Periferia est di Tokyo, notte tra il 9 e il 10 marzo 1945
Un rumore assordante scuote il silenzio notturno di Tokyo. Le sirene
dell’antiaerea ululano. Sopra tutto il rombo di centinaia di
motori.
La gente dorme. Le case di carta illuminate dalle lanterne rischiarano
i cortili di una luce soffusa. Nella penombra svetta la figura
imponente del palazzo imperiale, che emerge dalle ombre come
un mostro marino.
I cannoni iniziano a vomitare metallo. Un aereo colpito precipita in
una spirale di fiamme, poco dopo un secondo. La gente si sveglia,
pianti, urla. Donne corrono con i bambini in braccio, uomini che
gridano, alcuni anziani si tengono per mano, inginocchiati sulla soglia
di casa.
-Ai rifugi! Ai rifugi presto!
Il cielo si riempie di scintille. Tante piccole striscioline luminose
piovono sulla città danzando come ballerine di carta. Per
qualche istante si sente un irreale silenzio. La notte è
già in lutto.
Poi è un istante. Il napalm deflagra. Alte colonne di fuoco
divampano e divorano il legno, la carta, la carne. Cadono anche le
prime bombe a frammentazione fischiando come uccelli notturni. I
cannoni tacciono? Perché i cannoni non sparano
più? Gli artiglieri sono polvere nella polvere, le canne
spezzate.
Questa notte la città di Tokyo cesserà di
esistere. Questa notte la vendetta americana spezzerà le
reni dell’impero. Più di trecento
fortezze volanti vomitano migliaia di tonnellate di bombe sui quartieri
poveri della città. Tokyo è un grande
falò. È la Feuersturm, la tempesta di fuoco.
Mentre migliaia di vite si spezzano, in un rifugio ad est della
città, nella zona più colpita, due ragazzi si
tengono per mano.
Un castano e un Moro si guardano negli occhi. Matsukaze Tenma e Tsurugi
Kyousuke sono amici da quando avevano tre anni. Avevano frequentato
tutte le scuole insieme, prima che Tenma decidesse di iscriversi ad un
ginnasio e Tsurugi all’accademia aeronautica.
Il castano era terrorizzato dalle bombe. I suoi genitori erano morti
quando lui aveva solo tre anni, in un attentato bombarolo in
Cina. Il padre era funzionario nelle regioni occupate
dell’impero giapponese. Tenma fu affidato ai genitori di
Tsurugi, la cui madre era la migliore amica della madre del castano.
Tenma ricordava poco della morte dei genitori. Solo un
fragore, una luce… qualcuno che lo estrae da una
macchina ribaltata… e il terrore, il terrore per le bombe,
gli scoppi, le fiamme….
-Tsu, penso che questa notte moriremo.
-Non dirlo neanche per scherzo!- Il moro strinse la mano
dell’amico che tremava come una foglia. Stava per avere un
attacco di panico? Nel rifugio erano in trenta, forse c’era
un medico da qualche parte… gli era sembrato di vedere il
dottor Kone da qualche parte…
-Non si può sopravvivere a una cosa così. Il sole
non può sorgere ancora dopo tutto questo. Dio ci ha
abbandonato? L’imperatore ci ha abbandonato… -Il
castano ora respirava in maniera più regolare. Teneva gli
occhi fissi a terra e parlava con voce innaturalmente calma.
-Tenma, la guerra sta per finire… vedrai che
l’imperatore riuscirà a firmare una pace onesta,
che metta fine a tutto questo senza sacrificare la libertà
del nostro paese. -Nemmeno Tsurugi sapeva se crederci o meno. La furia
degli americani, la loro rabbia giusta per metà e per
metà sbagliata si era scatenata. La fine era davvero vicina,
ma forse sarebbe stata una fine diversa da quella che aveva appena
trovato spazio nel cuore del castano dopo le sue parole.
-Li senti? -Tenma bisbigliava aggrappato alla manica di Tsurugi.
-Cosa? Senti cosa?
-Urlano… piangono… li sento nel crepitio delle
fiamme… i morti… Urlano. ..
Tsurugi era spaventato. Tenma era palesemente sotto shock, ma adesso
anche lui non riusciva a fare a meno di immaginare nella testa
dolorante quei versi di dolore, quelle grida deliranti.
La notte passó, ma sarebbe stato meglio se fosse durata per
sempre. I sopravvissuti emersero dai rifugi come ombre silenziose. Era
questa la cosa più spaventosa; il silenzio.
Metà della città non esisteva più. Al
suo posto una landa bruciata, costellata di corpi carbonizzati e di
carcasse di automobili. Donne uccise con i bambini al petto, uomini
che, nella morte, continuano a coprire col corpo le mogli.
Il palazzo imperiale era miracolosamente in piedi, come una stupida
bandiera in un campo di cadaveri. Alcune donne pregavano per la
salvezza dell’imperatore. In un angolo alcuni uomini
piangevano, cantando l’inno nazionale.
-Kimigayo….
– il regno dell’imperatore….
La casa di Tsurugi era mezza distrutta, ma essendo una delle poche
abitazioni in pietra del quartiere alcune stanze sul lato est erano
ancora abitabili. I due ragazzi entrarono accompagnati dalla madre del
Moro.
Vivevano da soli da circa due anni e mezzo, ovvero da quando il padre
del ragazzo era caduto in battaglia, affondando insieme alla portaerei
Akagi nella battaglia delle Midway.
Allora nonostante il dolore erano andati avanti. Il padre era morto da
eroe per la patria, massima aspirazione per un soldato. Tsurugi aveva
Tenma su cui contare, e la guerra sembrava volgere ancora a favore del
Sol levante.
Il Moro ricordava la cerimonia per i caduti a Kobe. Era rimasto
allibito davanti alla grandezza dei cantieri navali. Migliaia di uomini
si affannavano sui moli, le officine a pieno regime costruivano decine
e decine di navi, fra cui alcune immense portaerei, la gloria
dell’impero.
Poi tutto era cambiato. In due anni la guerra aveva portato il suo
carico di devastazione sulle città delle isole giapponesi.
La bilancia del fato aveva cambiato verso.
Tenma e Tsurugi erano sempre stati vicini. Il castano, con la sua
determinazione e la sua allegria costante facevano da contraltare alla
riservatezza del moro. L’uno avrebbe dato la vita per
l’altro.
Fu una mattina, circa un mese dopo il bombardamento.
Tenma era andato al mercato. Serviva del riso. Avrebbe venduto il suo
abito migliore per comprarlo, altro non gli rimaneva, ed era
già tanto che essendo Tsurugi uno studente
dell’accademia aeronautica il governo gli concedesse
margarina e qualche patata!
Di ritorno con il sacco pieno notó subito uno strano
silenzio.
-Ehi Tsu! Sono tornato! Che… che succede?
Tsurugi era seduto al tavolo della saletta degli ospiti, una delle
stanze salvate dalle fiamme. Stringeva tra le mani un pezzo di carta.
-Niente… non succede niente Tenma. Lascia perdere.
– E così dicendo si alzò, mise in tasca
il foglietto e sorrise all’amico. -Vedo che hai portato la
cena! Ti prometto sul mio onore che quando la guerra sarà
finita ti comprerò un vestito più bello di quello
che hai dovuto vendere… giuro.
-Tsu, non ho bisogno di bei vestiti quando posso avere te…
cioè… la tua amicizia, lo sai. -Tenma
arrossí di colpo, quindi fuggí in cucina Dove la
madre del Moro aspettava il riso per cucinarlo.
Quella sera, dopo cena, Tsurugi portò Tenma sulla collina,
fuori città. Si sedettero sull’erba. La luna
illuminava a giorno l’ambiente circostante e le stelle si
contavano a migliaia.
-Ehi Ten, tu credi che le stelle ci guardino da lassù?
-Sì… sono convinto che lassù ci sia
più amore che quaggiù… sono convinto
che in quel cielo sia scritto il nostro domani… in pace.
-Tenma parlava con il cuore, era una delle cose che Tsurugi amava di
lui.
-Sai Ten, una volta mio padre mi disse che le stelle sono le lacrime di
chi ci ha lasciato. Che chi… chi… ci ha amato
continuerà sempre a guardarci da lassù. -La voce
del Moro tremava.
-Anche. .. Anche io lo credo, Tsu. Di sicuro i miei genitori e il tuo
papà ci guardano in questo momento, e sono felicissimi per
noi! -Tenma abbracció l’amico.
-Sempre insieme?
-Fino alla fine dei miei giorni.
Quando la mattina dopo Tenma si sveglió capí
subito che qualcosa non andava. La madre del Moro piangeva nella stanza
a fianco.
Tenma si vestí in fretta e corse da lei. La trovó
inginocchiata a terra. Il panico lo invase.
-Dove… Dove è andato Tsu?
La donna promuove in un pianto disperato.
-Lo hanno convocato!
Tenma correva. Correva come non aveva mai corso in vita sua.
Destinazione, l’aeroporto militare della prefettura.
Arrivó fradicio di sudore, con un taglio profondo alla
guancia che aveva strisciato contro un ramo di un albero caduto per una
bomba. Le guardie lo guardano stranite e sprezzanti.
Si lancia dentro sfuggendo alle mani che vogliono afferrarlo, corre
lungo il corridoio che porta alle piste e non vede che travolge un
generale, che spazza via le carte da un tavolo.
Finalmente delle braccia solide lo afferrano. Piange disperatamente.
-Ditemi che non sono già partiti!
I corpi Kamikaze.
Negli ultimi mesi della guerra, migliaia di giovani piloti vengono
convocati per servire la patria con il sacrificio della vita. Su aerei
carichi di bombe si lanciano addosso alle navi americane.
L’estremo sacrificio di un popolo che non conosce resa, che
spazza via l’umiliazione della sconfitta inevitabile con il
sangue del fiore della sua gioventù.
Tra loro centinaia di allievi delle accademie aeronautiche, tra loro
Tsurugi Kyousuke, 17 anni, pilota apprendista.
Sono passati sei mesi dall’armistizio. Il Giappone
è in ginocchio sotto l’occupazione americana, ma
l’imperatore è salvo. Passeranno anni ma alla fine
la nazione risorgerà dalle sue ceneri.
Tenma passeggia tutti i giorni sulla collina della sua ultima sera con
kyousuke. Il vuoto dentro di lui aveva divorato la sua allegria, ucciso
per sempre la sua determinazione. Era piegato come un giunco aggredito
dalla tramontana.
-Tsurugi, Tsu, mi hai lasciato così… vivo solo
aspettando il giorno della fine ormai, sai? La mia unica gioia
è vederti nei fiori di ciliegio, nelle onde del mare, e
sapere che un giorno ci rivedremo in cielo.
L’unica consolazione di Tenma era che Tsurugi se ne era
andato prima della bomba. Quello era stato troppo. Il mondo non sarebbe
stato più lo stesso.
E così un paese
piange i suoi morti,
e così un ragazzo piange tra i ciliegi.
-Se solo… se solo ti avessi detto la verità. Se
solo ti avessi detto che ti amavo, Tsurugi Kyousuke! -Il grido si perde
nel vento.
Tra le mani del giovane un pezzo di carta.
Lo aveva trovato ai piedi del letto, quando lo avevano trascinato a
casa urlante, la mattina del volo.
“Quando sarai solo, guarda le stelle.
Io sarò lì per te.”
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