Un inverno di ombre
“La baciò come se gli appartenesse, come se fosse una parte di lui
perduta da
tanto tempo, che alla fine riusciva ad avere”
di Lauren Kate.
Sirius vaga per
la casa come un fantasma.
Ha gli occhi d’argento immobili e i polsi scheletrici, le vene blu in
rilievo
sulla pelle sottile – così sottile che sembra pronta a
sgretolarsi, come
cenere, come polvere.
Lei lo guarda aggirarsi tra le stanze come in un labirinto che non ha
uscita. È
casa sua, ci è cresciuto, eppure... eppure ci sono momenti in cui
sembra che
lui non sia nemmeno lì con loro.
Lei si chiede, tutte le volte, se Sirius si sia perso in un mondo di
ombre
sfocate che gridano ininterrottamente, senza smettere mai, ogni minuto
della
sua vita sbiadita.
Lei se lo domanda, perché Sirius non è mai del tutto presente a se
stesso. Ha
sempre una ruga verticale che gli solca la fronte e gli increspa la
pelle tra
gli occhi, tiene sempre un angolo della bocca appena piegato all’ingiù,
come se
qualcuno bisbigliasse al suo orecchio qualcosa di crudele che lui non
può afferrare.
Sirius ha lo sguardo perso di chi sta ascoltando qualcosa di molto
lontano –
e lei pensa che forse sono le grida interminabili dell’inferno in terra
che ha
già vissuto, sono le grida che gli uscirebbero di bocca se soltanto non
se le
cucisse tra i denti come un castigo.
*
Lui la guarda passare senza vederla davvero –
Hermione è una bambina prodigio con capelli impossibili e dita
macchiate d’inchiostro,
è una figura indefinita sepolta in una poltrona consunta.
Sirius marcisce nei suoi rancori, passa ore alla finestra ad
osservare le persone
che vanno e vengono, vanno e vengono, in un andirivieni che non finisce
mai.
Sirius macina sigarette su sigarette, lo sguardo freddo perso oltre il
vetro,
in una stanza semibuia dove anche lei sembra trovarsi quasi per caso – Hermione è un’ombra ai margini del suo
campo visivo, fruscio di pagine smosse piano.
E ci sono momenti (mentre Sirius
spegne in un portagioie di cristallo la ventesima sigaretta della
giornata,
mentre pensa che quella casa alla fine c’è riuscita, a diventare la sua
tomba,
mentre si scosta rabbiosamente i capelli dal volto perché lui odia
l’estate) in cui la scorge.
Scorge la bambina prodigio rannicchiata in poltrona, i riccioli gonfi
di
elettricità statica che le sfiorano il profilo, gli zigomi – l’impressione che potresti afferrarla e
sgualcirle i vestiti, la
pelle, e non otterresti nulla se non quello sguardo soffuso che lancia
da sotto
le ciglia quand’è distratta.
In quei momenti, Sirius sorride, ma solo un po’.
*
Lei lo osserva soltanto quando ha quell’aria immobile, quasi distratta.
Quando lui ride e scherza, lei se ne disinteressa. Scova la finzione
anche
quando neanche lui ne è consapevole – la scorge raggomitolata
nel fondo di
quegli occhi bui, nelle ombre che vi si accalcano come neve ai bordi
delle
strade, neve che diventa fango.
A volte, Hermione pensa di essere l’unica a rendersi conto che qualcosa
in
Sirius non va, che qualcosa dentro
di
lui è rotto. Sono tutti così impegnati nel cercare di rendere quella
casa
adatta ad ospitare la vita (e lui ci è
cresciuto, lui era un bambino dagli occhi lucenti che giocava con
carillon
maledetti e teste recise di elfi) che nessuno sembra badare
a lui, ai
sorrisi tirati e feroci che si scava in viso, alle occhiaie che
infossano il
suo sguardo, febbrile come quello d’un pazzo.
A Hermione non sfugge, ma cerca di non darlo a vedere –
non può, non deve, sa di non dovere, eppure i suoi occhi trovano
sempre la figura slanciata di Sirius, non quando ride, non quando
scherza, non
quando offre panini al burro che sanno soltanto di carta, no, i suoi
occhi lo
cercano e lo trovano sempre mentre Sirius ha l’aria di qualcuno che
preferirebbe spararsi al cuore piuttosto che tirare soltanto un altro
respiro
ancora.
Hermione cerca di non fissarlo, ma i suoi occhi la tradiscono di
continuo.
Soprattutto la sera, quando (mentre lei
finge di leggere in una stanza in penombra) Sirius fuma una
sigaretta dopo
l’altra nel vano della finestra, una gamba che penzola nel vuoto e gli
occhi esausti
di chi non sogna più.
*
Sirius non sa di preciso quando si sia accorto che la ragazzina fatica
a
togliergli gli occhi di dosso. È semplicemente che un giorno, mentre
vagabonda
tra le stanze come un profugo senza patria, la vede
– si volta quel tanto che basta per cogliere di sfuggita i suoi occhi
grandi che lo frugano in ogni dettaglio, per intuire il suo rossore
anche
dietro quella criniera di capelli che sparisce su per le scale.
Sirius sorride, e per la prima volta da settimane ritrova un frammento
di buon
umore.
Gli sono sempre piaciute le sfide – e
d’altronde lui odia l’estate.
*
Sirius l’ha scoperta. È un pensiero
stupido, Hermione lo sa (non c’è niente
da scoprire, niente di niente, lei non ha fatto nulla di male),
ma non per
questo è meno vero.
Lui non fa che fissarla, con un mezzo sorriso inciso in viso, con
quegli occhi
freddi in cui le ombre sembrano danzare –
a volte, la notte, Hermione si chiede se quelle ombre non siano demoni,
se le
sue iridi non siano infestate, se Azkaban non gli abbia lasciato
qualcosa di
più della magrezza eccessiva e della bellezza sfiorita.
Sirius non fa che osservarla e scoppia a ridere ogni volta che lei
arrossisce,
ogni volta che le sue gambe sussultano, ogni volta in cui la vede
rabbrividire.
Hermione sa che lui ride perché ai
suoi occhi altro non è che una ragazzina infatuata, e un po’ le secca
che dia
per scontato il suo interesse, ma più i giorni passano più la rabbia
muore, e
le sue labbra si schiudono ogni volta che lui è vicino per catturare
una
briciola del suo odore.
È tutto uno studiarsi reciproco, e non importa che Sirius abbia gli
occhi
cerchiati di nero di chi non dorme mai, non importa che abbia il
portamento che
devono avere i diavoli, giù all’inferno.
*
L’estate sta finendo, agosto scivola via come acqua tra le dita –
e Sirius
dovrebbe essere felice, perché ha sempre detestato l’estate, ma questa
volta
non ci sarà nessun treno su cui partire a settembre, e lui resterà di
nuovo
solo, sepolto vivo nella casa dei suoi incubi, e sa che il silenzio
tornerà a
tormentarlo, sa che torneranno le grida.
È sempre più difficile fingere allegria, Sirius passa interi
pomeriggi
chiuso nella sua stanza, ma poi il pensiero di lei (gli
sguardi colpevoli
che gli scocca da sopra la spalla di Harry, la bocca schiusa in respiri
tremanti, le palpebre che si serrano quando lui la sfiora come per
errore)
lo convince a tornare.
Lei è una ventata d’aria fresca dopo secoli di prigionia.
*
La sera lei continua a sedere nella stanza al terzo piano in
cui ama
leggere, Sirius continua ad andarci per fumare – ma non
guarda più il mondo
oltre la finestra, il vento trascina tra le pareti il frinire delle
cicale e
l’odore tossico della città, e lei gli ricorda una sirena imbrattata di
petrolio.
Lei finge di non sapere che lui sia lì, ma ha le labbra schiuse (per
catturare il suo odore) e la concentrazione annullata. Tiene
il libro
capovolto, e sbianca quando lui glielo fa notare in uno scoppio di
risa.
È costretta a fissarlo, sbatte le palpebre per mettere a fuoco il suo
profilo.
I lampioni in strada accendono un alone da santo intorno alla sua
figura, ma i
capelli di tenebra e gli occhi pieni di ombre non ingannano nessuno,
nemmeno
una bambina.
C’è un silenzio surreale, un silenzio così profondo che lei sente il click
dell’accendino,
il suo respiro raschiato in gola.
“Ne vuoi una?”
Hermione sbatte le palpebre, come per scacciare il fumo, come per
scacciare un’idea.
“Sono troppo giovane.”
È una risposta debole, lo sa, e sa che lui riderà,
invece Sirius rimane
zitto – ma lei scorge lo stesso lo scintillio dei suoi denti
nel buio, la
curva del suo ghigno da diavolo.
“Non sai quant’è vero.”
*
Sirius non dice una parola, si limita a scivolarle davanti come
un’ombra e a
tagliarle la strada – l’ha aspettata, l’ha tenuta d’occhio,
l’ha seguita, e
ora lei è lì, sola, giovane, indifesa,
e Sirius non ha mai saputo resistere alla tentazione di sgualcire
qualcosa di
perfetto.
Le preme due dita sulle labbra per soffocare il suo singulto sorpreso –
ma
non c’è dolcezza, è solo che Sirius può contare tutti i suoi errori
soltanto
così, soltanto in un silenzio ermetico in cui persino respirare è
proibito.
Lei ha gli occhi grandi, sgranati, d’un castano luminoso pieno di vita.
Sono
gli occhi del futuro e Sirius esita, esita appena –
ma Sirius detesta l’estate, detesta quelle quattro mura, e dal piano
inferiore si levano rumori di sedie spostate e scoppi di risa, la voce
appassita di Remus che lo chiama piano, e allora non c’è più tempo per
i rimorsi.
Sirius la spinge contro la parete e la bacia bruscamente, la barba
sfatta le
graffia la bocca, ma lei ha le labbra già schiuse e morbide, così morbide. Sirius pensa di impazzire
quando lei gli affonda le dita tra i capelli e ricambia i suoi baci
lividi, i
suoi morsi.
È soltanto un istante, un minuscolo istante (prima
che lei ritorni in sé, prima che la voce di Remus si faccia troppo
vicina,
prima che lei si scosti con un sussulto e gli occhi velati e le labbra
rosse di
peccato e l’espressione infranta, prima che lei lo spinga lontano da sé
e
sparisca al piano superiore in un fruscio di vesti e singhiozzi recisi
tra i
denti), ma Sirius se ne accorge.
Quando l’ha baciata, tutto è tornato insieme. Quando l’ha baciata, si è
sentito
di nuovo umano – come per magia, come se fosse un sogno, i
fantasmi hanno
smesso di gridare e il silenzio è tornato ad essere solo silenzio, lei
e il suo
corpo tutto candore e ombre fanno il miracolo, lei che si scioglie tra
le sue
braccia è il pezzo mancante, è la speranza, è la vita.
Sirius guarda verso l’alto, dove lei è scappata via, e sa di non
essersi mai
sentito così in tutta la sua vita.
È l’ultimo giorno di agosto.
*
Quando sale sul treno, Hermione tira
un sospiro di sollievo.
Ha occhiaie violette che le segnano il viso e le dita che tremano, ma
sa d’essere
salva.
(Non può sapere che il destino ha in serbo per lei veleno di
serpente e un
inverno di ombre.)
*
Cade la neve, là fuori.
Sirius è abbandonato contro la cornice della finestra, una sigaretta
gli pende
svogliatamente dalle labbra sottili. La cenere ha già bucato il
maglione d’un
nero stinto che indossa – ha l’aria spenta, sconfitta, con la
barba sfatta di
tre giorni che ha il colore dei lividi, i polsi scheletrici dalle vene
in
rilievo che giacciono inerti, gli occhi vuoti come quelli dei morti.
Fissa oltre il vetro, ma non sta guardando davvero.
Sirius sta ascoltando il silenzio –
perché da quando lei se n’è andata il silenzio è tornato ad essere più
assordante che mai.
Cade la neve, là fuori.
Sirius ha perso persino la voglia di uscire –
di combattere, di vivere, e per cosa? Per sentirli gridare quand’è
sveglio, per
vederli morire quando dorme? Sirius giace nel letto per ore, la notte,
pur di
non dormire, pur di non dover guardare, ma alla fine crolla, crolla
sempre, e
all’alba si sveglia e vorrebbe essere morto insieme a loro.
Con un movimento lento, Sirius scivola giù dalla cornice della
finestra. Spinge
la sigaretta giù, nel vuoto, che muoia nella neve –
almeno lei, almeno può – ed
è allora che la vede.
È solo uno scorcio di capelli impossibili e l’accenno d’un profilo
affusolato.
Un lampo di castano brunito, i morsi del freddo sul pallore della sua
carnagione,
lo svolazzare d’una sciarpa rosso rubino.
La porta di casa sbatte e sua madre ricomincia a gridare –
ma gli occhi di Sirius ora brillano, d’argento come il filo d’un
coltello, e le rughe d’espressione sono sparite dal suo volto, resta
solo
quell’aria indolente e l’odore di tabacco e la cenere sulla lana
bruciata del
suo maglione.
La incontra sulle scale. Ha l’aria infreddolita che stona con il
portamento austero,
ma quando lo vede si blocca e il suo sguardo s’offusca, le ciglia
tremano – il ghigno di Sirius si allunga, e
sembra un
diavolo, con i capelli neri sul volto e le ombre negli occhi che
catturano la
luce, che divorano la luce.
“Non si buttano le sigarette dalla finestra.”
Lei spinge il mento verso l’alto mentre parla –
ma la sua voce trema, è esile, è un sussurro, e lui sorride perché il
silenzio è finito, non ci sono più
grida, non ci sono più bisbigli, c’è soltanto lei con la pelle troppo
bianca e
il viso ancora da bambina, e Sirius freme di qualcosa che forse un
tempo
sarebbe stata felicità.
“È un piacere riaverti qui, Hermione.”
*
Quella stessa sera, Hermione è in cima alle scale. Ha un libro stretto
al petto
e fissa intenta la porta della stanza
– vorrebbe entrare, contro ogni logica,
entrare lì dentro e...
“Ti sei persa?”
La voce di Sirius, velata di divertimento, la fa sussultare. Si volta
di scatto
(appena in tempo per scorgere il suo
sorriso bieco e gli occhi pieni di ombre) ma è un attimo, e
Sirius le
stringe una mano in vita e un’altra intorno alla bocca e la spinge
nella stanza
senza una parola.
La lascia andare quasi subito, ma resta vicino, così vicino
che potrebbe sfiorarlo, se le andasse, potrebbe baciarlo, se
lo volesse – e il suo odore è stordente,
le provoca un cerchio alla testa, le azzoppa le gambe, e il diavolo
sorride
come se non fosse mai caduto dal cielo.
Hermione si costringe ad indietreggiare d’un passo.
“Devi...” la voce le si spezza, “Devi smetterla, Sirius. Dico sul
serio.”
“Altrimenti? Lo dirai a Harry?”
Sirius s’abbandona con la spalla contro la porta da cui lei non può
fuggire, e
a Hermione mancano le parole – non è mai
stata una ragazza frivola, ma Sirius è così bello da ridurla ad un
fascio di
nervi scoperti.
“Io... Lo dirò a Remus. Lui ti darà un freno!”
Sirius scoppia a ridere mentre apre la porta e s’inoltra nelle ombre
del
corridoio – nei suoi occhi d’argento
danzano i demoni, e lui pare meno umano che mai.
“Non rendiamola una sfida, piccola.”
*
È la notte di Natale, e Sirius non riesce a dormire –
non fa che udire il tintinnio dei calici di champagne, le risa
stridule di sua madre, e forse trent’anni non sono abbastanza per
dimenticare.
Esce dalla sua stanza per dirigersi in cucina, ma non riesce a fare
nemmeno un
passo prima che i suoi occhi vengano catturati da un bagliore.
Lei è seduta sui gradini delle scale con un libro tra le dita – sembra un fantasma, sembra un’ombra che si
è smarrita nella brughiera.
È la prima volta che lo fissa senza sussultare.
“Non riuscivo a dormire.”
“Nemmeno io.”
Lei annuisce appena e Sirius resta in silenzio –
nei suoi occhi nebulosi le ombre danzano affamate, sussurrano
possibilità, costruiscono scenari di mondi che bruciano sulle labbra
d’una
bambina.
Sirius ha la bocca riarsa, ma sorride ugualmente d’un sorriso distorto – ha le dita contratte ad artiglio e gli
occhi bui, lei riconosce il pericolo e si solleva da terra, pronta a
fuggire.
Ma non fuggirà.
“Vieni qui.”
*
“Sirius, ti prego...”
Le sue mani lungo le cosce – la stoffa
della sua camicia da notte sgualcita, la sua pelle segnata.
“Smettila...”
L’odore stordente dei suoi capelli di tenebra che le piovono addosso
mentre la
spinge sdraiata – zitta, è un ordine secco,
rauco, è un morso troppo forte sulle labbra, è il sapore di ferro del
suo
sangue.
“Sirius...”
Polsi sempre più deboli – vestiti che
saltano da tutte le parti, polpastrelli giallastri di nicotina che le
forzano le
gambe, sta soltanto zitta.
“Sirius, per favore...”
(Sta soltanto zitta.)
“Ti prego.”
Lei quasi grida e Sirius ride – è
arruffato e pallido, solo ombre e occhi taglienti nella stanza buia,
tutto
nervi e pelle bianca tirata sulle ossa.
Incombe sopra di lei con le iridi fredde che divorano la luce
(zitta) e la smorfia divertita (sta soltanto zitta) da cane randagio;
le schiude le cosce con le ginocchia, scosta un lembo di camicia da
notte d’un
bianco sporco (zitta, non l’ha
nemmeno spogliata del tutto, sta soltanto
zitta) e le crolla sopra.
“Shhh, faccio piano, faccio piano.”
Lei spezza un grido contro la sua spalla (shh,
faccio piano) e serra le palpebre, ma i fianchi di Sirius
hanno già
iniziato a spingere (sta soltanto zitta,
shh, faccio piano, zitta) e lei non può fare a meno di
seguirlo, di precipitare.
Lei singhiozza e sussulta e trema –
di piacere, di dolore, la smorfia sul volto di Sirius è quella d’una
bestia in
agonia, ma gli occhi splendono come stelle e lei non l’ha mai visto
brillare
così, non così, le ombre accalcate
nei solchi dei suoi graffi, nelle linee affilate dei muscoli che
spariscono tra
le sue cosce (e lei non può guardare perché Sirius smettila, Sirius per
favore), ma non negli occhi, Dio, non negli occhi.
Lei urla contro il palmo che lui le serra sul viso mentre i
brividi le
esplodono lungo la schiena e pensa confusamente che (è
una ragazzina, non dovrebbe saperne niente, è troppo giovane, Dio, è
troppo giovane) non ha mai provato niente del genere.
Il piacere le scioglie le vene, distrugge il suo respiro –
Hermione si tende e s’adatta, s’agita e scatta, s’impiglia contro le
ossa della sua mascella, contro la barba sfatta che le graffia la
pelle, il
mondo ridotto a brandelli da quelle iridi, lucenti come il filo d’un
coltello,
che la osservano dall’alto con appena una punta d’ironia.
Sirius rilascia un respiro tremante nella sua bocca nell’ultimo
spasimo, i suoi
fianchi si muovono a scatti sempre più piano (sta
soltanto zitta), le palpebre tremano e la presa sui suoi
riccioli s’allenta (è un sollievo, non s’era
accorta di quanto la stesse stringendo, forte, forte da farle male).
Non le crolla addosso quando tutto finisce, rotola di lato scrollando i
capelli
madidi di sudore, il petto ossuto alla luce della luna –
e le ombre tornano ad accalcarsi nei suoi occhi, Hermione lo nota e
si ritrae con un sussulto.
Lei pensa che non le rivolgerà uno sguardo, una parola, che
semplicemente continueranno
come sempre hanno fatto (lei sepolta in
una poltrona consunta che finge di leggere e lui sepolto nella cornice
d’una
finestra che finge di desiderare la vita, un libro dopo l’altro, una
sigaretta
dopo l’altra), che da un momento all’altro si girerà su un
fianco e si
metterà a dormire, e invece Sirius si volta quasi di scatto e la
trafigge con
quegli occhi freddi come lame.
La scruta per un po’. Non parla, sta in silenzio, ha un’aria
tremendamente
seria – e lei si sente tremare, Sirius ti
prego, Sirius per favore, sta soltanto zitta.
“Ti avranno sentito gridare tutti.”
*
Sirius non vuole
farle del male.
Non vuole ma non può farne a meno – lei è
una parte di sé, una parte che non sapeva d’avere perso, e adesso che
sa che lei
gli appartiene non può semplicemente lasciarla andare come se nulla
fosse
successo.
La guarda giacere nel suo letto, con le guance in fiamme e i capelli
aggrovigliati (e il senso di colpa in
quegli occhi di ragazzina), e ogni
volta si sente un ladro.
“Che cosa siamo, Sirius?”
Non lo sa.
“Che stiamo facendo?”
Non vuole saperlo.
“Forse dovremmo smettere.”
Ha ragione.
“Dio, Sirius, per l’amor di Dio, di’ qualcosa!”
“Cercare di razionalizzare non serve a niente, ragazzina. Siamo quello
che
siamo.”
Gli occhi di lei lampeggiano come braci e Sirius pensa che, se potesse,
forse
lo ucciderebbe – è in quel momento che
non gli sembra nemmeno tanto sbagliato, mentre lei brucia di rabbia e
soffia
parole di laudano, mentre le ombre tacciono.
“Ci sono cose che sono vere e basta, Hermione.”
*
È la cosa più stupida ch’abbia mai fatto, Hermione lo sa –
strisciare nel suo letto, la notte, e soffocare le grida contro le
sue dita giallastre di nicotina, contro le sue labbra sottili.
Non saprebbe nemmeno dire come possano essere arrivati a tanto.
L’estate con i
suoi sguardi lanciati di sfuggita è scivolata via, e l’inverno ha
portato con
sé solo neve e ombre, solo rimpianti.
Non riescono nemmeno a parlarsi, tra un assalto e l’altro, quasi non
riescono a
guardarsi in faccia – lei cerca di
trovarci un senso, cerca un appiglio di ragionevolezza in quell’abisso
di
desiderio, ma lui odia le regole come odia l’estate; Sirius è libertà
assoluta,
è un buco nero che divora tutto ciò che sfiora.
Hermione sa che dovrebbe farla finita, e ogni volta giura che sarà
l’ultima, ma
quando Sirius sorride lei vede sul fondo dei suoi occhi d’argento la
vita ch’aveva
un tempo – ogni volta che annega nel suo corpo, lo vede
giovane, lo vede
felice, ancora vivo, ancora integro, e lei sente uno strano dolore al
petto,
come una nostalgia, come un rimpianto, come quando si guarda qualcosa
che non è
destinato a durare, e per quanto siano sbagliati insieme lei non ha le
forze per
separarsi da lui, riesce solo a conficcargli le unghie nelle spalle e
ad ansimare
più forte.
È l’ultima notte dell’anno e il
tempo corre via, inesorabile.
*
Sirius la trova
nella stanza dove hanno incominciato a studiarsi.
Si stanno tutti preparando per tornare a scuola, ma lei è seduta sulla
cornice
della finestra, lo sguardo oltre il vetro –
gli sembra più adulta, con l’aria seria e le ciglia che non tremano
più, un’ombra
violacea sul
collo nudo, dove ha banchettato un vampiro da fiaba.
Sirius tace perché non sa come dirle addio.
È lei a rompere il silenzio, brusca.
“Non fare niente di stupido, d’accordo?”
“Non rendiamola una sfida, piccola.”
Lei non sorride, e Sirius pensa di nuovo che lei gli appartiene, gli apparterrà per sempre.
“Mi mancherai.”
Lei sussulta di dolore, e per un terribile istante lui sa, con
precisione
abbagliante, che non la rivedrà mai più –
ma poi il momento sfiorisce e Sirius ride di se stesso con appena un
filo d’inquietudine,
e la bacia fino a levarle il respiro.
“Ci vediamo la prossima estate, Hermione.”
(Non può sapere che il destino ha in
serbo per lui un velo di seta e la voce di James che chiama il suo nome
tra le
ombre.)
Note
dell’Autrice
Buona sera, lettori!
Vi segnalo che la frase “un’ombra violacea sul
collo nudo, dove ha banchettato un vampiro da fiaba” è un
rimaneggiamento di “la
chiazza violacea sul
collo nudo, dove aveva banchettato un
vampiro da fiaba”, tratta da “Lolita” di Vladimir Nabokov.
Per il resto, ho fatto un uso che definirei selvaggio di parentesi e
trattini e
asterischi vari, un uso confusionario che non mi è proprio ma che ho
voluto
provare e che spero sia riuscito.
Spero che la storia vi piaccia!
Un bacio,
Mary
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