Titolo:
Ritorno a casa
Autore:
Liberty89
Genere:
Sentimentale, Triste
Rating: Verde
Personaggi:
D'Artagnan, Athos, Porthos, Aramis
Avvertimenti:
One-shot, Missing Moments
Note dell'Autore:
Salve a tutti! Non so se esistano già fan fiction di questo
tipo in questo fandom, in caso dovesse somigliare a qualcuna
già presente nella sezione chiedo perdono e assicuro che non
era mia intenzione plagiare nessuno. Dopo aver visto tutte e tre le
stagioni di The Musketeers (rivedendo la prima con nonchalance) ho aperto
word e ho scritto di getto. Questa breve (?) shot giace nel mio pc da
settimane e non so spiegare bene perché non l'ho pubblicata
subito, ma adesso è il suo momento, quindi lascio a voi il
giudizio.
Buona lettura!
Ritorno a casa
Era passata solo una settimana da quando aveva ricevuto la nomina a
moschettiere e forse era troppo presto, ma non poteva più
aspettare. Al termine dell'adunata mattutina, che lo aveva lasciato
privo di incarichi da svolgere, D'Artagnan si era diretto di buon passo
verso l'ufficio del capitano, seguito dagli sguardi incuriositi dei
suoi tre fratelli d'arme. Quando si trovò davanti agli occhi
acuti di Treville, il giovane capì che l’uomo
già sapeva cos'era andato a chiedere. Lo stupore e la
gratitudine nel vedersi approvare quella settimana di licenza furono
grandi, ma lo furono anche di più quando sentì
Treville chiamare gli Inseparabili per avvisarli che lo avrebbero
accompagnato nel suo viaggio.
L'inizio del viaggio vide D'Artagnan alle spalle del suo mentore e con
Porthos al suo fianco, intento a raccontargli il suo ultimo successo
nella partita a carte della sera prima. Il guascone rise di cuore delle
vicende dell'amico e sembrò non fare caso al percorso scelto
da Athos, che proseguiva ben lontano dalla locanda maledetta che aveva
visto la morte di Alexandre D'Artagnan in quel funesto giorno di
pioggia torrenziale.
Al mezzodì successivo, Aramis aveva ceduto il proprio posto
al giovane moschettiere, che affiancato l'ex Conte, aveva iniziato a
farsi pensieroso e poco propenso alla chiacchiera, che fosse di natura
leggera o meno. D'Artagnan fece finta di nulla, ma avvertiva gli
sguardi preoccupati dei fratelli puntati sulla sua schiena come se li
stesse guardando in faccia. L'avvicinarsi della sua terra natia,
però, l'aveva reso silenzioso e indifferente alle altrui
ansie. Si era chiuso in un gelido isolamento che verso la fine del
tragitto lo aveva portato a capo del gruppo, di poco davanti ad Athos,
e che quasi gli aveva fatto perdere memoria dei tre cavalieri che lo
accompagnavano.
Il suo cuore tremava a ogni passo della sua cavalcatura. Sapeva che la
sua fattoria era stata distrutta, ma non aveva mai saputo in che misura
e se fosse morto qualcuno dei braccianti che avevano continuato a
lavorare per la famiglia D'Artagnan. Fu con un respiro tremolante che
compì il primo passo nella Guascogna e si sorprese a
trattenerlo quando giunse al sentiero che lo avrebbe ricondotto a
Lupiac e al luogo in cui un tempo sorgeva la sua casa; persino la sua
cavalla si era innervosita e ne diede dimostrazione con un breve
nitrito e battendo due volte sul terreno con la zampa anteriore destra.
Charles D'Artagnan allora tirò piano le redini e scese di
sella, affiancandosi al collo della giumenta per carezzarlo, un gesto
che servì a calmare lei e a dare un poco di coraggio al suo
cuore impaurito. Così, cavallo e cavaliere ripresero il
cammino, seguiti da un silenzioso trio che proseguì a piedi
a propria volta, le redini strette tra le dita.
Isaac
Shepard – Leaves In The Wind
Il sole bruciava di rosso a ovest quando D'Artagnan ebbe raggiunto la
cima della collina e nulla impedì al suo cuore di perdere
più di un battito. Un cumulo di resti anneriti e grigi di
cenere occupava il posto in cui fino a pochi mesi prima sorgeva la
fattoria della sua famiglia. Nessun edificio si era salvato dalla furia
dell'incendio appiccato da Labarge: il fienile con le stalle non
esisteva praticamente più, lo stesso valeva per tutto il
lato sinistro della casa, mentre il destro si mostrò
accasciato su se stesso, come uno stanco viaggiatore che ha ceduto al
peso della fatica.
La cavalla sbuffò piano, toccando la guancia del suo padrone
con il muso umido. Inconsciamente, D'Artagnan cominciò a
mormorare una vecchia canzone nel dialetto guascone: era una canzone
che i bambini intonavano alla fine dell'estate, per salutare i campi
che si preparavano a cedere al sonno dell'inverno dopo l'autunno. Anche
lui l'aveva cantata, sempre da quando aveva memoria, seduto attorno al
fuoco al centro di Lupiac e poi accanto a suo padre a ogni solstizio,
quando passavano attraverso i campi freddi e vuoti. Quelle parole erano
un augurio per la primavera che sarebbe giunta dopo i mesi freddi, ma
per lui ora erano divenute parole di cordoglio e addio,
perché per la fattoria dei D'Artagnan non ci sarebbe mai
più stata la primavera.
Sotto gli sguardi preoccupati e un poco confusi dei suoi compagni
moschettieri, il giovane guascone avanzò da solo per il
sentiero che conduceva a ciò che restava della casa
padronale, la sua cavalla nitrì appena e rimase
lì ad attenderlo. Sempre mormorando quelle parole
nostalgiche, egli raggiunse l'aia e poi cambiò direzione,
volgendo a destra per girare attorno ai resti della sua vecchia vita e
arrivare a un piccolo spiazzo che non era sfuggito alle fiamme di
Labarge. Esso si trovava dietro la casa, quasi vicino al fienile, e
avrebbe potuto semplicemente passare attraverso il rudere per
raggiungerlo ma il suo cuore gliel'aveva impedito. Vide i tre tumuli di
pietra ancora saldi sul terreno bruciato, i nomi incisi si leggevano
appena ma lui sapeva distinguerli e sapeva benissimo quali fossero
quelli dei suoi nonni e quale quello di sua madre. La tomba di suo
padre invece giaceva lontana da Lupiac, presso il cimitero di una
piccola chiesa poco distante da quella locanda maledetta. Era ingiusto,
forse sbagliato, ma il cuore gonfio di dolore di Charles
D’Artagnan non aveva potuto fare di più.
Nell’esatto momento in cui s’inginocchiò
di fronte alla tomba di sua madre, il giovane moschettiere seppe che
quella sarebbe stata l’ultima occasione per dare un saluto
degno e chiedere perdono, perché non sarebbe mai
più tornato a Lupiac. Parlò e parlò, e
non gli venne difficile parlare il proprio dialetto, raccontando ogni
cosa successa negli ultimi mesi, la fortuna che aveva avuto nel trovare
tre fratelli d’arme così valorosi e nobili e si
scusò per aver mancato, per non essere riuscito a proteggere
la sua eredità lì in Guascogna, per non aver
potuto seppellire suo padre vicino ai suoi cari, al posto che gli
spettava.
Era ormai l’imbrunire quando il ragazzo si fermò
accanto alla sua cavalla. Le mormorò qualcosa
all’orecchio in guascone e quella replicò con uno
sbuffo per poi mordergli la stoffa della casacca per dispetto.
D’Artagnan ridacchiò appena, dopodiché
sollevò lo sguardo sui suoi fratelli che si erano accomodati
alla base di una grande quercia poco lontana. Li guardò uno
a uno, studiando i loro volti da lontano e loro parvero non accorgersi
del suo esame, poiché presi da una fitta conversazione
sussurrata, quasi fossero in chiesa e non volessero farsi sentire.
Passò una mano sul collo del cavallo e ne raccolse le
redini, quindi s’incamminò verso i compagni.
Athos fu il primo ad alzarsi in piedi per accoglierlo con uno sguardo
intenso, che diceva tutto ciò che il moschettiere non
sarebbe mai riuscito a esprimere con le parole. Aramis e Porthos si
mossero all’unisono e anche loro comunicarono in silenzio il
loro pensiero: lo spagnolo sollevò la tesa del cappello,
mentre il secondo incrociò le braccia sull’ampio
torace e semplicemente annuì. Davanti a loro, il giovane
guascone si sentì più leggero, in pace con se
stesso, e sorrise, grato alla vita e a Dio per avergli donato questa
nuova famiglia dopo che aveva perduto la sua.
-Torniamo a casa.- disse Charles D’Artagnan prima di montare
in sella e voltare le spalle al passato e a ciò che non era
più.
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