7.7
Angolo Autrice
Ohilà
gente, mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento, ma ho avuto un
po’ di problemi con la mia Musa ispiratrice, con la mia vena
creativa, insomma non sono riuscita a scrivere due righe, fino ad ora.
In
verità ho riscritto questo capitolo almeno quattro volte, ma non
riuscivo mai ad esserne soddisfatta. È stato particolarmente
complicato, perché, come vedrete, qui vengono date molte
spiegazioni e si entrerà davvero nel vivo nella storia
(già, dopo tutti questi capitoli, sono leggermente prolissa)
Comunque
ci tengo a rassicuravi: la storia non rimarrà incompleta, anche
se adesso, con l’inizio delle lezioni in università, non
so con quanta regolarità riuscirò a pubblicare...
comunque, spero una volta alla settimana! Come ho detto, la storia
avrà certamente un finale, l’ho già perfettamente
in mente e alcuni capitoli sono già stati abbozzati, quindi
spero davvero di riuscire a mantenere un ritmo di pubblicazione
abbastanza costante d’ora in poi.
Bene,
ora vi lascio alla lettura. Come sempre, grazie a chi segue la storia e
a chi sceglie di dedicare un po’ del suo tempo per commentarla; i
vostri pareri sono sempre uno stimolo per continuare e
un’occasione per imparare.
Buona lettura :)
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Capitolo VI
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Planning
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Il cielo era plumbeo e violaceo.
Da qualche
settimana, tuttavia, vi era stato un sostanziale mutamento nelle
condizioni climatiche. La foschia, greve e opprimente, che per mesi
aveva strangolato l’Inghilterra e i suoi abitanti, era diminuita,
e il clima generale si era fatto più mite e felice.
I Babbani avevano
creduto che ciò fosse dovuto alla bella stagione, che,
finalmente, aveva preso il sopravvento su quel gelo innaturale e
soffocante, ma i Maghi sapevano che quella nebbia era legata ai
Dissennatori, e la sua improvvisa assenza poteva significare una cosa
sola: quegli esseri mostruosi e rivoltanti erano stati cacciati.
La pendola batté cinque, secchi rintocchi.
Octavio si guardò intorno, percorrendo il locale con un’unica, vasta e rapida occhiata.
La grande sala dove
si trovava era stata arredata con gusto sobrio, ma raffinato ed era
decisamente più appropriata rispetto all’angusto tinello
della sua vecchia dimora.
Aveva deciso di
abbandonare il suo vecchio seminterrato e trasferirsi lì, in
quella semplice villetta in stile vittoriano, per un motivo preciso:
qui, infatti, avrebbe potuto ricevere i suoi nuovi seguaci, così
abbagliati dal comune senso di potere e dagli status che da esso
derivano. Loro non avrebbero mai accettato, lo sapeva, un capo che
aveva una cantina come covo segreto.
Erano solo degli
sciocchi, pensò. Tutti loro sarebbero stati pronti a farsi
uccidere pur di poter vantare il privilegio di possedere un lussuoso
maniero.
Per non parlare dei loro stupidi, inutili, pregiudizi sui Sanguemarcio e gli ibridi.
Non era il sangue a
fare di un Mago un grande stregone, non erano le origini a determinare
chi sarebbe diventato o che cosa avrebbe fatto.
Octavio questo lo sapeva molto bene.
Era stato un bel
problema convincere i suoi nuovi seguaci ad abbandonare le idee che per
tanto tempo li avevano accompagnati, cullandoli nel loro rassicurante
significato, sostenendo le loro pretese di superiorità. Octavio,
infatti, non aveva scelto i membri della sua cerchia ristretta in base
al sangue: abilità, questa era l’unica cosa importante.
Un sonoro crack lo distolse dai propri pensieri.
Qualcuno si era appena Materializzato davanti alla sua casa.
Si avvicinò
alla finestra, scostò leggermente la tenda e riconobbe
Roockwood, che usciva dall’anfratto scuro nel quale era appena
comparso.
Dopo pochi secondi bussò alla porta.
«Mio
signore» lo salutò Roockwood, prima di essere invitato a
entrare «È fatta» annunciò, non senza un
evidente tono di autocompiacimento.
Octavio non vi badò, doveva pensare a cose più importanti del bisogno di conferme del suo servitore.
«Molto bene,
ora aspettiamo che arrivino anche gli altri» disse lui,
riaccomodandosi sulla poltrona davanti al camino.
Venti minuti dopo una mezza dozzina di maghi era riunita attorno a un
lungo tavolo di legno scuro e lucido, molto simile a quello dove
sedevano i Mangiamorte di Voldemort a Villa Malfoy.
I suoi nuovi
seguaci stavano facendo il loro rapporto; in ordine avevano parlato
Roockwood, Rowle, Selwyn e Travers, poi sarebbe toccato a Yaxley e
Brown. Quest’ultimo non era stato un seguace di Voldemort, dal
momento che era un Nato Babbano; tuttavia, ne condivideva alcune idee
e, quando Octavio aveva sospeso le attività della Commissione
per il Censimento dei Nati Babbani, si era unito a lui con molto
entusiasmo. Gli altri avevano protestato e continuavano a guardarlo con
disprezzo, ma Octavio aveva messo in chiaro le cose: il sangue magico
era prezioso e i Nati Babbani erano la prova del suo enorme potere;
aveva poi spiegato come maghi e streghe del calibro di Morgana,
Paracelso e Flamel, la cui grandezza era oggi unanimemente rispettata,
erano probabilmente nati da famiglie Babbane, a riprova di come il
lignaggio non significasse nulla.
Ci sarebbe voluto del tempo, ma Octavio confidava che i loro risentimenti sarebbero presto svaniti.
«Così
hanno trovato due intere famiglie Babbane trucidate» stava
intanto dicendo Travers «Non ci vorrà molto ormai, la
guerra inizierà presto» concluse trionfante.
Octavio si concesse un sorriso; tutto stava procedendo come lui aveva deciso.
La tempestività era stata un elemento essenziale nel suo piano.
Dopo aver sconfitto
Voldemort, Octavio si era recato immediatamente al Ministero; lì
aveva radunato i seguaci del Signore Oscuro, comunicando loro la
notizia e illustrando il suo glorioso progetto, che era stato accolto
con entusiasmo. Quindi, aveva ordinato loro ritirarsi e di restare, per
il momento, nell’ombra, mentre lui si presentava al resto della
comunità magica come il loro liberatore.
Per accrescere la
sua credibilità in tal senso, si era subito dato da fare,
sospendendo tutti gli ordini di cattura per i Nati Babbani e
allontanando i Dissennatori.
La notizia della
fine di Voldemort e delle riforme attuate dal Ministro ad interim erano
circolate in fretta tra i maghi e, in breve, Octavio si era conquistato
il favore e la fiducia di molti dei vecchi oppositori del Signore
Oscuro.
Tuttavia, non aveva
potuto rendere noto il suo vero obiettivo, non subito almeno: il suo
più ambizioso progetto, il controllo di tutto il Paese, e non
solo, doveva aspettare; la guerra contro i Babbani, infatti, non poteva
essere dichiarata senza motivo.
Per riuscirci,
doveva occuparsi di due cose: eliminare Potter, o quanto meno la stima
che molti nutrivano nei suoi confronti, e scatenare l’odio dei
maghi contro i Babbani.
Quest’ultimo intento sarebbe stato raggiunto molto presto: la
sera prima, infatti, mentre Yaxley e Brown si introducevano nel
Ministero Babbano e lanciavano una Maledizione Imperius sul Primo
Ministro, il resto dei suoi seguaci si era diviso in tre gruppi: i
primi due avevano attaccato alcuni villaggi Babbani, abitati anche da
famiglie di maghi, curandosi di lasciare evidenti tracce di magia,
l’altro si era diretto a Villa Malfoy.
Octavio si era
premurato di scegliere i suoi bersagli in modo eterogeneo: aperti
sostenitori di Potter, maghi comuni e Mangiamorte dichiarati. In questo
modo, pensava, non ci sarebbe stato un colpevole evidente e confusione,
paura e insicurezza si sarebbero insinuati facilmente nei cuori dei
maghi.
Quanto ai Malfoy,
comunque, l’attacco contro di loro si era rivelato non solo
funzionale ad avallare il suo piano di depistaggio, ma anche di vitale
importanza per la sua personale lotta contro ciò che restava di
Voldemort.
Gli ormai ex
Mangiamorte, infatti, pur non avendo incontrato difficoltà a
penetrare nel grande maniero di famiglia, erano stati accolti in
maniera inaspettata: alcuni vecchi compagni, ancora fedeli al Signore
Oscuro, si erano riuniti là e quella che avrebbe dovuto essere
una semplice incursione, si era trasformata in una lotta furiosa.
Purtroppo, Narcissa, il figlio Draco e Rodolphus Lestrange erano
riusciti a fuggire, mentre Macnair e l’altro fratello Lestrange
erano stati uccisi e Malfoy catturato.
Octavio non aveva
ancora avuto il tempo di interrogarlo, ma l’avrebbe fatto molto
presto: doveva assolutamente scoprire dove si era rifugiato il resto
della famiglia Malfoy e, soprattutto, doveva trovare Bellatrix.
Intanto la paura, come Octavio aveva previsto, aveva già preso
il sopravvento: il Ministro Babbano, posto sotto il suo controllo,
aveva lasciato alcune dichiarazioni: aveva promesso risposte ai suoi
concittadini in merito agli eventi della notte precedente, accennando
poi a “mostri che vivono tra noi”.
Molto presto, poi,
Octavio avrebbe nuovamente inviato i suoi al Ministero: sotto
l’influsso della Maledizione Imperius, il capo dei Babbani
avrebbe rivelato l’esistenza del mondo magico, gettando
così il suo popolo direttamente nelle fameliche fauci dei maghi.
Maghi, che,
d’altro canto, non lo avevano deluso: messi al corrente dei
terribili attacchi e delle dichiarazioni preoccupanti del Primo
Ministro, tutti si erano sentiti inquieti e oppressi da una cupa ombra
di minaccia: il loro tanto agognato muro di segretezza si stava
sgretolando e, presto, sarebbe stato del tutto abbattuto.
E, quando
ciò sarebbe avvenuto, indignazione e risentimento sarebbero
esplosi all’improvviso, facendo leva su vecchi rancori e antichi
timori.
Naturalmente qualcuno avrebbe protestato, levando alta e insistente la propria voce in difesa dei Babbani.
Non sarebbe stato per molto: ben presto, infatti, la vendetta e l’odio avrebbero soffocato ogni traccia di pietà.
Il Ministero sarebbe stato chiamato a prendere una posizione ferma e la risposta di Octavio sarebbe stata una sola: guerra.
Presto i Babbani,
esseri deboli, sarebbero stati distrutti e schiacciati;
l’Inghilterra sarebbe stato il primo Paese governato dai maghi,
ma non l’ultimo. Entro l’anno, Octavio confidava che
l’intera popolazione magica europea avrebbe seguito
l’esempio Britannico, creando così il primo Continente
controllato dai maghi.
Il Male che lui
avrebbe portato sarebbe stato necessario: la sua specie avrebbe
finalmente avuto il posto che le spettava di diritto: come i Sapiens
avevano preso il sopravvento sui Neanderthal (*), così i maghi,
uomini dalle abilità superiori, avrebbero dominato sui Babbani.
Niente più
guerre, niente più stupide lotte di potere: Octavio avrebbe
creato un mondo giusto e pacifico, dove i maghi non avrebbero
più dovuto vivere nell’ombra, ma anzi, sarebbero stati
venerati; dove un bambino Nato Babbano non avrebbe dovuto nascondersi
agli altri, ma sarebbe stato l’orgoglio della famiglia, ammirato
e rispettato.
Ibridi, Lupi Mannari e altre creature sarebbero venute subito sotto di loro, dal momento che erano dotate di poteri magici.
Per ultimi i
Babbani, i quali sarebbero stati protetti dai maghi se avessero
accettato di sottomettersi, trucidati se avessero osato disobbedire;
premiati con aiuti e strumenti magici per la loro fedeltà,
puniti e maledetti se si fossero rifiutati di sottostare alla legge.
La comunità
magica, accecata dall’odio, avrebbe accolto con favore le sue
proposte, ma prima avrebbe dovuto dimenticare il Bambino Sopravvissuto;
Voldemort era ormai il passato e Octavio, meglio noto come Damon, era
il futuro.
«Dobbiamo annientare Potter e i suoi» stava appunto dicendo
Rowle. La sua dichiarazione venne accolta con mormorii di assenso:
l’argomento più spinoso di quel consesso era stato toccato.
«Voi siete
stato nella loro base, dobbiamo attaccarli adesso, sfruttare
l’elemento sorpresa» propose Selwyn, rivolgendosi a
Octavio, che ribatté irritato «Per l’ultima volta,
non sono il Custode Segreto, non posso condurvi là» e,
dopo una pausa, aggiunse «Per ora, comunque, non rappresentano un
pericolo. Quando apprenderanno la notizia di quanto accaduto saranno
costretti ad agire, dobbiamo solo aspettare che facciano un passo
falso»
«Ma se
lasciassero il loro covo, forse l’hanno già fatt-»
stava dicendo Rowle, ma qualcosa lo fece zittire.
«Non è
possibile» mormorò Yaxley, incredulo «Il Marchio
Nero, Lui … Lui ci sta chiamando»
Octavio sorrise soddisfatto: Potter aveva appena commesso il suo errore più grande.
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* * *
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«Quindi tu e
Bill eravate gli unici a sapere quando Gabrielle sarebbe dovuta tornare
a casa?» stava chiedendo Harry. Accanto a lui c’era Piton,
che ascoltava in silenzio.
«Oui» rispose Fleur «Nous ne l’avevomo detto a nessuno, era tropo pericoloso»
Harry non sapeva
che cosa pensare. Silente gli aveva detto che quella della scomparsa di
Gabrielle era una coincidenza troppo strana e che doveva fidarsi
dell’intuito di Fleur. Tuttavia, almeno fino a quel momento, non
erano riusciti a scoprire nulla di nuovo o di utile: se Fleur e Bill
erano gli unici a sapere, ed era certo che i traditori non fossero
loro, qualcuno doveva averli spiati di nascosto, il che portava a un
altro vicolo cieco.
«Sei proprio
sicura di non averne parlato con nessun altro, anche solo un accenno,
senza entrare nei dettagli?» chiese Piton, parlando per la prima
volta,
«No, no,
sapevomo solo noi» ripetè lei «Billì e moi,
nessuno …» aggiunse, interrompendosi all’improvviso
«Mon Dieu, la nove!» esclamò.
Harry e Piton si
scambiarono uno sguardo perplesso, prima di riportare l’attenzione su Fleur
che continuò «Oh, Arrì sono stata così
naïf ! Octavio! Una volta stavomo parlondo e mi ha detto che avevo
fatto bien a usar la nove, nessun altro poteva saporlo, solo chi aveva
letto il messoggio pour i mes paronti!»
«Ma, forse glielo hai detto tu» cominciò Harry calmo.
Octavio era stato
uno dei loro migliori acquisti: compagno di scuola di Fleur, si era
rivelato un eccellente combattente e aveva fornito loro molte
informazioni utili; inoltre, aveva salvato la famiglia di un Nato
Babbano dall’attacco di alcuni Mangiamorte e, nello stesso
frangente, aveva salvato la vita anche a Tonks, che era andata con lui
e Fred a prestare soccorso. Non poteva essere lui il traditore, Harry
ne era certo.
«No, no sono
sicura» ribatté subito Fleur, ormai in preda alle lacrime
«Era mio companio a Beauxbatons, mais è stato lui»
farfugliò, scuotendo la bella chioma argentata.
«Dobbiamo
parlarne con lui» disse Harry a Piton «Non è una
prova schiacciante, ma se Fleur pens-» stava aggiungendo, quando
udì delle grida; provenivano da uno dei piani di sopra, la
stanza di Fred e George o di … «Voldemort!»
urlò Harry, scattando in piedi, proprio nell’attimo in cui
la porta della stanza veniva aperta.
«È
evaso!» gridò Remus «Dobbiamo andarcene,
adesso!» aggiunse, prima di scomparire di nuovo nel corridoio.
Harry e Piton si
scambiarono un altro sguardo, ma prima che uno dei due potesse dire
qualcosa, una fitta lancinante perforò il cranio di Harry: la
cicatrice aveva ricominciato a bruciare e il dolore era divampato
improvviso e violento, accecandolo.
«Potter,
andiamo» gli sembrò di udire, ma la cicatrice mandava
stilettate talmente acute e brutali da escludere qualunque suono,
che quindi gli giungeva ovattato e remoto.
E, mentre si
trovava ancora piegato in due, accasciato in avanti sullo schienale
della sedia, vide un’ombra pallida stagliarsi sulla soglia.
Con uno sforzo terribile sollevò la testa, cercando a tentoni la bacchetta, la sua unica difesa.
Voldemort
avanzò rapidamente, ma non si diresse verso di lui; puntava a
Piton che, dall’altro angolo della stanza, scagliava incantesimi
a raffica, che sembravano non riuscire neanche a sfiorare il Signore
Oscuro.
In un attimo gli fu
addosso; Voldemort era disarmato, ma sapeva praticare la magia senza
bacchetta. Scagliò Piton dall’altro lato della stanza,
oltre il letto di Harry, quindi si avventò di nuovo sul suo
vecchio servitore, strappandogli via la bacchetta.
Harry riuscì
finalmente a sollevarsi completamente, si aggrappò alla sua
bacchetta, pronto a colpire, ma non fu abbastanza rapido.
Voldemort
afferrò il braccio sinistro di Piton, gli sollevò la
manica e premette il lungo dito pallido sopra il Marchio Nero.
Un fremito, come di
un battito d’ali e poi un boato, subito seguito dagli
inconfondibili schiocchi delle Materializzazioni.
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Doveva essere ormai pomeriggio inoltrato, calcolò Gabrielle (**).
Dopo mesi di
prigionia, senza poter vedere la luce del sole, aveva imparato a fare
affidamento su altri elementi per misurare il trascorrere del tempo.
Era un esercizio, questo di tener conto dei giorni, che la faceva
tranquillizzare, che le dava la certezza di essere ancora lucida e
presente.
Ogni tanto lo
sconforto e la disperazione prendevano il sopravvento: si chiedeva se e
quando gli altri si sarebbero accorti della sua scomparsa e se
sarebbero mai riusciti a trovarla.
Non che potesse biasimarli, dopotutto era stata tutta colpa sua.
Era stata così stupida!
Bill l’aveva
accompagnata al porto di Dover con la Materializzazione Congiunta; da
lì, Gabrielle avrebbe dovuto proseguire da sola su un traghetto
Babbano e, dopo poco più di un’ora, sarebbe sbarcata in
Francia, dove sarebbe stata finalmente al sicuro.
Già, al sicuro.
Forse, pensava, si era lasciata ingannare tanto facilmente perché, in cuor suo, non voleva davvero tornare a casa.
Dopo che i motori
si erano accesi e la nave aveva cominciato a lasciare lentamente la
fonda, Gabrielle aveva visto Bill Smaterializzarsi.
“Ormai è troppo tardi” si era detta, cominciando a camminare avanti e indietro sul ponte.
«Gabrielle!»
si era sentita chiamare all’improvviso e, sollevando lo sguardo,
aveva visto Octavio, una delle nuove reclute dell’Ordine,
correrle incontro.
«Gabrielle,»
aveva ripetuto dopo averla raggiunta «Hanno preso Fleur, sanno
che sei qui, dobbiamo andarcene adesso!» aveva detto e Gabrielle
non aveva trovato alcun motivo per non credergli.
Aveva afferrato il
braccio che lui le aveva offerto e si erano Smaterializzati, per
ricomparire in un vicolo umido e buio. Si era voltata per chiedere a
Octavio dove fossero, ma qualcosa l’aveva colpita, stordendola.
Tutto quello che
ricordava era di essersi risvegliata in quella cella. Aveva poi visto
Octavio, seduto davanti a lei, ogni traccia di gentilezza sparita sul
suo volto.
«Che cosa
stai facendo, Octavio?» aveva chiesto, cercando di dominare il
panico che cresceva ogni secondo, di pari passo con la consapevolezza
di quello che era accaduto.
«Non è
più il mio nome» aveva detto Octavio «Da oggi sono
Damon, il dominatore, colui che sottomette» aveva spiegato.
«Che cosa
dici, tu fai parte dell’Ordine, sei nostro amico!» aveva
gridato, ma Octavio era scoppiato in una risata terribile e fredda.
«Amico
vostro?» aveva ripetuto «No, non credo» aveva
affermato, quindi, improvvisamente, aveva estratto la bacchetta e
l’aveva puntata contro di lei: un dolore terribile le aveva
perforato la testa, mentre immagini e sensazioni erano fluite
liberamente nella sua mente. Il tutto era durato solo pochi istanti, ma
Gabrielle si era sentita svuotata e debole come mai prima di allora.
Octavio aveva applicato la Legilimanzia su di lei molte altre volte.
Quando lei si
rifiutava di collaborare o cercava di resistere con troppa ostinazione,
lui le scagliava la Maledizione Imperius e una volta, anche la
Cruciatus; quello era stato un momento orribile, non aveva mai provato
una sofferenza simile.
«Ci sono
moltissime cose che conosci, anche se non ne sei consapevole» le
aveva detto Octavio un giorno, durante una di quelle sedute.
E aveva ragione:
frasi, immagini, piccoli dettagli che Gabrielle aveva visto o sentito
per caso e di cui non si era mai accorta, scorrevano rapide e nitide
nella sua testa e, per quanto ci avesse provato, non era mai riuscita a
bloccarle del tutto. Il dolore poi, era talmente intenso e le punizioni
talmente dure, che aveva finito per rinunciarvi, desiderando soltanto
che quell’incubo finisse.
C’era una
cosa, però, che non riusciva a capire: Octavio aveva estratto
molte informazioni utili sull’Ordine, sui turni di guardia e su
tanto altro, ma, aveva riflettuto, quelli erano, tutto sommato,
elementi di poco conto. Octavio, infatti, si era già guadagnato
la fiducia di Fleur e le informazioni estorte dovevano certamente
averla rafforzata, dandogli così la possibilità di
assicurarsi anche la stima di Harry, ma la maggior parte dei ricordi
che l’aveva costretta a rivivere erano legati alla sua
famiglia, alla scuola e al Torneo Tremaghi.
Non conosceva il
motivo di tanto interesse, ma sentiva che doveva essere importante e
per questo pericoloso; se solo ne fosse stata capace, glielo avrebbe
impedito.
Invece, tutto
quello che Gabrielle era riuscita a fare era stato sopravvivere, per
chi o per che cosa, però, stava cominciando a dimenticarlo.
Un rumore, simile a
un grugnito, la distolse dai suoi pensieri. Si voltò verso
l’angolo opposto, dove un uomo si stava rigirando in quello che
sembrava essere un sonno inquieto e per nulla riposante.
Era stato rinchiuso in quella cella la notte prima.
Gabrielle non
sapeva chi fosse e Damon (ormai aveva imparato a chiamarlo così)
non aveva voluto fornirle informazioni; «Feccia» aveva
detto, prima di chiudersi la pesante porta alle spalle.
Il suo nuovo compagno, tuttavia, non era stato più loquace.
Si era rannicchiato in quell’angolo buio e sudicio, ostinandosi a rimanere silenzioso e cupo quanto quel luogo.
Alla fine si era
addormentato, ma neanche nel sonno aveva trovato pace: era scosso da
continui e violenti brividi e, ogni tanto, qualche parola sfuggiva da
qualunque incubo stesse vivendo.
Gabrielle non aveva osato avvicinarsi, né tentare di riscuoterlo.
Lo guardò agitarsi ancora per qualche minuto, poi, improvvisamente, l’uomo rimase immobile, come paralizzato.
Che fosse morto?
Pensò Gabrielle, allarmata non tanto per la tragica
eventualità, quanto più per il sollievo che quel pensiero
sembrava suscitare in lei: quell’uomo, chiunque fosse, le faceva
paura.
Si alzò,
decisa a fare qualche passo verso di lui, quando questi urlò. Un
grido terribile, agghiacciante, che rimbombò in modo spaventoso
in quella cella cavernosa.
I freddi occhi
grigi dell’uomo si spalancarono all’istante mentre, con
mano tremante, si artigliava il braccio sinistro, dove un orrendo
tatuaggio pulsava disgustoso.
«È
vivo» bisbigliò, ma l’ombra di gioia folle che era
comparsa sul suo viso scemò presto in un’espressione di
acuto terrore.
«È
vivo» ripetè, prima di girarsi di nuovo sul fianco
«Non andare, Draco» mormorò in un soffio appena
udibile, per ripiombare poi in quel suo torbido e inquieto torpore.
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* * *
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Note:
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(*)
Probabilmente vi sarete accorti che ho preso il discorso
Neanderthal/Sapiens dai film degli X-Men: credo che possa essere adatto
anche a questo contesto, dove i maghi si sentono superiori ai Babbani,
così come i mutanti si reputano migliori degli uomini
“normali”.
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(**)
Tecnicamente, nel 1998 Gabrielle dovrebbe avere undici anni. Nella mia
storia è più grande e ha sedici anni, quindi ha solo due
anni in meno di Harry e cinque meno della sorella.
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