Capitolo
Otto: L'insostenibile fragilità del Muro di Cristallo
“Fa'
che qualcuno le copra gli occhi. Non c'è alcuna
dignità nella
morte, per quanto onorevole possa apparire.”
I.
Mantieni
la concentrazione, non lasciare che il Loop scivoli fuori dalla tua
portata come sabbia fra le dita.
Ad
occhi chiusi, Icy respirava profondamente, esternando le distrazioni
con l'espirazione e passando delicatamente i polpastrelli sulla lama
insanguinata del pugnale, che reggeva ancora nella mano sinistra. Il
crepitio del fuoco era ormai lontano, distante, irreale; se voleva
evitare che tutto si destabilizzasse, non doveva alzare le palpebre.
La
sigaretta, ancora accesa nella sua mano destra, faceva elevare una
piccola colonna di fumo dalle braci, ricordando il lento processo di
combustione dell'incenso.
La
foresta, ancora intatta attorno al suo corpo, restava completamente
immobile, l'innaturale assenza di vento rendeva l'atmosfera
leggermente più pesante del solito; l'aria era spessa ed
intrisa di
un forte e pungente odore di sangue.
Proseguire
con ciò che aveva iniziato risultava l'atto più
coerente che
potesse compiere, anche ricorrendo al reprimere l'ultimo accenno di
una qualsiasi emozione che la tenesse legata a tale luogo.
Emozioni,
pff.
Da
quanto non usava un termine tanto inutile quanto patetico.
Che
stesse cominciando ad allentare il suo controllo su di esse? Che
stesse raggiungendo un punto di non ritorno, un limite, oltre al
quale le sue difese sarebbero esplose in mille pezzi?
L'albina
scosse la testa, nel suo petto tornò a regnare il vuoto
più
assoluto.
Balle.
Senza
aprire gli occhi strinse il filtro della sigaretta fra le labbra e ne
inspirò il fumo a pieni polmoni, lasciandolo poi uscire
lentamente
dalla bocca dischiusa. Al momento, le conveniva non perdere tempo e
riparare le falle del Loop, prima che il danno fosse divenuto
irrimediabile.
La
mente leggera, talmente concentrata ad infondere energia nei suoi
sforzi, cominciò a darle uno spiacevole senso di nausea, ma
poco
importava: aveva imparato a sopportare di peggio, non avrebbe
permesso ad un semplice capogiro di compromettere tutto il lavoro di
un decennio. Come non si era fermata davanti a nulla in precedenza,
di certo non si sarebbe fermata ad una semplice difficoltà
fisica.
La
via per difendere i propri egoistici interessi era sempre stata
particolarmente difficoltosa, e nonostante ciò non era stata
frenata
nemmeno una volta; una strega otteneva sempre ciò che
voleva. Le
parole della madre – seppur offuscate dal controllo che le
Streghe
Antenate esercitavano sul suo corpo – si erano rivelate la
più
profonda e nascosta verità.
E
per ottenere ciò che voleva, la strega doveva tagliar fuori
ciò che
avrebbe potuto ostacolarla: le emozioni, prima di tutto.
Isolare
sé stessa ed i propri segreti dietro ad un muro di
cristallo,
quindi, non era stato particolarmente problematico. Con la sua
crescita, erano cresciute anche le sue difese, guadagnando in altezza
ed in spessore.
La
realtà esterna era oramai
divenuta
solo un lontano e
poco nitido ricordo.
Le
fiamme stavano raggiungendo la capitale, ma i forti suoni e le urla
le arrivavano all'udito come rumori ovattati, frenati dall'invisibile
e resistente parete che separava la mente dall'inconsistente spazio
circostante.
Erano
solamente memorie, così doveva accadere; nulla al mondo
poteva
essere ottenuto senza un minimo sacrificio.
Nel
rapido sgretolarsi del Quinto Ritorno, non aveva tempo per perdersi
fra i ricordi del terribile fuoco che lei stessa, da schifosa
codarda, si
era lasciata alle
spalle, fuggendo a piedi scalzi per
la pineta. Non aveva nemmeno il tempo per pentirsene.
Prendendo
un bel respiro, mosse le labbra in qualche sussurro per dare inizio
all'incantesimo; la Fiamma del Drago da lei assorbita per sistemare
il funzionamento del Loop cominciò a rispondere alle flebili
parole,
reagendo alla massiccia quantità di magia nera che la
investiva.
Il
calore cominciò a diffondersi in tutto il suo corpo, lo
sforzo per
contenerlo fece colare qualche piccola goccia di sangue dal naso alle
delicate e rosee labbra; l'aveva già fatto in precedenza,
mantenere
l'equilibrio di tali forze logorava leggermente la sua magia
dall'interno, ma le conseguenze erano altamente contenibili da chi,
come lei, la sapeva padroneggiare perfettamente.
Il
respiro si fece più affannoso, lo scuro liquido rossastro
più denso
e caldo; ma non bastava ancora a fermarla. Nonostante la presenza di
tale liquido nella sua bocca, continuò a sussurrare
l'invocazione,
concentrando l'energia ed il potere nelle proprie mani.
Ed
ogni avvenimento, lentamente e faticosamente, pareva tornare al
proprio posto.
Le
ferite che il corso degli eventi aveva subito si stavano
rimarginando, il fuoco divorava l'oscurità dentro al suo
corpo,
crepitava e scoppiettava più dell'incendio poco lontano,
allungando
le sue fiamme come scheletriche dita ad afferrarne e soffocarne la
fonte della magia. Il dolore cresceva in maniera esponenziale, ma le
membra sofferenti riuscirono a mantenersi rigide ed in equilibrio; la
falla era di gran lunga più profonda di quanto si aspettasse.
Eppure
doveva agire come aveva sempre fatto.
Ignorando
il sapore leggermente ferroso sulla propria lingua, Icy
incrementò
l'energia oscura, direzionandola con il pugnale, e strinse
leggermente gli occhi per sopportare maggiormente la fitta che
l'aveva colpita alla testa come un potente attacco di magia bianca.
Ed era esattamente ciò che stava risvegliando la Fiamma del
Drago
all'interno di lei; come una fenice rinasceva dalle
ceneri in cui, per anni ed anni, era stata compressa e soffocata.
Gli
insegnamenti che avevano accresciuto unicamente l'aspetto di magia
nera l'avevano lasciata completamente vulnerabile alla sua opposta:
senza un controllo quest'ultima, invece di spegnersi definitivamente,
aveva affondato le radici in profondità, nell'attesa
dell'inevitabile ribalta.
Suo
padre era stato l'unico nel suo nucleo famigliare a conoscerne i
segreti ed i meccanismi, che non erano mai stati trasmessi
né a lei
né alle sue sorelle; non avrebbe potuto fare altrimenti che
seguire
le indicazioni della madre sulla magia oscura. Inutile rimuginarci
sopra e perdersi nei distanti e freddi ricordi passati; era
pressoché
impossibile creare una nuova memoria dal principio, si era dovuta
adattare a quelle scarse e sfocate che possedeva già.
Intanto,
la parte luminosa del suo essere, si stava aprendo una strada fra le
ombre; e, colpo dopo colpo, avrebbe preso possesso del suo intero
potenziale magico. Non poteva lasciare che ciò accadesse.
Le
unghie lacerarono la sua candida pelle, affondando leggermente nella
pallida carne al di sotto: lo sforzo per evitare un letale squilibrio
fra le forze si era fatto talmente importante, da costringerla a
provare dolore per potersi mantenere cosciente. Linee rossastre
seguivano l'immediato muoversi delle mani dell'albina sulle proprie
braccia, le lunghe dita affusolate erano tese come le corde di un
violino.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa per non fallire nuovamente.
Un
respiro che non le apparteneva, debole ed agonizzante, le fece
correre un leggero brivido lungo la colonna vertebrale.
“A
quanto pare… Alla fine sono riuscita comunque a toglierti
una buona
percentuale di possibilità di successo.”
Incapace
di muoversi, Tecna giaceva in una pozza di fittizio sangue, i suoi
occhi color della giada si intravedevano appena nel verdeggiante
sottobosco; lentamente e dolorosamente, la sua anima combatteva per
evitare di cedere alla più oscura follia dell'avversaria.
“Taci.
– rispose velocemente l'altra, senza sollevare le palpebre
dai
vuoti occhi color ghiaccio – Sei morta, non dovresti
parlare.”
Un
faticoso sospiro precedette il breve silenzio; poi la fata
parlò di
nuovo.
“Guardati,
Icy. Se qualcun altro dovesse vederci, crederebbe che quella in
procinto di morire sia tu. Aggrappandoti il tal modo al passato
finirai per consumarti, finché di te non rimarrà
che un guscio
vuoto.”
“Credi
che me ne importi qualcosa? – questa volta il tono della
strega era
più alto del solito – Proseguirò con
ciò che devo fare, a
qualunque costo. Non cercare di comprendermi con i tuoi insulsi
ragionamenti da fatina buonista.”
Un
secco colpo di tosse seguì la frase; stretta nelle spalle,
Icy
rafforzò la presa delle unghie sulla sua pelle. Qualche
goccia
scarlatta macchiò il suolo, riflettendo nei suoi tratti
più chiari
il minaccioso bagliore delle fiamme.
“Non
cerco di capire, capisco già fin troppo. Tutto questo, il
mondo che
hai messo in piedi come un assurdo spettacolo di marionette che tu
sola puoi manovrare, non è che un patetico capriccio per
compiacere
il tuo enorme ego, per rimediare ad ogni fallimento che ti abbiamo
procurato. Non è forse-
La
lama ruotò di novanta gradi, strappando un rantolo di dolore
dalla
fata di Zenith. L'albina era piombata su di lei come un falco sulla
propria preda, negli occhi ora aperti dominava solo un'implacabile
desiderio: uccidere.
“Ma
cosa vuoi capire tu?” la sua cupa voce
fendeva la pesante ed
immobile atmosfera. La lama ruotò nuovamente, il dolore
pervase
prepotentemente il corpo di Tecna, portandola sull'orlo del collasso.
“Cosa
vuoi capire. Puoi fare quante supposizioni vuoi, senza mai arrivare
ad una risposta che si avvicini minimamente alla
verità.”
Troppo
debole per rabbrividire all'inquietante tonalità con cui le
parole
le arrivarono all'orecchio, la fata si limitò a sospirare.
“Vivi
in talmente tante menzogne che non la conosci neanche tu, questa
verità.”
La
sofferenza le stava annebbiando la mente, il colpo finale non fece
che svegliarla; il coltello affondò ulteriormente nelle sue
carni,
l'epilogo doveva essere vicino.
“I
morti non parlano, fatina.” concluse la strega, estraendo il
pugnale e preparandosi a finirla; avrebbe preferito torturarla
maggiormente, ma il tempo era carente in tali circostanze.
Seguirono
attimi di attesa, il freddo acciaio della lama sfiorò la
pelle del
collo, vi si appoggiò e restò in posizione. Le
preziose incisioni
sul piano premevano contro la carne, accarezzavano i morbidi capelli.
Tecna
non sentì alcun dolore.
Quando
alzò lo sguardo, il prezioso pugnale di ghiaccio era ancora
sollevato a mezz'aria, fra le piccole e delicate mani di una
fanciulla albina dai grandi occhi blu, leggermente sgranati ed
incapaci di nascondere una punta di sorpresa.
Una
spada premeva la propria lama pericolosamente contro il suo sottile e
bianco collo; la preziosa elsa dorata e rossa faceva parte di un
ricordo della fata, ma al momento non riuscì a collegarlo
con alcun
impulso presente nel suo cervello.
L'uomo
dai corti capelli castani restava rigido e teso alle spalle della
bambina, osservandola con un'espressione severa. La sua mano non
presentava nemmeno il minimo tremito, sarebbe stata pronta ad agire
in qualsiasi momento.
“Non
osare muovere un muscolo, piccola. E non ti succederà nulla
di
male.” la sua voce era ferma e minacciosa, le parole
rassicuranti
che parve voler pronunciare persero tutta la loro efficacia.
Nei
suoi occhi scuri, colmi di determinazione, la fata della tecnologia
vi riconobbe qualcosa di terribilmente familiare.
II.
L'ennesimo
colpo con il piatto della spada riempì il silenzio, Icy
chinò
nuovamente la testa, sopprimendo un basso ringhio, e cadde nuovamente
in ginocchio. La pallida pelle delle sue gambe si lacerò
nuovamente,
il suolo bruciava al contatto.
“Oritel,
è solo una bambina! Quel colpo era troppo forte.”
lo ammonì
Marion, chinandosi leggermente sull'esile figura per visionarne le
eventuali lesioni.
“E'
la discendente di Belladonna, osservala bene, Marion. Avvertimenti
del genere non la scalfiscono minimamente; dobbiamo stare attenti con
lei, nonostante sia estremamente giovane ha un grande
potere.”
rispose Oritel con risolutezza, mantenendo il suo deciso sguardo sul
dolce viso della moglie.
Una
delle numerose crepe creatasi sul cielo, si fece più
profonda, la
testa della strega dai capelli bianchi pulsava e doleva.
Attendendo
il momento opportuno tentò nuovamente di ribellarsi alla
presa del
re di Domino, ma ottenne solo un altro incontro ravvicinato con
l'acciaio magico della lama.
Un
frammento di volta celeste rovinò a terra, frantumandosi in
un
migliaio di schegge lucenti; uno dei pini si schiantò al
suolo, ma
ai sovrani avversari parve non interessare affatto.
Così
come l'albero, anche il corpo dell'albina si accasciò
sull'umido
terriccio; le sue mani sfiorarono il soffice muschio che era
cresciuto sul picco di una roccia. Inspirò a pieni polmoni
il forte
odore del sottobosco, i suoi occhi si bagnarono leggermente,
distorcendole la vista.
Stupido
corpo da mocciosa.
“Oritel!”
fece la regina di Domino, il tono accentuato dalla disapprovazione di
tale gesto.
“Lo
so, lo so, non dovrei. Le guardie arriveranno presto e mi
preoccuperò
che la piccola venga curata, non struggerti così.”
le rispose il
marito, addolcendosi visibilmente ed abbassando la spada al suolo.
Non avrebbe voluto arrivare a ciò, ma con le discendenti
delle
Antenate rischiavano anche troppo.
Per
non parlare del fatto che ne avesse trovata soltanto una.
“Ce
la fai ad alzarti?” chiese debolmente la donna dai capelli
rossi,
l'armatura risplendette leggermente alle fiamme mentre si avvicinava
al corpo della bambina. Quest'ultima puntò i gomiti a terra,
tirando
su il busto e voltandosi ad affrontarli.
L'atteggiamento
freddo e distaccato, tipico della sua forma quasi adulta, aveva
abbandonato completamente il fragile corpo, lasciando il posto ad un
sincero sgomento, che faceva tremare leggermente le sue azzurre iridi
mentre esse incontravano il caldo sguardo di Marion.
“Non
ho bisogno di aiuto.” nonostante lo sforzo per infondere
decisione
nella voce, le parole uscirono tremanti ed insicure. Era
preferibile che, ora come ora, evitasse di fare troppo affidamento
sulla propria magia; ad un'età simile, anche se era in grado
superare di gran lunga la conoscenza magica delle sue coetanee, non
avrebbe avuto alcuna possibilità contro i sovrani.
Per
quanto le costasse ammetterlo.
Lasciando
scorrere il corso degli eventi, ne sarebbe uscita senza troppi danni.
Rivolse
un veloce sguardo con la coda dell'occhio a Tecna; il suo petto si
alzava ed abbassava lentamente, le sue palpebre sbattevano ancora con
regolarità.
“Quanta
tenacia inutile” si ritrovò a pensare, storcendo
il grazioso viso
in una lieve espressione di disgusto e sufficienza. La fata era
ancora viva, e non aveva intenzione di lasciare il suo mondo molto
presto.
Almeno,
non finché fosse riuscita a sventare il piano
dell'avversaria: cosa
che non sarebbe mai successa.
Non
l'avrebbe mai permesso.
“Ah,
eccole. Tieni la distanza, Marion.” disse Oritel, compiendo
un
ampio passo indietro. Fra i fitti aghi, iniziava ad intravedersi un
piccolo gruppo di figure in armatura dorata; soltanto uno di loro
splendeva nell'argento e nel blu della sua divisa, mentre camminava
mesto e con le mani intrecciate dietro la schiena.
La
fata della tecnologia si sollevò sugli avambracci
– mordendosi il
labbro per sopportare il dolore al ventre e per non attirare
l'attenzione dell'albina su di sé – e socchiuse
gli occhi per
mettere a fuoco la scena; il chiaro metallo splendeva come non mai
alla luce della capitale, ormai quasi completamente divorata dal
fuoco.
“Ha
accettato le condizioni, Vostra Maestà.”
parlò la guardia dal
lungo mantello rosso – probabilmente uno dei generali
– esibendo
un leggero inchino verso il proprio re.
Icy
rimase immobile, i nervi tesi e pronti a scattare: il comportamento
insolito insospettì non poco la fata, ma attese, prima di
giungere a
conclusioni affrettate.
“Bene.
– disse Oritel, sfoderando la propria spada con un lento ed
elegante movimento – Sai che sono un uomo di parola. Ed io so
che
farai ciò che è giusto.”
L'uomo
dall'armatura argentata si fece avanti con coraggio, nonostante le
sopracciglia leggermente aggrottate suggerissero un timore profondo e
mal celato; un taglio sulla fronte, dal quale era colato del sangue,
ormai secco, lungo il setto nasale, aveva deturpato appena il suo
gentile viso. Le iridi chiare, completamente diverse dalla prima
volta in cui le aveva viste, avevano ora perso anche il minimo
bagliore di speranza.
Nonostante
il liquido rosso stonasse con la compostezza che era solita
caratterizzare la sua figura, Tecna non poté evitare di
riconoscerci
Re Endon.
Prima
di rispondere, Endon deglutì abbastanza rumorosamente;
qualche
goccia di freddo sudore gli colò dalle tempie, scostando dei
deboli
frammenti di sangue e polvere. Un'ombra di preoccupazione aleggiava
sul suo viso, oscurandone i lineamenti delicati.
“… Non
fare del male a mia figlia, te ne prego. Lei non ha alcuna
colpa.”
“Non
la ucciderò, non sono stato io il mostro che ha appoggiato
le
Antenate nella loro oscura follia.”
Il
biondo chinò leggermente il capo, ma non osò
rispondere a tale
accusa; probabilmente aveva espresso le sue ragioni molto tempo
addietro, ragioni che erano state rifiutate e condannate dall'intera
Dimensione Magica. I suoi occhi si puntarono sulla bambina in un
dolce tentativo di rassicurarla; sciogliendo le mani da dietro la
schiena, si slacciò con pochi movimenti il fodero della
spada,
facendolo ricadere ai suoi piedi in un ultimo atto di resa.
“Padre,
non...” sussurrò l'albina, il suo tono
così diverso dalla sua
solita fredda e tenebrosa voce suonò completamente
innaturale
all'udito della fata di Zenith.
Eppure,
risultava essere l'evento più naturale di tale inaspettata
situazione.
“Non
preoccuparti, Icy. Andrà tutto per il meglio.”
disse il re di
Whisperia, accennando un sorriso forzato per tranquillizzarla.
A
quelle precise parole, invece, lo sguardo della strega divenne
completamente vuoto. Succedeva talmente raramente, che chiunque
l'avesse conosciuta per ciò che in realtà era,
avrebbe pensato che
fosse sull'orlo di un esaurimento nervoso.
Restò
immobile, mentre ciò che aveva compresso ed accumulato per
anni
risaliva le sue viscere come un bruciante vomito, e le guardie la
facevano alzare dal suolo. Le ginocchia sbucciate, la testa che le
doleva erano ormai un problema superato.
Endon
mosse qualche passo a testa alta, si diresse lui stesso verso il suo
destino; la spada di Oritel, tesa verso di lui, si faceva sempre
più
vicina.
“Ti
concedo un ultimo desiderio: in nome della nostra antica
alleanza.”
disse il re di Domino, mantenendo con fermezza la spada tesa verso il
suo nemico.
Quest'ultimo
non esitò nemmeno per un secondo.
“Fa'
che qualcuno le copra gli occhi. Non c'è alcuna
dignità nella
morte, per quanto onorevole possa apparire.”
Alla
strega dai capelli bianchi, a quel punto, non era rimasto
più alcun
autocontrollo; quando Marion si avvicinò per posare le sue
morbide
mani sulle bianche ciglia della piccola, questa la scartò di
lato e
si apprestò a caricare Oritel, talmente vicino da non
accorgersi del
fulmineo movimento.
Almeno,
non finché la sentenza che stava per eseguire sul proprio
avversario
si abbatté invece sull'esile e candida figura. E tutto parve
fermarsi.
La
seta del leggero vestito bianco ondeggiava armoniosamente nella
caduta, tingendosi di un impuro color porpora; le lattee ciglia si
mossero un paio di volte, prima di calare dolcemente sulle opache
iridi azzurre.
In
un'innaturale luce dai toni freddi, la pelle dell'albina si fece
ancora più pallida, le labbra una volta rosee persero in
fretta il
loro colore. Le tonalità del suo corpo parvero sparire
gradualmente;
resistette solo la rossastra macchia sul tessuto.
E,
quando il corpo toccò il suolo, un tonfo sordo
echeggiò per tutta
la pineta. Come una lastra di ghiaccio troppo fragile, il suolo
cominciò a creparsi, incapace di sostenere tale peso. Falde
sempre
più profonde laceravano il cielo a tal punto che grossi
pezzi
rovinarono nel nulla, portando con sé le fiamme, la
capitale, le
montagne, e la piacevole fragranza di resina che sovrastava di poco
il denso odore di sangue.
Tecna,
ormai completamente guarita dall'assalto precedente, si alzò
in
volo; approfittando dell'episodio era riuscita a curare le proprie
inconsistenti ferite, sostituendo il suo etereo corpo con codici che
non fossero stati danneggiati dalla magia.
La
consapevolezza del successo ottenuto non la colse come, secondo la
sua immaginazione, avrebbe dovuto fare; l'aver scoperto in tale modo
il vero fondamento del Loop le aveva prosciugato completamente gli
impulsi emotivi.
Sostava
a mezz'aria, vuota, conscia di non aver mai creduto che Icy, una
delle streghe più temute della dimensione magica, capace di
mentire
senza lasciar traccia e di uccidere senza rimorso, le sarebbe potuta
sembrare così umana.
Ecco
che il suo affannarsi a nascondere la causa prima per l'attuazione di
un incantesimo simile aveva finalmente trovato un senso nella mente
della fata. La parete che aveva innalzato come protezione dalla
realtà, non aveva fatto altro che chiuderla in un angusto e
buio
spazio, in balia delle sue logoranti memorie.
Innalzandosi
al posto di Dio, non aveva fatto altro che esporle; le
responsabilità, proseguendo nel suo ostinarsi a ripercorrere
i
propri ricordi, erano diventate troppo pesanti da sopportare.
Mentre
tutto giungeva al suo definitivo termine, Tecna pensò che le
sofisticazioni con cui lei e le sue compagne l'avevano sempre vista
erano state totalmente inutili; in fondo, non era nulla di
più che
una ragazza, per quanto complicata potesse apparire.
E,
come tale, aveva qualche ancora sepolta in profondità che,
se
scoperta, l'avrebbe fatta affondare con sé.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Okay,
okay, so già scrivendo il testamento.
Ma!
Non temete, ci sarà un epilogo, anche se ormai tutto
è finito. Così
come la mia vita coff coff.
Mi
scuso di nuovo per la massiccia dose di radiazioni da headcanon che
vi ho propinato anche sta volta, e spero almeno di essere stata
chiara; altrimenti, chiedete pure e risponderò ad ogni
vostra
domanda (salvo che sia un eventuale spoiler dell'epilogo
perché
anche no).
Inoltre,
mi dispiace. O forse no.
Avevo
un mucchio di cose da dire prima di cominciare a scrivere le note,
ma, come ogni volta, mi dimentico di farlo. Sono un fucking disastro.
E'
stata una fanfiction faticosa, l'ho sudata dalla prima all'ultima
riga (escluso l'epilogo) e spero di essere cresciuta con essa, spero
di avervi portato qualcosa di apprezzabile e piacevole, per quanto
l'angst permetta una lettura piacevole.
Sono
solo felice pensando che, anche solo una persona, possa essersi
affezionata a tale schifezzuola e che, anche una volta finita, possa
tornare a leggerla e a provare le emozioni che aveva provato la prima
volta, anche se in minore intensità. Come succede a me, con
le
storie che hanno preso un posto speciale nella mia memoria.
Come
di consueto, ringrazio TheSeventhHeaven, Ghillyam
e
Tressa per aver recensito lo scorso capitolo.
Ringrazio
anche voi, lettori silenziosi che avete seguito la storia fino a qui.
Non
temete, l'epilogo arriverà presto ed il peggio è
passato.
Forse.
PS: Mi sono dimenticata di dire che ho stra paura che la nostra vaccona (alias la regina del Gelato Artigianale) sia abbastanza OOC. Quindi uhm, mi scuso un sacco se ho rovinato tutto *fugge*
Mary
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