«Avanti Jake,
andiamo», ordinò una voce femminile, una voce che
Darrell riconobbe all'istante: Freya.
Provò a
voltarsi, o anche solo a girare il capo a destra e a sinistra per
vederla ancora una volta, almeno in sogno, ma non ci riuscì.
Si sentiva il terzo incomodo, come se non fosse lui il creatore di quel
sogno.
Il ragazzo si
avvicinò, non senza essersi voltato indietro un'ultima
volta, e con la fronte corrugata per l'irritazione sbottò
proprio di fronte a lui: «Ce ne andiamo così? Quel
tipo merita una lezione!».
Indicò un
giovane senzatetto, dal volto emaciato e sporco, con un paio di
penetranti occhi verdi e i capelli di un biondo pallido, come se avesse
provato a lavarseli con la candeggina - anche se l'ultima volta che si
era occupato della propria igiene personale doveva essere stata molto,
molto tempo prima, considerando l'odore e la condizione dei
suoi abiti, lerci e tappezzati di toppe di fortuna.
Stava seguendo ogni loro
movimento con espressione circospetta, sfregandosi le mani dalle unghie
incrostate vicino al fuoco che scoppiettava in un barile, e Darrell
avrebbe voluto chiedergli chi fosse, che cosa avesse fatto per
infastidirlo tanto, ma fu ancora Freya a parlare: «Non
abbiamo tempo, né per convincerlo né per
costringerlo ad abbracciare la nostra causa. Quanto impiegheremo a
raggiungere Glasgow?».
«Sono tre ore
e mezza di auto, quindi all'alba dovremo essere
lì».
«Bene,
perché ho bisogno di riposare».
Facendo il giro
dell'anonimo pick-up verde petrolio, Jake chiese: «Sempre per
la spartizione della forza vitale?».
«Già.
Darrell ora sta dormendo, ma domani mattina si sveglierà e
andrà al lavoro. Se uno dei due non si facesse da parte,
saremmo entrambi così deboli da essere praticamente
inutili».
Freya salì al
posto del passeggero e diede un'occhiata ai sedili posteriori, dove due
sorelle gemelle di quindici, massimo sedici anni, dormivano l'una
addosso all'altra, imbacuccate nei loro bomber dai colori fluo e con i
cappellini coordinati che contenevano i loro voluminosi ricci arancioni.
«Sono ancora
del parere che siano troppo piccole per venire con noi»,
mormorò Jake, guardandole a sua volta.
«È
stata una loro scelta. Adesso andiamo».
Il ragazzo
sospirò e mise in moto, quando lo straccione che all'inizio
aveva rifiutato il loro invito bussò ripetutamente al suo
finestrino, facendolo sobbalzare. Jake abbassò il vetro e il
biondo si spostò dalla fronte una ciocca di capelli
scoloriti.
«Ho cambiato
idea, vengo con voi», affermò prima di aprirsi in
un sorriso tutto denti.
Senza aspettare loro
istruzioni saltò sul retro del pick-up, incurante del freddo
che avrebbe patito all'aperto. Probabilmente ci era abituato.
Darrell, fino ad allora
spettatore silenzioso e terrorizzato, impiegò tutta la
propria forza di volontà perché la sua coscienza
prendesse brevemente il sopravvento su quella di Freya, permettendogli
di allungare una mano verso lo specchietto retrovisore e girarlo verso
di sé. Ciò che vide fu la prova definitiva,
quella che rese realtà il suo atroce sospetto: era davvero
intrappolato nel corpo di Freya.
La ragazza
ricambiò il suo sguardo, mostrandosi spaventata tanto quanto
lui, ma ebbe comunque la forza necessaria per riprendere il controllo e
cacciarlo fuori dalla sua testa.
Darrell sbarrò gli occhi, sudato tra le coperte del suo
letto, e per diversi minuti non riuscì a muovere un muscolo,
tant'era lo shock. A quel punto dubitava che fosse stato un semplice
sogno: c'erano troppe prove che dimostravano la folle ed assurda teoria
dell'esistenza della stregoneria.
Con le lacrime che gli rigavano il volto in un pianto liberatorio, il
poliziotto si tirò su seduto e si allungò verso
il comodino per prendere il block notes su cui, da una settimana a
quella parte, aveva iniziato a scrivere tutto ciò che
sognava: all'inizio erano state istantanee senza un preciso senso
logico, immagini che allo sbattere delle ciglia scomparivano; poi aveva
iniziato a captare rumori, parole a casaccio e frasi spezzate a
metà, come una radio che non riusciva a beccare la giusta
frequenza. Ora questo.
Rilesse tutto ciò che aveva scritto, guardò con
più attenzione gli schizzi che aveva disegnato e
cercò di dare un senso al tutto. Incredibilmente ci
riuscì: Freya stava cercando delle persone, attraversando
tutto il Regno Unito con Jake, scomparso misteriosamente il giorno dopo
la partenza di Freya. Adesso sapeva che non era una semplice
coincidenza e che stava bene, anche se non era certo di quanto potesse
stare bene qualcuno in compagnia di una strega.
Accese l'abat-jour e con le spalle contro la testiera del letto scelse
una pagina bianca per disegnare i volti dei ragazzi sconosciuti che
aveva visto in compagnia di Freya. Il minimo che poteva fare era
cercarli nel database della polizia. Sapere chi fossero o se avessero
delle famiglie da qualche parte non sarebbe servito a molto, ma forse
gli avrebbe evitato la pazzia. E a proposito di pazzi, iniziava a
pensare che fosse giunto il momento di scoprire le proprie carte con le
persone che riteneva sempre più collegate a tutte le
assurdità che gli capitavano: Artù e Merlino.
***
Merlino stava bevendo il suo caffé sulla veranda,
sorridendo, quando fu raggiunto dal solo ed unico re.
Entrambi guardarono Alex trottare in cerchio sulla groppa di Flash, il
cavallo nero che suo padre sarebbe stato costretto a vendere al primo
sconosciuto se lo stregone non avesse deciso di dargli una casa, per la
felicità dell'infermiera.
«Sono contento di essere riuscito a farti
ragionare», ruppe il silenzio Artù, dopo aver
bevuto a sua volta un sorso di caffé.
«Sì, anche io. La felicità di Alex
è più importante di una stupida auto».
«Non mi riferivo al fienile convertito a stalla per il
cavallo».
Merlino non dovette nemmeno guardarlo in viso per capire che in
realtà intendeva dire che era orgoglioso che avesse cambiato
idea e che presto avrebbe ufficialmente chiesto ad Alex di sposarlo.
Era iniziato tutto per colpa di Edwin, quando erano andati a prendere
il cavallo all'agriturismo. Il padre di Alex l'aveva preso da parte per
chiedergli se avesse già programmato il momento, magari dopo
una bella cena oppure in un luogo particolare, e Artù aveva
assistito al suo patetico arrampicarsi sugli specchi, capendo
immediatamente che non c'era in programma un bel tubo.
Dopo qualche pressione lo stregone non aveva potuto far altro che
cedere e aveva confessato i dubbi che l'avevano assalito dopo che Abby
aveva scoperto la storia della sua bisnonna: Louise McTrusty, il suo
ultimo e più importante amore prima di conoscere Alex.
In quella settimana il ricordo bruciante di Louise si era affievolito
ed erano bastate poche parole dell'ex re di Camelot perché
tornasse sui suoi passi: come essere immortale non avrebbe mai
dimenticato le donne che aveva amato nelle sue vite precedenti, ma non
per questo doveva rinnegarsi la felicità e l'amore nel
presente.
Diede le spalle al giardino e Artù lo imitò per
guardare ancora una volta l'anello di fidanzamento che ai tempi Edwin
aveva regalato a sua moglie Ellen e che aveva tramandato a lui. L'aveva
dissotterrato quella mattina all'alba, spronato da Artù, e
quando aveva riavuto il cofanetto tra le mani si era sentito
così rincuorato che aveva capito all'istante di aver fatto
la scelta giusta.
Merlino alzò gli occhi per incrociare quelli di
Artù e aprì la bocca per rispondergli, ma
Cathleen comparve in cucina con indosso solo una canottiera dalle
spalle fini e gli slip, sbadigliando senza ritegno.
Con più di millequattrocento anni sulle spalle, Merlino
aveva smesso di scandalizzarsi, ma Artù divenne rosso
porpora per il modo in cui andava in giro la sua donna, specialmente in
casa d'altri. Non ebbe però modo di aprir bocca,
perché il paramedico li notò e li raggiunse in
veranda per esclamare, tutta eccitata: «Non potete immaginare
che cos'ho sognato! Stavo mangiando una pizza, una pizza che sapeva di
torta al cioccolato! Avete mai fatto un sogno del genere?».
Merlino e Artù si scambiarono un'occhiata, sconvolti.
Avrebbero dovuto fare delle ricerche approfondite in merito all'albero
genialogico di Cathleen, perché c'erano delle volte in cui
era tale e quale a Sir Gwaine.
La rossa si stancò di aspettare la loro risposta e
sventolando una mano in aria, affermò: «Non sapete
che vi siete persi».
Quindi notò Alex alle loro spalle, la quale era scesa da
cavallo per dargli una carota fresca dell'orto dei signori Morris, e
alzandosi in punta di piedi sventolò un braccio nel
salutarla a gran voce.
L'infermiera sgranò gli occhi vedendola mezza nuda, ma poi
si sciolse in un sorriso e ricambiò con un cenno della mano.
***
Baqi, di ritorno dalla caffetteria della signora Begum, le
passò accanto senza rivolgerle nemmeno uno sguardo e Hala si
sentì morire dentro.
Si scusò con Keith, incrociato per caso quando era uscita
per prendere una boccata d'aria ed allontanarsi dalla visione di una
Abby addormentata e ciò nonostante sofferente, col volto
pallido e lividi violacei intorno agli occhi.
Non ricordava di averla mai vista in quello stato prima di allora: la
malattia era tornata all'attacco, aggressiva e spietata, e la lista
d'attesa per il trapianto di midollo non sembrava mai accorciarsi.
Raggiunse il gemello con una corsetta e lo afferrò per una
spalla, costringendolo ad affrontarla.
Erano diversi giorni che non le rivolgeva la parola, precisamente da
quando aveva scoperto che gli aveva tenuto nascosto di aver incontrato
il suo uomo immortale e, cosa ancora più grave, di aver
avuto conferma della sua teoria da Abby.
Lei aveva provato a giustificarsi, a dirgli che ciò che
credeva una ragazzina malata non era necessariamente la
verità, ma il fratello, ferito dal tradimento, non aveva
voluto sentire ragioni.
«L'ho fatto per te», esordì,
rispecchiandosi negli occhi di Baqi e rendendosi conto di quanto
suonasse patetica. Per questo aggiunse: «Non voglio che tu
finisca nei guai, okay?».
«Non sono un bambino, Hala; so badare a me stesso»,
replicò atono, scrollandosi la sua mano di dosso.
La pakistana guardò il fratello dirigersi verso le porte
scorrevoli e ad un tratto gli gridò dietro: «Non
puoi ignorarmi per sempre!».
Baqi non si voltò nemmeno, rispondendo semplicemente:
«Devo andare dalla signora Chapman, prima che il
caffè si raffreddi».
Quando fu scomparso all'interno del complesso ospedaliero, Keith
raggiunse la ragazza e le posò una mano tra le scapole in
segno di conforto.
«Fratelli, eh?», sospirò con un lieve
sorriso sulle labbra. «Io sono il più piccolo
della famiglia ed è sempre stato difficile. Eravamo sempre
in competizione».
«Non è il nostro caso»,
spiegò Hala, sistemandosi dietro le orecchie i lunghi
capelli neri. «Di solito è lui che fa arrabbiare
me, ma questa volta è colpa mia: sta lavorando ad una storia
ed io mi sono messa in mezzo».
«Sono certo che ti farai perdonare», le disse prima
di fare l'ultimo tiro alla sigaretta e di spegnerne il mozzicone
nell'apposito posacenere.
Il dottor Ellis si sporse per baciarle la guancia e la
salutò per tornare al lavoro, ma la pakistana se ne accorse
appena, riflettendo sulle sue parole: un modo per farsi perdonare
c'era, ma era l'idea più folle che potesse venirle in mente.
Ciò nonostante, sapeva di dover tentare.
***
Alex alzò gli occhi e guardò fuori dalla finestra
della cucina, avendo come l'impressione di essere stata di nuovo
catapultata a scuola.
Nel prato, Artù e Cathleen si stavano allenando al tiro con
l'arco e in quel momento avrebbe dato di tutto per raggiungerli e
mostrare all'antenato i propri progressi. Perché sui suoi
insegnamenti poteva esercitarsi, mentre su quelli di Merlino no. Per
carità, era felicissima che avesse finalmente deciso di
addestrarla a controllare la forza della magia, ma dubitava fortemente
che la teoria sarebbe servita a qualcosa con un'avversaria come Freya.
Doveva rimediare al danno che aveva fatto, rispedire la custode nelle
acque di Avalon, e per farlo doveva imparare a lanciare gli
incantesimi, ma Merlino si era come fossilizzato sulla pronuncia, sulle
buone intenzioni... Era come quando aveva convinto i suoi genitori ad
iscriverla ad un corso di chitarra: pensava che avrebbe subito iniziato
a suonare, invece il maestro l'aveva costretta ad imparare le basi del
solfeggio prima. Una vera delusione.
E a proposito di delusioni, quella simpaticona della donna misteriosa
non l'aveva più raggiunta in sogno dall'ultima volta. Alex
aveva così tante domande da farle... tra cui la
più importante: era davvero lo spirito di Morgana?
Il libro di Merlino - una copia di quello che Gaius gli aveva regalato
all'inizio della sua carriera di mago - cadde sul tavolo con un tonfo e
l'infermiera si voltò di scatto, trovando lo stregone con le
braccia conserte e un'espressione affranta sul viso.
«Se non trovi interessante ciò che sto dicendo
puoi dirlo apertamente», la sfidò.
Alex si addossò allo schienale, arricciando le labbra in una
smorfia d'insoddisfazione. «Non è che non
è interessante», spiegò. «Il
fatto è che è trascorsa una settimana e non mi
hai ancora permesso di fare nulla!».
Merlino abbandonò le braccia lungo i fianchi e si sedette di
fronte a lei con un sospiro, poi la guardò negli occhi e
ammise: «A meno che tu non voglia vedermi in preda alle
convulsioni, non puoi usare la magia».
L'infermiera aprì la bocca per chiedere che cosa volesse
dire, ma non ce ne fu bisogno: con la sua maledizione, Merlino si era
trasformato in una calamita attira magia e tutta quella che un tempo
scorreva libera nel mondo - nella terra, nel cielo e nei mari - ora era
intrappolata nelle sue vene. Lui era una delle poche fonti rimaste,
nonché la più potente, e se avesse davvero
provato ad utilizzare la magia... beh, la verità era che
l'avrebbe sottratta a lui.
«Quindi... quindi anche quando ho recuperato il tuo prototipo
dalla Centrale...», balbettò, capendo finalmente
come mai Merlino si era ritrovato con quella febbre da cavallo che
l'aveva costretto a letto per tutto il giorno.
«Va tutto bene», la rassicurò con un
sorriso, allungando un braccio per poterle stringere una mano.
«Non capisco... Come faremo a battere Freya senza la magia? E
lei come fa a non collassare? È pur sempre una creatura
magica! Pensi abbia trovato un'altra fonte?».
«Non lo so», fu costretto ad ammettere Merlino.
«Può darsi che essendo stata la custode di Avalon
per quindici secoli, sia la sua magia a tenerla in vita. Come
Artù, dopotutto».
Dopo aver gettato entrambi uno sguardo al re di Camelot, intento a
scoccare una freccia che non colpì il centro esatto del
bersaglio solo perché Cathleen lo aveva sbilanciato con un
colpo d'anca, lo stregone si alzò in piedi ed
uscì dalla cucina.
«Torno subito», le aveva detto, e in effetti pochi
minuti dopo era tornato con uno zainetto logoro sulla spalla, in cui
infilò una bottiglia d'acqua presa dal frigorifero.
«Stiamo andando a fare una scampagnata?», gli
chiese allora Alex, incuriosita.
Merlino annuì con un cenno del capo. «Un modo per
lottare ad armi pari con Freya c'è: anche se non mi piace
granché, è la nostra unica scelta».
Dopo aver preso anche un paio di merendine, il mago posò lo
zainetto sul tavolo e la guardò intensamente negli occhi,
con la stessa espressione corrucciata di un giudice indeciso su una
sentenza. Che per caso non la ritenesse in grado di affrontare quella
prova?
Un moto d'orgoglio le indurì il volto, permettendole di
ricambiare lo sguardo del moro. «Ce la
farò», affermò, convincendosi a sua
volta. «L'hai detto anche tu che devo credere in me,
no?».
Merlino si sciolse in un sorriso e le disse di prepararsi, mentre lui
avvisava Artù e Cathleen e sellava Flash.
Merlino la condusse nel fitto del bosco che delimitava la fine della
sua proprietà e seduta in groppa all'ex cavallo da corsa,
Alex avvertì una specie di fitta di dolore poco sotto al
seno, dove si era allacciata lo spesso corpetto di cuoio che usava come
protezione quando tirava di spada con Artù.
Aveva la sensazione di aver già visto quegli alberi,
moltissimo tempo prima, e più si avvicinavano alla radura su
cui brillava l'alto sole del primo pomeriggio più il dolore
aumentava, costringendola a stringere i denti.
Alex si portò una mano sul punto preciso e chiudendo gli
occhi ebbe una specie di visione, della durata di un paio di secondi.
Erano bastati però per vedere un giovanissimo Merlino
dall'espressione determinata e al contempo addolorata torreggiare sopra
di lei e trafiggerla con una spada unica nel suo genere: Excalibur.
«Fermo, fermo», esclamò, strappando le
redini dalle mani del mago.
«Che cosa c'è?», le domandò
sorpreso. Lentamente il suo sguardo si fece più attento,
notando la preoccupazione e il pallore mortale sul suo viso.
Alex deglutì, cercando di raccimolare il coraggio.
«Ho un brutto presentimento su questo posto. Non mi piace
proprio, sento... sento che è morto qualcuno, qui».
Merlino accennò appena un sorriso, abbassando mestamente gli
occhi. «È come immaginavo. Vieni, devi
sapere».
Lo stregone proseguì verso la radura, certo che l'infermiera
l'avrebbe seguito, e una volta scesa da cavallo lo fece. Lo raggiunse
davanti ad una piramide di sassi ricoperti di muschio e rimase in
silenzio al suo fianco, aspettando che fosse pronto a condividere con
lei il ricordo della persona che era morta proprio in quel punto, poco
prima che Artù venisse preso in custodia dalle acque di
Avalon. Alex aveva già capito di chi si trattava ovviamente,
ma non sapeva come né perché si fosse creato
quello strano legame tra loro.
«È qui che ho ucciso Morgana con
Excalibur», le confessò, cercando di celare
l'emozione che gli stava rompendo la voce. «Ho speso anni
della mia vita a struggermi e a domandarmi che cosa sarebbe successo se
l'avessi risparmiata. Poi, qualche settimana fa, Freya mi ha rivelato
che l'unico modo per liberarla da tutto l'odio e il dolore che provava
era proprio trafiggerla con Excalibur. La spada ha assorbito la magia
nera che aveva corrotto la sua anima e le ha donato la pace».
Merlino si voltò per incrociare i suoi occhi e sorrise di
nuovo, nonostante le lacrime minacciassero di bagnargli gli zigomi
spigolosi. «Non sapevo se credere o meno alle parole di
Freya, ma poi mi sono ricordato del tuo strano comportamento dopo il
ritrovamento di Excalibur e ho capito che aveva detto il vero. Il male
che aveva afflitto Morgana ha cercato di impadronirsi anche del tuo
cuore, dandoti la forza, la risolutezza e il potere a discapito della
gentilezza e della bontà».
Alex fissò la tomba della Grande Sacerdotessa e si
domandò se fosse proprio quella la ragione per cui aveva
iniziato a sentirsi così legata a lei, tanto da riuscire a
comunicare con il suo spirito e a rivivere sulla propria pelle i suoi
ricordi. E se davvero Excalibur era riuscita a purificare il suo cuore
poteva considerarla un'alleata, una guida preziosa nella lotta contro
il "grande male" della profezia?
«La nostra unica possibilità contro Freya
è Excalibur, come avrai capito», riprese Merlino,
lasciandosi scompigliare i capelli dal vento che si era alzato e stava
spettinando anche le fronde degli alberi. «La spada
è stata forgiata dal fuoco di un drago, perciò
è in grado di uccidere gli esseri immortali. Ed è
anche una delle ultime fonti da cui puoi assorbire la magia, ma nel
farlo assorbirai anche la magia nera di Morgana».
Alex fissò l'orizzonte, profondamente immersa nei propri
pensieri. Voleva davvero che Freya tornasse da dove era venuta, ma non
sapeva se a quelle condizioni il gioco valesse la candela. Ricordava
come si era sentita quando era stata in possesso di Excalibur: potente
ed invincibile, ma anche incapace di amare e di provare vera
felicità. Era disposta a sacrificare la parte migliore di
sé per avere qualche chance in più contro la dama
del lago?
«Non c'è modo di purificare la spada? Magari il
tuo prototipo funziona anche su Excalibur»,
esclamò, pur sapendo che se fosse stato così
semplice Merlino ci avrebbe già pensato.
Lo stregone scosse il capo, amareggiato. «Excalibur
è l'arma più potente mai creata, tanto da avere
quasi una coscienza propria. Risponde alle sue regole soltanto ed
è lei a scegliere le persone degne di impugnarla».
«Come il martello di Thor», provò a
stemperare la tensione Alex, con ben poco successo.
«Kilgharrah mi aveva avvisato, d'altronde... È
stata forgiata per Artù e Artù soltanto e se
qualcun altro l'avesse usata sarebbero accadute cose terribili. Se
fosse stato Artù ad uccidere Morgana, magari...».
«Il passato è passato», lo interruppe
Alex, prendendogli una mano e costringendolo a voltarsi, non prima di
non aver gettato a sua volta un'ultima occhiata alla tomba di Morgana.
Mentre ritornavano nei meandri del bosco, Merlino esclamò
mogio: «Forse la Triplice Dea sarebbe in grado di purificare
la spada, ma dubito che ci aiuterà dopo la tua presa di
posizione...».
Alex non pensava che avrebbe potuto sentirsi ancora più in
colpa, ma le parole di Merlino la smentirono. Non solo aveva liberato
Freya, si addirittura era inamicata una Dea!
«Torniamo a casa?», gli domandò,
sentendo il peso del mondo sulle spalle.
«No, prima devo mostrarti un'altra cosa».
Merlino la condusse fino all'ingresso di una specie di bunker scavato
nella roccia e le mostrò come accedervi. Quindi, con una
torcia elettrica pescata dallo zaino in una mano e le dita di Alex
strette nell'altra, la invitò a seguirla in quella che
chiamò la caverna di cristallo. L'infermiera non
capì a cosa si riferisse il nome fino a quando non si
ritrovò in una grotta in cui al posto delle stalattiti e
delle stalagmiti c'erano enormi cristalli che coi loro bagliori azzurri
rendevano inutile la torcia.
«È incredibile», soffiò,
incantata. Anche senza poteri, poteva percepire la magia che permeava
quella caverna.
Merlino sorrise e la fece avvicinare ad una roccia su cui pullulavano i
cristalli.
«Posso toccarli?».
«Sì, però potresti...».
Alex non si fermò ad ascoltare oltre il "Sì" e
non appena sfiorò la punta di una pietra la sua testa venne
bombardata di immagini e suoni, come se si fosse trovata davanti ad una
parete di televisori, tutti sintonizzati su canali diversi. Tra quelle
che riuscì ad afferrare, vide i figli addottivi della nonna
di Abby - Hala e Baqi - arretrare spaventati nella cappella
dell'ospedale; vide Jake ai piedi del letto di una Freya addormentata e
un ragazzo dai capelli biondo pallido che li spiava dalla fessura della
porta; vide un ciondolo d'argento con incise tre spirali intrecciate in
raffinati ghirigori; vide Darrell impugnare Excalibur ed alzarla verso
il cielo.
Per fortuna Merlino l'allontanò dai cristalli prima che il
suo cervello si liquifacesse e le uscisse dalle orecchie.
«Che cosa...?», riuscì a balbettare,
adagiata a peso morto contro il petto di Merlino.
«Stavo cercando di avvisarti che avresti potuto avere delle
visioni», la rimproverò, ma senza metterci troppo
impegno.
Aspettò che recuperasse il senso dell'equilibrio, anche se
il mal di testa le sarebbe rimasto fino a sera, poi la
lasciò andare.
«Quindi le sfere di cristallo delle chiromanti...»,
iniziò a chiedere Alex, per venire bruscamente interrotta.
«Non scherziamo».
«Come siamo suscettibili», bofonchiò,
tornando a guardare le pietre ma tenendosi a debita distanza.
«Quindi ho visto davvero il futuro?».
«Sì. Ma bisogna fare molta attenzione con queste
visioni: se mal interpretate, possono portare a conseguenze disastrose.
Credimi, lo so per esperienza».
Le capacità di ragionamento di Alex avevano risentito della
quantità di informazioni ricevute, perciò
impiegò qualche minuto per metabolizzare il tutto e avvisare
lo stregone: «Ho visto Freya. E Jake! Jake era con
Freya!».
Merlino sgranò un poco gli occhi, allibito.
«Jake... Il ragazzo che lavorava alla caffetteria della
signora Begum, quello scomparso? Ne sei sicura?».
L'infermiera annuì con un deciso cenno del capo.
Non c'erano stati servizi al telegiornale, ma nel loro minuscolo
paesino, in cui non era mai successo nulla di simile, la notizia aveva
lasciato tutti sconvolti.
Nell'ultima settimana Darrell aveva interrogato pressoché
tutti e perquisito più volte l'appartamento del ragazzo per
ricostruire le sue ultime ventiquatt'ore, ma non aveva scoperto nulla
di rilevante: se aveva deciso di andarsene spontaneamente non era stato
pianificato, se qualcuno l'aveva rapito non aveva lasciato tracce e se
per caso, tornando a casa di sera, al buio, fosse caduto in qualche
fosso o addirittura nel lago, il corpo ormai avrebbe dovuto essere
stato avvistato. Sembrava semplicemente svanito nel nulla, ma ora
sapevano che non era così.
Alex si dimenticò di dirgli il resto, troppo sconvolta
dall'improvviso colpo di scena, e Merlino non se ne curò
particolarmente.
In silenzio guardò lo stregone spingersi verso un angolo un
po' nascosto, arredato alla bell'e meglio con un lenzuolo come tenda,
un sacco a pelo per terra, diverse candele, una sedia pieghevole con
sopra qualche libro e una vecchia cassapanca. Fu proprio quest'ultima
il suo obiettivo: si chinò all'interno e spostò
via diverse cianfrusaglie fino a quando non trovò
ciò che cercava, ossia un piccone da vero minatore.
«Che vuoi fare con quello?», gli
domandò, ora spaventata. Non gli avrebbe permesso di
infrangere nemmeno una di quelle meraviglie!
«I sogni sono solitamente più precisi dei
cristalli, però non si possono controllare. Non possiamo
lasciare che Freya ci colga di sorpresa,
perciò...».
«Vuoi portarti a casa un pezzo di grotta», concluse
Alex per lui, seguendolo con lo sguardo mentre si avvicinava agli
stessi cristalli che aveva sfiorato poco prima.
Sollevò il piccone e le rivolse un sorriso smagliante,
rispondendo: «Bingo».
Merlino si stancò in fretta, ma riuscì a portare
a termine il lavoro.
Dalla cassapanca tirò fuori un sacco di juta che doveva
avere almeno cento anni e lo usò per infilarci il pezzo di
roccia che aveva spaccato dal masso principale, su cui spuntavano come
funghi almeno una decina di cristalli azzurrognoli.
Sudato e ansante, si caricò il sacco in spalla ed
iniziò ad avviarsi verso la scalinata, ma dovette fermarsi
quando si accorse che Alex gli dava le spalle, con lo sguardo puntato
verso un'altra apertura della caverna, da cui proveniva un bagliore
diverso rispetto a quello dei cristalli. Un bagliore dorato.
«Che cosa c'è lì?», gli
domandò ad un tratto, con voce quasi spiritata.
Lo stregone sospirò. Aveva temuto quel momento, temuto che
tra Alex ed Excalibur si fosse ormai creato un legame e che ancora una
volta Freya avesse avuto ragione: la spada l'aveva scelta e l'avrebbe
sempre attratta a sé, che lo volesse oppure no.
«Lì c'è Excalibur», le
confessò, certo che la sua domanda fosse stata una semplice
formalità.
Non voleva che Alex si lasciasse corrompere dal potere e dalla magia
nera assorbita da Morgana, ma era anche consapevole che la spada era
l'unico modo per rispondere alla magia di Freya e fermarla.
«La scelta è tua», si costrinse a dire,
ignorando quella parte di sé che avrebbe voluto proteggerla.
Non ci riuscì troppo bene, dato che si affrettò
ad aggiungere: «Puoi pensarci su, abbiamo tempo».
In realtà non ne avevano, ma sperava che nel frattempo i
cristalli li avrebbero aiutati a scoprire le intenzioni di Freya, in
modo da poter escogitare un piano per contrastrarla, preferibilmente
che non prevedesse l'utilizzo della magia.
Alex fece un passo verso l'insenatura, spinta da una forza invisibile,
ma in qualche modo riuscì a scuotersi di dosso il torpore
magico e si voltò per raggiungerlo. Merlino ne fu
così colpito che la guardò incredulo: ci voleva
una forza non comune per ribellarsi al richiamo di una magia potente
come quella dei draghi.
«Andiamo, Flash si starà spazientendo»,
gli disse prima di chiudergli la bocca con due dita sotto il suo mento
e superarlo.
Lo stregone sorrise e la seguì, sollevato.
***
Cathleen aveva iniziato il turno alle tre di pomeriggio,
perciò incrociò Merlino e Alex mentre si
preparava a tornare a casa da Artù.
Da quando erano tornati dalla Residenza Shaw ed erano diventati una
coppia a tutti gli effetti, la rossa aveva trascorso quasi tutte le
notti nell'enorme letto a baldacchino dell'ex re di Camelot e aveva
iniziato a considerare la villa dello stregone la sua nuova casa e lui
e Alex i suoi coinquilini.
Era stato strano all'inizio, ma si era ambientata in fretta.
Sicuramente più in fretta di loro, che non si erano ancora
abituati del tutto a vederla nella sua formosa bellezza oppure a
ritrovarsela in bagno anche nei momenti più privati.
La mamma di Zachary le diceva sempre che non si conosceva veramente una
persona fino a quando non si viveva sotto lo stesso tetto e nel corso
di quella settimana di convivenza aveva dovuto darle ragione
ogniqualvolta si era ritrovata davanti a comportamenti ed abitudini che
non aveva mai notato prima né in Merlino né in
Alex. Specialmente il mago l'aveva lasciata piacevolmente di stucco in
diverse occasioni, tanto che si era chiesta come avesse potuto odiarlo
tanto non appena si erano conosciuti. Certo, lui aveva ficcanasato
senza ritegno nella sua vita privata tanto da pedinarla, ma allora non
aveva la minima idea di chi fosse in realtà. Adesso invece
adorava stare in sua compagnia, divertendosi a punzecchiarlo o
semplicemente rimanendo in silenzio.
Per questo fu facilissimo per lei leggere nei suoi occhi che doveva
essere successo qualcosa mentre lei non c'era. E qualcosa di serio per
giunta, dato che Merlino aveva smesso di lasciarsi prendere dal panico
da moltissimo tempo ormai.
«Che cosa mi sono persa?», chiese il paramedico,
sciogliendosi lo chignon per frizionarsi i lunghi capelli con una mano.
Sentendo la sua voce Merlino parve riaversi e guardò Alex al
suo fianco. «Tu vai, l'aggiorno io».
L'infermiera annuì e si sporse per posargli un frettoloso
bacio sulle labbra, quindi passò accanto a Cathleen e senza
più voltarsi indietro raggiunse l'ascensore che l'avrebbe
portata al quarto piano.
Cathleen guardò il volto livido dello stregone ed
iniziò a preoccuparsi sul serio. Pensò a decine
di possibili catastrofi, ma il suo primo pensiero andò alla
persona più importante di tutte.
«Artù sta bene, vero?», gli chiese,
facendo sbocciare un sorriso sulle labbra del mago.
«Sì, non ti preoccupare. Si tratta dell'agente
Fisher».
Il paramedico trasse un sospiro di sollievo e seguì Merlino
fuori dall'ospedale, fino al parco aldilà del parcheggio.
Una volta seduti sulle altalene, si fece offrire una sigaretta e le
raccontò della visita di Darrell.
Merlino si
alzò per andare ad aprire alla porta e fu sorpreso di vedere
l'agente Darrell Fisher dall'altra parte, ma non tanto quanto Alex, la
quale sembrò voler sparire sotto il tavolo quando Darrell
varcò la soglia della cucina, dove avevano informato
Artù della loro visita alla caverna di cristallo.
Non indagò
però, colpito dal terribile aspetto del ragazzo: capiva che
l'ultima settimana doveva essere stata spossante per via della
scomparsa di Jake, ma il Darrell che si trovavano davanti sembrava
invecchiato di almeno cinque anni.
«Ho bisogno
del vostro aiuto», esordì, anche se con tono
scettico.
«Che cosa
possiamo fare per te?», gli chiese Merlino, indicandogli di
sedersi al tavolo, proprio di fronte ad Alex, ed offrendogli una tazza
di té.
«Voglio la
verità».
La determinazione con
cui disse quelle parole fece scorrere un brivido sotto la pelle di
Merlino, ma nel rispondergli si dimostrò tranquillo e anche
un po' confuso.
«A che cosa ti
riferisci?».
«Alle vostre
vere identità», replicò, indicando lui
ed Artù, ma in particolare l'ex re di Camelot, a cui si
rivolse direttamente: «Sono successe troppe cose strane da
quando sei comparso tu, con le tue armi e il tuo abbigliamento da
cavaliere medievale».
Un silenzio tombale
calò nella stanza, raggelando i tre e facendo capire a
Darrell che ci aveva visto giusto.
«Myra ha dato
le dimissioni; ho ospitato in casa mia una ragazza che ho trovato
bagnata fradicia e con indosso un vestito principesco; a casa
tua», e indicò Alex, «c'è
stata un'effrazione per cui la mia principale sospettata è
Cathleen Shaw, la quale guarda caso è una vostra amica; e
ora sono sull'orlo della pazzia perché ho sognato Freya in
compagnia di Jake, misteriosamente scomparso una settimana
fa».
Quando
terminò, Darrell aveva un leggero fiatone e gli occhi fuori
dalle orbite. Nessuno si degnò a dargli delle risposte e a
quel punto non poté far altro che pregarli, prendendosi i
capelli tra le mani: «Se mi sono innamorato di una qualche
fottuta strega, ho bisogno di saperlo».
A quelle parole Alex
sobbalzò, ma ancora una volta Merlino decise di ignorare il
suo strano comportamento per concentrarsi sull'agente Fisher.
«Che cosa ti
fa credere che Freya sia una strega?».
E allora Darrell
rischiò quasi di scoppiare in lacrime, raccontando
ciò che all'inizio aveva ritenuto un semplice incubo e che
col passare dei giorni aveva capito essere stato l'incantesimo con cui
la ragazza lo aveva legato a sé, cibandosi della sua linfa
vitale come un parassita. Poi narrò loro il sogno che aveva
fatto quella notte, o meglio di come era riuscito ad entrare nella
mente di Freya e a sbirciare quello che stava combinando.
Merlino, Alex e
Artù si scambiarono occhiate preoccupate per una dozzina di
secondi, fino a quando l'agente non ammise di essere stato onesto con
loro, rischiando pure di farsi dare del pazzo, e che ora meritava lo
stesso tipo di franchezza.
Alex e Artù a
quel punto avevano fissato Merlino, in attesa della sua decisione. Il
moro ci pensò su e alla fine fece quello che nessuno si
aspettava: si alzò ed uscì dalla cucina. Darrell
si prese nuovamente la testa tra le mani, disperato, ma la
rialzò di colpo scorgendo Merlino rientrare con un piccolo
quaderno dalla copertina di pelle tra le mani.
«Che
intenzioni hai?», chiese Artù, riconoscendo il
reperto.
Merlino lo
posò di fronte all'agente e disse: «Io ti credo,
Darrell. Ma prima di dirti la verità sul nostro conto devo
essere sicuro che ci creda anche tu. So che ti sembra assurdo e da
pazzi, ma voglio aiutarti».
«E come pensi
di fare? Facendomi il test di Rorschach?».
Lo stregone
abbozzò un sorriso. «Nulla del genere. Devi solo
sfogliare questo quaderno e vedere che succede: se le figure reagiranno
al tuo tocco, allora avrai la conferma che Freya ti ha lanciato un
incantesimo, conferendoti parte della sua magia, e potrai metterti
l'anima in pace».
Darrell
deglutì a vuoto, allungando una mano tremante verso il
quaderno. Lo aprì all'incirca a metà, trovandosi
di fronte ad un disegno fatto a carboncino, il cui protagonista era un
bambino di circa tre anni seduto su un cavallo a dondolo, con un
piccolo elmo calato sulla testa e una spada di legno nella mano destra.
L'agente Fisher stava
per chiedere spiegazioni, quando all'improvviso il cavalluccio
iniziò a muoversi avanti e indietro e il bambino
brandì la spada fingendo di dover tagliuzzare nemici a
destra e manca.
Scorgendo il disegno
muoversi, sia Alex che Artù smisero di trattenere il
respiro. Anche Darrell reagì più o meno nello
stesso modo, anche se quello che gli sfuggì dalle labbra fu
un singhiozzo. Merlino gli portò una mano sulla spalla e lo
lasciò sfogare, realizzando amaramente che le loro
possibilità di fermare Freya potevano essere diminuite
ancora.
«Abbiamo trascorso le due ore successive a riassumergli chi
siamo e qual è il nostro destino, a rispondere alle sue
domande e ad ipotizzare quale siano le intenzioni di Freya»,
concluse Merlino, sospirando stancamente.
«Credi davvero che stia radunando un esercito di
maghi?», gli chiese Cathleen, osservando gli identikit che
Darrell aveva dato loro: c'erano Jake, due ragazzine pel di carota e un
giovane senzatetto con due occhi che avevano già visto
troppo. Come immaginava, immettendoli nel database della polizia non
aveva ancora ottenuto alcun riscontro, ma avrebbe continuato a provare.
Lo stregone si strinse nelle spalle, insicuro. «Ha sempre
detto che in giro per il mondo c'erano maghi e streghe che non avevano
idea dei loro poteri perché, in mancanza di fonti magiche,
erano sempre stati assopiti. Mettiamo che abbia trovato questi ragazzi
e li abbia convinti a seguirla... Come risveglierà la magia
che è in loro? Deve avere in mente qualcosa, altrimenti non
si sarebbe data tutto questo disturbo».
Il paramedico sbuffò, restituendogli i disegni e cancellando
i solchi che aveva lasciato sulla sabbia umida. «E quindi ora
che cosa facciamo? Usiamo Darrell come sfera di cristallo?».
«È più complicato di così.
Darrell ci ha raccontato che non aveva mai avuto una visione
così chiara prima e che Freya ad un certo punto si
è resa conto di essere osservata. Di sicuro
alzerà le proprie difese e magari proverà anche a
fare lo stesso per scoprire se Darrell ci ha detto qualcosa. Se ci
dovesse riuscire perderemmo qualsiasi vantaggio».
«E non c'è un modo di spezzare
l'incantesimo?», domandò ancora Cathleen,
innervosita.
«Una volta ho avuto a che fare con un potente stregone che
aveva rinchiuso la propria anima in un gioiello per poter tornare e
vendicarsi su Camelot, ma qui parliamo di connessione tra due anime...
Non ho idea se si possa annullare e se anche lo sapessi, le mie
condizioni non me lo permetterebbero».
Cathleen sbuffò di nuovo e quella volta si alzò
in piedi, sbottando: «Beh, c'era da aspettarselo. Quella
tizia è rimasta in un lago per quindici secoli, è
ovvio che abbia sfruttato la prima occasione per assicurarsi
di non ritornarci tanto presto. Peccato che ad andarci di mezzo sia
stato l'agente Fisher. Lui voleva solo aiutarla! Ed ecco il
ringraziamento».
«Fa arrabbiare anche me», commentò lo
stregone, quasi di riflesso.
Gli dispiaceva sul serio per Darrell - era l'ennesima vittima innocente
dei complotti dei custodi della magia - ma al momento era
più preoccupato per Alex. Non solo perché a quel
punto le possibilità che fossero costretti a tirare fuori
Excalibur dalla roccia erano più che concrete, oppure che
l'esito negativo del test di compatibilità l'avrebbe
distrutta come la perdita del piccolo Steve, ma anche perché
aveva capito che c'era qualcosa che non gli stava dicendo a proposito
dell'agente di polizia. Non voleva metterle pressione - ne aveva
già abbastanza - né farle pensare che non si
fidasse di lei, perciò era rimasto in silenzio, in attesa
che facesse lei il primo passo. Quando sarebbe successo, non lo sapeva.
Odiava non avere risposte e in quel periodo ne aveva pochissime, cosa
che peggiorava ulteriormente il suo umore già a terra.
Merlino guardò l'orologio dal vetro scheggiato che aveva al
polso e disse a Cathleen che doveva andare. Aveva una questione da
risolvere e non poteva più rimandare.
«Okay, allora ci si becca a casa», lo
salutò porgendogli il pugno chiuso e lo stregone lo
colpì col proprio, sorridendo.
Aveva fatto solo qualche passo quando gli venne un'idea che gli avrebbe
evitato un inutile dispendio di energie.
«Ehi, Cath!», richiamò l'attenzione del
paramedico. «Ti andrebbe di darmi una mano a spaventare
qualcuno?».
Sul volto della rossa si aprì un sorriso pieno di
eccitazione e dopo aver inviato un SMS ad Artù per avvisarlo
del ritardo lo seguì verso la piscina coperta che presto,
grazie alla donazione della Regina Elisabetta in persona, sarebbe
tornata agibile per le avanzate sessioni di fisioterapia. Ci passarono
solo davanti però, dato che il luogo fissato per l'incontro
era la cappella dell'ospedale.
Merlino aveva ricevuto quell'invito mentre Darrell veniva reso
partecipe dell'enorme guaio in cui si era trovato coinvolto e aveva
capito subito che nonostante arrivasse dal cellulare di Abby non era la
ragazzina la mittente: uno, sapeva che le sue condizioni attuali non le
permettevano nemmeno di scendere dal letto; due, non aveva senso che
volesse incontrarlo a mezzanotte nella cappella.
Sapeva esattamente chi fosse il suo appuntamento e dopo aver informato
Cathleen del piano che aveva già architettato,
forzò la porta della sagrestia ed entrarono.
***
Alex tirò fuori i capelli dal collo della maglietta azzurra
e se li legò rapidamente in una coda di cavallo, quindi
uscì dallo spogliatoio e raggiunse subito il ricevimento,
dove ritirò le consegne del turno e una busta chiusa con il
timbro dell'ospedale sullo spazio riservato al mittente: l'esito
dell'esame di compatibilità per la donazione di midollo.
Con la busta tra le mani e la morte nel cuore per via di ciò
che aveva visto nel suo sogno premonitore, raggiunse Abigail nella sua
camera, dove la trovò addormentata e in compagnia di sua
nonna.
L'infermiera esitò sulla porta, ma la signora Chapman le
fece segno di entrare.
«Voleva aspettarti sveglia, ma non ce l'ha fatta. Mi ha fatto
promettere che l'avrei svegliata se fossi passata».
Alex ricordava com'era quando l'aveva vista per la prima volta, quando
Abby si era presentata nel reparto convinta che avesse una malattia del
sangue, e nonostante fosse rimasta una donna affascinante, in quegli
anni era invecchiata molto velocemente. E in quell'ultima settimana, a
causa dell'improvviso peggioramento della nipote, aveva iniziato a
mostrare qualche anno di più.
Si alzò dalla sedia con un'esclamazione appena sussurrata e
una volta di fronte a lei le posò una mano sulla spalla,
sorridendo commossa.
«Non ci sono parole per descrivere quello che hai
fatto», le disse, accennando al test. «Qualsiasi
sia l'esito... Grazie di cuore».
Alex annuì, abbassando gli occhi, ed aspettò che
la donna uscisse dalla stanza prima di prendere posto al capezzale di
Abigail. Le lacrime le salirono agli occhi e non poté
ricacciarle indietro, ma riuscì a soffocare i singhiozzi
mentre le prendeva una mano pallida e fredda tra le sue e se la portava
alle labbra.
Aveva già perso Steve e il solo pensiero di dover dire addio
anche a Abby le spezzava il cuore. Come se non bastasse, si sentiva
tremendamente in colpa nei confronti di Merlino per ciò che
aveva creduto di provare per Darrell, il quale si era rivelato essere
una persona peggiore di quanto avrebbero mai potuto mostrare le
apparenze.
La ragazzina a quel punto si svegliò e voltò il
capo verso la bionda, guardandola con quei suoi occhi neri una volta
pieni di vita e ora resi opachi dal dolore. Ma Abby era coraggiosa come
una leonessa, perciò le sorrise e spostandosi su un lato del
letto la invitò a sdraiarsi al suo fianco.
«Hai già aperto la busta?», le
domandò, adagiando il capo sul braccio con cui Alex le aveva
cinto le spalle.
«No, non ancora».
«E allora perché piangi?».
«Perché so già che cosa
leggerò. A quanto pare sono in grado di sognare il
futuro».
«Intendi... Veramente? Come Morgana?».
L'infermiera annuì, tirando su col naso. «Nulla di
quello che ho visto si è ancora avverato, perciò
questa è la prova del nove».
«Deduco che tu abbia predetto un esito negativo, tuttavia...
Ti offendi se prego perché tu abbia ragione? Vedere il
futuro sarebbe una figata pazzesca!».
Alex aveva iniziato a pensare che si trattasse invece di una
maledizione, ma contagiata dall'euforia della ragazzina non
poté evitare di sorridere.
Prese la busta tra le mani e l'aprì, quindi tirò
fuori il foglio su cui era scritto se il suo midollo fosse compatibile
o meno a quello di Abby e lo tenne in modo che anche lei potesse
leggere.
«Beh, non avrò il tuo midollo ma potrai sempre
avvisarmi quando in mensa daranno la torta di mele»,
esclamò Abigail con un sorriso sbarazzino sulle labbra, non
sufficiente ad impedire ad Alex di scoppiare di nuovo a piangere, col
piccolo foro non ancora del tutto cicatrizzato che aveva sulla base
della schiena - dove le avevano prelevato un campione di midollo osseo
- che le pulsava dolorosamente.
Abigail tentò in ogni modo di confortarla, nonostante non
fosse lei quella da compatire, e ad un certo punto l'infermiera smise,
forse perché non aveva più lacrime da versare.
«Non è giusto», mormorò, con
la voce ancora rotta.
«È destino», la corresse la ragazzina.
«Forse non sono destinata a lasciare un segno in questa vita,
bensì nella prossima. Credi di poter predire quando
morirò? No, scherzavo, non voglio saperlo. Non voglio dover
salutare Mark come nei film strappalacrime. Scriverò delle
lettere. Nah, è troppo scontato ormai. Vi manderò
delle note audio su Whatsapp, da ascoltare solo una volta che
sarò andata».
Alex si tirò su seduta, scombussolata da tutto quel flusso
di parole, e Abby le rivolse l'ennesimo sorriso.
«Hai fatto tutto quello che potevi, Alex. Sei... No, questo
me lo riservo per la tua nota audio».
«Non è ancora detta l'ultima parola»,
affermò l'infermiera, scendendo dal letto per rimboccarle le
coperte e sistemarle i cuscini dietro la testa. «Devi
continuare a lottare, okay? Questa stronza di leucemia dovrà
patire le pene dell'inferno prima di averti».
«Ci puoi scommettere», rispose socchiudendo gli
occhi, vinti dalla stanchezza.
In meno di due minuti Abby si addormentò e Alex si chiuse
piano la porta della stanza alle spalle. Si ritrovò
appoggiata al muro di fronte, con una mano alla base della schiena e il
respiro irregolare, ma si fece forza e dopo aver buttato la busta con
l'esito dell'esame iniziò la ronda per controllare che i
bambini fossero tutti nei loro letti.
Davanti alla camera di Mark e Danilo esitò prima di aprire
la porta. Nonostante le luci fossero spente, il fidanzatino di Abigail
era sveglio, sdraiato sul suo letto, con le cuffie sulle orecchie e gli
occhi fissi sul soffitto. Quando la vide nel rettangolo della porta
spense la musica e si sistemò il cuscino, borbottando
mestamente: «Sì, adesso dormo».
«No», lo fermò l'infermiera, nonostante
il nodo in gola. Voleva essere lei a dirgli l'esito del test, glielo
doveva. «Vieni un attimo fuori, devo parlarti».
Mark la fissò confuso, ma solo per un attimo: sapeva
riconoscere ormai gli sguardi da buone notizie e quelli da cattive,
perciò pensava di essere preparato a riceverle. Eppure,
trattandosi della sua Abby, la sua reazione non fu tanto diversa da
quella di Alex, alle cui spalle si aggrappò mentre
nascondeva il viso rigato di lacrime nell'incavo del suo collo.
Se il giorno seguente Danilo, svegliato dal suo trafficare con la sedia
a rotelle, gli avesse chiesto che cos'era successo, di certo avrebbe
mentito per mantenere la sua reputazione di duro, ma ad Alex stava bene
così.
***
Darrell si spogliò e si infilò sotto il getto
già caldo della doccia.
Passandosi le mani tra i capelli ripensò al pomeriggio
trascorso a casa di Merlino lo stregone e di Artù Pendragon
il re di Camelot.
Solo il pensiero che la magia esistesse sul serio lo faceva diventare
matto, figuriamoci sapere che quei due erano davvero nati quindici
secoli prima.
Lui si era sempre impegnato al massimo per raggiungere i suoi scopi,
aveva meritato tutto ciò che possedeva... e a loro sarebbe
bastato uno schiocco delle dita, o meglio una luce dorata negli occhi,
per ottenere lo stesso risultato? No, non poteva accettarlo. Non solo,
ma era così arrabbiato che aveva finito per prendersela con
Alex, la quale nonostante in passato si fosse dimostrata gentile e
piuttosto normale con lui, si era rivelata essere falsa tanto quanto
Freya.
«Quindi adesso
che cosa dovrei fare?», chiese a Merlino, seduto sulla sedia
in rattan al suo fianco, sulla veranda che dava sul giardino sul retro.
Da quando aveva un cavallo?
«Nulla di
diverso dal solito: Freya non deve accorgersi che ci hai detto quello
che hai visto. E se avrai altre visioni... continua a scriverti tutto e
a farci rapporto».
Darrell chinò
il capo, stringendosi forte le mani sul grembo. Se qualcuno gli avesse
detto che sarebbe finito a "fare rapporto" ad uno stregone di
millequattrocento anni... beh, non sapeva esattamente cosa avrebbe
fatto, ma nulla di buono comunque. Chi si credeva di essere per
trattarlo in quel modo?
Merlino si
alzò e gli diede un'altra pacca sulla spalla prima di
andarsene. Con un piede già all'interno della cucina,
aggiunse: «Oh, Darrell... ti conviene mantenere il segreto su
tutta questa faccenda: la tua carriera e la tua vita in generale ne
risentirebbero».
Il sangue gli
ribollì ancora di più nelle vene a quelle parole,
ma ingoiò il rospo in silenzio. In fondo aveva ragione:
nessuno gli avrebbe permesso di continuare a fare il poliziotto se
fosse andato in giro a raccontare di aver conosciuto i Merlino e
Artù originali e di essere sotto l'influsso di una druida
diventata custode della magia. Sarebbe stato rinchiuso direttamente in
un ospedale psichiatrico, ecco cosa.
Stava ancora cercando di
sbrogliare la matassa dei suoi pensieri, quando sentì
scorrere nuovamente la porta finestra. Si voltò e
trovò Alexandra Greenwood sulla soglia, incupita.
«Una fottuta
strega
, eh?»,
esordì, guardandosi le sneakers. «Non credi di
generalizzare un po' troppo?».
«Che cosa stai
cercando di dire?».
Nello stesso momento in
cui disse quelle parole però, ogni tassellò
andò al suo posto. Si alzò in piedi ed
arretrò di un passo, furioso.
«Anche tu lo
sei. Sei stata tu a rendere afono il cane della tua vicina, la signora
Levinson; sei stata tu a rubare quello strano affare che avevo trovato
nella foresta... e hai sempre saputo chi era Freya in
realtà».
«Non ho mai
avuto cattive intenzioni, te lo giuro», si difese la bionda,
dimostrandosi davvero mortificata. Ma a lui non si
impietosì, non poteva permettersi di cascarci un'altra volta.
«Non voglio
sentire scuse. Non voglio sentire nulla da te».
Alex strinse i pugni
lungo i fianchi, infervorandosi. «Solo perché
posso controllare la magia? Io non l'ho mai utilizzata per fare del
male, Darrell».
«Non importa.
Quelli come te non dovrebbero esistere», affermò,
perentorio, e la ragazza vacillò per un momento, incredula e
addolorata. Quando tornò in sé però,
un fuoco diverso ardeva nei suoi occhi, mentre la sua voce si
venò di delusione.
«Non hai
ascoltato nulla di quello che ha detto Merlino? La magia c'è
sempre stata, è il tessuto di questo mondo e la sua
scomparsa lo sta danneggiando gravemente. È necessaria
perché il pianeta non collassi su se stesso. E le creature
magiche, i maghi e le streghe, i druidi e le sacerdotesse sono i canali
attraverso cui questa energia di diffonde, come le api che volano di
fiore in fiore e nel frattempo ne disperdono i semi».
«Questo
è quello che ti racconta lui
», rispose in tono
sprezzante indicando l'interno della casa. «È una
creatura magica, no? È ovvio che tiri acqua al suo mulino!
Chi ti dice che sia vero? Quali prove hai?».
Alex gli rivolse un
sorriso quasi compiaciuto. «Sai dov'è
l'agriturismo dei signori Morris?».
«Sì,
perchè? Che cosa c'entra adesso?».
«Poche miglia
prima di arrivare c'erano dei campi coltivati che adesso sono sterili,
giusto?».
«Sì,
così mi sembra».
«Puoi chiedere
a chiunque: non ci cresceva più niente da anni, solo erbe
infestanti. Se vuoi delle prove sulla bontà della magia,
è là che devi andare».
Detto questo si
voltò e lo lasciò di nuovo solo in veranda, per
nulla propenso a cambiare idea.
Prima di tornare a casa era andato sul serio nel luogo indicatogli
dall'infermiera ed era rimasto senza parole.
Sotto un cielo tinto di colori pastello grazie al sole calante, aveva
ammirato la strabiliante trasformazione dei campi un tempo aridi ed
incolti: un tappeto di erba nuova si estendeva a perdita d'occhio e i
fiori dai colori più diversi riempivano l'aria di dolcezza,
tanto da coprire quasi del tutto l'olezzo che proveniva dalla fattoria
dell'agriturismo.
Forse Alex aveva ragione: non doveva giudicare male la magia solo
perché alcuni la utilizzavano per scopi malvagi, tipo
incatenare la propria anima ad un'altra. Le avrebbe fatto le sue scuse,
ma ciò non voleva dire che si sarebbe fidato automaticamente
anche di Artù e Merlino.
Darrell uscì dalla doccia con un asciugamano legato in vita
e con un altro si frizionò i capelli biondi fino a che non
fu davanti allo specchio. Allora si guardò il volto -
prosciugato di ogni vitalità da quando era diventato il
caricatore bluetooth di Freya - e decise di farsi la barba, cresciuta
un po' troppo rispetto ai suoi standard. Si spalmò la
schiuma sulle guance e sul mento ed iniziò a radersi con una
lametta nuova e perfettamente affilata. Aveva già fatto
metà viso, quando sentì una presenza farsi largo
nella sua mente ed intorpidirgli il corpo. Ad un tratto nello specchio
non vide più se stesso ma una Freya con un sorriso appena
accennato sulla bocca.
«Non avere paura Darrell», disse con la sua solita
voce, ma furono le labbra dell'agente a muoversi. «Sto
mantenendo la promessa: finché sarò in vita,
nessuno potrà farti del male».
Il poliziotto chiuse gli occhi e finse di sbatterle la porta in faccia,
un trucco che incredibilmente servì a spezzare la
connessione. Non si era accorto però di avere ancora il
rasoio posato sullo zigomo, dove si fece un piccolo taglio.
Guardò una goccia di sangue scarlatto rotolargli fino alla
mandibola, ma presto la sua attenzione fu catturata di nuovo dal taglio
che come per magia, anzi, senza come, si stava richiudendo.
Esterrefatto ed atterrito dalle possibili implicazioni delle sue
parole, si avvicinò di più allo specchio e si
esaminò a lungo, senza trovare nemmeno una piccolissima
cicatrice. Che cos'aveva fatto Freya?
Abbassando gli occhi vide la goccia di sangue cadere nell'acqua con cui
aveva riempito il lavandino e sparire nella lattiginosa schiuma
sciolta.
***
«Io me ne vado».
Hala afferrò il fratello per la manica della giacca a vento
e lo costrinse a risedersi sulla panca, rivolto verso l'altare e il
Gesù crocifisso appeso sopra di esso.
«Non è ancora mezzanotte.
Arriverà».
«Secondo me volevi solo trascorrere del tempo con me
perché ti perdonassi, ma la verità è
che sei troppo orgogliosa per scusarti!».
«Abbassa la voce, Baqi! Siamo pur sempre in una
chiesa!».
«Ma noi non siamo cristiani!».
«Che cosa vuol dire? Bisogna sempre portare
rispetto».
Il gemello sbuffò e si lasciò andare contro lo
schienale della panca in legno, le braccia conserte.
Aspettarono ancora e i minuti sembrarono ore, ma ad un tratto sentirono
un rumore provenire dalla sagrestia ed entrambi si alzarono in piedi
per uscire frettolosamente dalla panca.
«C'è qualc-?», provò a dire
Baqi prima che la gemella gli tappasse la bocca con una mano.
Il silenzio era così profondo che potevano sentire i loro
cuori battere in sincronia perfetta, ma ad un ritmo tutt'altro che
normale.
«Che cosa volete?», domandò una voce
proveniente dalla porta socchiusa della sagrestia.
«È lui», sussurrò Hala,
mentre Baqi ora non sembrava più così sicuro di
voler andare fino in fondo. «Tu sei Emrys, vero? Ora ti fai
chiamare Merlino, ma sei lo stesso uomo che Louise McTrusty amava.
Fatti vedere».
La porta della sagrestia si aprì cigolando e Baqi
afferrò il polso di Hala, arretrando mentre sussurrava:
«Andiamo via, per favore».
Ma la ragazza aveva i piedi ben piantati a terra e non si mosse di un
centimetro, nemmeno quando una figura avvolta nell'ombra si fece avanti
fino a raggiungere la prima fila di panche.
«E se lo fossi?».
La sua voce era così calma da far tremare le ginocchia e per
la prima volta Hala si ritrovò a deglutire a vuoto,
spaventata.
«Questo implicherebbe... implicherebbe che tu sei
immortale».
«Immortale?», ripeté la figura, con tono
divertito. «Non credete che se fossi veramente immortale
molti prima di voi se ne sarebbero accorti?».
«Sì, ma... ma potresti esserti assicurato il loro
silenzio», balbettò Hala, sentendo il sudore
colarle giù per la spina dorsale.
«E in che modo?», chiese ancora l'uomo,
avvicinandosi di un passo lungo la stretta navata.
I due gemelli arretrarono insieme quella volta, tenendosi per mano.
Avevano capito perfettamente dove volesse andare a parare e la cosa
più saggia che avrebbero potuto fare a quel punto era
correre a gambe levate, ma Hala si interstardì ancora di
più e nonostante tremasse da capo a piedi tirò
fuori il cellulare dalla tasca del giaccone.
«Fermo!», gridò. «Ho
registrato tutto e sono pronta ad inviarlo a tutti i contatti della mia
rubrica se ci farai del male!».
La figura rimase in silenzio per una decina di secondi, poi
sollevò di scatto le braccia e la porta della sagrestia,
rimasta aperta, sbatté con un tonfo che fece rizzare i
capelli dei due gemelli. Subito dopo, tutte fiammelle delle candele
poste alla sinistra dell'altare si spensero per via di una folata di
vento improvvisa, non facendo altro che aumentare il loro terrore.
«Come osate voi comuni mortali minacciare me, il grande Emrys
il Saggio, figlio del demone Wyllt! Andatevene ora e smettetela di
pretendere di svelare misteri più antichi di questa stessa
Terra, e forse non vi dilanierò l'anima!».
La sua voce aveva squarciato l'aria come un tuono e questo monito
soltanto servì a far scappare i due gemelli. Hala, in preda
al panico, aveva persino fatto cadere il cellulare a terra, dicendo
addio anche alla sua misera prova.
Corsero a perdifiato fino all'entrata dell'ospedale, dove
incredibilmente trovarono un taxi ad attenderli. Senza alcuna
esitazione, fregandosene anche di tutto ciò che avevano
lasciato all'agriturismo dei signori Morris, saltarono sul mezzo ed
esortarono l'autista a partire, a portarli il più lontano
possibile per i soldi che al momento avevano nelle tasche.
***
Merlino abbassò le braccia e fece segno a Cathleen di
alzarsi dal portaceri dietro cui si era nascosta mentre lui distraeva
Hala e Baqi: era uscita dalla sagrestia alle sue spalle e una volta nei
pressi dell'altare si era accovacciata per gattonarvi dietro e
raggiungere il lato sinistro della cappella. Dal suo nascondiglio
strategico aveva atteso il segnale di Merlino - l'alzata di braccia con
cui, grazie ad un filo di nylon legato al pomello, aveva anche fatto
sbattere la porta della sagrestia - e aveva sventolato la parte
superiore della sua divisa per far spegnere le candele.
L'effetto scenico era stato impressionante e aveva funzionato alla
perfezione, anche senza l'utilizzo della magia. Certo, riconosceva che
veder brillare due occhi dorati sarebbe stato il colpo di grazia, ma
non si poteva avere tutto nella vita.
Uscirono da dov'erano entrati e di corsa raggiunsero le cataste di
detriti lasciate dagli operai impegnati al restauro della piscina,
così da poter vedere il parcheggio dell'ospedale senza
essere notati. Hala e Baqi erano già saliti sul taxi che lui
aveva preventivamente prenotato per mezzanotte, fornendo una delle sue
numerose carte di credito irrintracciabili per addebitare l'importo
dovuto nel caso in cui i suoi clienti avessero tardato e richiedendo la
massima riservatezza sul proprio conto.
Merlino e Cathleen guardarono il taxi sfrecciare via nella notte,
diretto verso le maggiori autostrade, e dopo qualche minuto di silenzio
il paramedico chiese: «Non credi di aver esagerato un po'? Se
io ho i brividi, non riesco nemmeno ad immaginare che cosa stiano
passando quei poveretti!».
Lo stregone abbozzò un sorriso amaro. «Dipende da
quanto sono suggestionabili le loro menti». Si
alzò in piedi e tornò tranquillo alla cappella,
dove recuperò il filo di nylon e raccolse il cellulare dal
vetro in frantumi di Hala. Lo aprì e staccò la
batteria perché non potesse più essere
rintracciato, poi raggiunse Cathleen, la quale lo stava guardando
muoversi con la calma e la tranquillità di chi era abituato
a nascondere prove.
«Posso sapere quante volte ti sei cimentato in sceneggiate
del genere, demone?», riuscì a chiedergli alla
fine, perplessa ed ansiosa allo stesso tempo.
Merlino scrollò le spalle. «Un po'. Non che siano
stati in molti a scoprire il mio segreto, ma... fino a qualche secolo
fa era più facile far sparire nel nulla le
persone».
Cathleen deglutì, scioccata dal lato oscuro di Merlino.
«Menomale che sono nata in questo secolo, allora!».
Lo stregone le sorrise, sereno come se non avesse appena terrorizzato
due ragazzi, tanto da spingerli alla fuga, fingendosi un
demone-dilania-anime.
«C'è ancora una cosa che dovrei fare. Riesci a
darmi uno strappo fino all'agriturismo?».
«Certo, mio signore degli inferi», rispose la
rossa, fingendo un inchino reverenziale.
Fece gli ultimi due chilometri a piedi - la enduro di Cathleen faceva
un rumore proprio degno degli inferi - e per Merlino fu un gioco da
ragazzi introdursi nell'agriturismo e raggiungere indisturbato la
camera che Hala e Baqi condividevano. Lì cercò
qualsiasi prova li collegasse a lui e la distrusse, tranne il diario di
Louise e l'unica foto, rigorosamente in bianco e nero, che li ritraeva
insieme. Per il resto non toccò nulla, decidendo che avrebbe
lasciato quella gatta da pelare a Darrell una volta che la signora
Chapman si fosse accorta della loro scomparsa, e tornò dalla
sua
partner in crime.
«Fatto?», gli domandò Cathleen,
infilandosi il casco.
«Sì, per il momento dovremmo essere a posto.
Possiamo andare».
«Forte! Dovremmo farlo più spesso, non
trovi?».
Merlino avrebbe riso, se non fosse stato costretto ad aggrapparsi a
Cathleen per non volare via mentre partiva con un'impennata.