pretty prologo
Ciao amici
:)
Visto che fa
caldo, quale soggetto migliore del nostro amico Freezy per rinfrescarci
in
qualche momento di noia? A parte gli scherzi, sono felice di pubblicare
finalmente
questo prologo, è da maggio che ho iniziato a scrivere
questa storia ma non
sono mai soddisfatta (e temo che non lo sarò mai).
Vi comunico che
si tratta di una mini-long praticamente già scritta, mi
mancano ancora alcuni
pezzetti qua e là e una generale revisione (ho preferito
arrivare quasi alla
conclusione prima di iniziare a pubblicare perché come
alcuni di voi
sapranno... non ho la costanza per le long *imbarazzo* e rimangono
incompiute!
*orrore*).
Si comporrà
di
questo prologo, due o tre capitoli centrali e un epilogo.
La storia si
ispira alla canzone “Pistol Whipped” di Marylin
Manson, che
trovate qui.
Vi consiglio di
ascoltarla per tre motivi:
1. per entrare
nel mood;
2. perché
da
essa è tratto il titolo della storia;
3. perché
tre battute
di dialogo, evidenziate in corsivo, appartengono alla canzone stessa e
sono
canticchiate da un personaggio.
Dedico questa
storia a Vegeta_Sutcliffe e alla sua fanfiction “Padre e
figlio”,
che adoro alla follia e ho letto
talmente tante volte da iniziare a ricordare le parole a memoria! :)
A presto con il
primo, succoso capitolo!
Intanto vi
aspetto nelle recensioni per un parere a caldo!
Un abbraccio,
Nuvole
Pretty
When You Cry
Prologo
[Freezer’s
POV]
Schiudo le palpebre nude,
incantato, come
se non avessi mai visto nulla di più bello al mondo. Dovrei
essermi abituato,
ormai, i pavimenti che divorano le mie impronte sono tutti
lastricati di sangue e di morte, ma ogni volta è come la
prima, unica e speciale.
Sono deliziose le
lacrime che colano da
quegli occhi gonfi, venati di porpora, sul punto di scoppiare. Sono
provocanti,
licenziosi i lividi neri che circondano quelle iridi, talmente
impaurite da non
osare neppure sfiorare la mia figura.
È seducente
il sangue che cola dal filo
spinato che cuce insieme le loro labbra.
Questo è il
mio momento di pace, non
accetto che sia sporcato dai loro respiri fetidi, dal suono disarmonico
dei singhiozzi
e dei gemiti che cercano invadenti di risalire lungo le loro gole.
Rovinerebbero la
melodia impeccabile
della mia canzone preferita.
Tamburello le dita sul
metallo laccato
del mio trono volante, eccitato da una nuova esecuzione, mordendomi le
labbra per
il piacere di ascoltare il suono del tamburo della pistola che rotola,
dei
proiettili che si sfracellano al suolo.
Il ronzio del basso
inizia a vibrarmi
nello stomaco, il volume è talmente alto da far tremare i
vetri della sala del
trono, seguito dalla batteria, lenta e suadente, parallela ai battiti
del mio
cuore, così forti da farmi sussultare il petto.
La voce roca del
cantante sospira ed
esplode, infine, in tutta la sua intensità.
«Sei
così carina quando piangi.»
Sussurro,
cantando a memoria, facendo scrocchiare il collo a destra e a sinistra.
«Non voglio colpirti, ma la
sola cosa tra il nostro amore è un naso sanguinante, un
labbro rotto e un
occhio nero...»
Le
prigioniere ballano, tremanti, i corpi
avvinti in una coreografia che insegue sgraziata il ritmo della musica.
Le
guardo, divertito, lo sguardo ipnotizzato dal sangue che cola lungo i
loro
menti, giù per il collo, sui vestiti strappati e sporchi.
Mi chiedo quale
cederà per prima.
Osservo divertito i
loro sforzi, il modo
ridicolo che hanno di continuare a muoversi, consumando quel poco che
resta
delle loro vene, nella sola vana, ridicola, speranza di salvarsi la
vita. Si
dimenano, strisciando gli arti rotti, spezzati dalla furia dei miei
soldati,
nella speranza che io mantenga le mie false promesse.
«Voglio il tuo dolore... e
anche picchiarti»
La mia coda
frusta il pavimento in un
impeto di eccitazione, incidendo un solco nel marmo candido.
Cinque paia di occhi
sfolgorano
dall’orrore, cinque bocche si lacerano ancora di
più, pressate dalle urla che
cercano di liberarsi, ma i loro piedi perseverano, cauti nel toccare
terra e
nel rialzarsi, delicati come fiori che si girano piano verso il sole.
Mi rilasso nella
poltrona, cercando di
placare la tensione accumulata nelle spalle dopo l’ennesima
missione
diplomatica in un pianeta di luridi barbari, l’adrenalina che
si dissipa nelle
mie membra fredde.
Un nuovo brivido: una
delle ballerine sta
per crollare, noto la sua forza vitale esaurirsi, sfibrata dal fantasma
subdolo
della morte che la corteggia sempre più vicino, librandosi
intorno alla sua
figura stanca.
Lo spettacolo
è durato poco.
Anche troppo
poco, la delusione mi contorce il volto in una smorfia di disgusto.
«Ho
saputo che hai ucciso una delle mie puttane.»
Sibilo piano,
appoggiando il mento al
pugno contratto, un sospiro lieve che sfugge dalle labbra socchiuse,
abbastanza
forte da essere udito dalle sue orecchie fini, in grado di riconoscere
la mia
voce dolce in mezzo ad una tempesta. La mia coda si allunga cieca
all’indietro,
in cerca della sua caviglia.
«Non
immaginavo che attribuissi tanto
valore alla vita delle prostitute, Lord Freezer.»
La voce di Vegeta
sorge sarcastica da
dietro le mie spalle, venata da una sfumatura di tensione che soltanto
io posso
cogliere.
Tu non hai segreti, non per me.
«Non ne ha
alcuno, infatti.»
Allungo pigramente le
dita, dalle cui
punte sbocciano bagliori sinistri, proiettili immateriali che
trafiggono
all’istante il cuore delle ballerine, angeli le cui ali si
sfracellano
squarciate sul pavimento.
La musica continua a
gridare, assordante,
le mie labbra scure intrappolate in un requiem distorto, condannate a
ripetere mute
i versi della canzone. Sento il respiro di Vegeta accelerare per poi
estinguersi nel silenzio, come se trattenesse il fiato.
«Mi
hai deluso, sai?» mormoro, atono «Speravo che,
almeno tu, fra tutti, non ti
abbassassi a certe porcherie.»
Appoggio il braccio
alla testiera della
poltrona, facendo ruotare il trono volante nella sua direzione,
attirando le
attenzioni dell’intera sala su di lui. Indugio
nell’osservare il suo viso, una
maschera elegante di ghiaccio che incatena il fuoco divampante nei suoi
occhi neri.
«Non sai
quanto sono grato di appartenere
a una razza superiore.»
sibilo, mentre con un gesto stizzito indico a un servo di spegnere
l’altoparlante.
«Io sono
fortunato, Vegeta. Non ho bisogno
di aprire le gambe a nessuno per godere... sei già tu, la mia puttana.»
Sulle mie labbra
carminie fiorisce un
sorriso sadico che lascia scoperti i denti candidi, bianchissimi, su
cui
striscia repentina la lingua, le mie iridi come braci impazzite che
ridono
sguaiate, vermiglie come il sangue che pulsa impazzito sotto la sua
pelle
diafana.
Le risate perfide di
Zarbon e Dodoria
riempiono la stanza, seguite da quelle del Capitano Ginew. Si guardano,
complici, gongolanti per la rivincita avuta sulla creatura inferiore
che mi
ripetono sempre non essere sufficientemente degna di sedere insieme a
noi.
I pugni di Vegeta si
stringono, rabbiosi,
le unghie affondano con veemenza nel palmo fasciato di bianco,
dilaniando il
tessuto dei guanti, la mandibola si chiude in uno schiocco rabbioso
come quella
di un animale in gabbia.
La vedo, la sento,
l’umiliazione che come
un virus si moltiplica inesorabile dentro di lui, infettando ogni
molecola del suo
corpo. I suoi occhi non abbandonano i miei, lividi di un’ira
talmente bruciante
da assomigliare alla disperazione, la gola accoltellata da una litania
di insulti
e improperi che vorrebbe soltanto sbattermi in faccia. Il suo pugno
serrato
accenna un minimo movimento, subito intercettato dal mio palmo algido,
che lo
stringe gentile come una carezza materna.
«Oh, Vegeta,
ma quanto sei permaloso...
Stavo solo scherzando!» sorrido, amabile, tradito dalle
scintille di malizia
che infuriano nei miei occhi.
Mi trattengo con tutte
le mie forze per
non ridere.
Lotti con tutte le tue
forze per non
gridare.
Lo so, mio dolce
bambino... l’oscurità
non ha mai fine.
Continua...
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