Isole (titolo provvisorio)

di Riziero Ippoliti
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II
 

“L'Imperatore è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.”

Articolo 70, primo comma, della Legge Fondamentale del Dominio
 

Nell’ampia e buia stanza da letto penetrava solo uno spiraglio di luce mattutina, passando attraverso le due tende di broccato azzurro che coprivano la finestra, e colpendo le gocce di cristallo del grande lampadario proiettava uno scintillio di luci colorate sulla parete opposta e sul grande letto a baldacchino. E lì, avvolto in coperte di seta e lana finemente ricamate, dormiva un anziano signore, sull’ottantina, dal respiro lento e regolare. Stando steso di lato, un braccio ossuto sporgeva da fuori delle coperte poggiato sul comodino. Vicino al punto dove stava la mano, c’erano un paio di occhiali e alcune boccette rovesciate dalle quali erano cadute delle pillole di vari colori. 

Dal corridoio fuori dalla stanza da letto proveniva un certo tramestio. Inservienti stavano preparando la cerimonia che si svolgeva ogni mattina nella residenza privata. Alcuni stavano pulendo il corridoio e le stanze adiacenti con dei silenziosi aspirapolvere, altri lucidavano i soprammobili d’argento, d’oro e di cristallo, che erano sparsi sui mobili ornamentali. Altri con delle pezze e delle boccette di prodotto sgrassatore e cominciò a lavare i fregi e le scanalature delle colonne corinzie che ornavano il corridoio.
Tutti indossavano la stessa uniforme da lavoro.
A dirigere queste operazioni di pulizia nel corridoio e nelle stanze in cui si sarebbe poi spostato il cerimoniale, c’era un arcigno signore di mezza età con i capelli perfettamente pettinati e lisciati, e il viso incipriato. Il maestro delle cerimonie si muoveva avanti e indietro per il corridoio impartendo ordini agli inservienti, riprendendone qualcuno di tanto in tanto.
«Dovete sbrigarvi, operai!» disse ad un certo punto cadenzando le parole, «è quasi ora! Sua Eccellenza deve trovare tutto perfetto! Il minimo sbaglio sarà segnalato ai vostri Guardiani di riferimento!»
Per un attimo gli inservienti si fermarono, e lo guardarono.
«Non pensiate che qui nella Splendoris Civitas i Guardiani siano più morbidi rispetto a quelli delle fogne da cui venite! Al contrario…» soggiunse con un ghigno.
A quelle parole gli inservienti presero a lavorare più febbrilmente e più rapidamente, passando nuovamente dove avevano già lavato. Sapevano infatti che se fossero stati segnalati, avrebbero rischiato delle frustate o peggio, e tutti loro almeno una volta ci erano passati.
Il maestro delle cerimonie fu compiaciuto nel vedere quanto la sua minaccia avesse accelerato le operazioni. Esperto e geloso del suo mestiere, voleva che tutto fosse perfetto, come ogni mattina di ogni giorno. Aveva lavorato come maestro delle cerimonie per quaranta anni, servendo ben tre capi di stato diversi, e non aveva mai sbagliato nulla. Non voleva pertanto cominciare adesso.
Intanto le operazioni di pulizia si era concluse con successo. Il maestro passò velocemente in rassegna il corridoio e le sale, controllando che fosse tutto in ordine. Con soddisfazione constatò che tutto era perfettamente pulito e lindo. Pronto per la giornata che stava per iniziare.
«Molto bene.» disse, senza tradire alcuna emozione, agli inservienti che si erano disposti uno accanto all’altro in due file, come soldati.
«Molto bene» ripeté, «adesso andate alle cucine e state pronti a portare la colazione al suono della campanella!»
Gli inservienti si dileguarono, sparendo in una porta in fondo al corridoio, mentre il maestro controllò gli ultimi dettagli ossessivamente e risistemò la propria uniforme. Tutto doveva essere perfetto.
Egli si stava già disponendo fuori della porta della stanza da letto, quando nel corridoio un antico orologio a pendolo suonò sette rintocchi. Il maestro, allora bussò tre volte alla porta.
Dopo di ché la aprì e a bassa voce sussurrò: «Eccellenza, è ora.»
L’anziano signore nel letto si contorse e inspirò profondamente, dopodiché si alzò mettendosi a sedere sul bordo del letto con le spalle rivolte verso la porta.
«Buongiorno, Eccellenza» disse con deferenza il maestro delle cerimonie, chinando leggermente il capo, «le faccio portare subito la colazione!»
Il signore non rispose, e il maestro delle cerimonie uscì richiudendo la porta. Il vecchio si alzò, infilò una vestaglia da notte color ruggine che stava appesa alla parete accanto al letto, e si mise gli occhiali che stavano sul comodino. Sul piccolo mobile c’era una pulsantiera, e il vecchio premette il tasto sotto il quale c’era scritto “agenda”.
Subito il dispositivo si illuminò. Una melliflua voce femminile disse: «Primo ottobre, anno 2305. Incarichi della giornata: ore 11:00, seduta del Consiglio Supremo della Guerra e della Sicurezza; ore 15:00 visita medica; ore 16:30 incontro con la delegazione dei…»
L’uomo premette nuovamente il pulsante, interrompendo la voce.
Si avvicinò alla finestra e aprì le tende. La luce del giorno inondò la stanza, rendendo visibili le pareti e la volta a crociera affrescata.
Nella stanza, oltre al letto a baldacchino, c’erano anche un tavolo con delle sedie di legno intagliato e con intarsi in madreperla, e un cassettone in stile art nouveau, con le maniglie di cristallo, sormontato da uno specchio.
Sul cassettone vi erano alcune cornici con fotografie. Una rappresentava una bella signora di una certa età, e sulla cornice era incisa una parola: “Penelope”. Un’altra rappresentava un uomo giovane dall’aria vagamente triste, e l’intestazione recava “Claudio”. Infine ve ne era un’altra in cui erano ritratte due ragazze, una con i capelli biondo cenere e l’altra, più giovane, con i capelli di un colore biondo ramato, che si tenevano abbracciate. I nomi impressi sulla cornice erano “Selene e Domiziana”. Infine vi era un'altra foto che ritraeva la famiglia al completo.
L’uomo restò in piedi con i pugni che si toccavano dietro la schiena, e attraverso le piccole, nere e opache lenti dei suoi occhiali, guardò fuori dalla finestra. Dall’alto della Turris Maxima egli osservava la capitale, che si estendeva per chilometri in tutte le direzioni, solcata, da nord est a sud ovest, dalla scia verdognola del suo fiume.
I quartieri più vicini alla residenza, erano stati ristrutturati, eppure c’erano ancora molti antichi edifici in rovina, invasi da piante rampicanti, e circondati da cumuli di macerie. Molte chiese diroccate e campanili spezzati. Molti tetti crollati.
In mezzo ad essi spiccavano edifici moderni, torri e grattacieli, che parevano fatti di cristallo, e riflettevano la luce del sole mattutino. Molti di questi grattacieli erano collegati fra loro da ponti, e passerelle sospese a centinaia di metri sopra gli antichi tetti circostanti, ed erano dotati di terrazze, sui cui venivano coltivati lussureggianti giardini pensili, i cui innaffiatoi automatici spruzzavano sulle piante acqua nebulizzata che rifrangendo la luce produceva arcobaleni. Strade e ferrovie sopraelevate passavano tra i grattacieli, o attraverso essi. Velocissimi treni sfrecciavano su di esse.
Si vedeva anche una serie di veicoli fluttuanti di varie dimensioni, che sciamavano tra gli edifici. Erano le aereonavi, singolari veicoli mossi da motori antigravitazionali. Agili, veloci e con una forma simile a quella delle chiglie delle antiche navi che solcavano gli oceani.
Il contrasto con l’antichità della città era molto forte, uno scontro fra epoche diverse. Anche alcuni degli antichi edifici erano stati ricostruiti o riparati. Tra questi, verso ovest, proprio di fronte alla finestra, vi era una grande basilica bianca, con una maestosa cupola che spiccava al pari degli altri grattacieli. Su di essa era in corso una ristrutturazione; lo si capiva dalle impalcature allestite intorno alla sua mole bianca, come molti altri edifici antichi della città. Ovunque infatti si scorgevano gru e impalcature, ed altri veicoli volanti che trasportavano materiali. Ovunque si tentava di preservare quel che restava di Roma.
L’Imperatore osservava la sua capitale, quando si udì il trillo di una campanella a mano e fu di nuovo bussato alla porta. Si voltò verso la porta e proferì la prima parola della giornata, con voce bassa e fredda: «Avanti»
La porta si aprì.
«Eccellenza, la sua colazione» disse il maestro delle cerimonie aprendo la porta.
L’Imperatore rispose con un gesto con la mano.
Il maestro chinò il capo, e poi batté le mani. Subito un inserviente spinse dentro la stanza un carrello con il piano di cristallo. Su di esso, perfettamente ripiegata, c’era una tovaglia e accanto c’era un vassoio d’argento con una tazza di caffè e un’altra, più grande, di latte, un piattino con una brioche calda, con la glassa che luccicava riflettendo la luce, e un contenitore con due diverse tipologie di zucchero. Vicino alla tovaglia e al vassoio c’era una giornale piegato a metà e fresco di stampa.
Un altro inserviente seguì il primo, e arrivati al tavolo lo apparecchiarono insieme, disponendo tutto in perfetto ordine. Quando fu tutto pronto, i due inservienti e il maestro delle cerimonie accennarono un inchino all’Imperatore.
Dopodiché fece un altro gesto con la mano e quelli se ne andarono chiudendo la porta. L’Imperatore amava consumare i suoi pasti da solo, e non visto se non dai suoi parenti.
Non appena rimase solo, Marco Silla prese posto, disponendo la sedia lateralmente al tavolo e iniziò a mangiare.
Quando ebbe terminato l'Imperatore prese il giornale e lo aprì. Era un'edizione del giornale che Silla abitualmente leggeva, ovvero “L'Impero”. Sotto il titolo della testata, campeggiava in prima pagina un grande titolo scritto tutto in maiuscolo: SCONTRI AL SENATO IMPERIALE. L’occhiello recava: Saraga, andiamo avanti. Mentre il sommario: Roma, ancora proteste al Senato Imperiale da parte delle opposizioni contro il decreto economico presentato dal Consiglio Esecutivo il 19 settembre, il Senatore Reggente John Mills sospende otto senatori dell'FDD. E sotto c'era una foto che ritraeva gli scranni del Senato tra i quali alcuni senatori aveva sollevato cartelli con messaggi di protesta.
Sulla destra della pagina c'era il lungo editoriale del direttore del giornale che aveva titolo ”Perché Marco Aurelio Silla, Nono Imperatore, deve restare”. Il direttore chiedeva all'Imperatore di espletare un terzo mandato, in altre parole di restare in carica fino alla fine dei suoi giorni, vista la sua età avanzata, visto che in quella situazione non c'era nessun altro che fosse all'altezza di sostituirlo come capo dello stato. Silla ne lesse solo la prima parte, senza badarci.
Riceveva questi appelli pieni di ipocrisia quasi tutti i giorni da qualche tempo, ma aveva sempre rifiutato. Non aveva intenzione di presentarsi davanti al Senato Imperiale, e farsi eleggere una terza volta Imperatore del Dominio. In fondo aveva già espletato due mandati, ed era da ventisei anni che reggeva le sorti dello stato. Era vecchio e stanco, ed era fin troppo intelligente per essere attaccato ancora al proprio seggio.
Per questo rispondeva sempre: «Avete un anno e mezzo, fino alla scadenza del mio secondo mandato, per trovare un candidato adeguato: trovatelo, dunque!»
In quel momento fu di nuovo bussato nuovamente alla porta, e l’Imperatore ripeté: «Avanti!»
Il maestro delle cerimonie entrò chinando il capo come sempre.
«Eccellenza, c’è qui il consulente militare.»
«Fatelo entrare.»
Il maestro chinò nuovamente il capo, e poi fece cenno a qualcuno fuori della porta.
«Prego.» disse.
Entrò allora un uomo in alta uniforme, con i capelli brizzolati, che portava una borsa di cuoio bruno. Non appena si trovò dinanzi al Capo dello Stato l’uomo si drizzò e fece un saluto militare con la mano destra. L’Imperatore rispose con un cenno del capo.
«Prego.» disse indicando l’altra sedia.
L’uomo stette un momento ad osservarlo.
C'è chi dice che il potere logora: Marco Aurelio Silla, almeno dal punto di vista fisico, ne era la dimostrazione vivente. Da quando ventisei prima era stato eletto Imperatore, era stato colpito da numerose patologie che lo avevano lasciato magro, deperito e pallido come un cadavere.
Era di bassa statura, e superava di poco il metro e cinquanta. Leggermente ingobbito, spesso tendeva a zoppicare. La fronte era ampia, spaziosa e solcata da numerose rughe parallele che formavano acuminate cuspidi sopra gli occhi, quando parlava. L'attaccatura dei capelli bianchi era molto alta. Il viso era anch’esso solcato da rughe e scavato abbastanza da poterne perfettamente distinguere le ossa del cranio e della mandibola.
Ciò che più impressionava di lui erano gli occhi. Pare che una grave malattia avesse pregiudicato la sua vista, ed era per lenirne gli effetti che portava sempre quel paio di occhiali dalle lenti nere e opache e dalla esile montatura. Le lenti non coprivano l’intera orbita, come occhiali normali, ma solo l’apertura delle palpebre, e quando aggrottava la fronte lembi di pelle avviluppavano le lenti, che sembravano così parte del suo corpo. Questo gli dava l’aspetto di una specie di insetto.
Il consulente si sedette e, posata la borsa sul tavolo, ne estrasse un fascicolo.
«Eccellenza, qui ci sono in sintesi gli argomenti che saranno trattati nella seduta di oggi del Consiglio Supremo della Guerra e della Sicurezza»
Silla li prese senza fare una parola, e li esaminò.
«Come può vedere le ho aggiunto un sommario all’inizio…» e qui il consulente prese a spiegare le varie strategie che l’esercito stava seguendo in quel periodo, per risolvere le dispute di confine con le altre Nazioni Sopravvissute, cioè il Nord Europa e la Nuova Russia. Continuò poi con i movimenti dei Ribelli negli spazi tra le Isole.
«Ieri notte si è verificato un incidente e le nostre nuove aereonavi hanno risolto la situazione»
«Si spieghi!»
«Il sistema d’allarme delle ferrovie magnetiche è scattato alle ore 23:49. I computer hanno rilevato l’approssimarsi di mezzi non autorizzati ai binari magnetici presso le rovine di Firenze.»
«Mezzi?»
«Due aereonavi modello Aquila Due e Aquila Tre» rispose il consulente.
«Mi risultava che i Ribelli possedessero solo mezzi di terra. Da quando hanno anche delle aereonavi da guerra?!»
«Eccellenza, hanno... hanno depredato un di deposito di aereonavi dismesse circa tre settimane fa»
«E come mai non sono stato informato?»
«Perché non c’è da preoccuparsi, Eccellenza: si tratta di modelli vecchi e lenti, come le Aquila Due e Tre, o le Gheppio Otto. Molte di esse sono anche gravemente danneggiate. Non possono competere con il nuovo modello Falco Quindici! E l’incidente di ieri lo ha dimostrato.» disse alzando le mani.
«Cioè?»
«Signore… Eccellenza, quei Ribelli stava piazzando del materiale esplosivo. Volevano far saltare la ferrovia. Le nostre Falco Quindici sono giunte sul posto in un minuto. All’approssimarsi delle nostre due Falco Quindici hanno tentato di fuggire, ma la serie Aquila è troppo lenta rispetto alla serie Falco. Una è stata abbattuta, mentre l'altra è riuscita ad allontanarsi, ma solo dopo essere stata pesantemente danneggiata. Dubito che potrà servirgli in seguito!»
«Non si può negare che sia un buon risultato, tuttavia non possiamo abbassare la guardia,» disse l’Imperatore, «non possiamo permetterci il lusso di sottovalutarli!»
«Certamente, Eccellenza!»
«Rammenta cosa avvenne al mio predecessore?»
«Certo, Eccellenza. Come dimenticare la tragica dipartita di Sua Eccellenza Antonio Scavari? Fu un grande uomo…»
«Senza ombra di dubbio, ma era anche un ingenuo idealista!» disse l’Imperatore scuotendo il capo.
Il consulente non rispose. Silla si appoggiò con il gomito al tavolo, tenendosi la testa.
«Può bastare così, sergente» disse. «E’ tutto!»
«Eccellenza!» disse il consulente alzandosi e facendo un saluto militare.
«Lasci quelle carte. Potrebbero servirmi ancora. E riferisca al Generale Seelber che voglio delle informazioni in più circa l'incidente di ieri sera» disse Silla, mentre si alzava e dava le spalle al suo interlocutore.
«Sissignore!» disse facendo un altro saluto militare, dopo di ché uscì chiudendosi dietro la porta.  
L'Imperatore tornò alla finestra, una mano stretta a pugno dietro la schiena e l'altra che  massaggiava l'ampia fronte calva. Adesso il numero di aereonavi da trasporto che solcavano i cieli della capitale era notevolmente aumentato, e le strade erano oramai congestionate. Silla osservò la scena, per qualche minuto, riflettendo su quanto il consulente gli aveva appena riferito e sulla situazione del paese.
Ribelli che si impossessavano di aereonavi, attentati presso la ferrovia, tensioni che sfociavano in scontri aperti con le altre Nazioni Sopravvissute, scontri e scandali nelle istituzioni, proteste da parte degli Elettori ancor più che dagli Operai. Era chiaro che la situazione stava per precipitare. La precaria pace che Silla aveva garantito per quasi trenta anni al Dominio, governandolo inflessibilmente, si avviava oramai al termine. Il sistema morente che aveva cercato di preservare stava ormai per implodere su sé stesso.
E la minaccia non veniva solo dall'esterno, dai selvaggi fuori dal continente, dai Ribelli o dalle altre Nazioni Sopravvissute, ma anche e soprattutto dall'interno. Dignitari, politici e imprenditori avidi di denaro e potere, pazzi e incoscienti, disposti a sacrificare la stabilità del paese pur di raggiungere i loro scopi individualistici. Silla scosse il capo. Per trenta anni aveva fatto da arbitro in questo pericoloso gioco, ridimensionando chiunque tra questi andasse troppo oltre. Quel che più lo preoccupava era che nessuno, tra coloro che si candidavano a succedergli, era lontano da quelle ambizioni, ed era anche questo il motivo per cui gli si chiedeva di restare. Faceva comodo una figura forte a fare da arbitro imparziale. Ma oramai si sentiva troppo stanco e vecchio per continuare ad arginarli.
Guardò il suo orologio da polso che segnava le nove, e allora uscì dalla stanza e si diresse verso il bagno. Anche la stanza da bagno era degna della residenza imperiale. Tutto l'ambiente era rivestito di mattonelle e maioliche. L'Imperatore entrò e si chiuse dietro la porta.
Ne uscì una mezz'ora dopo, pronto per la giornata. Aveva indossato un completo blu scuro, e una cravatta dello stesso colore, sotto la quale si intravedeva una camicia di fine seta bianca. Fazzoletto al taschino, e poco sopra una medaglietta appuntata. La stoffa del nastro era rossa, salvo per un rombo bianco nel mezzo. Sul tondo d'oro della medaglietta era inciso un simbolo: una croce, come quella delle chiese, sormontata da un'aquila con le ali aperte e il becco rivolto verso destra.
Sua Eccellenza, l'Imperatore, era pronto a svolgere gli incarichi della giornata.
Si avviò, con andatura lenta e claudicante, verso la porta in fondo al corridoio. L’Imperatore premette un tasto e l'ascensore sfrecciò subito, e gli edifici che circondavano la Turris Maxima parvero cambiare forma man mano che scendeva verso il basso, e i particolari erano sempre più nitidi. Con una frenata leggera la cabina si fermò alcuni piani più in basso. Le porte si aprirono mostrando all'Imperatore un corridoio molto simile a quello della sua residenza, solo che era più corto. In fondo si apriva un ampio salone luminoso.
L'Imperatore percorse il corridoio silenziosamente, accompagnato da una musica suonata su un'arpa.




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