Attenzione!
I
primi capitoli sono stati revisionati a causa dell'inserimento di un
nuovo personaggio, perciò, se non li avete ancora letti, vi
consiglio di farlo, altrimenti la lettura di questo capitolo vi farà
sorgere molti dubbi, in quanto la trama stessa ha subito una notevole
variazione!
Video
I
Figli di Tanaros – Trailer
I
Figli di Tanaros – This is War
Soraya
an Sgairp – Broken Crown
Cap.
4
Sangue
e Mare
Acantha
intrecciava i capelli della figlia. Aveva la mente altrove, immersa
in pensieri lontani e poco felici. Non era un mistero che le nozze
tra Dyani ed Erik non fossero ben viste da lei, tanto meno il futuro
sposo, ma aveva deciso di dare al giovane una possibilità. Se
sua figlia aveva scelto di sposarlo senza troppe remore, cercando sin
dal loro primo incontro d'instaurare un qualche approccio, qualcosa
di buono doveva pur venir fuori.
Sorrise
al riflesso di Dyani nello specchio. Quei suoi occhi verdi da
cerbiatta le ricordavano lei alla sua età, quando, ancora
fanciulla, attendeva il giorno delle sue nozze con Derek.
Lei
ed il marito erano stati promessi sin dalla nascita, fidanzati senza
essere innamorati. La prima volta che lo vide fu il giorno prima
delle nozze. Lui era così attraente, dal fisico mascolino e
forte. Lei aveva appena sedici anni, lui era già un uomo di
ventiquattro. L'aveva amato sin dal primo momento, ma sapeva
perfettamente di non essere ricambiata. Derek era un frequentatore di
bordelli, amava le donne e non era un uomo da matrimonio. Sapeva che
l'aveva sposata per volere del padre, re Akin, ma non si era data per
vinta.
Con
la nascita di Andràs, dieci mesi dopo le nozze, aveva giurato
a sé stessa di rendere il suo matrimonio felice e tenuto saldo
dall'amore. C'era riuscita, aveva fatto capitolare un donnaiolo come
Derek ed aveva reso la loro unione felice e basata sulla fedeltà.
Erano
trascorsi ormai vent'anni dalle loro nozze e, da allora, non erano
state celebrate altre unioni reali, solo il funerale di re Akin,
avvenuto diciannove anni prima, quando il regno di Talamh o, per
meglio dire, re Egor, si era sollevato contro gli altri regni,
pretendendo il dominio sulle montagne che dividevano Talamh da Logh.
La questione era da secoli incerta, alcuni dicevano che la montagna
di Òir rientrasse nei confini di Logh, altri in quelli di
Talamh, ma al termine di quella guerra civile, Egor aveva dichiarato
la resa, lasciando al regno di Seraphi la catena montuosa e, di
conseguenza, il monte e le miniere dei Morti, ma in quella diatriba
due re avevano perso la vita e due nuovi sovrani erano ascesi al
trono. Suo marito era divenuto re di Keyll e Markos era succeduto al
fratello maggiore Morven.
Le
campane la distolsero dai suoi pensieri, riportandola alla realtà.
Re Egor stava per fare il suo ingresso nella Rocca. Le nozze si
sarebbero tenute l'indomani, al tramonto, e il sovrano di Talamh
aveva deciso di pernottare il meno possibile a Rìoghachd e
questo a lei non dispiaceva.
Silenziosamente
e con grazia, si diresse verso il cortile, Dyani la seguiva senza
proferire parola. Controllò attentamente che i figli fossero
in ordine, prima di affiancare il marito e re Markos.
Erik
era in piedi alla destra del padre, accanto a lui Soraya e Marek.
Vide lo sguardo fin troppo teso dell'erede al trono di Crùn,
sembrava volesse saltare al collo di Egor da un momento all'altro.
Intemperante
e impulsivo, troppo per un futuro sovrano, pensò Acantha,
sistemandosi l'abito e riportando gli occhi verdi sul re di Talamh.
Era un uomo di cinquantacinque anni, dai capelli di un castano chiaro
quasi biondo ed occhi castani.
Si
diceva che per salire al trono avesse ucciso i suoi quattro fratelli.
Stessa cosa per il figlio Ecbert, suo erede al trono, il quale aveva
tolto la vita al primogenito del padre, Efrem, alla tenera età
di quindici anni. Ma erano solo dicerie, forse messe in giro per
demolire il sovrano, ma le morti sospette in quella famiglia non si
fermavano ai fratelli, perfino la prima moglie di Egor, sterile, morì
cadendo dalle scale, la seconda, madre di Antee ed Ecbert, ed anche
ex moglie di uno dei fratelli deceduti del re, era morta dando alla
luce un figlio morto, dopo ben tre aborti. La terza, ed ultima
moglie, era morta annegata nella vasca da bagno, tre mesi dopo aver
dato alla luce una figlia, Agar. Per non parlare del marito di
quest'ultima, morto anche lui in seguito ad una strana febbre.
Una
famiglia davvero singolare. Markos aveva sposato Antee per
salvaguardare la pace con Talamh, ma doveva ben guardarsi dalla
famiglia reale, se le voci erano vere, si era portato alla corte la
figlia di un assassino.
I
tre sovrani si strinsero la mano prima che Egor potesse rivolgere il
suo sguardo alla futura regina di Logh. La guardò con una
strana smorfia sul volto, come se si aspettasse chissà quale
fanciulla.
Porse
a Soraya un lieve inchino, per poi baciarle il dorso della mano.
«Finalmente ho l'onore d'incontravi, principessa Soraya.»
Ma
Soraya non rispose, sentendo il fratello accanto a lei irrigidirsi.
Erik lo detestava, l'aveva incontrato un paio di volte durante i
viaggi a Talamh che compiva con il padre, e mai, in nessuna di quelle
occasioni, aveva avuto modo di cambiare opinione su quell'uomo dallo
sguardo d'avvoltoio.
Non
ci fu il tempo di porgere altri ossequi, qualcosa in lontananza si
stava avvicinando alla Rocca. Si udivano canti e tamburi, suoni dolci
e insieme forti. Re Egor si voltò di scatto, scostando il
mantello di pregiato velluto rosso, facendo attenzione a non
sbilanciarsi troppo, per non rischiare di far cadere la pesante
corona d'oro che portava sulla testa. Qualcuno stava interrompendo il
suo ingresso nella capitale e questo non era di suo gradimento.
Man
mano quel suono divenne un canto distinto accompagnato da tamburi. Le
campane cominciarono a suonare, preannunciando l'ingresso delle
sacerdotesse di Coltas. I loro capelli rossi sembravano fiamme
ardenti alla luce del sole mattutino ed i loro occhi ricordavano
l'ambra degli alberi della foresta di Firth.
Marek
osservava quelle donne camminare a passo moderato verso di loro, la
loro somma sacerdotessa doveva avere l'età di Azar, ma i suoi
capelli non avevano assunto il tipico colore argentato della
vecchiaia, c'erano solo alcuni ciuffi grigi, ma nulla di più.
Quando
poi i tamburi cessarono di suonare e con loro le campane, calò
un silenzio spettrale nel cortile del castello, ed il giovane
principe si sentì sopraffatto dall'ansia.
Si
avvicinò ad Erik, tirandolo per la manica. «É
vero che le sacerdotesse di Coltas sono le sole persone ad essere
immuni al veleno degli scorpioni, poiché si pensa che siano
nate proprio da esso?»
Erik
fece spallucce, sbuffando lievemente dal naso. «Nascono da un
uomo e una donna esattamente come tutti gli altri esseri umani.»
«Sì,
ma si pensa che la prima sacerdotessa della dea Àrsaidh sia
nata dal veleno di uno scorpione e che il suo sangue fosse
incendiario.»
«Sono
donne, Marek. Semplici donne con il dono della preveggenza, nulla di
più!»
La
leggenda della prima sacerdotessa, narrava che una donna gravida era
stata punta da uno scorpione nero, proprio mentre implorava la dea
Àrsaidh di lavare via la sua sofferenza causata dall'uomo che
l'aveva abbandonata con un figlio in grembo. Pochi mesi dopo la donna
aveva dato alla luce una bambina i cui capelli erano rossi come il
fuoco e gli occhi ambrati come il tramonto. La piccola era nata
proprio sull'isola di Coltas, dove la madre era stata mandata in
esilio a causa della gravidanza indesiderata.
Quella
bambina era poi cresciuta e, dopo la morte della madre, aveva deciso
di dedicare la sua vita alla dea da cui aveva ereditato il dono della
preveggenza, fondando un tempio in suo onore sull'isola di Coltas.
Era poi tornata nell'antico regno, dove la madre era nata,
raccogliendo intorno a sé altre fanciulle con lo stesso dono,
portandole a Coltas per istruirle nel nome della dea. Erano solo
leggende, poco chiare e con svariate lacune, ma erano proprio i
misteri che le circondavano a rendere quelle storie così
attraenti.
Erik
e Soraya erano cresciuti ascoltando quei miti, ma mentre la sorella
vi credeva fermamente, lui era rimasto scettico proprio come il
padre. Non credeva alle storie mitologiche di donne nate dal sangue
degli scorpioni o di uomini il cui corpo era fatto di legno e
corteccia. No, credeva nella volontà degli uomini e nelle
leggi della guerra.
***
Non
visitava mai quel luogo, ma quella notte era speciale. Markos chiuse
gli occhi, riportando alla mente il volto di Seraphi, i suoi lunghi
capelli biondi, gli occhi blu come il mare. Una donna dalla bellezza
eterea e algida. Quanto gli mancava il dolce suono dei campanelli che
tintinnavano ad ogni suo passo, Seraphi portava sempre quelle
cavigliere tintinnanti e di rado indossava calzature. Soraya aveva
ereditato quell'abitudine, ma i campanelli alle sue caviglie non
producevano lo stesso suono poiché aveva un'andatura diversa
da quella della madre.
Quanto
avrebbe voluto riaverla al suo fianco, sentire la sua voce, il suo
profumo. Lei era la regina di due regni, forte e indomita, caparbia e
giusta. In sua assenza sapeva dominare gli animi ardenti dei soldati
di Crùn, nonostante provenisse da un regno do poeti, pastori e
bardi. Ogni suo consiglio era più prezioso dell'oro per lui.
«Padre.»
«Dovresti
riposare, Soraya.» Markos non si voltò, rimase fermo,
ascoltando i passi della figlia avvicinarsi, quei campanelli lo
fecero sorridere. «Uscire di notte non è sicuro.»
«Temi
per la mia sicurezza?»
«Temo
per la sicurezza di chi potrebbe cercare di farti del male.»
Soraya
sorrise, affiancando il padre, osservando la statua raffigurante
Seraphi. Le candele accese attorno al piedistallo la illuminavano
abbastanza e la luna, quasi piena, la rischiarava. Il piccolo
tempietto circolare di marmo bianco era circondato da gigli del
medesimo colore, ma uno blu era stato messo ai piedi della statua.
Solo a Logh crescevano gigli blu, solo nei giardini del palazzo
reale.
«Oggi
è l'anniversario del nostro fidanzamento.» Era raro che
Markos nominasse Seraphi, non era avvezzo ai ricordi, era un
guerriero che non mostrava mai i suoi sentimenti.
«Mi
manca. Mi manca la sua voce, il suo sorriso, mi mancano le sue
carezze, la sua dolcezza.»
«A
me no.» Markos voltò lo sguardo verso la figlia,
guardandola dritta negli occhi. La luna piena brillava abbastanza da
illuminare quella notte. «Ogni volta che ti guardo negli occhi
rivedo tua madre, la sua forza, il suo coraggio. Ogni volta che ti
guardo rivedo lei e il senso di mancanza svanisce.»
Soraya
annuì, poggiando il capo contro la spalla di Markos,
respirando l'aria fredda della notte. «E pensare che zio Slane
dice che somiglio molto più a te.»
Markos
rise, allargando il braccio per poter stringere le spalle di Soraya.
«Caratterialmente parlando, tu sei più simile a me, ma
nei tuoi occhi...nei tuoi occhi c'è la fierezza di Seraphi e
la tempesta marina che ha accompagnato la tua nascita.»
Soraya
sapeva a cosa si stava riferendo. Era la storia della sua vita, la
storia della sua nascita, delle circostanze in cui lei ed Erik erano
venuti al mondo.
«La
notte in cui tu ed Erik siete nati arrivò una tempesta dal
mare, i tuoni vibravano nell'aria, le saette cadevano dal cielo e il
vento soffiava talmente forte da sradicare gli alberi» disse
Markos, guardando la statua della moglie. «Nulla è più
forte e devastante di una tempesta marina, tranne te. Sei rumorosa e
spavalda e questo mi spaventa perché ti tuffi nel pericolo
senza pensare, senza riflettere, ed io vorrei solo proteggerti da
quel rischio che tu cerchi.»
La
giovane sorrise, stringendosi di più al corpo del padre. Era
così rilassante chiacchierare con lui, parlare di tutto e
restare ferma ad ascoltare la sua voce profonda che la cullava come
le braccia di sua madre.
«Sei
indomabile e forte proprio come la tempesta che si abbatté su
Crùn quella notte. A volte credo che ti sia entrata dentro,
che quella forza della natura risieda nel tuo cuore. Come risiede nel
mio, ecco perché siamo uguali, mio piccolo scorpione.»
Markos guardò la figlia per un breve istante. Quegli occhi
blu, profondi come il mare, erano lo specchio di un animo ribelle.
«Hai il mio carattere, ma somigli a tua madre molto più
di quanto pensi. Il giorno delle nostre nozze fuggì in groppa
al suo cavallo e dovetti correrle dietro per poterla riportare a
palazzo. Seraphi era una forza della natura, era una guerriera ed una
regina, sebbene non adoperasse la lancia come te, figlia mia, lei era
comunque una combattente, sapeva quando era tempo di riflettere e
quando bisognava agire. Crùn non avrà mai una regina
come lei, purtroppo, ma Logh sì!»
Soraya
annuì, cercando di sembrare convinta, ma più ci
pensava, più sentiva di non essere adatta a regnare. Lei
voleva la battaglia, il sangue, la gloria, non la corona e la
responsabilità di un popolo.
«Tu
sei figlia della tempesta, non dimenticarlo mai!» esclamò
Markos, come se i pensieri di Soraya fossero arrivati a lui. Voleva
infonderle coraggio, forza. Quanto avrebbe voluto tenere quella
fanciulla sotto una teca di cristallo per sempre, proteggerla dalle
avversità di un mondo di sangue e morte, dove gli uomini erano
avidi e superbi, quanto avrebbe voluto, ma non poteva.
L'aveva
cresciuta forte e determinata, aveva fatto del suo meglio per darle
tutto ciò di cui aveva bisogno, ora doveva solo lasciarla
andare e vedere quanto aveva imparato.
Soraya
non era più la bambina che gli rubava la spada per giocarci,
la piccola che correva per i corridoi della Rocca con un elmo troppo
grande in testa, che urlava rincorrendo il gatto di Antee. No, sua
figlia non era più quella bambina. Giorno dopo giorno si era
trasformata in una giovane donna intraprendente e caparbia, forse
anche troppo, ma era comunque la sua bambina, sua figlia.
Da
bambina era diventata fanciulla, da fanciulla guerriera, da guerriera
donna, da donna moglie e, presto, madre, regina. E che regina. Sì,
ne era certo, sua figlia aveva i requisiti adatti per essere una
sovrana, doveva solo trovare la sicurezza e il coraggio di accettare
la corona e adempiere al suo destino.
***
Dyani
se ne stava seduta davanti allo specchio, il sole era ormai sorto da
ore ed il giorno delle nozze era giunto fin troppo velocemente. Non
aveva avuto modo di parlare con Erik per più di due minuti,
ogni volta lo vedeva allontanarsi con una qualche scusa ridicola e
lei, sconsolata, si ritrovava a chiedersi che cosa avesse di
sbagliato.
Sussultò
quando sentì bussare alla porta. Con flemma aprì
trovandosi di fronte il soggetto dei suoi pensieri.
«Voglio
mostrarti una cosa» disse semplicemente Erik, invitandola a
seguirlo. Non era stato brusco, tanto meno scortese, solo frettoloso
e sbrigativo.
Lo
seguì lungo i corridoi della Rocca, fino nei giardini dove
aveva passeggiato spesso con sua madre. Da lì imboccarono una
piccola scalinata di pietra che li portò in un giardino
superiore che, fino a quel momento, non aveva mai visto. Là,
proprio a ridosso della scogliera, tra piante di azalee rosa e
glicine, gigli e fiori di ciliegio, un piccolo tempietto circolare di
marmo bianco spiccava tra il verde ed i colori viola e rosa dei
fiori. La primavera era giunta e poteva inebriarsi del dolce profumo
dei fiori e l'odore salmastro del mare sotto la scogliera.
Erik
si fermò di fronte al tempio e lì Dyani vide per la
prima volta il volto di Seraphi, la regina di Logh e Crùn
dall'incomparabile bellezza.
«Dyani
lei è mia madre.» Erik indicò la statua facendo
un piccolo cenno di riverenza con il capo. «Mio padre fece
costruire questo piccolo tempio poco dopo la sua morte e, nonostante
abbia sposato Antee, non ha mai smesso di amarla.»
«Perché
mi avete portata qui?»
«Innanzitutto
non sopporto il tono formale, tanto meno il voi» specificò
Erik, ricordando a Dyani la prima conversazione avuta con Soraya. «In
secondo luogo, ho deciso di portarti qui perché non voglio un
matrimonio politico come quello tra mio padre e Antee.»
Dyani
annuì, forse tutti i suoi tentativi ed i consigli avuti sia
dalla madre che da Soraya avevano sortito il loro effetto?
«Stasera
io ti giurerò rispetto e devozione, ma sappi che dovrai avere
molta pazienza con me. Non sono sicuro di essere tagliato per fare il
marito, ma ti chiedo di sopportare i miei modi rudi e distaccati. Non
sono avvezzo alle effusioni o alle dimostrazioni di affetto, non
posso prometterti di essere un marito amorevole e presente, ma
proverò a non ignorarti e darti quel poco di affetto che
riuscirò ad esternare.» Erik si piegò verso di
lei, lasciandole un bacio sulla guancia.
Dyani
sentì il tocco delle sue labbra calde, accompagnate
dall'ispido della barbetta bionda. Un piccolo passo era stato fatto,
almeno non si sarebbe sentita ignorata e poco voluta.
***
Agar
an Leòghann
non aveva il volto tipico di una vedova. Suo marito era morto da meno
di due mesi e lei non accennava ad alcun segno di costernazione o
lutto, anzi, vestiva abiti dalle tonalità chiare e portava i
capelli castani sciolti lungo la schiena. Nessun velo, nessuna
treccia, nessun abito scuro.
Il
suo defunto marito era un nobile di Talamh, un Lord molto più
vecchio di lei e alquanto insignificante. Per tre anni l'aveva
sopportato, ma due mesi prima era stato colpito da una febbre
contratta a causa di una ferita infetta che l'aveva ucciso nel giro
di quattro giorni dopo atroci sofferenze.
Non
aveva avuto figli e, di certo, non ne voleva. Alcune dame
vociferavano che avesse fatto di tutto pur di non partorirne. Il suo
istinto materno era pari a quello di un sasso, se si voleva ascoltare
il parere di Azar.
Camminava
per i corridoi della Rocca con passo deciso e spavaldo, con il mento
alto e la schiena dritta, sempre al fianco del padre, come per
mostrare al mondo che era lei la figlia prediletta e non Antee, la
regina di Crùn.
«Sei
arrivata solo ieri e già ti metti su un piedistallo?»
Agar
si voltò verso la sorella. «Stavo giusto cercando te,
sorella.»
«Ebbene,
eccomi qui.»
«Nostro
padre vuole vederti.»
«Ed
ha mandato la sua piccola prediletta a chiamarmi. Scommetto che
dietro a quel falso sorriso si cela il ghigno divertito di una
vipera.» Antee non amava la sorella minore, nata da Netia
Coineanach, una lady di Talamh, che aveva fatto carte false per
entrare nel letto di suo padre quando era ancora sposato con Alasia
an Tarbh, sua madre.
Ma
Agar non disse niente, si limitò a sorridere, sorpassando la
sorella per invitarla a seguirla.
Antee
fece il suo gioco, Agar era una donna subdola, calcolatrice, proprio
come sua madre, e non si era sorpresa quando la notizia della morte
di suo cognato era giunta a Crùn. Probabilmente l'aveva ucciso
lei, o aveva chiesto a Ecbert di farlo, oppure a qualche suo amante.
Ormai la conosceva, non faceva mai niente per nulla. Ogni sua azione
era mossa da un desiderio, ogni suo minimo gesto era ben calcolato
per ottenere una conseguenza a lungo termine. Chissà cosa le
passava in quella testolina.
Quando
entrò nella stanza di Egor, vide che era presente anche
Ecbert, seduto allo scrittoio con un taglia carte in mano. Un altro
figlio nato con il desiderio di potere nella mente e nel cuore.
«Sorella!»
esclamò Ecbert, alzandosi e abbracciandola, per poi
sussurrarle all'orecchio. «Vedo che ancora continui a fallire.»
Antee
fece un finto sorriso, ricambiando l'abbraccio e sussurrando a sua
volta. «Vedo che continui ad essere la seconda scelta di nostro
padre.»
Nonostante
i palesi insulti, i due non abbandonarono quel finto sorriso di
cortesia quando si staccarono, rivolgendo poi i loro sguardi al
padre, intento a guardare la sua immagine allo specchio.
«Sei
riuscita nel tuo intento?»
«Non
ancora, padre» rispose Antee, avanzando di qualche passo.
«Soraya aspetta un figlio e Azar controlla tutto quello che
mangia e beve.»
«Non
importa, i piani stanno cambiando.» Egor si voltò,
guardando i figli. «Uccidere Seraphi ci ha portati più
vicini a Logh di quanto pensassimo, ora dobbiamo solo trovare la
soluzione al problema Soraya.»
«Posso
pensarci io, padre.» Agar avanzò verso il padre, ma lui
scosse il capo.
«No,
Agar, per il momento deve restare viva, ma non il figlio che porta in
grembo.»
«Ci
vorrà del tempo» affermò Antee.
Agar
però non era della stessa opinione, ansiosa di compiacere il
padre. «No se la lasciate a me, padre. Stasera al banchetto
posso...»
«Non
adesso, non con questa confusione in atto, desterebbe troppi sospetti
su di noi.» Egor fece cenno a Ecbert di alzarsi, per potersi
sedere dietro allo scrittoio. «Accadrà poco prima della
sua partenza per Logh, per poter rimandare l'incoronazione.»
«Ed
Erik?» domandò Ecbert, fissando il padre negli occhi
gemelli.
«Lui?
Il futuro re morirà quando prenderemo Crùn e non
prima.»
«A
tal proposito, ho un piano da proporvi, padre, ed un perfetto capro
espiatorio.» Antee, si avvicinò a Egor, piegandosi per
sussurrargli qualcosa all'orecchio.
Ecbert
e Agar cercarono di ascoltare, ma la voce della sorella era troppo
bassa e loro troppo lontani per riuscire a sentire, ma dal ghigno
compiaciuto di Egor capirono che la regina aveva ideato qualcosa di
talmente malvagio da soddisfare le brame di potere del padre.
***
Il
tramonto aveva colorato il cielo con tinte calde, le fiaccole lungo
la scalinata esterna, che dalla Rocca scendeva fino alla spiaggia
lungo la parete della scogliera, erano state accese ed i campanelli
dell'arco suonavano leggeri mossi dal lieve venticello.
Dyani
avanzava lenta sulla spiaggia, sotto al braccio del padre, mentre gli
invitati la osservavano rapiti. Per la prima volta aveva vestito un
abito più leggero, dalle maniche lunghe di un tessuto quasi
trasparente, bianco come imponeva la tradizione di Keyll. I capelli
adornati di nastri e fiori, raccolti in trecce, lasciavano scoperto
il collo sottile e lungo.
Erik
era vestito con i colori della sua casata, la casacca blu faceva
risaltare il colore dei suoi occhi, i pantaloni neri e la cintura del
medesimo colore sembravano fuori luogo per un matrimonio, ma per gli
an Sgairp era il colore del loro stendardo.
Dyani
si sentiva come attratta da quel giovane di fronte a lei. Era
magnetico, bello, forte, carismatico, ben diverso dagli uomini di
Keyll, molto lontano dall'idea che si era fatta di lui. Quando suo
padre mise la sua mano in quella di Erik, lasciandola definitivamente
alla sua protezione, sentì una strana scossa attraversarle il
braccio, ma non vi fece caso, troppo concentrata sul suo futuro
sposo.
Sentiva
in lontananza le parole del sacerdote del sio Ceart e della
sacerdotessa della dea Bethia, come un'antica favola trasportata dal
vento, un lieve canto dolce e significativo. Lasciò che
legassero la sua mano sinistra a quella di Erik con una corda formata
da nastri colorati. Li guardò attentamente, notando per la
prima volta che ogni corda nuziale era diversa, poiché era
formata dai colori delle casate dei due sposi, nel loro caso vide il
blu ed il nero degli an Sgairp unito al verde, argento e oro dei cù
Allaidh.
«Nel
nome della dea Bethia io ti giuro eterno amore. Nel nome del dio
Ceart io ti giuro eterna fedeltà. Da questo momento, fino alla
fine dei miei giorni, ogni mio respiro sarà per te, ogni mio
sguardo sarà per te, ogni mio battito sarà per te. Nel
nome degli dei, io ti dono il mio cuore e la mia anima, per sempre»
dissero Erik e Dyani all'unisono, quando ormai la cerimonia si stava
concludendo.
Ecco,
da quel momento lei non era più Dyani cù Allaidh,
principessa di Keyll, in quell'istante divenne Dyani an Sgairp,
principessa e futura regina di Crùn.
***
«Niente
pugni mancati stasera?»
Ragnar
credeva di poter sopportare tutto, ma quei banchetti erano un vero e
proprio tormento. Caotici, pieni di persone ubriache e falsi sorrisi.
Preferiva ancora il chiasso della taverna ai convivi reali.
Soraya
l'aveva affiancato, trovandolo in piedi appoggiato con la spalla alla
colonna. «Niente pugni?»
«Stasera
il tuo precedente pretendente ha deciso di corteggiare le dame.»
Ragnar indicò Andràs, intento a fare gli occhi dolci ad
una delle giovani lady accorse alla Rocca per il matrimonio.
Probabilmente non aveva ancora capito di che pasta erano fatte le
donne di Crùn. Difatti, proprio in quel momento, la fanciulla
gli rovesciò addosso il calice di vino che teneva tra le mani.
«Per
fortuna ho sposato te.» Soraya lo guardò negli occhi,
ricevendo in cambio un bacio sulla tempia. «Ho scelto e
sceglierò sempre te.»
«Lo
so.»
«A
proposito di matrimoni combinati, sai chi vuole accordare un
fidanzamento tra nostro figlio, non ancora nato, e il primogenito di
Ecbert?»
Ragnar
fece una smorfia di disgusto, mettendosi dritto. «Re Egor»
disse tra i denti.
«Già
si pensa ad un matrimonio tra la nostra prima figlia femmina, quindi
l'erede al trono di Logh, con il primogenito maschio di Ecbert.»
«Nostra
figlia non sposerà mai un uomo di Talamh, chiunque egli sia.»
Ragnar era molto chiaro a riguardo. Odiava i matrimoni combinati e,
in particolare modo, le brame di potere di Egor e del suo erede.
«Non
preoccuparti, nostra figlia si sposerà per amore, ne sono
convinta.»
Ragnar
sorrise, sfiorandole il ventre. «Oppure non si sposerà
affatto.»
«Sei
ancora convinto di poterla rinchiudere in una torre per sempre?»
«No...la
rinchiuderò nelle sue stanze, la torre mi pare troppo drastica
come soluzione.»
I
due risero insieme, beandosi di quel piccolo siparietto familiare
così tranquillo. Si erano ritrovati spesso a pensare al futuro
di quel figlio non ancora nato. Ragnar era totalmente convinto che si
trattasse di una femmina, Soraya sperava solo che fosse sano. Forse
dare alla luce una femmina come primogenita l'avrebbe aiutata a
guadagnarsi la fiducia ed il rispetto dei Lord e delle Lady di Logh,
dandole una spinta in più, come sperava suo padre, ma cercava
di non dare alla questione molta importanza, preferiva concentrarsi
sulla gravidanza e sull'incoronazione ormai alle porte.
Si
lasciò abbracciare da dietro, osservando Erik ridere con altri
uomini. Sentì un nodo alla gola al pensiero di doverlo
lasciare, di doversi separare dall'altra metà della sua anima.
«Come
farete l'uno senza l'altra?» le domandò Ragnar,
interpretando quello sguardo. Ormai aveva compreso il loro rapporto,
quello stretto legame che li univa e li portava a quei comportamenti
a volte male interpretabili.
Soraya
sospirò. «Sopravvivremo, sebbene non riesca ad
immaginare una vita senza lui al mio fianco.»
«Devo
ingelosirmi?»
«No»
rispose Soraya. «Io e lui siamo gemelli, secondo i sacerdoti
siamo due metà della stessa anima mentre tu...tu sei l'altra
parte del mio cuore.» Soraya poggiò la testa contro il
petto del marito, sentendo il suo fiato caldo sfiorarle il viso.
«Nulla potrà mai separare me ed Erik, e poi, abbiamo
giurato sugli dei che moriremo insieme, l'uno tra le braccia
dell'altra.»
Pronunce:
Coineanach
– Coenach, la CH aspirate
an
Tarbh –
an taref
Angolo
Autrice:
ed
eccoci al matrimonio. Egor ha rivelato la sua faccia da cospiratore,
abbiamo appreso che la morte di Seraphi non è stata naturale,
ma intenzionale. Ma chi della famiglia di Talamh ha compiuto il gesto
e, soprattutto, come?
Vedrete
più avanti, già dal prossimo capitolo scopriremo un
piccolo tassello del puzzle.
Al
prossimo capitolo!
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