The
sixth page: meetings and partings
Quiete, calma e silenzio, interrotti unicamente dal ticchettio delle
lancette di un orologio, uno che continua a scandire albe, giorni,
tramonti, sere e notti di chi continuava a seguire la propria routine
quotidiana, malgrado il cielo di quel mondo potesse essere sfumato
unicamente d’azzurro chiarissimo e grigio nebbia…
Non importava che il giorno si trasformasse in notte, o se
l’estate avesse già ceduto il posto
all’autunno, quel cielo sarebbe rimasto sempre e comunque lo
stesso.
Anche lì il tempo andava avanti a scorrere, ma per chi ci
abitava, ogni giorno era comunque uguale all’altro: fare
sempre le stesse cose… Vedere sempre le stesse
facce… E sapere che tali sarebbero rimaste finchè
qualcosa non le avrebbe fatte sparire davvero…
Eh sì… Malgrado gli shinigami Jewels, coloro che
racchiudono l’essenza delle pietre cardinali
dell’antichità, e gli Shards, incarnazioni
dell’energia delle altre pietre preziose, fossero riusciti a
tenersi stretti ricordi, identità e corpi di quando erano
umani, non vuol dire che tutto sia rimasto uguale una volta diventati
Spiriti Mietitori: non importa che necessitassero ancora di mangiare,
dormire, respirare e provassero ancora qualcosa di simile alle
emozioni… i loro cuori non battevano più, i loro
occhi non vedevano più i colori ma soltanto i giorni che
mancavano ad una vita prima di spegnersi fintanto che restavano sulla
Terra, i loro sensi erano più acuti per individuare
eventuali ostacoli durante lo svolgimento dei loro incarichi, la loro
forza maggiore per tranciare una vita che si era sottratta per pura
fortuna alla triste mano della morte perché
l’equilibrio tra vivi e morti restasse tale (o per salvare
tale vita nel caso quella morte non fosse un
“errore” nell’ordine degli eventi) e col
tempo… Anche loro avrebbero perso quel poco che gli restava
della loro “umanità”: più e
più si facevano prendere dal ritmo di quel mondo, uguale
ogni giorno e consci di non poter resuscitare come esseri umani o
“passare dall’altra parte” come le anime
che invece dovevano recuperare, e per sempre costretti ad osservare le
vite umane spegnersi ed accendersi, ognuno di loro prima o dopo non
solo aveva il proprio corpo smettere di invecchiare, ma diventava
sempre più apatico ed insensibile di fronte alle morti che
si ritrovava ad assistere. In fondo era questo che erano loro: semplici
marionette nate solo per portare avanti uno scomodo lavoro che tutti
credevano opera di chissà quale Dio… Delle
semplici rotelle di un meccanismo che non si poteva
arrestare… E come tali, avrebbero continuato ad arrugginirsi
fino a diventare polvere, lasciando una nuova rotella a sostituirli per
non compromettere l’intero processo.
Ecco di cosa era spaventata Kaguya. La sua benefattrice, la principessa
Amethyst, la aveva avvertita insieme agli altri attuali Jewels di
questo “pericolo”: quella sorta
d’immortalità che avrebbero acquisito andando
avanti era più simile ad una maledizione per loro, giunti in
quel mondo per entrarne a farne parte come
“recipienti” del potere delle pietre che portavano
(prima semplici gemme, poi pietre imbevute di chissà quale
potere che nessuno aveva ben capito da dove arrivasse o chi potesse
averlo portato lì, fonti delle loro nuove abilità
di shinigami e loro unici lascia-passare tra la Terra e il loro mondo e
viceversa). Intanto però non era successo nulla di grave a
nessuno di loro tre: Sapphire e Berillium erano un po’
più vecchi di lei quando erano morti, e anche se i loro
corpi avevano già smesso di invecchiare quando il suo ancora
non aveva fatto lo stesso, ancora bloccato all’età
di quattordici anni quando ne aveva già compiuti diciotto
(era incredibile che, in quasi quattro anni dall’Apocalisse,
lei fosse invecchiata fisicamente di neanche due anni), nessuno di loro
era ancora diventato un apatico pupazzetto; anche Amethyst e Obsidian,
gli shinigami più anziani tra Jewels e Shards, parevano
essere nella stessa situazione di Sapphire e Berillium, ma Kaguya aveva
l’impressione che ci fosse qualcosa che non riuscisse a
cogliere riguardo alcuni comportamenti della bambina alla guida di
tutti i Mietitori e del suo rabbioso quanto fedele cane nero da
guardia… Va bene, sinceramente non le importava di sapere
cosa passasse per la testa a quel vecchio di
mezz’età che non faceva altro che seguire Amethyst
ovunque andasse e dare ordini a destra e a manca a tutti gli altri, ma
non le sarebbe dispiaciuto riuscire a capire un po’ di
più cosa pensasse la principessina, non perché ci
tenesse ma perché ognuna di loro aveva il proprio
tornaconto: Kaguya era diventata una shinigami perché
Amethyst aveva voluto così, ottenendo il potere del Jewel e
assumendo l’identità di “Ruby”
per quasi dieci anni ormai, in modo da svolgere un incarico precluso
per lei che non poteva allontanarsi dalla città Chroma;
anche la Akagi aveva qualcosa da fare sulla Terra, oltre alla promessa
fatta al demone della sua katana. Peccato che non potesse tenere
d’occhio la bambina, ma era quasi sicura che si sarebbe
trovata alle calcagna un segugio nero, pronto ad azzannarla alla prima
mossa falsa, se solo ci avesse provato.
E poi in quel momento aveva qualcosa di più importante da
fare, cioè rimettere a posto le ultime anime danneggiate:
chiusa in quella biblioteca sotterranea, accessibile solo ai Jewels (e
Obsidian per un’eccezione nota solo allo stesso e alla
principessa) che prendevano il passaggio illuminato di rosso
all’incrocio sotto la fontana della piazza della cattedrale
Pneuma[1], Kaguya aveva passato quasi quattro anni a sistemare le
parole scritte nelle Pagine di ogni anima che non era uscita illesa
dalla notte dell’Apocalisse; bloccata su una sedia fluttuante
grazie al potere di un cristallo magico posto sotto di essa, ad un
tavolo anch’esso di pietra che aveva visto altri fare lavori
simili al suo parecchi anni addietro, circondata da tomi sgualciti ed
ingialliti che contenevano le informazioni sulle anime raccolte anche
molti secoli prima, stava scrivendo su una lastra con una penna che
lasciava tracce luminose sul freddo metallo, riempiendo il vuoto con
minuscoli caratteri che sembravano ravvivare un po’ la lega
opaca. Malgrado le parole sulle Pagine della vita di una persona
andassero a riempire subito il rispettivo volume (come se fosse
già deciso come, dove e quando uno dovrà morire)
non appena lo Spirito Mietitore le faceva dirigere verso quel mondo,
nessuno di quei libri alla fine era perfetto come doveva essere: parti
cancellate, altre sbiadite, altre ancora riscritte sopra altre righe,
pagine strappate od addirittura coperte di muffa come se fossero state
lasciate lì a marcire per sempre in quella piccola fortezza
letteraria, dove tutto ciò che affliggeva quelle Pagine
erano i peccati e le virtù compiute dalle persone a cui
appartenevano quelle anime, era ciò che
l’Apocalisse aveva inferto a quegli umani, costringendo la
castana a rinchiudersi in quel posto a “raccogliere i pezzi
persi per strada” da quella tragedia.
Quasi quattro anni costretta a pasti frugali e notti quasi insonni,
immersa nell’odore di vecchia carta e metallo, la luce dei
cristalli incantati ed il ticchettio delle lancette di un vecchio
orologio fluttuante sopra il tavolo, vietata dal vedere gli Shard suoi
sottoposti o anche solo informarsi delle loro condizioni… E
oltretutto, separata per l’ennesima volta dalla sua katana,
maledetta dal potere di un demone dagli occhi vispi e tinti del sangue
che aveva colorato il Natale dell’Apocalisse; piuttosto
severa come punizione da parte della principessa, anche se il suo cane
nero/maggiordomo/guardia del corpo Obsidian poteva benissimo averci
messo il suo zampino: passandosi una mano tra i capelli per la
stanchezza, cercando di sistemarsi le ciocche disordinate nel mentre,
la mano della ragazza si muoveva lentamente per completare quelle
ultime righe, lottando perché gli occhi più rossi
che castani per la fatica restassero aperti e non prolungare
ulteriormente la sua permanenza lì.
Con un sospiro di sollievo infine, la ragazza posò la penna
e prese un libro nuovo dal tavolo, poggiandoci sopra la fine lastra
metallica, la quale ebbe le lettere di un colore indefinito illuminarsi
di rosso, segno che quell’anima era stata restaurata e
sigillata e che attendeva di essere giudicata; Kaguya si sporse un poco
dal suo posto a sedere mentre la sedia si abbassava, arrivando ad
un’altezza per cui lei potesse scendere comodamente per
terra, e mettere il tomo nell’unico posto vuoto lasciato in
un grande scaffale intagliato nella pietra, fredda ed eterna come tutti
quei libri che contenevano nelle loro pagine il peso di tutte le gioie
e dolori, bellezze e orrori, buone azioni e atti vili che quelle anime
si erano portate dietro una volta persi i corpi terreni.
In quel momento però non le andava di abbandonarsi a questi
pensieri: voleva solo tornare a casa sua e farsi una bella dormita. Una
volta sistematasi, sarebbe dovuta andare all’incontro con gli
altri Jewel programmato per quel mese: se era fortunata, poteva
finalmente aggiornarsi su quello che era successo durante il suo
“forzato esilio”.
Alzando le braccia e sentendole scrocchiare per quando erano rimaste
nella stessa posizione, così come le sue spalle, la castana
fece per uscire dalla stanza quando notò sul tavolo qualcosa
che stonava con la grigia monotonia di quel luogo: un piccolo cesto di
vimini pieno di fiori.
La shinigami ne prese uno, districandolo dal groviglio in quel cesto,
accarezzandone i petali morbidi e respirandone un lievissimo profumo,
godendosi quella nota fresca che era propria della Terra, e non di quel
mondo di pietra quanto lo erano ormai anche i suoi abitanti:
- Mmm… Pansies… So you know that I am still here,
taking care of everything for you, my dear little princess. [2]
– allontanò il fiore dal suo viso, tenendolo tra
le mani con cura (seppure non con la stessa con cui trattava e che
riservava ai gigli ragno cari a lei e Yuri), andando a rimetterlo
insieme ai suoi compagni in quel cesto che portava con sé
solo due tinte di colore oltre al verde delle numerose foglie:
- White and violet… That is so you. [3] –
ridacchiò lei, ma quella breve risata serena che si
concedeva da tre anni fu subito troncata dall’unico
“intruso” in quel piccolo dono: un biglietto nero
pece legato al nastro violetto sul manico del cesto, un invito, il
bianco inciso in minuscoli caratteri corsivi sul nero, in quella che
era l’unica lingua che aveva mai sentito al di fuori
dell’inglese che aveva sentito pronunciare nella sua ormai
terminata vita umana. Fece scorrere velocemente lo sguardo su quelle
parole quasi invisibili in quel nero, stropicciandolo poi nella sua
presa per resistere alla tentazione di strapparlo, e lasciandosi andare
ad una risata stavolta più amareggiata e disperata in cui
cercò almeno di soffocare la fatica e il tedio di quei tre
anni:
- You damn watchdog… You sure know how to vex me. What else
can you possibly want from me this time… [4] –
prendendo con sè il cesto malamente e di fretta, facendo
cadere alcuni boccioli e foglie lungo la strada e lasciando per terra
il biglietto, la Akagi si incamminò velocemente verso
l’uscita della biblioteca.
Ora l’incontro poteva aspettare un pò: una
più che sgradita sorpresa sicuramente la aspettava a casa
sua.
Dopo essere uscita dai sotterranei, Kaguya fece per dirigersi a casa
sua, la più a Sud nella piazza e proprio vicina
all’uscita per dirigersi alle abitazioni degli Shards,
incoscia del fatto che fuori c’era già qualcuno ad
aspettarla:
- Ah. Sei proprio tu. Bentornata! – la salutò una
voce pacata che non si faceva problemi a nascondere una nota di
felicità nel ritrovare una vecchia conoscente.
La castana, appena uscita dal passaggio vicino alla fontana e
strizzando gli occhi per riabituarsi al chiarore del cielo
così diverso dalle tenebre della biblioteca, si
guardò un attimo intorno per capire da dove provenisse il
suono che aveva sentito, trovando la fonte comodamente appoggiata al
marmo della fontana: la figura alta di una donna sulla trentina, i
corti capelli lisci rosso mattone con qualche ciocca nera qua e
là, vestita in un lungo comodo cappotto invernale di una
tonalità simili a quella dei capelli e stivali neri. Ella si
mise quindi diritta, facendo vedere il mantello rosso mattone da
shinigami nella mano destra, sorridendo a Ruby:
- Ciao Ruby, come va? Anzi, come stai Kaguya? Per me non cambia nulla.
–
La Jewel si avvicinò quindi all’altra:
- Buongiorno a te Jasper. – un leggero inchino, uno sguardo
che implicava delle scuse furono tutto ciò che
potè rivolgerle, prima di un gesto per mostrare il cesto di
viole del pensiero:
- Vorrei tanto trattenermi per una conversazione, ma sembra che la
principessina mi abbia lasciato qualcosa a casa. È possibile
per te aspettare un attimo? Altrimenti… -
Fu interrotta dall’altra che scosse la testa:
- Nessun problema. Per una volta sono già a posto col
lavoro. Anche Topaz e Amber volevano venire a salutarla dopo che ci
è stato detto che avrebbe finito di scontare la sua
punizione oggi, ma sembra abbiano avuto un imprevisto… Al
massimo ci sentiamo più tardi per incontrarci tutti quanti,
va bene? – si voltò con un sorriso sereno, forse
uno dei pochi che Ruby aveva visto sin dall’inizio della sua
sospensione sulla Terra più di tre anni prima, e si
incamminò verso l’arcata accanto alla residenza
della castana; quest’ultima, con le mani tremanti e il passo
non più fermo e deciso a causa dell’indecisione e
del tempo passato sottoterra (durante il quale era già tanto
se faceva tre passi senza sbattere contro un muro od uno scaffale),
fece un paio di ampi passi (per quello che le era possibile in quel
momento) e prese la mano della Shard, fermandola e tirandola
leggermente verso casa sua; quest’ultima, che già
aveva notato che la sua superiore non era proprio in forma, non se la
sentì di lasciarla da sola (oltre ad aver intuito che la
“sorpresa della principessa” potesse non essere
qualcosa di piacevole) ed optò per accompagnarla,
lasciandole la mano ma restandole vicina anche solo nel caso in cui
l’altra cedesse un po’ sulle proprie gambe.
Arrivate alla porta, Jasper strinse nuovamente la mano della superiore
non appena quest’ultima toccò la porta
dell’abitazione, ove si formò subito un portale
che le trascinò all’interno, in una stanza dai
muri rossi e l’arredamento molto sobrio, consistente in un
solo tavolo, alcune sedie e dei comò dai toni sul bianco ed
il crema:
- è così allora che lui vuole che sia questo
posto. - mormorò Kaguya.
Porte, lucchetti e finestre erano inutili in quel mondo, ove i
cristalli infusi di magia erano portali verso dimensioni che
manifestavano al loro interno ciò che il loro padrone
volesse. Anche solo per quello, il fatto stesso che le poche
città presenti in quel mondo avessero l’aspetto di
antichi borghi europei era un fatto inconsistente, e nessuno aveva
chiara idea della ragione dietro a ciò se una ne esisteva;
tuttavia, ciò che era apparso in casa di Ruby non era quello
che lei si aspettava di trovare: lei avrebbe voluto andare in camera
sua, giusto il tempo per cambiarsi in abiti puliti, e magari dopo in
cucina con Jasper davanti ad una tazza di caffè fumante per
parlare del più e del meno o anche solo sapere di
più di quello che era successo mentre lei non
c’era, ed infine controllare cosa avesse lasciato
lì la principessina. Peccato che quello che anche quei
piccoli momenti di serenità erano fin troppo lussuosi per
lei per poterseli concedere persino dopo un interminabile lavoro,
poiché aveva davanti aveva rovinato le sue aspettative:
davanti a lei vi era l’immagine quasi sputata di uno dei
samurai che aveva visto nei libri da bambina nella villa, ma quei
soldati erano considerati figure importanti quando erano ancora in
auge, guerrieri che avevano deciso di dedicare sé stessi a
proteggere la loro nazione ed il popolo contro i nemici, rischiando la
loro vita che per questo poteva essere paragonata ad un fiore: ci
voleva tanto tempo per coltivarla quanto molto poco ad estinguere tale
vita per sempre; nell’uomo che aveva davanti a sé
però, dal kimono bianco sormontato da pezzi
d’armatura su addome ed avambracci, stivali e soprabito scuro
tanto quanto i capelli legati nel codino alto, riusciva unicamente ad
incuterle non un rispetto per chi possedeva una carica alta ed
importante, ma il timore che gli altri shinigami avvertivano in lui,
misto ad un più che mai vivido senso
d’oppressione: non era un rispetto che era incitato in una
folla semplicemente alla sola vista, ma uno imposto duramente su
sottoposti mal disposti o su soldati che non intendevano più
andare avanti per la propria strada, minacciati da una spada pronta ad
essere sfoderata per tranciare le sottili vite dei poveri malcapitati
che avevano perso la voglia di combattere. Eppure, qualcosa continuava
a non convincerla, come la semplice maschera nera che celava la parte
superiore del viso dell’uomo, lasciando intravedere solo gli
occhi castani scuri: quella devozione forzata negli altri, quel senso
di sottomissione che doveva instillare in loro… Gli serviva
solo per darsi più importanza, in quanto unico Shard in
mezzo a quattro Jewels, per stare attaccato ad una principessa bambina
per motivi che sarebbero magari rimasti sempre ignoti a tutti, o gli
serviva per qualcos’altro? Perché nascondersi
dietro una maschera, anche solo letteralmente, se si incute
quell’aria di superiorità rispetto agli altri?
Cos’altro voleva mostrare? O forse… Non tanto
mostrare agli altri, ma a sé stesso…? Era questa
la prima impressione che gli aveva sempre dato il fedele cane da
guardia di Amethyst, seppure lei non lo avrebbe mai osato dire a voce
alta. Quell’uomo era fin troppo freddo e riservato nei
confronti di tutti, oltre ad apparirle un filo orgoglioso: di certo non
gli avrebbe fatto piacere che qualcuno “inferiore”
a lui facesse certe congetture sul suo conto. Sembrava non volere che
qualcuno vedesse oltre la maschera se davvero ne aveva una, e lei
ovviamente non intendeva guadagnarsi un posto più in alto
nella sua lista nera, quella della prima persona che avrebbe eliminato
o fatto umiliare in un futuro molto vicino.
Quasi non se la sentì di rompere lo scambio di sguardi, ma
diede comunque un’occhiata alla sua destra per vedere la
reazione della sua collega: anche Jasper sembrava non essere non essere
rimasta del tutto indifferente, e seppure non tremasse come Ruby, si
mordeva il labbro e si spostò più vicina e
davanti alla sua superiore come a dire che lei c’era
qualsiasi cosa stesse per accadere.
Da un punto di vista completamente diverso, qualsiasi sensazione le
incutesse il nuovo arrivato, per la padrona di casa significava solo
una cosa: qualcuno doveva imparare a non introdursi in casa
d’altri senza invito, anche se tecnicamente era stato lui a
convocarla lì con quel biglietto al colore sinistro.
- So già cosa pensi Ruby… E non sono venuto qui
per dare problemi. Non che abbia mai avuto cattive intenzioni nei tuoi
confronti, ma… – si alzò con la stessa
calma con cui aveva parlato, e nessuna arroganza che invece era solita
udire nel suo tono. Che aveva quel giorno? O era solo lei che la aveva
sempre figurato un vecchio burbero?
Al contrario del semplice atto di alzarsi dalla sedia, sul cui lato si
era accomodato, facendo vedere nel mentre il mantello nero piegato
accuratamente sul braccio destro e la katana infoderata al suo fianco
sinistro, Obsidian scomparve subito dalla loro vista, il mantello ora
in aria sopra le loro teste che si voltavano qua e là per
capire dove fosse finito; nell’attimo di un respiro, egli si
ritrovò a pochi centimetri da Ruby, rimasta bloccata contro
il muro dal corpo dell’altro che le teneva la spalla ferma
con una mano e l’altra a reggere la katana che ora le stava
sfiorando pericolosamente la gola. Nessuna espressione sulle sue
labbra, solo uno sguardo indecifrabile in quegli occhi che
trasmettevano qualcosa che lei non riusciva a comprendere…
Ma che aveva oggi quel cane nero?
Ad un certo punto, lui sospirò deluso, mollando la presa e
voltandosi lievemente alla sua sinistra, ritrovandosi una fiala con un
liquido fumante vicino alla sua tempia:
- Lasci andare la signorina Ruby. Le devo ricordare che qui
è in casa sua, e non importa chi è lei, ma deve
portare un minimo di rispetto alla padrona di casa. – gli
sussurrò Jasper, sguardo fisso sul samurai nero che
però ridacchiò leggermente a quel misero
tentativo di minaccia, allontanandosi finalmente dalle due donne per
rinfoderare la katana e riprendere il mantello che era finito a terra:
- Non ti preoccupare Jasper, o forse dovrei chiamarti “Petra
Torri”? Volevo solo testare i suoi riflessi. Sembra che
però abbia sbagliato nel rinchiuderla nella biblioteca: in
una situazione come quella di poco fa, si sarebbe liberata senza troppi
problemi normalmente. E senza la sua arma poi… Ho commesso
un errore. Lo ammetto. Ora abbassa quella bottiglia di veleno.
– la Shard del diaspro continuò ad osservarlo per
un po’, cauta nel caso commettesse altri passi falsi, prima
di riporre la fiala in una tasca interna del cappotto.
- Sono passato solo a consegnarti la nuova uniforme che Fluorite ha
preparato per te. I tuoi vecchi abiti da lavoro era un po’
malconci a sentire lei. – si fece da parte, quello che
bastava per mostrare un pacco rosso con un fiocco verde acqua sul
tavolo, per poi voltarsi nuovamente verso le sue interlocutrici:
- Inoltre, ho già istruito i tuoi Shards sulla tua nuova
missione. Stavolta dovrai accontentarti solo di Jasper, Topaz e Amber.
Gli altri non sono ancora guariti dalla notte
dell’Apocalisse: i Geodes [5] ed i mostri comparsi sulla
Terra hanno dato loro non pochi problemi.
I dettagli su un possibile piano d’azione li lascio a te:
confido che cercherai il percorso migliore nell’esecuzione
della missione. – lei rispose con un’occhiata a
metà tra la sorpresa e lo sconcerto, voltandosi poi inquieta
verso Japser che si limitò ad annuire: Obsidian sapeva bene
che gli incarichi speciali erano missioni particolari per lei e che
coinvolgevano gli interessi di Amethyst. Perché le fa
portare dietro i suoi colleghi quando non le era mai stato permesso
fino a quel momento!?
- Ultima cosa… - ancora il tempo di un respiro e le fu alle
spalle, e lei era troppo stanca: non sapeva se le stesse mostrando che
doveva riposarsi perché così sarebbe stata una
preda facile per i mostri che ora dimoravano il mondo degli umani, o si
stesse semplicemente facendo beffe del suo stato.
- La tua destinazione è Sanguinem, la terza capitale dei
vampiri, situata nei sotterranei di Kyoto in Giappone. Ci arriverai non
appena uscirai da questa stanza, quindi ti consiglio di prepararti in
fretta. – quando Ruby si girò, lui si
inchinò lievemente e fece un cenno con la testa di cortesia
a Jasper, per poi allontanarsi verso l’uscita, i suoi passi
risonanti nella stanza vuota fermati solo da una domanda della castana:
- Come mai mi lasciate tutta questa libertà
d’azione ora? Avete paura che mi sia stancata di come mi
trattate e faccia qualcosa per farti passare quella tua mania di
controllo? O forse è la principessa che ora ha paura?
–
Un’occhiata fulminante le arrivò, tanto da
scatenare nuovamente un tremore nelle gambe che cercò di
contenere: non voleva mostrarsi indifesa davanti a quel tipo.
- Nessuno dei motivi che hai riferito. Prima di cominciare a giudicare
le anime tuttavia, la principessa ha fatto una predizione sul tuo
futuro Kaguya. –
Ora aveva la sua attenzione: oltre ad essere giudice delle anime,
Amethyst aveva visioni del futuro. Il più delle volte erano
però relative a particolari umani le cui morti non dovevano
ancora avvenire ma che si stavano per verificare per qualche motivo;
era molto raro che coinvolgessero un Triste Mietitore.
- Non me la ha voluta rivelare, così la ha scritta su un
foglietto nella tua lingua madre. È in mezzo a quei fiori.
– aggiunse indicando il cesto di viole del pensiero.
- Ripeto che non so cosa abbia visto, ma mi auguro che tu non le crei
alcun tipo di problemi. Le anime di Mikaela e Yuichiro Hyakuya
contengono qualcosa di molto importante per la principessa, e se non
farai il tuo dovere, lei sarà costretta ancora a sporcarsi
le mani ulteriormente nel vedere i peccati di quegli esseri sudici che
gli umani sono diventati. – un evidente disprezzo nel suo
tono di voce più una nota di preoccupazione, ma a chi era
rivolta?
- Sarai pure stato un umano anche tu per essere finito qua tra gli
shinigami no? Quando parli così, sembri quel vampiro che ha
distrutto villa Akagi e la mia vita.
Sai che ti dico? Tu e la principessa mi avete raccolta quando sarei
dovuta scomparire, quindi ora vi terrete il pacchetto completo,
perché quest’ex assassina umana ed ora shinigami
farà quello che vorrà con quelle anime.
Contengono qualcosa di importante anche per me, e le falcerò
solo quando vorrò io. –
Sentì Jasper riavvicinarsi a lei, tirando fuori ancora
qualcosa dal suo cappotto: era la katana Red Lily, accuratamente
lucidata.
- Grazie Jasper. Me l’hai custodita bene. –
- “Confermo.
Quel cane pensava di fondere la spada e farmi dire tutto quello che
sapevo del periodo che hai trascorso sulla Terra visto che tu sei
rimasta zitta. Non credevo che lo avrei mai detto, ma questa volta ne
devo una ai tuoi colleghi” – disse
Yuri, la sua voce un conforto in quei pochi anni di separazione. Si
preparò a sfoderare la katana, ma fu fermata da una mano di
Obsidian per indicarle di stare ferma e che non c’era la
necessità di alzare le armi in quel momento.
- Come ho già detto, stavolta potrai fare come credi. Alla
fine, ognuno di noi ha a cuore solo i propri interessi: così
come la principessa intende usarti, tu intendi usare noi. Fintanto che
tu non ostacolerai il meccanismo, non mi dovrò sbarazzare
del difetto che rappresenti. – Jasper fece per dirgli contro
qualcosa, ma Ruby scosse la testa a dirle che non ne valeva la pena.
- Detto questo, ti auguro buon lavoro Ruby. Ci rivediamo fra tre mesi.
– un passo ancora, ed il cane nero se ne andò,
diretto verso la Jewel dell’ametista.
Japser lo imitò, ma la sua destinazione era Sanguinem, dove
era certa avrebbe trovato presto Alan e Marie ad aspettarli.
Kaguya quindi aprì il pacchetto, trovandoci una canotta
nera, shorts bianchi e calze rosse, posti sopra una giacca bianca con
tanti gigli ragno rossi e un cappuccio con pelliccia nera, stivali
bianchi con un fiocco nero, e il mantello rosso ripiegato accuratamente
da una parte: ora era pronta a partire.
Mondo
degli umani, Kyoto – Sanguinem, autunno dell’anno
2016.
Era da poco uscita dalla sua stanza, solo per ritrovarsi in una
versione più buia e tetra della città di Chroma,
seppure la somiglianza fosse solo vaga. Seppure si trattasse ancora di
case tipiche di borghi antichi o al massimo risalenti ad un paio di
secoli prima, le abitazioni erano in uno stato malandato, poco curato
per la poca vernice sui muri, le ragnatele presenti ogni dove, la
scarsa illuminazione data dai pochi lampioni presenti, la ruggine sui
tubi presenti ovunque essendo la città collocata proprio
sulle vecchie reti fognarie di Kyoto col loro odore acro e pungente, ed
i topi che le sembrava scorgere in ogni vicolo stretto.
- Questo è senz’altro il quartiere della
plebe… o meglio dei donatori di sangue. –
constatò non sorpresa, sapendo bene come funzionavano le
cose lì: dopo l’Apocalisse, solo i bambini dai
tredici anni in giù si erano salvati dal virus,
così i vampiri erano emersi dalle tenebre per tenere sotto
la loro protezione qui bambini. Ovviamente, non li proteggevano affatto
per pura bontà, ma per non vedere persa davanti ai loro
occhi la loro unica fonte di cibo che era il sangue umano. Quegli
stessi bambini dopo quasi quattro anni erano ora in città
come quella, vestiti in uniformi bianche, scalzi e con targhette al
collo di cui non riusciva a leggere cosa fosse scritto.
- Non sono diversi dal bestiame per loro. Niente di diverso da come una
persona tratta mucche e pecore in fondo… - pensò
lei, notando individui dagli occhi rossi scarlatti che camminavano per
quelle strade, incappucciati ed avvolti nei loro mantelli, ad
assicurare l’ordine nella città e sorvegliare i
bambini: non sia mai che lascino animali senza sorveglianza; nel loro
caso, che non si azzardino ad uscire dalla città se non
volevano avere la gola tranciata in una manciata di secondi, tale era
la forza che separava quelle creature dai comuni umani. Va beh, i
Tristi Mietitori non dovrebbero avere problemi a gestire vampiri od
umani, ma era meglio stare sempre sull’attenti nel caso si
verificasse qualche problema: era in territorio nemico in quel momento
e, malgrado il nascondiglio che aveva saputo essere preparato da Jasper
la stava aspettando, preferiva girare un altro po’ per
conoscere meglio il posto.
Quando passata qualche altra ora sentì il suono di una
campana e vide che i bambini stavano rientrando nelle case malconce,
fece anche lei per incamminarsi nel centro città per andare
verso il nascondiglio, ma qualcosa (o meglio qualcuno) venne dritto
verso di lei:
- Ahhhh!!!! Non li sopporto più questi succhiasangue! Io non
sono un loro animaletto! – era un bambino di sì e
no dodici anni credeva, dai ribelli capelli corvini delle notti prive
di stelle e occhi smeraldini che le ricordarono i tessuti che Fluorite
aveva menzionato essere del suo colore preferito. Era seccato a dir
poco, camminava pesantemente e in fretta per tornare a casa, facendo
imprecazioni che le parvero subito inappropriate per un bambino
così piccolo.
- Yuu-chan! Calmati! Così andrai a… - la seconda
era una bambina dai capelli biondi chiarissimi, pelle più
pallida dell’altro bambino e occhi di uno splendido blu mare
come quelli che aveva lei stessa prima di diventare shinigami. Non le
pareva essere giapponese, ma ancora una volta con diverse etnie che si
mischiano, chi lo poteva sapere.
Prima era preoccupata per quello che doveva essere l’amico,
fermandosi solo quando lui sembrò andare a sbattere contro
il vuoto che erano in realtà le gambe di Kaguya, finendo per
cadere a terra e massaggiandosi la schiena ora dolente per la caduta.
La bambina fu subito al suo fianco, aiutandolo a rialzarsi, ma finendo
involontariamente per alzare lo sguardo verso il volto della shinigami:
come era possibile che potesse già vederla!? Una bambina
così piccola!?
Le due continuarono a fissarsi finchè il bambino non le
interruppe, cercando di mettersi davanti alla biondina senza non poco
sforzo (Ruby era ferma e non c’era verso che un bambino la
potesse smuovere da dove era) e agitando una mano davanti al viso
dell’altra per scuoterla dai suoi pensieri:
- Ohi Mika! Ci sei!? Che ti prende!? – la biondina allora
scosse la testa come ad essersi convinta di non aver visto nulla di
strano, e allora prese per mano il bambino dai capelli scuri e lo
trascinò con sé lontano da lì, non
senza prima voltarsi un’ultima volta.
- Ih ih. Convinta di aver visto un fantasma mi sa… - si
disse Kaguya rimettendosi in cammino e sorridendo.
Yuu e Mika… Yuichiro e Mikaela Hyakuya… Li aveva
trovati proprio in fretta.
E poi la bambina la aveva vista… Qualcosa le diceva che per
una volta la missione non la avrebbe annoiata.
[1]: “Pneuma” significa respiro, aria o soffio
vitale in Greco (fonte: Wikipedia)
[2]: “Mmm… Viole del pensiero… Quindi
sai che mi trovo ancora qui, ad occuparmi di tutto per conto tuo, mia
cara piccola principessa” (fonte: Google traduttore)
[3]: “Viola e bianco… è proprio da
te” (fonte: Google traduttore)
[4]: “Maledetto cane da guardia… Tu sai proprio
come irritarmi. Cosa altro puoi volere da me questa
volta…” (fonte: Google traduttore)
[5]: I “Geodes”/Geodi sono gli Shinigami coi
mantelli scuri. A differenza di Shards e Jewels, non hanno volto od
identità, rappresentano la maggior parte dei Tristi
Mietitori presenti e, seppure partecipino alla raccolta delle anime, ne
vengono subito privati perché non le divorino, causando
problemi ad esempio nella registrazione dei morti.
Angolo
dell’autrice
Rieccomi
qui. Ormai il mio corso scolastico sta prendendo quasi tutto il mio
tempo e ci tengo a non scrivere roba fatta male quindi eccomi qui.
Come
promesso, Yu e Mika sono comparsi: cambierà qualcosa se
Kaguya si metterà in mezzo oppure ciò che li
attenderà a breve li separerà ancora?
Spero
che vi siate goduti il capitolo e che magari vogliate lasciarmi un
piccolo commento.
Alla
prossima pagina della storia.
Crow
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