbe pensarlo, anche solo per precauzione.”
Rimasero
in silenzio qualche momento, poi Irma chiese: “Hiranyapura
era un città d’oro, giusto?”
“Sì,
esatto. Perché me lo chiedi?”
“Credo
di averla vista in una visione … e di aver visto alcune delle atrocità a cui
hai accennato.”
“In
che modo?”
“Ho
meditato una volta, da quando sono qui … o almeno ci ho provato. Mi sono
affiorate nella mente immagini di battaglie, di una prospera città d’oro e di
crudeltà verso gli uomini.”
Iravan
corrugò la fronte e replicò: “Dushala non dovrebbe aver mai visto nulla del
genere, quindi come puoi averle viste tu?”
“Una
vita ancor più precedente?” ipotizzò la giovane “Oppure sono i suoi poteri che
mi hanno permesso di guardare nel passato.”
“È
possibile. Credo però sarebbe meglio ne parlassimo anche con qualcun altro.”
“E
chi?”
“Aswatthaman, almeno. Lui dovrebbe essere libero di
spostarsi, a differenza degli altri.”
“Hai
ragione. Sai come contattarlo?”
“Forse.
Farò il possibile, intanto tu poni molta attenzione a tutto.”
I
due amici si fecero qualche altra raccomandazione e infine si diedero la
buonanotte e si salutarono. Il bracciale tornò ad avere le sembianza di un
serpente e si riavvolse attorno al polso dell’archeologa.
Irma
andò a dormire, indecisa se sentirsi rassicurata o meno da quanto aveva appena
scoperto. Presto, però, il sonno ebbe la meglio su di lei.
Il
giorno seguente la giovane fu pervasa dal buon umore: avrebbero indagato quelle
misteriose pietre e ciò la riempiva di entusiasmo. Era dispiaciuta, tuttavia,
per il fatto che avrebbero dovuto procedere in maniera molto lenta per
rispettare la stratigrafia e che dunque richiedeva di rimuovere minuziosamente
uno strato per volta. Presto, però, si rese conto che quello in cui stavano
scavando era semplice materiale di riempimento, scaricato in quel luogo in
epoche antiche, probabilmente proprio con lo scopo di nascondere quegli oggetti
in pietra. Irma fu felice di tale scoperta che dunque le permetteva di
rimuovere il terreno molto più rapidamente, non essendoci il bisogno di
procedere per strati.
Lavorarono
tutto il giorno per rimuovere la terra e si ripromisero di setacciarla
successivamente, alla ricerca di materiali che potessero aiutarli a datare
l’interramento di quel luogo.
Scesero
in profondità di un metro e mezzo, riuscendo a liberare quasi completamente tre
delle cinque pietre che si rivelarono essere statue raffiguranti il medesimo
soggetto: un uomo completamente nudo, avente ben in evidenza i suoi attributi
maschili; il volto e il petto erano tremendi: il viso era scavato, barba ispida
sopra cui sporgevano un paio di zanne, i bulbi oculari sporgevano, mentre nel
torace risaltavano le costole ed era impossibile stabilire se fosse stato
rappresentato estremamente magro, oppure del tutto privo di carne. Attorno al
collo era avvolto un serpente e portava anche una lunga ghirlanda che arrivava
fino alle ginocchia, composta da teschi umani.
Era
sicuramente un ritrovamento straordinario e che meritava di essere
approfondito.
Cosa
ci facevano cinque statue assieme? Indicavano un antico tempio? Era forse stato
sotterrato in epoca portoghese, magari per evitare che fosse distrutto?
C’erano
molte ricerche da svolgere e questo stimolava molto Irma, convinta di trovarsi
davanti ad una scoperta di non poco conto.
Innanzitutto
doveva capire che cosa rappresentassero. Scrutò attentamente le statue, vi girò
attorno, cercando di cogliere ogni particolare. Commentò: “Figure così
scheletriche non le ho mai viste nell’arte indiana, eccetto che tra i Buddha del
Gandhara … ma, a parte la distanza geografica, direi
che decisamente questo non sia lo stile gandharico.”
Improvvisamente,
Irma ebbe una sorta di dejavu, non le sembrava di
aver già visto proprio quelle statue, ma altre simili e di sapere perfettamente
che cosa raffigurassero, nonostante non si fosse mai imbattuta in esse durante
i suoi studi. Sussurrò: “…Vetala…”
“Come?”
domandò Dhvana che era accanto a lei, ma non aveva sentito bene.
“Sono
statue di Vetala.” ribatté Irma con maggiore
decisione.
“Sì
… è plausibile.” concordò l’uomo, dopo una rapida riflessione “La loro presenza
è però inquietante.”
“Perché?
Non sono protettori? Non combattono contro entità maligne.”
“Beh,
il maligne è discutibile” replicò Dhvana “Nel senso che molto dipende dal punto
di vista, ma a parte questo, il mio inquietante
si riferiva più che altro alla loro connessione con i cimiteri, i luoghi dove
si lasciano decomporre i corpi. Loro sono fantasmi e si dice che entrano nei
cadaveri e li animino. Per me è una cosa piuttosto inquietante. Per te no?”
“Non
conoscevo questo aspetto.” ammise l’archeologa.
“Penso
sarà davvero interessante scoprire che cosa ci sia qua sotto.” continuò l’uomo
“Mi hai contagiato con lo spirito archeologico, evidentemente.” e si mise a
ridere.
“Tuo
zio sarà molto contento di questo, darà grande risalto al museo.”
“Ne
sono convinto. Stiamo facendo un grande lavoro, sono felice che tu sia qui ad
aiutarci.”
Dopo
aver detto ciò, Dhvana abbracciò Irma che rimase un poco sbigottita, ma ne fu
felice.
Pure
quel giorno di lavoro era terminato e quindi era necessario rimandare
all’indomani ulteriori indagini.
Il
mercoledì, tuttavia, lo trascorsero a setacciare il terreno di riempimento
rimosso, sperando di poter trovare ceramiche o qualche materiale dante. Forse
anche le prime monete rinvenute facevano parte dell’interramento volontario,
tuttavia a Irma sembrava improbabile che ben diciotto monete d’oro fossero
state smarrite e per caso si fossero ritrovate nello stesso luogo.
Non
trovarono resti di alcun oggetto creato dall’uomo, ma soltanto moltissime ossa
animali che Dhvana identificò come appartenenti a capre, bufali e polli. Si
poteva trattare sia di resti provenienti da una sorta di discarica oppure, più
probabilmente, testimonianze di pasti rituali od offerte sacrificali che si
erano volute consegnare ai Vetal, mentre li si
seppelliva.
Il
giovedì piovve quasi tutto il giorno e dunque non si poté continuare con gli scavi;
Irma e Dhvana si dedicarono alla stesura del diario di scavo, descrivendo
minuziosamente come avevano impostato i lavori, le procedure, i reperti e la
loro collocazione e molti altri dettagli necessari.
Il
venerdì poterono continuare con gli scavi. Liberarono completamente le altre
tre statue e scavando un poco più a fondo, trovarono altre offerte votive, o
quel che ne restava, deposte ai piedi delle statue. Erano alcune larghe ciotole
in terracotta semplice in cui restavano pezzi di ossa, inoltre c’erano anche
alcune piccole brocche che probabilmente avevano contenuto liquore.
L’entusiasmo
di Irma era salito alle stelle, ma sembrava che le sorprese non fossero ancora
finite. Infatti, un saggio effettuato nel suolo per controllare se ci fosse
ancora terreno di riempimento, rivelò che sotto un paio di centimetri si
nascondeva qualcosa di estremamente solido e duro, forse un pavimento. Lo
avrebbero potuto scoprire solo la settimana successiva.
Irma
si concesse qualche ora di riposo in più, il sabato mattina, immaginandosi un
bel fine settimana di assoluto relax. A metà mattina, si recò in sala comune
per farsi una tazza di te e cercare qualche frutto o altro da mettere nello
stomaco. Mentre lei stava sorseggiando lentamente la tisana, aspettando che si
raffreddasse, fece capolino nella stanza Dhvana che, dopo averle dato un raggiante
buongiorno, le comunicò: “Allora, finita la colazione, ti prepari e andiamo in
città.”
Irma
lo guardò storto qualche istante: non le piaceva quando gli indiani prendevano
decisioni al suo posto, ma era una cosa piuttosto comune che lì le persone
prendessero iniziative, volendo essere gentili, senza domandare al diretto
interessato che cosa volesse.
La
giovane lo sapeva e infatti non se la prese più di tanto ma domandò: “Questo
quando lo avremmo deciso?”
“Non
ti va di andare a Margao?”
“Non
avevo previsto di uscire, ma un giro lo si può fare, sì.”
“Perfetto.
Qual è il problema, allora?”
“Il
fatto che tu abbia deciso per entrambi, senza chiedere a me se volessi venire.”
“Ma
hai detto che va bene?” Dhvana era confuso, non capiva “Io ho detto di andare,
se poi tu non vuoi venire lo dici e resti qui.”
“Va
beh, lasciamo perdere. Che si fa a Margao? Restiamo
fuori anche per il pranzo, così non dobbiamo cucinare?”
“Sì,
sì. Innanzitutto cerchiamo un bel vestito per te, poi andiamo al cinema.”
“Un
vestito?” si accigliò Irma “E perché dovrei comprarmene uno?”
“Perché
domani è il compleanno di mia zia.”
“E
allora?”
“Fa
una festa elegante.”
“Ma
io non sono stata invitata.”
“Adesso
sì. Sarai il mio più uno.”
Irma
lo fissò interdetta per qualche secondo, poi scosse il capo e borbottò: “Devo
decisamente farti capire il concetto: tu puoi proporre le cose, ma non puoi
dare per scontato che gli altri accettino.”
“Va
bene, va bene” replicò frettolosamente il ragazzo “Allora ci vieni?”
“Sì,
volentieri: sono curiosa di vedere come si festeggiano i compleanni a Goa.
Comunque non ho bisogno di un abito, ne ho un paio di quelli presi in Tamil che
sono certa andranno bene.”
Poco
dopo i due giovani uscirono dal cancello del museo; presero una scorciatoia tra
la boscaglia per raggiungere più rapidamente la fermata dell’autobus, ma il
terreno era ancora fangoso per la pioggia di un paio di giorni prima e si
sporcarono i sandali. Appena giunti sulla strada, cercarono una pozzanghera
abbastanza profonda dove immergere i piedi e ripulirsi. Salirono poi sul bus,
come al solito straripante di persone: ad una fermata scesero in dieci e
nessuno salì, eppure il mezzo non sembrava aver più posto libero. Irma comunque
notò con piacere che il cruscotto era decorato con un paio di piccole
statuette, ma non riuscì a metterle a fuoco e capire quale divinità
rappresentassero.
I
due scesero in quella che era la piazza principale di Margao,
un lunghissimo e stretto ovale, attraversato da un parchetto. Non c’era un vero
e proprio centro della città, ma quello sembrava essere una sorta di fulcro
commerciale. Girovagarono senza meta e Irma continuava ad essere delusa per la
mancanza di tempietti e nicchie ad ogni angolo, come invece era stata solita
trovare in Tamil. Passarono per il mercato coperto, per il semplice gusto di
vederlo: era molto buio, pieno di banchi stretti gli uni agli altri, alternati
a minuscoli box, i sentieri tra di essi erano angusti e si districavano in
maniera labirintica. I tavoli straripavano di merce, dalla bigiotteria
sfavillante, ai tessuti arlecchineschi, alle odorose carni essiccate.
Pranzarono
in un locale molto semplice con tavoli e divanetti che ricordavano quelli
americani degli anni ’50. Entrambi ordinarono una masala
dosa, ossia una sorta di crepes di farina di riso,
ripiena di patate.
Nel
pomeriggio si spostarono e andarono al cinema: un grande multisala che si
estendeva per due palazzoni a torre. Comprarono i biglietti per un film
americano, così da poterlo capire entrambi. Il box office era esterno, quando
entrarono nell’ingresso, Irma fu stupita di trovarci un metal detector: tutti i
clienti erano perquisiti, borse comprese, prima di poter accedere ai piani
superiori dove si trovavano le sale. Si trovarono poi davanti al bar che
vendeva snack vari tra cui popcorn di tre tipi: normali, con formaggio,
caramellati. Dhvana prese un grosso pacchetto misto da condividere.
Si
sedettero in sala, guardarono i trailer di altri film, poi la bandiera dell’India
comparve sullo schermo, tutti si alzarono in piedi e fu eseguito l’inno
nazionale, prima della proiezione.
Fu
una giornata molto piacevole per entrambi. Irma era contenta di trascorrere così
tanto tempo con quel giovane; l’attività di scavo li aveva resi molto affiatati
e passare una giornata assieme, senza pensare al lavoro, aveva permesso che si
accorgessero quanto si trovassero bene l’un con l’altro.
Quella
sera ordinarono una pizza, o una specie di tale, da un negozio di una diffusa
catena: non era male, non era pizza, ma era comunque buona, con la pasta alta e
soffice.
Il
giorno dopo Irma non indugiò troppo nel letto a sonnecchiare, poiché sapeva che
sarebbero partiti attorno alle undici del mattino per andare nel luogo scelto
per i festeggiamenti del compleanno di Ajaya. La
giovane italiana si sentiva un poco in imbarazzo: non conosceva nessuno degli
invitati, a parte Dhvana, il quale sarebbe stato sicuramente coinvolto in
conversazioni con i parenti. Cosa a avrebbe fatto lei? Si sarebbe annoiata?
Indosso
un abito lungo azzurro con ricami in argento e decori di perline; vestito che
in Italia poteva sembrare un poco appariscente, ma che lì in India avrebbero
sicuramente giudicato sobrio. Indossò anche una collana, degli orecchini e braccialetti
coordinati. Quella era la mise che aveva deciso di indossare il 15 di agosto,
festa della Repubblica indiana.
Dhvana
la passò a chiamare per partire, lui indossava una camicia rossa e un dhoti
bianco con decori laterali d’oro. Andarono nel piazzale antistante il museo
dove Vairochana e sua moglie li attendevano a bordo della grossa automobile.
Viaggiarono
per oltre mezzora prima di arrivare al locale che si rivelò essere un raffinato
ristorante con un vasto giardino e piscina. All’ingresso c’erano due ragazze:
una reggeva delle ghirlande di fiori e l’altra le appendeva al collo di chi
entrava.
Sotto
a tende gazebo c’erano divanetti in vimini con cuscini e tavolini bassi. Vicino
ad essi si trovava un bancone con vari cocktail esposti e camerieri pronti a
servirli. Vi era un uomo con un machete che apriva un piccolo buco in cima alle
noci di cocco, le svuotava a metà del latte e lo sostituiva con vodka, vi
inseriva poi una cannuccia e lo offriva a tutti i nuovi arrivati.
Dhvana
indicò a Irma dove si sarebbero seduti e dove sistemarsi, poi le propose di
farsi subito il bagno, prima che iniziassero a servire da mangiare. Messisi il
costume, si tuffarono in acqua e nuotarono e scherzarono per un’oretta
abbondante; a loro si unirono anche alcune cugine e cugini del ragazzo e l’Italiana
cominciò a fare la loro conoscenza, pur certa che non avrebbe ricordato neppure
un nome da lì a poco.
Ad
allietare tutta l’atmosfera, c’erano tre musicisti con piccoli strumenti
portatili che suonavano e cantavano, spostandosi di quando in quando. A Irma ricordarono
immediatamente i mariachi.
Verso
le tredici, i camerieri iniziarono a passare tra le persone servendo tartine,
quindi la piscina si svuotò e i giovani cominciarono a sbocconcellare l’antipasto,
ancora avvolti nei teli per asciugarsi.
Il
pranzo vero e proprio fu servito a buffet e consumato sotto i gazebo.
Irma
si stava divertendo e non le dispiaceva affatto essere lì, si era anche
concessa di ballare un poco in mezzo agli altri. Non poteva però fare a meno di
sentire gli sguardi altrui che indugiavano su di lei come a studiarla per poi
dare un giudizio. Sensazione che ebbe una sorta di conferma nel momento in cui
il nonno di Dhvana e alcuni di lui zii le fecero una serie di domande su chi
fosse, che cosa facesse nella vita, come fosse composta la sua famiglia, che
aspirazioni avesse e così via. Per fortuna quell’interrogatorio fu interrotto
dall’arrivo della torta. Allora tutti si radunarono attorno ad essa e alla
festeggiata e iniziarono a cantare la classica canzone con l’aggiunta di tre
strofe: Possa tu averne molti altri;
possa tu bere l’Amrita; possa Surabhi
benedirti.
L’Amrita era la bevanda dell’immortalità che donava grande
vigore e forza, secondo la mitologia induista; Surabhi
era invece la mucca cosmica dell’abbondanza.
Irma
trovò quegli auguri molto interessanti e apprezzabili.
Dopo
la canzone di auguri, Ajaya tagliò un grosso spicchio
di torta, lo mise su un piatto e iniziò a fare il giro degli invitati,
staccando un pezzetto con le mani e mettendolo in bocca alle persone.
La
festa proseguì ancora un poco, ma tutti si ritirarono prima del tramonto.
Irma
andò a dormire presto, sapendo che il giorno dopo sarebbe ricominciato il
lavoro impegnativo.
Lo
strato di terra che ricopriva il presunto pavimento era davvero sottile e
bastarono un paio di giorni per rimuoverlo completamente. Ciò che nascondeva
era davvero sorprendente: mattonelle in pietra di mezzo metro quadro l’una,
scolpite con larghi medaglioni che contenevano figure umane di svariato genere,
alcune facilmente identificabili come avatara di Visnu, altre come Garuda od Hanuman, altre ancora
erano invece difficili da interpretare, ma mostravano guerrieri. La lastra più
strana di tutte, però, era quella centrale, larga quattro volte le altre: non
aveva immagini scolpite, ma recava un lungo testo. Le lettere erano molto
tondeggianti e ad Irma ricordavano l’alfabeto kannada
o telegu, ma le lingue non erano il suo forte.
Domandò a Dhvana se lui riconoscesse qualcosa, ma il giovane le ricordò che lui
non era uno studioso. Interpellarono allora Bhavani che confermò che quell’alfabeto
sembrava una forma arcaica di quello kannada, ma
tuttavia le parole non le parevano avere alcun senso, le parevano suoni messi a
caso.
“Ci
resta una sola cosa da fare.” annunciò allora l’archeologa.
“Sarebbe?”
domandò il giovane, incuriosito.
“Fotografiamo
bene il testo e lo invierò a un mio buon conoscente, il professor Nicolani. Non è della mia università ed è piuttosto
giovane, però è espertissimo in lingue e filologia, nonostante non siano i suoi
studi primari. Mi ha aiutato davvero tanto, in passato, sia col sanscrito che
col ceppo dravidico. Sono sicura che lui saprà illuminarci circa l’origine di
questa scrittura e, forse, potrà anche tradurla o almeno indicarci il
contenuto.”
“Credi
davvero sia necessario?” domandò Dhvana, un po’ bruscamente “Anche qui ci sono
molti professori competenti, anzi probabilmente di più, visto che è il loro
settore.”
“Non
ne conosciamo e non abbiamo punti di riferimento, però” fece notare lei “Nicolani risponderà subito alla mia mail, se non lo farà o
non avrà risposte, saremo sempre in tempo per cercare esperti in loco.”
L’uomo
non pareva ancora convinto, anzi, sembrava quasi seccato. Irma pensò che fosse
l’orgoglio patriottico a farlo reagire così, dunque disse dolcemente: “Dobbiamo
usare ogni risorsa e cercare di essere rapidi. Quello che abbiamo trovato mi
sembra qualcosa di raro, è una forma di luogo sacro del tutto particolare e
inedita, almeno per quanto abbia studiato io finora. Non possiamo procedere con
gli scavi o l’indagine finché non sapremo che cosa dice quel testo e il
professor Nicolani è la persona più indicata e più
facilmente reperibile, tra quelli che conosciamo.”
“Va
bene” si arrese Dhvana “In fondo l’archeologa sei tu. Contattalo pure, ma io
intanto cercherò qualcun altro, nel caso questo professore ti deluda.”
Irma
era troppo entusiasta per il ritrovamento per dare peso al malumore manifestato
da Dhvana; fotografò ogni singola lastra per documentarla e non faceva altro
che domandarsi che cosa fosse quel luogo e che cos’altro nascondesse. Non le
risultava la pratica di decorare i pavimenti, dunque era convinta che quel
luogo non fosse stato costruito come luogo di culto, inoltre gli scavi avevano
fatto scoprire che era stato sepolto volontariamente. I Portoghesi non potevano
essere stati: avrebbero distrutto tutto e non solo seppellito. Forse gli
indigeni avevano voluto nascondere quel luogo per proteggerlo? Non era da
escludere. Irma però si andava sempre più persuadendo di trovarsi davanti alla
testimonianza di uno sconosciuto rituale, una sorta di sacrificio, poi subito
seppellito come a volerlo rendere perpetuo. Certo, erano solo speculazioni e
fantasie, non aveva alcuna prova, però non c’era nulla di male nell’ipotizzare.
Sperava davvero che l’iscrizione potesse contenere informazioni utili e quindi
non perse tempo a scrivere al professore suo conoscente, allegando le foto.
Più
tardi, in serata, mentre sistemava il registro di scavo a computer, Irma vide
lampeggiare l’avviso di una videochiamata in arrivo. L’accettò e sullo schermo
comparve il mezzo busto di un uomo piuttosto imponente, trentacinque anni
circa, capelli rossicci e un paio di occhiali, seduto alla scrivania, con
dietro uno scaffale pieno di libri.
“Oh,
salve, professor Nicolani” salutò Irma, un poco sorpresa
“Non mi aspettavo di essere contattata così velocemente.”
“Oh
ma figurati, è un lavoro presto fatto, purtroppo. Comunque, ricordati che puoi
chiamarmi semplicemente Rinaldo: non sono un tuo insegnante.”
“Eh,
sì, però, sa, l’abitudine … Come mai dice che è un lavoro presto fatto?”
“Perché
è quello che è. innanzitutto, però, permettimi di congratularmi per il lavoro
che stai svolgendo: hai portato avanti uno scavo accurato e quello che hai
trovato farà invidia sicuramente a molti tuoi colleghi. Ad ogni modo, le
notizie che ho da darti sull’iscrizione sono molto interessanti e faranno
sicuramente infittire il mistero, purtroppo non aiutano a chiarire le cose.”
“Sentiamo.”
“La
lingua in cui è scritta è praticamente sconosciuta. Ci sono molti elementi
dravidici e alcuni prestiti dal vedico e addirittura dal gatico,
poi ci sono altri fonemi che mi lasciano spiazzato, tuttavia non è nulla di
davvero conosciuto, è di un arcaismo sconcertante.”
“Strano.
La conservazione è ottima e anche il resto del sito sembra essere databile a
quando i Vijayanagara dominavano Goa. I bassorilievi in mezzo a cui è inserita
rispecchiano perfettamente lo stile Vijayanagara e sembrano coevi, sistemati
nello stesso momento, la tipologia di pietra è la medesima, probabilmente sono
state ricavate dalla stessa roccia.”
“Questo
io non lo posso dire, non ho nemmeno visto lo scavo dal vivo. La lingua è
assolutamente arcaica ma è evidente che è trascritta in un alfabeto che non è
stato creato per lei, ci sono certi suoni resi in maniera un po’ approssimativa,
cercando di accorpare lettere, evidentemente perché non esisteva un suono
corrispondente. Probabilmente chi l’ha incisa ha usato una lingua sopravvissuta
della tradizione orale per millenni, utilizzando un alfabeto moderno. Questo mi
fa pensare possa trattarsi di un testo religioso: solo la canonizzazione di un
inno permette la sua trasmissione attraverso i secoli, senza che la lingua
venga alterata dal normale sviluppo.”
Irma
aveva ascoltato molto attentamente e non poteva nascondere del tutto la frustrazione
per essersi trovata in un vicolo cieco.
“Una
nota positiva e uno spiraglio di luce, tuttavia, ci sono.” continuò seraficamente
il professor Nicolani, dopo aver bevuto dalla tazza
che teneva davanti a sé “Questo non è il solo caso di attestazione di questa
lingua.”
“Davvero?”
l’archeologa si riempì di speranza.
“Davvero.
A metà degli anni Ottanta, è stata trovata una lastra simile, ma in un contesto
completamente diverso, proprio ad Hampi.”
“Nella
capitale Vijayanagara?”
“Esattamente.
Questo mi fa pensare ancor di più ad una lingua sacra o dinastica. Purtroppo non
esistono immagini della stele degli anni Ottanta o, per meglio dire, esistono
ma non si riesce a leggere, poiché è presa da lontano. Ahimè non è nemmeno
stata musealizzata, ma è tenuta come oggetto di
studio in non so quale dipartimento universitario od archeologico nei pressi di
Hampi. Ecco, se io potessi avere immagini di quell’iscrizione,
forse avrei abbastanza testo per ricostruire esattamente il sistema
linguistico, colmare le lacune e … sì, insomma, tradurla.”
Irma
si accigliò, rimase un attimo confusa e poi domandò: “Sta velatamente dicendo
che io dovrei andare ad Hampi e trovare un modo per
vedere quella stele e fotografarla?”
“Precisamente.
Se vuoi saperne di più e riuscire a comprendere il tuo scavo, ovviamente. Li contatterei
anche io stesso per email, ma le mie esperienze
passate mi hanno insegnato che la burocrazia e gli incartamenti per ottenere
qualcosa, mesciuti con i tempi indiani, inducono ad attese estenuanti. Credo che
tu otterrai più facilmente l’accesso a quella stele, se ti recherai personalmente
sul posto.”
“Sì,
quel che dice è vero, ma non so se otterrò il permesso del mio capo di partire,
in fondo io sto lavorando per questo museo.”
“Tu
fa a lui presente che è per il museo che chiedi di partire: insomma, è ricerca,
rientra nella norma.”
Irma
sospirò ed annuì: “Va bene, vedrò quel che si può fare. Intanto la ringrazio
davvero tantissimo per quello che ha fatto e per le sue indicazioni. Spero davvero
che potremo proseguire questa collaborazione … e scusi per il disturbo.”
“Nessun
disturbo! Fa sempre piacere aiutare e, inoltre, sarà un bel successo anche per
me, se sarò il primo a decifrare queste iscrizioni. Tienimi aggiornato, mi
raccomando, a presto!”
Irma
lo rassicurò e poi chiuse la videochiamata. Nonostante non avesse ottenuto le
risposte che sperava, era comunque molto soddisfatta: Rinaldo era sempre così
gentile e aveva una risposta per qualsiasi domanda … almeno in campo
umanistico, ma comunque aveva anche buone basi in ambito scientifico. Era davvero
un uomo poliedrico negli studi e per questo Irma lo stimava moltissimo. Si diceva
di essere stata davvero fortunata a conoscerlo, quasi un anno prima, a un
convegno sui popoli indo-iranici, in cui lui aveva tenuto un intervento sugli Yazata nei testi avestici e non. Assieme avevano intessuto
ottime conversazioni, molto coinvolgenti.
Per
qualche momento Irma si vergognò di averlo contattato solo per chiedergli aiuto
con l’iscrizione e non avergli scritto nulla prima, però poi si giustificò,
ricordandosi che, a parte i genitori, aveva sentito solo un paio di amici da
quando era a Goa.
Il
mattino dopo comunicò a Dhvana le informazioni e il consiglio ricevuti. Il giovane
non parve preoccuparsi, anzi si rallegrò e asserì che era un’ottima idea recarsi
ad Hampi per continuare le ricerche; aggiunse anche
di essere certo che Vairochana avrebbe dato il proprio consenso, senza
lamentarsi: avrebbe parlato lui stesso con lo zio e ottenuto di organizzare la
spedizione.
Dhvana
non affrontò l’argomento a tavola, ma aspettò dopo pranzo e chiese di conferire
privatamente con gli zii.
Poco
più tardi si ripresentò allo scavo e rassicurò l’archeologa circa il fatto che
tutto era a posto e che sarebbero potuti partire il venerdì sera con un autobus
notturno.
Irma
era incredula per la facilità con cui Dhvana aveva ottenuto l’autorizzazione e
si domandò se non fosse lei a farsi troppi problemi. Domandò se anche Bhavani
sarebbe andata con loro: in fondo lei era originaria del Karnataka
e quindi conosceva la lingua locale. Il giovane disse che sarebbero partiti
solo loro due: lo zio non poteva rinunciare ad altro personale.
Passarono
il resto di quel mercoledì e tutto il giovedì per sistemare lo scavo e metterlo
al riparo dalle intemperie, durante la loro assenza.
Il
venerdì, Irma sistemò le sue cose nella valigia: aveva deciso di portare tutto
con sé, dal momento che non aveva idea di quanto a lungo sarebbe stata lontana
da Goa.
Aveva
appena finito di chiudere il bagaglio, quando pensò ad Iravan. Lui si
preoccupava per lei, quindi forse era meglio avvisarlo del suo spostamento. Usò
allora il braccialetto per contattare il naga che, quando seppe che la ragazza
era in partenza per Hampi, ne fu molto contento e
spiegò: “Sai, la coincidenza è molto strana, ma forse è stato il karma ad
aiutarci. Io stavo cercando una soluzione per permetterti di venire al mio
matrimonio, senza che la tua assenza si notasse da Goa e non riuscivo a trovare
un buon rimedio. Adesso, però, sei tu che vieni qui spontaneamente! È meraviglioso.”
“Come?
Tu sei ad Hampi?”
“Vasukiprastha giace sotto le acque di un fiume lì vicino,
conosco bene il luogo e le rovine dei templi e dell’antica capitale. Sarò
contento di accompagnarti in giro. Poi mi dovrai spiegare nel dettaglio quello
che hai trovato lì e che cosa sarebbe l’iscrizione che vieni a cercare. Sono molto
contento, vedrai che saranno giorni stupendi. Adesso non posso fermarmi a
parlare di più perché Shunaka mi aspetta, tuttavia se arrivi domani mattina,
dal pomeriggio mi farò già trovare, così ti mostro qualche bel posto e mi
racconti tutto. Ciao e a domani!”
Irma
non si aspettava nulla di tutto ciò, ma ne fu estremamente contenta: adorava
quanto l’antico fratello le volesse bene.
Tornò
a pensare agli ultimi preparativi per la partenza, ormai mancava poco tempo.
Nota dell’Autrice
Cari lettori, vi sono mancata? … Spero di
sì, almeno un pochino … ^___^
Ho cercato di ripagare la vostra
pazienza per l’attesa, scrivendo un capitolo un poco più lungo.
Questa settimana mi sono trasferita
nella nuova tappa del mio viaggio, quella che presto raggiungerà anche Irma. Qui
ci sono veramente tantissimi templi e luoghi naturali da vedere e sarà
difficile doverne selezionare solo alcuni di cui parlarvi. Se volete vedere le
foto di questi posti stupendi, potete visitare il mio profilo facebook: Michela Rivetti (sono vestita di nero e tengo in
mano un teschio)
Voglio ringraziarvi di tutto cuore per
l’assiduità che mi dedicate. È la prima volta che il numero dei lettori non
cala con il passare dei capitoli bensì rimane costante, questo mi rende molto
felice e per questo voglio che sappiate quanto vi sono grata per seguirmi.
Spero di aggiornare tra una settimana,
intanto vi saluto e vi lascio con il link dove potete trovare informazioni sul
prequel di questa storia.
Ciao a tutti!!!
http://www.bibliotheka.it/La_chiamata_di_Visnu_IT