XIII Order

di Registe
(/viewuser.php?uid=145229)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Capitolo 8 - Larxen





Xigbar





La prima volta che si era accorta di possedere la magia aveva avuto dieci, forse undici anni. Suo padre, il macellaio del paese, aveva portato le primizie del proprio mattatoio al piccolo tempio di Stagview in occasione della visita di un Cavaliere d’Argento. Si era alzato di buon mattino ed aveva insistito per portarla con sé. I suoi genitori non avevano mai negato l’idea di voler vedere la loro unica figlia o sposata con qualche bravo ragazzo o addirittura votata al servizio degli dèi in un qualsivoglia tempio della città, quindi sapeva già dall’inizio quante stupide e noiose chiacchiere avrebbero riempito la bocca di suo padre nel corso del viaggio sull’importanza di fare una buona impressione di fronte ai sacerdoti. Aveva provato a nascondersi dentro un barile vuoto per evitare la partenza, ma senza alcuna fortuna.
Il tempio di Stagview era ancora più noioso di quello del loro villaggio, con tante bambine della sua età disposte in riga a cantare inni sacri dirette da una sacerdotessa mascherata con un’armatura vecchia e brutta . Suo padre aveva provato a sospingerla verso il coro, ma senza successo. Si era messa in fila dietro di lui con in mano un cesto pieno di carne macinata quella mattina stessa, coperta con un panno, in attesa di lasciarla tra le mani del Cavaliere d’Argento, fare l’inchino di rito ed andarsene il prima possibile. Aveva provato a fare una linguaccia alle sue coetanee adoranti, ma l’unica che l’aveva notata, una mocciosetta con una lunga treccia nera, era esplosa in lacrime ed aveva iniziato ad additarla.
Il rimprovero di suo padre sul fatto di essere una piccola monella irrispettosa di un luogo sacro agli dèi non si era certo fatto attendere, e si era ritrovata bloccata tra la sgridata, il pianto scemo della sua compagna, l’altare, la fila, le braccia che le pesavano e la noia insopportabile tutti insieme. Se avesse potuto, avrebbe distrutto quella gigantesca massa di idioti come faceva con il formicaio.
Fu proprio in quel momento che si era accorta del filo di fumo proveniente proprio dal suo cestino.
“Ehi, Larxen! Quel tuo sorrisetto non promette niente di buono, sai?”
“Stavo solo ricordando una cosa divertente, Xigbar!” rispose. Non era ancora del tutto abituata al proprio nuovo nome, ma il fondo anche i grandi banditi usavano dei soprannomi per essere ancora più temuti. “Un episodio molto divertente!”
Larxen mosse la mano, osservando la piccola saetta appena nata guizzare tra le dita. La fece correre un po’ sul palmo coperto dal guanto nero della divisa dell’Organizzazione: il piccolo incantesimo sfrigolava al suo controllo, divertito quanto lei al pensiero della nuova missione. Schioccò le dita e la scintilla volò dalla sua mano, diretta verso un cespuglio di rovi.
Il vecchio arbusto si annerì di colpo nel punto in cui i rami vennero a contatto con la magia, ma niente di più. Lei sbuffò e si concentrò di nuovo sulla magia, cercando di creare qualcosa di ancora più grosso.
“Finalmente una recluta che dà un po’ di soddisfazione! Il tuo sì che è un elemento serio, n. XII!”
Larxen lanciò un’occhiata allegra al suo interlocutore: Axel, il n. VIII dell’Organizzazione, le era sembrato l’unico davvero divertente in quella massa di stupidi. Con i suoi capelli rossi, i tatuaggi sulla faccia ed una discreta abilità nel bere e nel bestemmiare si era guadagnato il titolo di membro più simpatico del gruppo. Anche uno dei pochi intelligenti: Larxen avrebbe voluto scegliere come elemento il fuoco, ma Axel lo aveva preso già da tempo ed il Superiore aveva insistito per farle provare un altro tipo di magia. Aveva subito deciso per il fulmine prima che qualcun altro potesse accaparrarselo, ma era rimasta sconvolta dalla grande quantità di elementi stupidi, deboli e noiosi che i suoi superiori avevano già scelto.
Larxen, la Ninfa Selvaggia, la Regina del Fulmine.
Suonava dannatamente bene.
Provò ad aumentare ancora l’intensità della saetta, ma un rimbrotto di Xigbar, il n. II, glielo spense nella mano. “Per adesso basta incantesimi. Siamo arrivati, quindi concentratevi solo sulla missione. Se siete nel dubbio fate parlare me”.
Lei sbuffò, poco convinta, ma l’idea della sua prima missione ufficiale come membro dell’Organizzazione la solleticava abbastanza e spense la magia.
Erano passati circa dieci anni, ma il villaggio di Stagview era identico a come lo ricordava, solo ancora più grigio. Non era mai stata nelle miniere –un vero peccato, sarebbe stato davvero fantastico nascondersi nei cunicoli bui come i veri banditi- ma era chiaro che la cappa che copriva il cielo fosse dovuta a quelle montagne dove gli uomini lavoravano senza sosta. Respirò e sentì la fuliggine entrarle persino nella bocca.
Si erano teleportati nel bosco al di fuori del paese per non creare confusione, ma quando varcarono l’ingresso del centro abitato nessuno fece loro domande. Vide un paio di persone sollevare la testa dalla loro attività per lanciare uno sguardo preoccupato alla criniera rossa di Axel, e ad un cenno del suo superiore quello si sollevò il cappuccio. Dovevano essere una vista ben strana loro quattro –si erano trascinati dietro quella palla al piede dello stupido moccioso, il ragazzino che ovviamente si era ritrovato al n. XIII, l’ultimo di tutta l’Organizzazione- con le loro tuniche scure in mezzo a quella gente triste e grigia, eppure a parte le occhiate al n. VIII nessuno di quei noiosi paesani provò a rivolgere loro la parola. Passarono persino accanto a delle guardie, ma quei tre ragazzotti armati di lance arrugginite erano molto più intenti a rimuovere la fuliggine delle loro armature in cuoio che non a fermarli.
La cosa era piuttosto frustrante: non aveva senso essere vestiti come dei veri tipacci per poi non suscitare nemmeno un po’ di timore. Espresse il proprio pensiero a Xigbar, e quello schioccò la lingua con fare preoccupato. “Guarda lì, n. XII”
Larxen ebbe bisogno di qualche secondo per individuare la fonte del problema. Era una cosa minuscola, che non avrebbe mai notato senza il suggerimento del guercio; stava appollaiato sopra l’insegna del panettiere, ed avrebbe anche potuto trattarsi di una decorazione di cattivo gusto se non fosse stato per il muoversi agitato delle sue propaggini.
Un occhio, grande più o meno quanto il suo pugno, osservava la strada. Tutto intorno a lui dei tentacoli rossi e bluastri sibilavano abbarbicati alle catene dell’insegna: l’iride, minuscola rispetto all’intero bulbo, perlustrava velocemente tutto lo spazio a disposizione.
“Un Occhio di Zaboera” sbuffò il n. II, accelerando il passo. “È una creatura al servizio della famiglia demoniaca, non promette nulla di buono. Testa bassa e niente magia”.
“Quindi è vero ciò che si dice? Che i demoni vogliano conquistare il mondo ed ucciderci tutti?”
“Questo nemmeno il Superiore sa dirlo, n. XIII …”
Passarono al di sotto dell’insegna proprio come tutti gli altri villici, lo sguardo fisso sulla via mal lastricata. Tutti con le nocche strette intorni ai sacchi ed ai carri, una serie di occhiate preoccupate che Larxen non ricordava nella gente di Stagview preoccupata solo di cantare salmi e gioiosa di versare donazioni esorbitanti al Tempio delle Dodici Case. Il pensiero di avere qualcosa di appuntito da lanciare contro quell’occhio fluttuante ed usarlo come puntaspilli le ricordò che doveva ancora terminare la realizzazione della propria arma. Un’idea la aveva, ed in effetti dopo aver visto quel mostriciattolo la sua vena creativa sembrava rafforzata.
Fu solo dopo aver svoltato l’angolo che il loro superiore riprese a muoversi con un’andatura più lenta. “Sono anni che il Superiore cerca di comprendere cosa passi per la mente dei demoni. Ci sono regioni dove si è imposto con la forza, altre dove si fa meramente pagare dei tributi. Fidatevi, ormai nonostante decine di ricognizioni non so nemmeno più io cosa aspettarmi! Bah, beato chi li capisce i demoni!”
“La famiglia demoniaca è stata partorita dalle forze del Male. Sono usciti dal sottosuolo perché gli uomini hanno minor fede negli dèi ed hanno smesso di pregare con la convinzione di un tempo”
Larxen non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
Era idiota, così terribilmente idiota. E non solo quel pietoso ragazzino biondo, ma tutti. Quei minatori tutti tremanti, i sacerdoti, anche i suoi genitori che senza dubbio al momento si stavano chiedendo dove potesse essere finita la loro preziosa bambina. Era quella noiosa stupidità ad essere divertente.
Axel si unì a lei, guardando il piccoletto come se fosse un cagnolino ammaestrato alla ricerca di coccole senza nascondere la risata. Il n. II si limitò ad un sorriso, ma era chiaro che la pensasse come lei. “Pregare non credo che servirà a molto, Roxas. Certo, se vuoi inginocchiarti e pregare quell’Occhio di Zaboera sei libero di provarci, ma non credo servirà a molto. Direi di pensare alla missione, anche perché se i demoni sono in città non credo che avremo tutto il tempo del mondo”.
Giunsero nella piazza del villaggio di Stagview dopo qualche passo, e la vista del tempio fece riaffiorare in Larxen diversi ricordi.
Era pronta ad entrare e curiosare, ma il n. II puntò verso un’insegna con sopra un’oca gigante. “Santo cielo, sto iniziando a parlare come quella mummia di Vexen. Va bene, novellini, prima di entrare in azione il buon vecchio Xigbar vi farà assaggiare una birra come non ne fanno dalle altre parti!”
Larxen gli corse dietro sentendosi sempre più positiva per quella nuova avventura.
 
I salmi, la gente, le preghiere e l’interminabile fila. Se aveva sperato che Stagview si fosse evoluta dall’ultima sua venuta … beh, era chiaro che si fosse sbagliata di nuovo.
Il tempio era ancora più gremito di quanto ricordasse, con tante bimbette canterine e la gente carica di offerte. Quella massa di idioti era in grado di lasciarsi morire di fame piuttosto che non portare primizie agli dèi.
“Vediamo un po’ di cosa si tratta …” mormorò Xigbar. “Qualunque cosa sia, parlatene con me. Al momento dobbiamo solo valutarne la pericolosità. La comunicheremo al Superiore e lui ci darà ordini più precisi”.
“E se fosse qualcosa di davvero pericoloso?” chiese Larxen, già immaginando la scena. “Lo dovremmo distruggere, giusto? Lasciate fare a me, la Regina della Distruzione degli Oggetti Magici Misteriosi è qui per far scappare questa banda di bifolchi a gambe levate!”
Se dovesse trattarsi di qualcosa di problematico … ci limiteremo ad attendere una decisione del Superiore. Niente colpi di testa, n. XII”.
Il Superiore di su. Il Superiore di giù. Era partita contenta di viaggiare con il n. II, quello più simile ad un pirata con i capelli raccolti in una coda, la benda sull’occhio ed una vistosa cicatrice, eppure l’uomo si stava rivelando di una noia totale. Alla minima difficoltà non sapeva fare altro che nominare il suo prezioso Superiore nemmeno fosse un Cavaliere d’Oro. Per quel che le riguardava non aveva alcuna intenzione di ridursi ad un simile guscio privo di personalità.
Grazie al cielo quell’Axel non sembrava noioso come il n. II. “Da dove viene questo artefatto?”
“Da quel che sappiamo è stato rinvenuto nelle miniere circa dieci giorni fa. Il minatore ha detto di aver sentito un rumore, come il ronzio di uno sciame d’api, e si è precipitato a scavare. Gli uomini di Stagview lo hanno portato fuori e lo hanno collocato qui nel tempio, adesso cerchiamo di capire cosa davvero sia” disse Axel, accomodandosi su dei sacchi di grano accumulati appositamente per permettere ai pellegrini di sostare. “Il Superiore sostiene che certe cose è bene che stiano lontane dagli uomini”.
“E perché, se sono gli dèi a mandarcele?”
Larxen avrebbe molto volentieri conficcato uno dei suoi tacchi su per la gola del minuscolo biondino dagli occhioni grandi come quelli di una bambola tanto per farlo stare zitto. Il marmocchio era stato affidato all’ala protettrice del n. VIII, ma era chiaro che il rosso non avesse alcuna intenzione di fare da balia al piccolo religioso. “Nelle scritture del santo Hakurei è scritto Di ciò che i Celesti donano, gli uomini possono solo gioirne”.
Larxen si ritrovò sulle labbra una risposta in grado di comprendere il santo Hakurei, il suo libro ed un paio di usi dello stesso possibilmente in presenza di un camino scoppiettante, ma il tintinnare di campanelli richiamò la sua attenzione ed anche quella di tutti i presenti. Tre uomini robusti entrarono, sollevando l’oggetto proprio davanti all’altare.
L’artefatto era ben diverso da come lei lo aveva immaginato. Non vomitava né fuoco né saette, né la gente si decomponeva al solo toccarlo.
Era enorme, alto quanto un uomo. La sua superficie era di un materiale che lei stessa non aveva mai visto: a prima vista sembrava argento, ma non riluceva alla luce delle candele come invece facevano gli altri metalli. Dalla sua distanza non poteva certo vederne i dettagli, ma sembrava liscio, levigato come un ciottolo di fiume. Una sporgenza simile ad un arco ricurvo emergeva su uno dei lati, lunga circa come il suo avambraccio e dello stesso materiale dell’artefatto; emanava un rumore stranissimo, diverso da qualunque altro lei avesse mai ascoltato, flebile e soffuso. Sporse la testa per vedere meglio, ammettendo tra sé che una cosa simile non l’aveva mai vista né letta nei libri.
Gli abitanti di Stagview dovevano averlo ricoperto di olii rituali, perché non sembrava affatto uscito dalle miniere. Con la coda dell’occhio vide il giovane Roxas abbandonare il gruppo ed unirsi alla folla di fedeli adoranti.
“Osservate il miracolo!”
Un uomo, un vecchio sacerdote dall’armatura ingrigita –forse addirittura lo stesso presente al tempio il giorno del suo primo “contatto” con la magia- si frappose tra l’artefatto e la gente. Con una mano afferrò la sporgenza simile ad un arco e la tirò verso di sé.
Qualcuno gridò quando con un rumore stranissimo partì dell’oggetto mentre esso si aprì come se fosse una porta su cardini invisibili e rivelandone l’interno. Ne uscì una luce, ed il vecchio lentamente avvicinò una mano al cuore bianco dell’artefatto e ne estrasse prima una coppia di mele, poi una piccola forma di formaggio. Le passò ad un suo assistente e questo per poco non esplose in lacrime quando toccò il cibo. “Ecco le vostre offerte, fratelli miei. Le stesse offerte che lasciaste qui ben cinque giorni or sono. Toccatele. Osservate il prodigio con i vostri stessi occhi!”
La gente avanzò, sfiorando il cibo. Larxen allungò il collo, stranamente incuriosita dalla questione, ma si accorse che né Xigbar né Axel condividevano la sua curiosità.
Anzi, il n. II sembrava sinceramente divertito.
“Guardate come il tempo non abbia corrotto le vostre offerte. Gli dèi hanno portato in questa città un dono per i loro fedeli, e tutti voi vi siete mostrati degni della loro benevolenza” gridò il sacerdote. “Questa è una promessa di lunga vita, miei fratelli. E come questo miracolo è accaduto per le primizie che avete donato col cuore, così sono certo che anche i nostri corpi mortali ne trarranno giovamento! Portate oggi stesso i vostri cari, i vostri malati, e adorate ciò che gli dèi ci hanno concesso!”
Gli astanti si ammucchiarono uno sull’altro come un gregge di pecore che lottavano per un solo ciuffo d’erba, avvicinandosi all’artefatto per adorarlo.
Le tornò in mente lo stesso tempio, solo anni prima, quando il fumo proveniente dal suo cestino si era trasformato in uno scoppio di scintille facendo scappare la gente proprio come delle pecore disordinate. L’idea di lanciare una saette in mezzo a quella massa sarebbe stato divertente –prima o poi le sarebbero pur serviti dei bersagli mobili- anche solo per disperderle un po’, ma un visibile sghignazzare dei suoi due superiori la distolse. I due si erano spintonati a vicenda, forse complice un po’ la birra ordinata a pinte di poco prima, dietro una colonna per non farsi vedere.
“Ah, non ci provare, Axel! La responsabilità è tua!”
“Non credo proprio. Sei tu il superiore, qui dentro!” disse il n. VIII, soffocando tutta la bocca nella manica della tunica, le lacrime agli occhi per il divertimento. “Tuo il numero basso, tuo il privilegio!”
Larxen si fregò le mani. In realtà non stava capendo gran che, ma se due persone come il n. II ed il n. VIII stavano ridendo in quel modo non poteva as-so-lu-ta-men-te restarne fuori. “Cosa mi sono persa?”
“Nulla, n. XII. Stiamo solo discutendo su chi di noi due dovrà fare rapporto al Superiore e spiegargli come mai il suo amato n. XIII, il suo figlio minore, il nuovo raggio di luce per la nostra Organizzazione e non ricordo nemmeno bene cosa altro ancora …” rispose Xigbar, ancora piegato in due  “… si sia appena inginocchiato davanti ad un frigorifero giurandogli eterna fedeltà. Cazzo, lo sapevo che dovevo portare la videocamera!” 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3696896