You don't know me

di ZARANDO
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La festa in sé era iniziata da qualche ora e già i fumi dell’alcol avevano sortito i primi effetti. Era stata invitata parecchia gente, che Yoshiyuki ricordava appena di aver intravisto a scuola. Tutta la classe di Akito, alcuni senpai di terza, qualche matricola, molte ragazze. 
Le amiche di Akito avevano organizzato tutto nei minimi dettagli, aiutandolo a preparare su grandi vassoi tartine, tramezzini, patatine e schifezze di ogni genere. Avevano passato il pomeriggio a sgobbare, ignorando Yoshi che aveva ciondolato per casa senza muovere un dito. Disposti sul tavolo in cucina, sul bancale, sul tavolino del salotto e su parecchi mobili non c’erano solo le cibarie ma pure parecchie bottiglie di alcolici e bibite gassate. Seminati poi in giro stavano bicchieri colorati di plastica e tovaglioli di carta. La casa era stata riempita inoltre di palloncini blu e bianchi e manifesti con le congratulazioni ad Akito da parte di ogni classe della scuola. 
Yoshiyuki, urtando parecchie persone intente a chiacchierare tra loro, riuscì finalmente a raggiungere la bottiglia di vodka alla menta che stava adocchiando da parecchio. Se ne versò metà bicchiere, tornando poi a isolarsi sedendosi sui primi gradini delle scale che portavano ai piani superiori. Si divertì ad osservare tutti gli invitati in piedi, che mangiavano, ridevano, bevevano e ballavano al suono della musica da discoteca molto alta che proveniva dallo stereo. Pensò che dopotutto non fosse stata male come idea.
Trangugiò la vodka che era rimasta attaccata al fondo del bicchiere. 
Poi, alzando gli occhi, vide Reiko ormai ubriaca camminare solo perché tenuta in piedi dalla sua amica Natsumi. Vederla traballare in mezzo alla gente, ignorata da tutti in quanto quelle erano le condizioni comuni a molti, gli fece sfuggire un sorriso. Sota si diresse verso una delle poltrone che stavano nel mezzo del salotto, scivolando su una di esse e lasciando cadere il capo sullo schienale. Yoshiyuki scoppiò a ridere, forse complice l’alcol in corpo.
Vide poi Fujimoto, che lo aveva ignorato per tutta la serata, appoggiato alla parete, conversare con Koba. Mentre chiacchieravano, Takeshi teneva il tempo della musica con le dita sul bicchiere, forse ascoltando più il sound che le parole dell’amico. Sulla sua spalla era appoggiato Keichiro, in una smorfia causata dalla posizione e dall’avanzato stato di ebbrezza.
Appena Fujimoto intravide Yoshi, seduto dall’altra parte della stanza, gli fece un cenno, alzando appena il mento nella sua direzione. Scosse un po’ Honda, massaggiandogli energicamente la schiena, come per svegliarlo.
Yoshi si distrasse, notando una bella ragazza bionda vestita in modo provocante invadere il suo campo visivo. Doveva essere molto più grande data l’età dei ragazzi che gli stavano attorno, tutti impegnati a pavoneggiarsi.
Così rimase un poco sorpreso vedendo Takeshi avanzare verso di lui, districandosi in mezzo alla folla. Indossava una camicia blu scuro molto aderente, che metteva in risalto il suo fisico asciutto, assieme ad un paio di pantaloni bianchi più morbidi. Nonostante fosse molto elegante, il fatto che fosse abbronzato, biondo e fondamentalmente strano, equilibrava il tutto.
“Ehilà.” sorrise, sedendosi in parte di Yoshiyuki.
Mifune invece indossava una tuta da ginnastica rossa, ma aveva lasciato aperta la felpa per far vedere la canotta bianca sotto. Sulla scollatura della canottiera stretta troneggiava una catena dorata. Si era ispirato ad un famoso cantante hip hop della West Coast, a suo dire.
“Come va?” continuò Takeshi, traendo grossi sorsi dal suo bicchiere. Dal puzzo d’alcol che proveniva dalla sua bocca non doveva essere il primo.
“Bene..” accennò Yoshi, tenendo il proprio bicchiere per il bordo. “Non volevo disturbarti.”
“Ma cosa dici!” Lo afferrò per le spalle con un braccio, mettendolo in imbarazzo.
“Sembravi aver fatto colpo con Honda!” rise Yoshi, spostando l’amico con la mano.
Di colpo Takeshi si fece serio, balbettando di nuovo: “Ma cosa dici..”
“Mica ti sarai offeso..” 
“Lascia stare.” Fujimoto scosse la testa, bagnando nuovamente le labbra con la bibita. “Mi fa un po’ senso che pensi mi piacciano certe cose..”
Yoshiyuki scoppiò a ridere sonoramente, dicendo che stava scherzando.
Rimasero un po’ in silenzio, entrambi assorti a fissare le persone muoversi dinanzi a loro. Qualcuno spense pure le luci, accendendo invece un faretto che emanava raggi di luce sul soffitto a intermittenza, illuminando parzialmente tutto. Iniziarono a ballare un po’ tutti, inebriati sia dalla musica che dall’alcol che dall’atmosfera. 
“Che fuori..” esclamò sorpreso Yoshi, chiedendosi dove Akito avesse trovato certi oggetti. Era davvero pieno di inventiva. Il soffitto buio veniva illuminato da piccoli led creando un gioco di luci e ombre che ricordava una notte stellata, disegnando però astri anche sulla pelle delle persone.
Girandosi verso Fujimoto per chiedergli cosa ne pensasse, lo vide assorto a fissarlo.
Il suo sguardo era rivolto a Yoshi ma sembrava in realtà guardargli attraverso, guardare altro. Uno sguardo vuoto probabilmente dovuto sempre ai due occhi spaiati. 
“Forse hai bevuto troppo.” esordì Yoshiyuki, togliendo di mano a Takeshi il bicchiere semivuoto.
“No, non credo.” scosse la testa, massaggiandosi la nuca con fare nervoso.
“Ogni tanto mi fai un po’ di paura, sai?”
Takeshi alzò appena lo sguardo, tendendo le orecchie. “Perché mai?” chiese, incuriosito.
“Non capisco mai cosa pensi.” poi Mifune sorrise, sentendosi ridicolo. “Mi sento anche stupido a pensarci, però è così.”
“Fatico un po’ ad aprirmi, ecco.” rispose frettoloso Takeshi. Se ti guardo mica vuol dire che ti odio, pensò.
“Noi siamo amici, quindi cerca di aprirti almeno con me, ok?” Yoshiyuki si appoggiò agli scalini alle loro spalle, rilassandosi. 
Notò la schiena di Fujimoto avere un sussulto, come se fosse stato preso dal singhiozzo per un attimo. 
“Stasera sei parecchio diretto!” gli scappò, buttandola sul ridere.
“Sei tu che, nonostante abbia bevuto così tanto, ti fai tanti problemi.” spiegò Yoshi, giocando con la catena che aveva al collo. Stava talmente stravaccato sui gradini che tutte le ragazze che passavano lanciavano occhiatine perplesse alla sua posa. “Se il tuo migliore amico è Honda, bene. Se ciò vuol dire che non possiamo più frequentarci, ottimo.” Takeshi smise di dargli le spalle  e si volse appena per poterlo guardare in viso.
“Ma non credere che ci soffrirò.” terminò Yoshiyuki, trattenendo a stento un rutto. “Non sono possessivo come tipo.”
Takeshi gli spinse una gamba, scocciato. “Non fare il figo ora!”
La musica cambiò di colpo, tutti che saltavano urlando il ritornello della canzone, in un inglese storpiato che a Yoshi diede il voltastomaco.
“Vorrei solo sapere chi ho davanti.” proruppe poi, rimettendosi seduto e togliendosi la felpa dal caldo, lasciando scoperte le braccia.
Si sentì la mano gelida di Takeshi sul braccio, che lo tirava a sé. 
“Vorresti davvero sapere tutto di me?” domandò, avvicinandosi al volto di Mifune.
Vorrei capire se posso fidarmi, pensò Yoshi. Lo guardava serio, sempre più convinto che Takeshi stesse facendo il doppio gioco. 
Non voleva trovarsi magari a doverlo affrontare, nella lotta contro Akito per Sota, perché amico di Keichiro. Aveva capito che i due si condizionavano a vicenda, quindi se Honda avesse preso le parti di Akito, molto probabilmente Takeshi lo avrebbe seguito a ruota. Ma anche il contrario pareva possibile.
Lo vide avvicinarsi ancora, quasi a parlargli sulle labbra.
Ma non usciva nessun suono dalla sua bocca socchiusa o almeno Yoshi non riusciva ad udire alcunché. Aveva le orecchie ovattate dal rombo della musica alta, dal vociare continuo.
Percepì invece un peso leggero sulle sue labbra, come se qualcuno ci avesse appoggiato un dito.
E sentì appena, a livello di gusto, un sapore dolciastro e intenso, simile a quello che rimane sulla lingua dopo aver bevuto troppo. 
Le dita di Takeshi lasciarono di scatto il braccio di Yoshi, che si scostò dall’amico. Yoshi lo guardò alzarsi, cercando di far ragionare il cervello che gli stava consigliando solo una spiegazione.
Fujimoto aveva tentato di baciarlo, urlavano i neuroni impazziti.

Yoshi passò la notte in bianco, fumando ogni sigaretta che aveva trovato per casa. Vuoi per il nervoso del fatto accaduto con Takeshi, vuoi per i rumori di chiara matrice riproduttiva provenienti dalla camera del fratello, non era riuscito a chiudere occhio. 
Ripensò che aveva tentato di parlare a Fujimoto, perché credette, per un istante, di aver frainteso, di essersi sbagliato, di aver travisato. Tutto ciò che aveva avuto in cambio era stata una sonora risata. “Ma cosa vai a dire..” Takeshi lo ascoltava appena, mentre si dedicava alla scelta del tramezzino da ingurgitare. Chinato sul tavolo della cucina, evitava chiaramente di guardare l’altro, in piedi davanti a lui. “Sei forse impazzito?”
Forse si era immaginato tutto, pensò nuovamente.
Ma aveva avuto voglia di fermare qualche ragazza che era stata lì vicino, chiedere a chiunque se avesse visto qualcosa. E che figura ci avrebbe fatto?
Se fosse andato in giro a chiedere se lo avevano visto baciare un ragazzo, poteva significare ben poche cose; si vergognava del fatto che qualcuno lo avesse visto perché o gli era piaciuto e aveva paura per la propria reputazione oppure che non credeva a ciò che aveva combinato. Tuttavia, in entrambi i casi, era una chiara ammissione del fatto in sé. Piaciuto o no, aveva baciato un uomo e, in qualsiasi scuola, sarebbe stato un pettegolezzo difficile da sfatare.
Di sicuro poi la colpa sarebbe ricaduta sul nuovo arrivato e non certo su Takeshi, il nuotatore provetto che portava gloria all’istituto. Invece incolpare lui di omosessualità, copia mal riuscita del rappresentante degli studenti, teppista e drogato a detta di tutto il quartiere, ragazzo dalla dubbia moralità, sarebbe stato facilissimo.
Era appoggiato al balcone, perso nei suoi pensieri quando, attirato da dei rumori in giardino, buttò l’occhio in direzione del cancello. Camera sua dava direttamente in strada, ma dalla finestra si poteva scorgere anche l’entrata dell’abitazione.
Notò Akito baciare con trasporto una ragazza dai lunghi capelli castani che indossava un vestitino a fiori rossi e blu.
Era quasi l’alba e, nonostante non ci fosse anima viva in giro, Yoshi si chiese come facesse a lasciarla andare via da sola per strada. La vide attraversare la via per percorrere il marciapiede opposto e, complice la luce di un lampione ancora acceso, riconobbe il volto dell’amica di Sota, Natsumi.
Ci rimase male, perché credeva seriamente a quanto Akito aveva ammesso a proposito della sua passione per Reiko. Aveva creduto addirittura che avrebbe approfittato di Sota ubriaca, per farsi avanti. A quanto sembrava o le cose non erano andate in porto o si era buttato su una preda più facile da ottenere. Tuttavia, secondo Yoshi il confronto tra le due ragazze era impossibile. Natsumi era la classica ragazza giapponese perbene, senza ambizioni né particolari qualità, carina al punto giusto da poterci uscire senza sfigurare, da poter presentare ai genitori con facilità, perché rappresentante di una bellezza tipica del paese, che non turbava né dava troppo nell’occhio, una bellezza “tranquilla”. Invece la mezza giapponese, Reiko, era ragazza dall’aspetto disarmante. Quando passeggiava vestita in divisa, sembrava una hostess dei libercoli che si trovano alle fermate dei treni o nei peggiori izakaya . Aveva una bellezza che colpiva, che metteva a disagio, che faceva pensare “non sarò mai abbastanza per te”. Attirava gli sguardi sia di uomini di mezz’età che dei più giovani intraprendenti; sguardi lascivi e non, perché era qualcosa di diverso, da spiare e desiderare. Ricordava paesi lontani, persone sconosciute, un mondo che si cercava di eguagliare e allo stesso tempo di superare. Occhi grandi che ipnotizzavano e che a molti ricordavano personaggi famosi vittime del bisturi al fine di somigliare anche solo lontanamente ai visi europei. Le ciglia lunghe, le sopracciglia ad arco, le guance scavate, il viso ovale, nulla avevano a che fare con la tipica fisionomia asiatica. Una ragazza così era difficile da accompagnare, ma a Yoshi la sfida sembrava interessare. 
VRR VRR
La vibrazione del cellulare sul pavimento lo fece trasalire. Spense la sigaretta contro lo stipite della finestra, ignorando tutte le bruciature che aveva procurato al legno. 
Guardò il mittente della mail, che non conosceva.
“Ciao Mifune, sono Reiko. Volevo scusarmi per la mia pessima figura in casa tua alla festa. Forse ho anche dimenticato una scarpa là da te.”
Scoppiò a ridere, pensando che fosse strana anche nello scrivere messaggi. 

Nei giorni successivi, Yoshi cercò in tutte le maniere di parlare a tu per tu nuovamente con Takeshi, invano. Il nuotatore provetto infatti lo evitava di continuo, gli rispondeva male, lo trattava come se fosse un fastidioso insetto.
Quando usciva sul terrazzo dell’ultimo piano a fumare con tutti i senpai, Fujimoto prendeva la porta con una scusa qualsiasi, preferendo rinunciare alle sigarette piuttosto che stare in sua compagnia. E se riusciva a metterlo alle strette, questi scoppiava a ridere canzonandolo, dicendogli che non era cambiato nulla, che erano solo sue paranoie e che, ovviamente, non c’era motivo perché accadesse il contrario. Dopotutto, non era successo nulla. 
Eppure, aveva smesso di cercarlo. Cosicché Mifune tornò ad uscire con la sua pseudo ragazza, con gli amici della vecchia scuola, prendendosi una pausa dalle persone che aveva conosciuto nella nuova.
L’unica che non riusciva a togliersi dalla testa era Sota.
Spesso si sentivano via mail, si davano appuntamento per il pomeriggio, con la scusa dello studiare assieme o di particolari progetti scolastici. In realtà passavano le ore a parlare, ridere, andare al cinema, mangiare fuori. Yoshi iniziava ad esporsi sempre più, passando molto tempo in sua compagnia.
Dentro le mura scolastiche invece si comportavano come buoni compagni di classe ma senza esagerare, forse per paura dei possibili e molto probabili commenti. 
Un pomeriggio andarono anche allo zoo di Ueno , visita di solito riservata alle coppiette in amore. Mentre passeggiavano tra le gabbie dove stavano rinchiuse molte specie di volatili provenienti da ogni angolo del mondo, Reiko gli chiese come si trovasse a scuola. Era una domanda che gli poneva spesso, perché anche lei, in passato, si era trovata nella stessa situazione e ne aveva sofferto parecchio.
“Così così.” ammise Yoshiyuki. Camminavano uno di fianco all’altra, sollevando di tanto in tanto lo sguardo a scorgere qualche uccello dal piumaggio variopinto. Di leggere i cartellini con le descrizioni e i nomi nessuno dei due ne aveva voglia.
“Come mai?” gli chiese lei. “I primi giorni mi parevi felice.”
Avrebbe voluto spiegargli di quanto era rimasto deluso dal comportamento di Fujimoto. Se da ubriaco aveva fatto qualcosa di cui si era pentito poteva spiegarglielo, ne avrebbero riso assieme. Il suo non ammettere invece, il suo fuggire di continuo, lo feriva.  
Rimase in silenzio, perdendosi nel guardare tra le fronde degli alberi.
Dopo un po’, quando Reiko aveva perso la speranza di ricevere una qualche risposta, Yoshi si decise a parlare.
“Fujimoto.”
“Fujimoto è strano.” finì lei, facendo spallucce. “E’ incomprensibile.”
“Credevo di aver trovato un amico..” Yoshi scosse la testa, amareggiato. Si vergognò di ammettere di starci male. Era fastidioso sentirsi ignorare da qualcuno in cui si credeva. “Mi sono sbagliato.”
“E’ successo qualcosa?” Reiko si sedette su una panchina, sotto degli alberi che facevano da cornice. Trovarono così un po’ d’ombra per ripararsi dal sole cocente. 
Se le avesse raccontato del presunto bacio avrebbe potuto sicuramente dire addio alla parentesi vietata ai minori che sognava accadesse tra loro.
“No, no..” Yoshi fece qualche passo indietro, temendo che la ragazza potesse capire.
“Forse dovresti parlargli.” gli consigliò lei, notando che Mifune era in difficoltà. “Pensa che..”
Si fermò, scoppiando in una risata nervosa che attirò l’attenzione di Yoshiyuki.
“Natsumi è venuta a dirmi che dopo la festa si è..” rise di nuovo, evitando di farsi vedere in volto. “..con Akito.”
Yoshiyuki ricordò di averla vista uscire da casa sua, di averla riconosciuta andare via a malincuore.
“Si, l’ho vista anch’io.” ammise, contento che Reiko stesse raccontando altro.
La ragazza lo guardò, un po’ seria in volto. “Me l’ha detto perché temeva di farmi star male.” continuò. “Quindi se hai anche il minimo dubbio su Fujimoto, parlagli e tutto si risolverà.”
Yoshi annuì, poco convinto.
“Se lasci passare troppo tempo dopo la distanza tra voi diventa sempre più grande.”
“Come mai aveva paura di farti del male?” Yoshiyuki si stava chiedendo il motivo di tanta premura. Certo, era incredibile che un’amica andasse a letto con il peggior nemico dell’altra, ma addirittura che ciò la facesse soffrire..
“Siamo molto unite, non voleva che pensassi cose strane. Tipo che prendesse le parti di Akito.” sospirò, fissandosi le mani appoggiate alle ginocchia. 
“Mah.” Yoshi bofonchiò, pensando che comunque, anche se amiche, una delle due ci aveva dato dentro senza tanto pensare a chi avesse davanti. “Per me sono stronzate.”
Reiko lo ascoltò, nonostante nella sua mente vagassero gli stessi pensieri del biondino. 
“Non credo molto al sesso mordi e fuggi con una persona che conosci bene e sai quanto e cosa ha fatto alle persone attorno a te.” ammise lui. “Poi deve essere brava a lavarsene le mani, certo.”
Sota si morse le labbra, rimanendo in silenzio. 
“Ciò non toglie che sia una carognata.” concluse Yoshi.
Reiko pensò al fatto di non aver mai visto la camera di Akito. Non sapeva nemmeno come fosse fatta, quindi certe simulazioni non poteva farle. Non poteva immaginare i due divertirsi, la sua amica con il suo ex ragazzo, e poi il senso di colpa che la portò a confessarsi. 
“Probabilmente lo aveva già notato.” le parole di Mifune divennero come coltellate, inferte con maestria all’orgoglio già malconcio della ragazza. “Ma non si era fatta avanti per rispetto nei tuoi riguardi.”
Nonostante Yoshi non sapesse del passato di Akito e Reiko, ciò che stava dicendo, riferito solo a quel poco che conosceva, calzava a pennello. 
Vedendo che Reiko non gradiva la piega che aveva preso il discorso, Yoshiyuki si alzò in piedi, spronandola a continuare la camminata.
Non aveva ancora imparato a tenersi dentro i pensieri più cinici che potevano ferire chi gli stava vicino. Tuttavia, era seriamente intenzionato a parlare con Takeshi. Non voleva perdere un amico prezioso solo per il troppo alcol nel corpo che lo aveva portato ad intuire cose sbagliate. 

L’indomani, appena suonata la campanella che indicava il termine dell’orario scolastico, Yoshiyuki scese le scale, uscendo dalla porta posteriore, diretto ai parcheggi delle biciclette. Aveva notato Takeshi utilizzare quella via per tornare a casa, passando per la strada dietro la scuola. Da quello che gli aveva detto Koba, aspettava la sua ragazza per fare metà strada insieme e poi lasciarla proseguire in bici da sola, poiché abitavano in due zone differenti. 
Yoshiyuki era anche parecchio curioso di vedere la fidanzata di Fujimoto, cosicché uscì in fretta, trovandosi in mezzo al parcheggio dove tutti liberavano le biciclette dalle catene  e prendevano la strada di casa. Intravide in fondo Takeshi aiutare una ragazza dai lunghi capelli neri e la frangia tagliata di netto a liberare il mezzo a due ruote. Era chinato a trafficare con il lucchetto e Yoshi decise di avvicinarsi.
La ragazza, vedendolo, gli sorrise, mettendo in mostra dei denti bianchissimi. Era davvero bella, pensò Yoshi, notando come la divisa scolastica le donasse. I lunghi capelli neri setosi le incorniciavano un viso ben proporzionato. 
“Ciao.” la salutò, con un gesto della mano.
Takeshi, come punto da un insetto, si volse di scatto, sorpreso di vedere Mifune dinanzi.
Lei gli rispose con lo stesso saluto cordiale.
Fujimoto invece si alzò in piedi in fretta, come volesse proteggerla. 
“Cosa vuoi?” chiese diretto. Al che la ragazza si preoccupò, vedendolo così scostante nei confronti del ragazzo biondo.
“Takeshi..” aveva una voce sottile, simile ad un sussurro. “..è un tuo amico?”
Fujimoto annuì, presentando il fratello del rappresentante degli studenti alla sua ragazza.
“Lei è Misato.” controvoglia, si era fatto da parte, permettendo i convenevoli.
Yoshi vide Fujimoto sulle spine, indeciso sul da farsi. Sapeva che Yoshiyuki era là per parlargli, ma non sapeva come liberarsi della ragazza. 
“Misato..” fu Mifune a prendere in mano la situazione. “..posso parlare un attimo da solo con Fujimoto?”
Lei sorrise nuovamente, annuendo. “Io vado avanti, Takeshi.” gli scoccò un bacio sulla guancia, liberando con uno strattone la bici dalla morsa che la teneva in piedi. “Ci sentiamo dopo.” salutò anche Yoshi, inforcando la bicicletta e iniziando a pedalare per immettersi dal marciapiede sulla strada.
Nel frattempo il parcheggio si era svuotato, lasciando i due soli. 
“Cosa vuoi?” chiese di nuovo Takeshi, incrociando le braccia al petto. “Di che vuoi parlare?”
Yoshiyuki si grattò dietro l’orecchio, nervosamente. Si vergognava a tirare fuori quel discorso. Takeshi lo aveva già liquidato con un “sei impazzito”, prima di innalzare un muro di silenzio.
“Non sarà mica per la festa?” sbuffò Takeshi, sedendosi su un portabiciclette, spazientito. 
Yoshi annuì. 
Takeshi sorrise, scuotendo la testa, come se non credesse a ciò che stava vivendo. Yoshiyuki lo aveva incolpato di averlo baciato e, nonostante gli avesse dato del visionario, era tornato a chiedere conferma. 
“Non è che ti sarà piaciuto?” chiese, sornione.
“Allora ammetti che..” Yoshiyuki non riusciva proprio a pronunciare certe parole. 
“E che ne so!” Takeshi si passò una mano sul viso, massaggiandosi le tempie. “Non ricordo niente di quella sera, te l’ho detto. Ho bevuto tanto, troppo.”
Mifune pensò che, da dargli del pazzo, ora la nuova versione del biondo era di essersi dimenticato tutto, quindi poteva esserci stato qualcosa come no. 
“So solo che Kei è geloso di te da far paura.” ora Takeshi lo fissava serio, e a Yoshi parve un’altra persona, perché l’amico indossava la lente a contatto che gli scuriva l’occhio grigio. 
“Geloso?”
“Geloso.”
“E’ per questo che mi stai evitando da una settimana?” si sedette in parte a Takeshi, abbassando la voce, come temesse che qualcuno potesse sentirli. O che a qualcuno potessero interessare i loro discorsi.
“Sì e no.” rispose l’altro, ridacchiando. 
“Non ho mica paura di Honda..” Yoshiyuki non vedeva il motivo per cui dovevano ignorarsi a vicenda.
“Lo so.” Takeshi si accese una sigaretta, riempiendo l’aria dell’odore acre del tabacco. “Non voglio affezionarmi troppo a te, diciamo.”
Yoshiyuki lo guardò, non capendo.
“Kei mi ha fatto notare che cerco sempre di starti attorno e non ha sbagliato.” tossì un poco, il fumo che gli era andato di traverso, forse dal nervoso. “Ti conosco da poco e già non riesco a non volerti sempre tra i piedi.”
Yoshi pensò alle sue parole, che gli parvero un po’ ambigue. 
Si prese la testa tra le mani, passando poi le dita sul collo.
“Proprio non capisco che razza di rapporto abbiate.” sentenziò, sapendo di toccare un tasto dolente così facendo.
“E’ che Kei mi conosce da anni, non vuole perdere il posto d’onore!” ridacchiò Takeshi, dando una gomitata sul fianco a Yoshi. 
“Ma chi se ne frega!” reagì l’altro, inaspettatamente. “Voglio solo una persona di cui potermi fidare, mica la fidanzatina!”
Fujimoto lo guardava senza parole, pregando che la situazione non degenerasse come aveva temuto.
“Non voglio portarti via a Honda, diglielo pure.” finì Yoshi, in collera, andandosene. Era stanco di non capire nulla di Takeshi: se all’inizio il fatto che fosse introverso, incomprensibile, lo aveva incuriosito, portandolo a sentirsi simile a lui, ora lo innervosiva. Dover pensare a cosa Honda volesse o non volesse, per non ferirlo o non farlo arrabbiare, gli dava sui nervi. 
A lui di Keichiro non importava nulla e ogni giorno sempre di più lo sentiva distante dal suo modo di pensare. Perché allora doveva tenere sempre conto di quello che Honda provava? Takeshi non riusciva a dirgli di chiudere la bocca, di farsi gli affari propri? 
“Mifune.” Fujimoto lo aveva raggiunto e lo teneva per il braccio. “Io ti ho baciato per davvero.” 
Yoshiyuki fu felice dello scoprire di non essersi sognato tutto e al tempo stesso preoccupato, perché ciò voleva dire solo guai. Si scrollò di dosso la presa del biondo, fissandolo con disgusto.
“Perché?” riuscì solo a dire, pensando che aveva la ragazza, che era un uomo, che prima gli aveva dato del pazzo, poi aveva mentito ed infine aveva ammesso.
“Non lo so..” Takeshi divenne rosso di vergogna in viso, mordendosi il labbro. 
“E’ di questo che è geloso Honda, allora.” Yoshi d’un tratto aveva compreso tutto. Si passò una mano tra i capelli, incredulo.
Rimasero a fissarsi in silenzio in mezzo al parcheggio delle biciclette, quasi al cancello che dava sulla strada trafficata.
“Glielo hai detto?”
“No, ma sei scemo?” Takeshi rispose serio, come se avesse ritrovato la forza di rispondere che per un istante aveva smarrito. “Non l’ho detto a nessuno!”
Yoshiyuki lo fissava, torvo. Non gli era mai capitata una cosa simile. Non era certo il tipo che riscuoteva successo tra gli omosessuali. Non era effeminato, non ricordava in alcun modo una ragazza e tantomeno sembrava avere qualche simpatia per il mondo lgbt dato che, chi nella sua vecchia scuola sembrava avere qualche strana tendenza, veniva picchiato e preso in giro a dovere. Nemmeno Takeshi gli sembrava un ragazzo capace di provare certe cose. Lo aveva appena visto in compagnia di una bella ragazza e nei giorni precedenti acclamato da gruppi di studentesse che avrebbero fatto di tutto per divertirsi un po’ con lui. Solo la presenza appiccicosa di Keichiro lo aveva lasciato perplesso. 
Un ragazzo normale  non avrebbe sopportato a lungo l’avere un amico tanto pesante.
“Hai baciato anche Honda?” Yoshi sapeva di essersi buttato in un pozzo molto profondo da cui sarebbe stato difficile venirne fuori. 
Takeshi si grattò nervosamente la nuca, evitando lo sguardo dell’altro. “Devo andare.”
Stava iniziando a conoscere qualcosa di più di Fujimoto, e già ne era disgustato.

Nonostante Yoshi fosse riluttante all’idea di rivedere Fujimoto, e per giunta da solo, si erano dati appuntamento ad un pub che rimaneva aperto fino a tarda notte. Takeshi sembrava ora ansioso di risolvere la questione del tutto, forse perché sentiva forte la probabilità di venire diffamato da Yoshiyuki. Dopotutto lo aveva trattato malissimo e quello sarebbe stato un bel modo di vendicarsi.
Ciò che non capiva era che Yoshiyuki, in realtà, era dispiaciuto perché sapeva che la loro amicizia non poteva continuare. 
Mifune arrivò per primo e prese posto ad un tavolo verso il fondo del locale, vicino alla finestra che dava sulla strada. Le panche in legno, rigide, le pareti ricoperte di quadri e litografie, il bancone in legno massiccio e la parete dietro ricoperta di bottiglie di alcolici ricordavano per davvero un pub. Prese in mano il menu, scorrendo le varie bibite e stuzzichini.
Appena arrivò Takeshi, poterono ordinare due birre da mezzo litro, con un piatto di patatine fritte. 
Fujimoto indossava una t-shirt blu con disegnata l’union jack che lo metteva in pendant con l’ambiente. 
Parlarono della scuola per i primi dieci minuti, aspettando le bibite. Appena iniziarono a spiluccare le patatine e l’alcol entrò in circolo, ripiegarono a parlare del vero motivo per cui si erano trovati.
“Se mi hai scambiato per lui..” Yoshi era davvero scocciato di doverne parlare ancora. “..ti sei sbagliato, te l’assicuro.”
“Mifune, cazzo..” Takeshi poggiò la mano sulla fronte, come se la testa gli pesasse. “Non sono quello che tu credi.. Ho anche Misato!”
“Non capisco allora con Honda..” Yoshiyuki era convinto che tra i due ci fosse qualcosa o che ci fosse stato. Honda era troppo preso da Takeshi, e aveva finalmente compreso il perché di certi sguardi, certi atteggiamenti, certe situazioni.
“Non è successo niente.” Takeshi bevve a grandi sorsi la birra gelida, perdendo qualche goccia sul tavolo.
Yoshiyuki lo fissava, osservando i suoi occhi diversi, i suoi capelli biondi, le orecchie piene di piercing.. “Merda, non ti credo.” 
Fujimoto scoppiò a ridere, ordinando con un cenno della mano un altro giro.

Seduti sul marciapiede, appena fuori dalla zona dei ristoranti e dei pachinko di Ikebukuro, i due continuavano a ridere a squarciagola, ubriachi. Lanciavano le lattine ormai vuote contro un cartello, scommettendo su chi colpisse con più precisione il faccione del divo di turno sul manifesto appeso.
Nell’aria si sentiva distintamente l’odore di pioggia misto a quello di fritti vari e smog. Le poche persone ancora in giro per quelle vie erano malviventi o ubriaconi che tentavano di ritrovare la via di casa.
Takeshi e Yoshiyuki, dopo aver lasciato il pub, avevano gironzolato prima in una sala pachinko  poi in una di videogiochi; infine, si erano seduti a riposare e a rifocillarsi di alcol, svuotando lattine di birra prese dal distributore. 
A Yoshi scappò un rutto rumoroso, facendo scoppiare a ridere Fujimoto. Scosse la testa appena, cercando di riprendere coscienza dato che gli occhi gli si erano riempiti di lacrime dallo sforzo. Fortunatamente reggeva molto bene, quindi non aveva paura di rimettere, ma piuttosto di non riprendersi in tempo per la mattinata del giorno dopo. 
“Tutto bene?” Takeshi lo strattonò per la spalla.
L’altro annuì, accartocciando con una mano la lattina di alluminio. “Questo Honda non lo sa fare, eh?” lo stuzzicò Yoshiyuki.
Era fermamente convinto che ad Honda piacesse Fujimoto e la cosa lo mandava in bestia perché, per questo motivo, doveva sottostare ad una serie di limiti che normalmente si hanno solo quando un amico è fidanzato.
Eppure Takeshi non lo aveva ancora ammesso. Fingeva di non capire, non sapere, non credere.
“Kei è..” Takeshi notò Mifune attendere le sue parole con impazienza. Anche se erano entrambi ubriachi, continuava a cercare di stare attento a quello che diceva. “..è Kei.”
“Sì, e io sono io.” rise Yoshi del biondo in difficoltà.
Fujimoto finì di scolarsi la birra, gettando poi oltre la strada il contenitore vuoto. Fare i vandali così, di sicuro a Kei non sarebbe venuto naturale. Nemmeno di ubriacarsi per strada. Né tantomeno di vestirsi come Yoshi. Quella sera indossava un paio di pantaloni neri stretti e una canotta bianca, ma quello che più lo turbava era la miriade di catenine e ciondoli di chiara ispirazione hip hop che gli pendevano sul petto. Rise, pensando che gli ricordava il nero dell’A-Team.
Yoshiyuki, ignorando Takeshi, si accese l’ultima sigaretta del pacchetto, tendendo la mano a sentire cadere sul palmo le prima gocce di pioggia. 
“Andiamo là.” Yoshi si alzò in piedi, dirigendosi verso un parcheggio recintato, dove stava una piccola panchina coperta da una rozza pompeiana in lamiera. Scavalcò la sbarra che permetteva l’accesso solo alle auto provviste di ticket, e si diresse verso il lato meno esposto alla pioggia.
Sentì Takeshi seguirlo, qualche passo indietro. Poggiò la schiena al muro, risistemandosi i capelli umidi con la mano. 
Perse il fiato, lasciando scivolare dalle labbra la sigaretta accesa, quando percepì la mano di Takeshi stringergli la gola.
Cercò di divincolarsi, ma l’altro lo teneva fermo con forza contro la parete. Gli strinse il braccio con entrambe le mani, tirandoglielo.
Lo vide chiaramente afferrare da una tasca un coltellino svizzero, che aprì con abilità. Takeshi gli puntò la fredda lama appuntita sotto il mento, premendo appena per fargliela sentire.
Mifune non aveva parole. Se avesse voluto ferirlo o peggio, non ne capiva la ragione.
Non trovava nemmeno la forza di chiedergli il motivo, tanto era in tensione.
“Paura?” gli chiese Takeshi, sorridendo. Poteva distintamente notare lo sguardo furioso dell’altro, come se le sue parole avessero cancellato la paura.
“Se mi tagli ti pesto.” rispose Yoshi, lasciando la presa sul braccio. 
“Volevo solo mostrarti un’altra cosa che Kei non sa fare.” Fujimoto richiuse il coltello, liberando dalla stretta Mifune.
Lo aveva minacciato. Gli aveva dimostrato come, nel caso avesse ancora avuto piacere di ficcare il naso in cose che non lo riguardavano, fosse facile per Takeshi fargli del male. Aveva appena tracciato il confine della loro amicizia.
“Ho capito.” ammise Yoshi, massaggiandosi la gola. Normalmente, avrebbe colpito con un pugno il naso di Fujimoto. Ma non voleva crearsi problemi dal nulla a scuola. Tutti erano protetti dalla loro fama, tranne lui. “Honda è una cosa che non devo toccarti.”
“Guarda che anche a lui ho fatto un discorso simile.” precisò Takeshi. “Quello che accade tra me e te è affare nostro, non suo.” 
“Sì, voglio proprio vedere..” disse sarcastico Yoshiyuki, accovacciandosi a terra.
Takeshi si sistemò di fianco a lui, porgendogli il suo pacchetto di sigarette. 
“Che poi tra me e te non accade proprio niente.” Yoshi prese una cicca, usando però il proprio accendino. Aveva appena evitato di venire sfregiato, quindi gli tremavano sia le mani che la voce.
“Mi ha rotto le scatole per la festa..” ammise Takeshi, strofinandosi gli occhi con la mano. 
A Yoshiyuki sorse il timore che Honda avesse potuto vederli.
“Ci ha visti?”
“Boh, credo di sì.” 
“Cazzo..” imprecò Yoshi, grattandosi la nuca nervosamente. “Cosa ti sia passato per la testa non lo so.. ma non è giusto che ci rimetta anch’io!”
Takeshi trasse una lunga boccata dalla sigaretta, espirando poi lentamente. Il discorso del motivo per cui si era avvicinato tentando di baciarlo non era stato affrontato ancora del tutto. Ed entrambi sembravano volerlo evitare il più a lungo possibile.
Yoshiyuki temeva di dover perdere l’unica persona con cui si trovasse davvero a proprio agio per uno sbaglio dovuto probabilmente allo stato di ubriachezza dell’altro. Tuttavia, sentiva sé stesso stare sulla difensiva con Takeshi: iniziava a dubitare sia della sua sincerità che della sua forza. 
“Non lo so il perché.” Takeshi misurava le parole, facendo lunghe pause. 
Yoshiyuki lo fissava, fumando nervosamente, pensando a come dovesse essere stata da spettatore, quella scena. Gli venne quasi la nausea, non capendo cosa lo avesse spinto a fare un gesto del genere. E, ora, non capiva cosa avesse spinto lui a parlare ancora a Takeshi. Se lo avesse fatto Keichiro, per esempio, lo avrebbe picchiato pesantemente, malgrado le probabili conseguenze. 
“Vorrei solo capire perché, merda.” Yoshi si passò una mano tra i capelli, un’emicrania lancinante sul nascere. “Se qualcuno ci ha visti io continuo a rinnegare, ti avviso. Rinnego fino alla morte.”
“Credo di averti toccato appena.” borbottò Fujimoto, spegnendo la sigaretta sull’asfalto bagnato.
Se avessi usato la lingua credo che non cammineresti più su questa terra, pensò Yoshi.
Poi, un’illuminazione, una folgorazione.
“E Honda?” Yoshi tornò su un discorso che lo incuriosiva e lo respingeva allo stesso tempo.
Takeshi sospirò, poiché aveva evitato già in tutti i modi possibili di parlare di Keichiro, ma Mifune tornava sempre su di lui.
“Te lo sei fatto, eh?” ridacchiò Yoshi, tirando dall’ormai mozzicone spento. 
“No, è questo il punto.” ammise Takeshi, poggiando le spalle al muro. “L’ho sempre respinto.”
Yoshiyuki si volse per guardarlo negli occhi mentre gli raccontava finalmente tutto. Avrebbe voluto avere una telecamera per filmarlo e averne la prova, perché l’indomani sarebbe stato tutto già meno chiaro, più offuscato dai postumi della sbronza.
“E’ il mio migliore amico. Ma col tempo credo si sia fissato e da un anno a questa parte è diventato pesante, geloso, appiccicoso.”
Takeshi poggiò un gomito sul ginocchio, tenendosi la fronte. 
“Ho sempre avuto fidanzate, amiche, simpatie.. non mi ha mai rotto per loro quanto invece lo faceva per gli amici. Koba lo sopporta, ma spesso sono venuti alle mani.. Koba è un mio caro amico, adora stare con me, con gli altri.. E’ un tipo forte.”
Yoshiyuki pensò che con Koba si trovava bene anche lui. Che sebbene Takeshi lo avesse ignorato, Koba lo cercava sempre, forse consapevole della situazione. Forse non era la prima volta che capitava. Forse era abituato ai capricci di Keichiro che Takeshi assecondava sempre.
“Anche agli altri, come Onizuka, Mitsuda..” sospirò. “Poi a Kei era venuta la fissa per Akito, così ho potuto respirare un po’. Ma Akito se si stufa reagisce, lo manda a cagare.”
In effetti Yoshi non aveva mai visto Keichiro per casa loro né tantomeno aveva mai sentito Akito parlarne. Anche se Keichiro si riteneva suo grande amico, ad Akito non importava granché.
“E poi arrivi tu.”
Mifune si sentì preso in causa e tese le orecchie.
“E non so cosa mi sia preso..” Takeshi continuava a guardare a terra, tenendosi la fronte. “Ho voluto baciarti, e sotto gli occhi di tutti.”
Yoshi si mise nei panni di Honda, malvolentieri ma lo fece.
“E sapevo che Kei avrebbe visto.”
Keichiro che si volta e intravede ciò che avrebbe voluto per sé. Fujimoto che bacia un altro. Sapendo bene che Takeshi non è gay, sta comunque baciando un ragazzo. Che però non è lui.
“Credo di averlo fatto proprio per quello.”
Keichiro che vede Mifune ritrarsi disgustato, spaventato. 
“Ehi.” Yoshi ebbe l’impressione che per Takeshi, parlare di quelle cose, fosse uno sforzo incredibile. Gli toccò la spalla, scuotendolo appena, come per rincuorarlo. 
“Ti ho baciato per farlo star male.” 
Yoshiyuki pensò alle parole di Koba.
Takeshi ha trovato un nuovo giocattolo!
Koba che pareva saperne più di tutti su Fujimoto.
“Io però non sono Honda.” proruppe Yoshiyuki. 
Takeshi lo fissò, non capendo il ragionamento di Yoshi. Gli aveva raccontato tutto e lui reagiva così, cambiando discorso?
“Se vuoi giocare, giochiamo.” continuò. “Ma se la cosa non mi piace, io reagisco.”
“In che senso?”
“Non usarmi più per fare del male ad Honda.” 
L’immagine di Fujimoto così perfetta, mano a mano che lo conosceva, veniva sempre più distorta. 
Una persona che manipolava gli altri, per poter sfuggire a situazioni che non gli andavano più. Perché se Keichiro era diventato così, voleva dire che era stato un percorso in ascesa, verso quella situazione. Voleva dire che fino ad un certo punto a Fujimoto era andato anche bene e che, poi, si era stancato. Ma era talmente disinteressato che non voleva dargli spiegazioni, voleva che le cose si sistemassero da sole.

Durante l’intervallo, Yoshiyuki era in fila ai distributori automatici con l’intenzione di prendersi una bibita. Il caldo tremendo degli ultimi giorni lo spossava.
Dall’uscita notturna con Fujimoto, poche cose gli erano rimaste nella testa: una fra tutte, la consapevolezza di essere stato “usato” per ferire Honda. Se qualcuno oltre a lui li avesse visti, c’avrebbe rimesso Yoshi e non certo Takeshi. Ma questo sembrava non interessare minimamente Fujimoto. 
Notò che il ragazzo in attesa del caffè era proprio Keichiro, la divisa perfettamente stirata come al suo solito, quell’aspetto impeccabile che a Yoshi ricordava tanto quello del fratello. Nonostante entrambi sapessero ciò che era accaduto alla festa, avevano continuato a salutarsi senza problemi. Pareva che Keichiro sfogasse le sue frustrazioni solo su Fujimoto, non prendendosela direttamentecon Mifune. 
“Anche stamattina abbiamo esagerato con il gel, eh?” gli chiese Keichiro, passandogli accanto, mentre soffiava sul caffè bollente. 
Yoshi gli sorrise a malincuore, chiedendosi perché solo lui venisse preso in giro. Nessuno sembrava accorgersi che Fujimoto si acconciava proprio come lui.
Mentre osservava Keichiro andare verso le finestre che davano sul giardino, sedendosi su una sedia libera, pensò a quello che aveva capito di quel ragazzo. Era innamorato di Takeshi, non ricambiato. Quindi gli piacevano i ragazzi, anche se non si sarebbe detto. Ed era per quel motivo che a Yoshiyuki non dava fastidio, com’era invece successo in passato con compagni di scuola parecchio effeminati vittime di bullismo. 
Ottenuta la lattina di Fanta, si avvicinò a Honda. 
Avrebbe voluto scusarsi della festa. Non capiva perché, ma lo infastidiva essere stato partecipe di una presa in giro ai suoi danni. Giocare con i sentimenti non era bello. E a lui, Keichiro non aveva fatto proprio niente.
Rimase invece impalato a fissarlo, aspettando che Keichiro rompesse il ghiaccio.
Dei ragazzi che correvano per il corridoio lo evitarono per un soffio, imprecando contro Yoshi che rimaneva imperterrito a guardare di fronte a sé.
“Ti ha dato fastidio il commento di prima?” chiese Kei, finendo il caffè.
Yoshi deglutì a fatica, la gola stranamente secca. “Se puoi, perdonami.”
Si vergognò talmente tanto delle parole dette che dovette girarsi in fretta, per evitare di incrociare lo sguardo dell’altro, incredulo. Si diresse verso la classe, mentre la campanella richiamava all’ordine.
Appena varcò la soglia si trovò faccia a faccia con Fujimoto.
Era difficile stargli alla larga dato che erano nella stessa classe.
Era riuscito a parlare con Koba prima di ritrovarselo fuori a fumare, dovendo quindi cambiare discorso.
Koba aveva detto a Yoshi di stare in guardia, perché non tutto quello che diceva Fujimoto corrispondeva a verità. Che aveva un carattere molto simile a quello di Akito: subdolo, egoista e pronto a tutto per raggiungere ciò che voleva. Che finché a Fujimoto era andato bene, Keichiro era l’amico di cui aveva sempre bisogno. Da quando invece era arrivato Yoshi, sembrava non avere occhi che per lui. E, secondo Koba, non era confortante. 
Ciò nonostante, l’ascendente che Fujimoto aveva su tutti era qualcosa che aveva colpito anche Yoshiyuki. Più raccontavano di quanto Fujimoto trattasse male le persone, più si chiedeva perché queste permettessero a Takeshi un comportamento simile. 
Koba gli aveva confidato che Takeshi lo considerava come un fratello. E avrebbe aggiunto altro, se Takeshi stesso non fosse sopraggiunto.

Quella sera uscì nuovamente con i ragazzi della sua vecchia scuola, poiché era il compleanno di uno di loro. Si ritrovò a mangiare okonomiyaki nella solita bettola, fumando e riempiendosi la pancia di squisitezze. L’atmosfera era allegra, spensierata, quello che ci voleva dopo tutto quello che era accaduto a Yoshi.
Quando ebbero finito la cena, optarono per il karaoke, proposto proprio da Kasumi, la ragazza che Yoshiyuki frequentava. Sebbene nella sua testa gravitasse perennemente Reiko, continuava a sfogarsi su Kasumi, immaginando l’altra ragazza al suo fianco e nel suo letto. Kasumi era carina, ma non eccezionale. 
Mentre camminavano per le vie di Ikebukuro Ovest, nei pressi della stazione dei treni, Yoshiyuki riconobbe Koba in compagnia di Fujimoto, Onizuka e altri ragazzi della sua nuova scuola. Vide Takeshi abbracciato a Misato con un vestitino rosa pesca. 
Fu strano incrociarli per Yoshi. E ancora più strano il fatto che Fujimoto non amasse chiedergli di uscire quando era presente anche Misato. Nemmeno Honda sembrava nei paraggi.
Attraversò la piazzetta davanti la stazione, a mano con Kasumi, seguendo il resto del gruppo, diretto ad un edificio preciso dove potersi divertire a cantare vecchie canzoni pop.
“Buonasera Mifune, eh!” urlò Onizuka, il ragazzo con l’aria adulta, riconoscendolo tra la folla.
Tutto il gruppo di Koba si sbracciò a salutarlo; tutti tranne Takeshi che, il braccio a cingere le spalle di Misato, gli sorrise appena. 
“Chi sono?” chiese Kasumi, fermandosi un attimo.
“I miei nuovi compagni di scuola.” rispose frettoloso Yoshi, tirandola verso gli altri che ormai stavano attraversando il passaggio pedonale.
Una serata al karaoke non lo elettrizzava ma non aveva voglia di ritrovarsi nuovamente con Takeshi.
Pagarono la stanza e salirono tutti al decimo piano, esaltati dall’idea di cantare a squarciagola assieme.
Yoshiyuki passò le successive tre ore a sopportare gli altri urlare e saltare sui divanetti, come bambini esagitati. Poiché gli era salito un’emicrania tremenda, forse dovuta alle canzoni e alle troppe sigarette fumate tutte nella stessa stanza, decise di scendere a prendere una boccata d’aria.
Anche se  mezzanotte, dato che era sabato, le strade erano ancora gremite di persone, auto e quant’altro. 
Decise di fare quattro passi, per sgranchirsi le gambe. Avrebbe preferito di gran lunga passare la nottata a letto, magari anche solo a dormire, per far riposare la testa.
Percorse le solite strade che conosceva come le proprie tasche, rivedendo scene già viste. 
Poi notò fuori dal girls bar dove lo avevano portato spesso Koba e gli altri Takeshi che fumava. Stranamente fumava all’aperto, quando era possibile comunque anche all’interno. Lo vide guardare il cellulare spesso, tirarlo e rimetterlo in tasca più volte, come se stesse aspettando qualcuno o qualcosa. Indossava una canotta nera con un pantalone bianco corto al ginocchio, i soliti capelli acconciati con il gel e qualche forcina. 
Yoshiyuki, nonostante si fosse ripromesso di stargli alla larga, gli si avvicinò.
“Aspetti qualcuno?” gli chiese, prendendolo alla sprovvista.
“Ciao..” gli diede un colpetto al braccio, per salutarlo. “Carina la tua ragazza.”
Yoshi stava per spiegargli che era un’amica, una con cui si frequentava e che solo in passato era stata la sua fidanzata.
“Scusa se non ti ho invitato oggi, ma mi sembravi un po’ scosso dall’altra sera per vedermi ancora.” si affrettò a spiegare Takeshi, prendendo tra le dita la sigaretta. “Poi con Misato attorno sono parecchio noioso.”
Yoshiyuki pensò che forse il suo saluto gelido era proprio dovuto alla presenza della ragazza, ma non capì il motivo. 
“Sei da solo?” gli chiese Fujimoto, non scorgendo nessuno con Yoshi.
“Avevo voglia di fare due passi. Detesto il karaoke.” spiegò Yoshi, infilando le mani in tasca. Era vestito con un pantaloncino corto militare, abbinato ad una canotta nera traforata, sovrapposta ad una bianca, su cui troneggiava una piastrina militare americana. “Tu chi aspetti?”
“Ah, nessuno, nessuno.” sorrise Takeshi. “Se vuoi ti faccio compagnia nella tua passeggiata.”
I due si incamminarono per la strada principale, uno di fianco all’altro, in silenzio.
Ad un certo punto, Takeshi gli chiese se aveva con sé il suo cellulare, ma Yoshi rispose che lo aveva lasciato nella borsetta di Kasumi, com’era solito fare quando usciva con lei. Si chiese poi il perché di quella domanda, ma preferì non indagare. 
“Sei ancora arrabbiato con me?” gli chiese poi Takeshi.
“Non sono arrabbiato.” Yoshi pensò a dove stesse andando a parare Takeshi, ossia il discorso del ferire gratuitamente Honda. “Sono solo deluso. Honda è tuo amico, no?”
Takeshi sospirò, rassegnato.
“Se avrai mai qualcuno di simile addosso capirai.” disse a Yoshi, cercando di discolparsi. “Uno come Kei ti manda via di testa, te l’assicuro.”
“Boh, non do corda a certe persone.” sbuffò Yoshi. “Comunque mi sono scusato.”
“E di che?” 
“Della festa. Anche se non credo abbia capito.” 
Fujimoto scoppiò a ridere, piegandosi in due non riuscendo a smetterla. Yoshi si fermò, aspettando che finisse.
“Scusami se ho baciato Takeshi proprio sotto il tuo naso!” lo canzonava Fujimoto, imitando la sua voce.
“Casomai scusami se Takeshi mi ha baciato.” precisò Yoshiyuki, spingendolo per una spalla. 
“Secondo me sei incazzato per altro.” Takeshi si asciugò le lacrime che gli erano scese dal ridere, dall’idea di Keichiro che fissava Yoshiyuki con odio, traducendo le sue scuse come l’ennesima presa in giro. 
“Tipo?”
“Che ti ho usato.” Takeshi divenne serio di colpo. 
Yoshiyuki annuì. “Anche per quello.”
“Beh, potevo sceglierne tanti e ho scelto te. Non ti sei chiesto perché?” Takeshi gli si fece vicino, parlando a bassa voce. “Per di più io ti volevo baciare.” 
“Dai, cazzo..” Yoshi ridacchiò, spingendo Takeshi lontano. “Se parli così mi vengono i brividi.”
“Mifune vuoi capirlo o no?” Fujimoto lo prese per le spalle, scuotendolo appena. “Guardami un attimo.”
Yoshiyuki lo fissò negli occhi, notando come si fosse fatto serio e deciso. Per un attimo gli balenò in testa un’idea malsana, amorale e sperò che Fujimoto non si riferisse a quella.
“Il problema tra me e te..” Takeshi abbassò gli occhi diversi al pavimento di ciottoli sotto i loro piedi. “..è che io ti bacerei anche adesso.”
Yoshi barcollò, non credendo alle proprie orecchie. Una dichiarazione in piena regola da Takeshi che considerava il proprio migliore amico.
“Stai scherzando, vero?” balbettò.
“No, proprio no.” Takeshi gli lasciò le spalle, fissandolo. “Non so proprio cosa mi sia preso..”
Si prese il viso tra le mani.
“Non hai idea di quanto mi faccio schifo..” continuò Takeshi, mentre Yoshi notava che, per fortuna, la stradina che avevano imboccato era deserta e quindi nessuno li avrebbe potuti vedere né sentire. “Non ho mai provato una cosa simile..”
Yoshiyuki non sapeva cosa dire o fare. Rimase là a fissare l’amico vergognarsi di un sentimento simile e del fatto di metterlo in difficoltà. Dire una cosa del genere equivaleva a perdere la fiducia di Mifune, Takeshi ne era certo.
“E Misato?” chiese Yoshi, a stento.
“Le ragazze mi piacciono e mi piaceranno sempre, andiamo..” rispose Takeshi, come se la cosa fosse ovvia. “Ciò che non capisco è come faccio a volerti.”
Yoshi cercò di connettere il cervello alla bocca, che muoveva senza però riuscire ad emettere altro che strani monosillabi. Non riusciva a concepire quello che Takeshi gli aveva appena detto. Gli balenarono nella testa fotogrammi di video porno, immagini di uomini che si baciavano tratte da qualche videoclip o servizi fotografici e gli salì un conato di vomito. 
“Non so cosa dirti.” proruppe, respirando a fatica. Cercava di controllarsi, perché d’istinto avrebbe voluto scappare, correre via, lontano da quelle parole.
“Non importa.” Takeshi gli sorrise, tendendo una mano per carezzargli il viso, ma Yoshi, velocemente, gli bloccò il polso.
“Non mi toccare.” parlò con voce ferma mentre ogni nervo del suo corpo era in tensione per proteggersi.
Percepì Fujimoto spingersi in avanti, forse ritenendo quella stretta che Yoshi aveva appena sciolto solo uno scherzo. 
Yoshiyuki scattò, fendendo l’aria con il proprio pugno destro chiuso, colpendo poi in pieno viso Takeshi.
Vide l’amico premersi una mano sul viso con forza, perdendo appena l’equilibrio. Lo sentì imprecare pesantemente.
Attraverso le dita Yoshiyuki riconobbe il colore vermiglio del sangue. Doveva aver assestato un bel gancio diretto al suo naso.
Takeshi reagì afferrando velocemente Yoshi per la canotta, sollevandolo e buttandolo di lato per terra, facendolo ruzzolare su una pozzanghera. Si chinò in ginocchio, continuando a scuoterlo, facendogli sbattere la schiena sull’asfalto, mentre Yoshi tentava di divincolarsi, stringendogli le braccia con le dita e scalciando, inutilmente. Takeshi gli era sopra e gli rendeva difficile il riuscire a liberarsi dalla sua presa.
Yoshi lo fissava con odio, osservava il sangue colargli dalle narici lungo il mento, cercando di afferrargli il collo, per strozzarlo e infine liberarsi. Ma in quella lotta silenziosa, solo il rumore dei loro corpi sulle pozzanghere a riempire le loro orecchie, Takeshi sembrava avere la meglio.
Gli bloccò un braccio, tenendoglielo fermo contro il pavimento, sopra la testa. 
Entrambi sporchi di fango, lottavano per difendersi l’uno dall’altro. 
“Lasciami, cazzo..” sussurrò appena Yoshi, sentendo le forze venirgli meno. Si era dimenato come un ossesso ma Takeshi era più pesante, più forte. Lo aveva colpito al viso ma le braccia iniziavano a fargli male, tanto Fujimoto gliele stringeva e teneva ferme col proprio peso. 
Takeshi mollò la presa, rimanendo seduto su Yoshi, come per fargli capire che, se si fosse mosso per colpirlo, lo avrebbe potuto fermare immediatamente. Mifune rimase invece steso, immobile, cercando di ritrovare il respiro. Si tirò su la canotta dal ventre, quasi a scoprirsi il petto per ripulirsi il viso bagnato e sporco. Anche Takeshi si passò il braccio sul viso, per pulirsi del sangue che aveva sulle labbra e sul mento. 
Guardando il sangue rappreso sul viso dell’amico, a Yoshi venne da scusarsi, ma la perse subito ripensando al motivo di quel pugno.
“Vuoi colpirmi ancora?” rise Takeshi, tirando rumorosamente su col naso il sangue che continuava a colare.
“No.” si limitò a rispondere l’altro.
“Ti sei calmato?” gli chiese Fujimoto, alzandosi in piedi e porgendogli la mano per aiutarlo a tirarsi su. 
Yoshi la afferrò. “Che stronzo.”
“E’ stata proprio uguale alla mia reazione quando Kei si dichiarò!” rise ancora Takeshi, passandosi le dita sulla bocca, togliendosi gli ultimi rimasugli di sangue. 
“Come no..” rispose Yoshiyuki, sistemandosi la maglietta. Era bagnato fradicio, dalla testa ai piedi, dato che aveva lottato sdraiato sull’asfalto ricoperto d’acqua sporca. “Scommetto che l’hai inculato dalla gioia..”
“No.” rispose serio Takeshi, strizzandosi la canotta dall’acqua raccolta dalla pozzanghera. “Proprio no.”
Notò Yoshi mettersi a posto le collanine dorate che teneva sul petto, raccogliendo tutti i pesanti pendagli nel mezzo. “Raccontami, allora.”
Takeshi scoppiò a ridere di gusto; non gli sembrava possibile che a Yoshi, dopo tutte le volte che gli aveva detto di quanto fosse indifferente a tutti e a tutto, ora interessasse sapere di lui e Keichiro. “Preferisco andare a casa a darmi una lavata.” rispose poi Takeshi, voltandosi a tornare indietro per la strada che avevano percorso.
Sporchi, si divisero all’entrata del girls bar, dando nell’occhio come fossero dei barboni, pronti ad affrontare le domande sul perché della loro condizione. 
Yoshi si diresse verso il karaoke bar, entrando nell’edificio sotto lo sguardo rassegnato della ragazza alla reception. Entrò nell’ascensore, diretto al piano dove avrebbe trovato i suoi amici. Appena entrò nella stanza, raccontò di essersi imbattuto in un ragazzino che voleva rubargli il portafoglio, che si erano scazzottati e alla fine aveva vinto lui ma con un triste esito dato che si era infangato tutto. 
Kasumi gli si era buttata al collo, preoccupata che gli fosse successo qualcosa. Si baciarono per un po’ sui divanetti, mentre i restanti tornarono a rivolgere lo sguardo allo schermo che mandava un video musicale su cui cantare. La storia era finita, quindi la loro attenzione alle parole di Yoshiyuki era scemata. 
Nel frattempo Yoshi spogliava appena le spalle di Kasumi, facendole scivolare la scollatura della maglietta per baciarle la zona delle clavicole, poi il collo, fino al mento, alle labbra. Delle volte avrebbe voluto possedere quel corpo vuoto, senza dover ascoltare quella voce odiosa parlargli di sentimenti, rispetto, amore. E da quando aveva iniziato a frequentare la nuova scuola, vuoi per Reiko, vuoi per tutte le vicissitudini che gli riempivano la testa, sentiva sempre più forte quel desiderio.  
“Yoshi..” lei si staccò dal suo bacio, indicando la propria borsetta abbandonata sul divanetto accanto a loro. “Il tuo cellulare ha squillato tutto il tempo.”
Yoshiyuki ignorò quell’informazione, tornando a divertirsi con la ragazza, pregustando l’inizio di una nottata in sua compagnia. Quando però sullo schermo del televisore comparve la canzone preferita di Kasumi, dovette lasciarla andare a scatenarsi sul tavolino in compagnia di altre due ragazze. Ammiccavano a strani amplessi, suscitando l’ilarità generale e su alcuni pure strani interessi. 
Mifune approfittò perciò del momento e aprì la pochette argentata, trovandovi il proprio telefonino all’interno. Appena aprì il cellulare, comparvero sullo schermo un paio di chiamate senza risposta e qualche messaggio. Li lesse, trasalendo. 
Erano tutti di Takeshi, che gli chiedevano se poteva vedersi con lui, dov’era, se lo disturbava. Guardò l’orario e capì che erano stati inviati tutti prima del loro incontro. 
La persona che Takeshi stava aspettando fuori dal locale era dunque lui e nessun altro.

I giorni successivi passarono senza lasciare alcuna traccia in Yoshiyuki, troppo impegnato a studiare per riuscire a recuperare i brutti voti che prendeva costantemente in matematica.
Inoltre, l’insegnante di inglese lo utilizzava come supporto durante le lezioni di recupero pomeridiano, approfittando della sua ottima dialettica in lingua. Si ritrovò così a passare ore e ore assieme a ragazzi e ragazze del primo anno, instaurando conversazioni in inglese per migliorare le loro capacità linguistiche. Per lui era una passeggiata, in quanto si trattavano di semplici roleplay da interpretare. 
Una mattina, mentre era impegnato a preparare una presentazione in inglese di uno stato europeo per allenare la classe all’utilizzo di termini difficili, Reiko si avvicinò al suo banco, situato nell’ultima fila. 
Lo salutò come al solito, soffermandosi però dinanzi a lui.
Ultimamente, siccome Kasumi era molto disponibile nei suoi riguardi, Yoshi aveva smesso di uscire tutti i pomeriggi con Sota, senza pensare alle possibili conseguenze che, tuttavia, non accaddero.
“E’ stata decisa la meta della gita scolastica.” proruppe lei, a bassa voce. “Volevo avvisarti che andremo con la classe di tuo fratello.” 
Yoshi immaginò cosa volesse dire per entrambi. La costante presenza di Akito li avrebbe costretti a comportarsi in maniera più distaccata?
Poi, lei fece per andarsene, ma si fermò nuovamente, sorridendo forzata. 
“Misato mi ha detto che la tua ragazza è carina.”
Yoshiyuki sentì una fitta al cuore e le guance avvampare dalla vergogna. 
La osservò tornarsene al suo posto, pronta per la lezione che stava per cominciare.
Con quella semplice affermazione, cosa aveva voluto dirgli in realtà? Ne era stata ferita?
Cercò con scarso impegno di seguire il professore spiegare gli integrali, rimanendo a fantasticare fino alla campanella dell’intervallo. Avrebbe voluto parlarle, avvicinarsi, chiederle, ma la vide sparire con delle ragazze fuori dall’aula. Decise così di andare sul terrazzo in cima alla scuola, per fumare in santa pace, spegnendo per un attimo il cervello.
Dall’alto si godeva di una vista mozzafiato e un’arietta fresca sferzava appena, scompigliandogli i capelli. Rimase appoggiato alla balaustra assaporando la sigaretta appena accesa.
E lo vide, disteso per terra, lo sguardo puntato al cielo, mentre tirava da un mozzicone.
Erano giorni che Takeshi non si faceva vedere a scuola e trovarlo lì per Yoshi fu una sorpresa.
Gli si avvicinò, guardingo. 
“Ciao.” 
Non ricevette risposta, in quanto Takeshi stava indossando degli auricolari, ascoltando dal lettore mp3 che teneva appoggiato sul petto. Gli diede appena un colpetto con il piede, richiamandolo dalla musica. 
Takeshi si ridestò, mettendosi a sedere, e sorridendogli. “Ciao Mifune.”
“Come mai qui?” gli chiese Yoshi, sedendosi in parte. “Iniziavo a preoccuparmi.”
Takeshi scoppiò a ridere, spiegandogli poi che era incappato in una rissa e aveva riportato un naso rotto come conseguenza al suo essersi impicciato. Anche Yoshi rise, capendo che si stava riferendo al suo pugno.
“Ho preferito aspettare di guarire del tutto.” si massaggiò la punta del naso. “Mi faceva parecchio male e sai.. ho una mamma un po’ ansiosa.”
Takeshi avvolse gli auricolari attorno al piccolo apparecchio elettronico, riponendolo poi nella tasca dei pantaloni.
Yoshiyuki avrebbe voluto dirgli che si era accorto dei suoi messaggi sul cellulare, che non capiva perché avesse voluto dichiararsi, perché avesse rischiato di compromettere tutto. Aveva creduto che non sarebbe più riuscito a stargli affianco, a parlarci; ma tutto ciò si era rivelato inutile. La presenza di Takeshi per lui era necessaria.
“Se vuoi oggi pomeriggio usciamo tutti assieme.” gli propose Fujimoto, gettando la sigaretta finita lontano da loro due.
Yoshiyuki avrebbe voluto dirgli di sì, ma preferiva risolvere prima con Reiko. “Misato ha parlato con Reiko di Kasumi.”
“Kasumi?” Fujimoto cadde dalle nuvole. “E chi è?”
Yoshi sorrise. “La mia ragazza.” avrebbe voluto mordersi la lingua per non dover sentire nominare Kasumi a quel modo. Si erano lasciati e ripresi un sacco di volte che ormai poteva chiamarla “ripiego” più che sua fidanzata.
“E allora?” Takeshi finse di non seguirlo.
“Sembra che Reiko sia gelosa.” spiegò Yoshi. “Così volevo trovarmi con lei per chiarirci.”
“Ah.” Takeshi gli rispose con un gemito, ricacciando dentro domande che gli sorgevano spontanee. Era davvero perso per Reiko? Aveva capito chi si trovava davanti? E ciò che la univa ad Akito?
Preferì non essere lui a guastargli i piani, quindi sorrise appena, dicendo che era un’ottima idea.
Yoshi lo fissò di traverso. Che fosse geloso?
“Ti piace proprio, eh?” gli chiese malinconico Takeshi, fissando il cielo azzurro terso.
Yoshi annuì, ritrovandosi a pensare che, se per sbaglio avesse baciato Reiko alla festa com’era successo invece con lui, tutto sarebbe stato diverso. 
“Secondo me anche tu le piaci.” continuò Takeshi. Le piaci perché sei la copia di Akito. Perché i tuoi occhi sono come i suoi. Perché se può ferirlo, venendo con te che sei suo fratello, questo è l’unico modo.
“Speriamo.” terminò Yoshiyuki. Stranamente, si trovava in difficoltà a parlare di Sota con Fujimoto. 
Sentiva i suoi occhi addosso, come se volesse dirgli molto più di quello che usciva dalla sua bocca. 

Akito si stava asciugando i capelli col phon, guardandosi allo specchio intensamente. Negli ultimi tempi era riuscito a cancellare ogni segno della sua adolescenza come brufoli, punti neri e altre imperfezioni del viso dovute agli ormoni in subbuglio. Aveva cercato di curare il proprio aspetto fisico sin dal principio, optando per un taglio di capelli all’ultima moda, iscrivendosi nella palestra vicina, stando attento a non assumere troppi carboidrati.
Anche quella sera avrebbe avuto un appuntamento galante con una delle ragazze più belle della sua scuola, una certa Miku del terzo anno. Sebbene fosse di un anno più grande, era parsa molto interessata ad Akito, tanto che lo aveva tampinato via mail per un mese buono prima di riuscire a ottenere un invito.
Nell’ultimo anno Akito era uscito con molte ragazze ma nessuna gli era rimasta in mente. Anche Natsumi, l’amica di Sota, era caduta nella rete ma, nonostante lo avesse fatto davvero divertire, non era riuscita ad ottenere ancora una seconda chance.
Prima o poi finiranno, pensò ridendo il moro.
Si pettinò con cura dei ciuffi, dando la piega giusta alla pettinatura, con un pettine sottile. Essere popolare lo rendeva invulnerabile e al tempo stesso lo sottoponeva a una forte dose di stress. Doveva essere sempre perfetto, il migliore in tutto. Alcune dritte, come la postura corretta per non sgualcire la camicia e il giusto passo misurato che tanto incuteva timore tra le matricole, gliele aveva consigliate il suo amico Keichiro, rampollo dell’alta società che di buone maniere se ne intendeva. Era una delle poche persone con cui aveva legato seriamente, anche se, talvolta, lo considerava un pericolo alla sua reputazione per le frequentazioni extra-scolastiche. Usciva spesso infatti con dei senpai dall’aria poco raccomandabile nella zona di Ikebukuro.
Quella sera però, anche Akito si sarebbe recato in quelle zone, per cenare in un costoso ristorante di cibo italiano. Sua madre glielo aveva consigliato volentieri, proprio per dargli la sicurezza di fare colpo. 
Uscì dal bagno, diretto in camera propria, sorpassando la porta della stanza dei genitori. Entrò, spostandosi ad aprire le ante dell’armadio ad angolo per scegliere l’abbigliamento della serata. La sua camera era abbastanza fredda, corredata di un grande tappeto zebrato e una scrivania su cui troneggiavano quaderni e libri. Il lato opposto alle due grandi finestre che davano luce all’intero ambiente era invece occupato da una grande libreria a ponte, cui sotto era posto il letto.
Tirò fuori dall’armadio un pantalone stretto grigio e una camicia a maniche corte, iniziando a vestirsi.
Quand’ebbe finito, afferrò dalla libreria una boccetta di profumo color ambra, spruzzandosene un po’ sui polsi e sul collo. 
Uscì dalla stanza, percorrendo le scale sino al piano terra. Prese dal tavolo della cucina il proprio portafoglio, il cellulare, le chiavi che aveva lasciato apposta lì. Salutò i genitori appollaiati sul divano a guardare la televisione, prendendo la porta, diretto dalla ragazza.
Si erano dati appuntamento in centro, così prese la metropolitana e, dopo qualche minuto, scese alla fermata decisa. Lei lo aspettava appena fuori, alla fine della scalinata, avvolta in un tubino blu scuro che lasciava intravedere un fisico asciutto. Aveva raccolto i capelli in una coda alta, lasciando scoperto il collo adornato solo di una catenina sottile.
“Sei bellissima.” gli sorrise lui, porgendogli con fare galante il braccio. Lei vi si aggrappò, ridendo, sentendosi una principessa al suo fianco. Tutte le ragazze che frequentavano il loro istituto ritenevano il rappresentante degli studenti il più bello in assoluto quindi, uscire con lui, equivaleva a vivere di luce riflessa di cotanto splendore.
Si diressero verso il locale prescelto, dove, prima di entrare, Akito ebbe cura di aprire la porta a Miku, come Keichiro gli aveva raccomandato. Usanza prettamente occidentale ma di grande effetto, gli aveva assicurato.
La ragazza infatti divenne di tutti i colori e, mentre il cameriere li conduceva al tavolo prenotato, continuava a dire ad Akito che si sentiva troppo coccolata da tante attenzioni. Che un ragazzo normale non avrebbe mai avuto tante premure. Ma lui era Mifune.
Presero posto, uno di fronte l’altra, sfogliando il menu alla ricerca di una possibile scelta come cena.
Akito optò per un filetto cottura media con contorno di verdure grigliate, Miku per un primo a base di carne. Il maitre consigliò poi un vino corposo che facilmente si abbinava alle loro due scelte e Akito acconsentì. Si sentiva il re del mondo. 
Attendendo il cibo, venne portato loro il vino, con cui riempirono i due grandi balloon di cristallo. Mentre sorseggiavano, chiacchierando del più e del meno, Akito sussultò sentendo la tasca dei pantaloni, dove teneva il telefonino, vibrargli. 
Chiese scusa, dicendo che potevano essere i suoi genitori, mentendo su un’ipotetica nonna cui era tanto affezionato e che era tanto malata. Diede un occhio alla mail che gli era arrivata, il cui mittente, stranamente, era Fujimoto Takeshi, amico di Keichiro e ultimamente anche del suo gemello. 
Tuo fratello stanotte si scopa Sota, diceva il messaggio. 
Akito rimase ammutolito. Un secondo prima aveva un sorriso ebete stampato sul volto che ora si era trasformato in una smorfia incredula.
Il pensiero di Reiko a letto con Yoshiyuki gli fece gelare il sangue.
Gli vennero in mente tutti i pomeriggi passati con lei a coccolarsi, passare le ore baciandosi, raccontando le proprie giornate che, inevitabilmente data la stessa scuola, combaciavano.
Poi i primi passi a scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa che lo aveva segnato, che gli aveva fatto capire quanto può portare piacere e quanto infliggere dolore. Quella cosa che Akito aveva avuto, non voleva dividerla con nessuno. Tantomeno con il suo gemello. E glielo aveva detto, lo aveva avvertito.
E nonostante ciò, lui osava.
“Tutto bene?” chiese Miku, vedendolo sudare freddo, fissando lo schermo del piccolo videofonino.
Lei che gli aveva insegnato quanto una persona può entrarti dentro e distruggerti dal profondo. Per colpa sua non riusciva più ad aprire il proprio cuore, ma solo la patta dei pantaloni. Ora lei voleva la sua copia? 
Spiegati meglio, digitò sul cellulare, spiegando invece a Miku che molto probabilmente la loro serata finiva lì, causa un malore improvviso del nonno.
“Ma non era la nonna?” precisò la ragazza, sentendosi presa in giro.
Tuo fratello credo sia a casa sua, rispose Fujimoto. 
Akito scattò in piedi, facendo cadere il tovagliolo e le posate a terra, ignorando la ragazza e lasciando la sala. Non gli importava del conto che avrebbe dovuto saldare lei né tantomeno delle facce degli altri ospiti che lo guardavano uscire in fretta.

Akito corse con tutte le forze che aveva in corpo verso il condominio che conosceva bene. Dal ristorante dove aveva portato la sua ragazza fuori a cena si trattava di quasi un chilometro che pareva non finire mai. Sorpassò nemmeno guardando, un incrocio trafficato, evitando per un soffio di essere investito da una bicicletta.
Raggiunse il portone in legno scuro ormai senza respiro, spingendolo ed entrando nell’atrio.
Aveva tenuto con sé, appesa al mazzo delle sue chiavi, quella che apriva la porta scorrevole in vetro per accedere ai vari piani del condominio dove abitava Reiko. Era stata proprio lei, durante il loro fidanzamento, a fargliene una copia, dato che spesso, quando era da sola, le piaceva averlo per casa. Infilò la chiave nella consolle, facendo scattare la porta. Raggiunse l’ascensore, digitando il numero del piano che gli interessava, ossia il quinto.
Poggiò la schiena sulla parete riflettente del vano, cercando di riprendere il controllo.
L’idea che suo fratello potesse anche solo averla toccata gli faceva ribollire il sangue nelle vene. L’aveva rifiutata, calpestata e per niente al mondo avrebbe voluto trovarsela di fronte, felice e amata dalla sua brutta fotocopia.
Il campanello dell’ascensore segnalò il suo arrivo, aprendosi sul corridoio. 
Corse nel corridoio per qualche decina di metri, svoltando a destra e trovandosi di fronte alla porta dell’appartamento numero 509.
Bussò forte, poggiando l’orecchio per sentire eventuali strani rumori.
Sentì invece rumore di passi, poi un chiavistello che veniva girato e lo scatto della porta che si apriva di qualche centimetro.
Scorse Reiko, che, sorpresa di vederlo, si affrettò ad aprire del tutto.
“Ciao.” Akito entrò velocemente, spostandola di lato, guardandosi attorno. “Lui dov’è?”
“Lui chi?” Sota chiuse la porta, sbirciando in corridoio se qualche vicino curioso avesse per caso buttato l’occhio, incuriosito da certe visite serali.
“Mio fratello.” rispose lui, buttandosi a quattro zampe per vedere sotto il divano.
La televisione era accesa su un poliziesco, rumori di spari e sgommate ovattati.
“E’ andato via ore fa.” rispose lei, incrociando le braccia al petto. “Si può sapere che vuoi?”
Akito si alzò in piedi, ignorando la sua domanda. Gli venne in mente la camera di lei, e si fiondò oltre il salotto, verso un disimpegno. Svoltò sicuro, poiché ricordava benissimo la pianta del piccolo appartamento di Sota e sua madre.
Lei lo seguì, continuando a chiedergli il motivo di quella visita.
Akito entrò nella camera di Reiko, dalle pareti dipinte di rosa e bianco, con decine di poster appesi alle pareti, il letto al centro della stanza e la grande finestra con le tende rosa antico. Solo una libreria non ricordava, per il resto ogni mobile era ancora al proprio posto.
“Se n’è andato nel pomeriggio, Akito.” ripeté lei, sull’uscio. Lo guardava aggirarsi per la stanza, alla ricerca di qualche indizio. 
Akito stava per aprire i cassetti del mobile bianco con lo specchio, quando gli cadde l’occhio su delle foto incorniciate.
Erano di diverse dimensioni, ognuna con la propria cornice colorata, spesso coperte ai lati da purikura e altri adesivi colorati. Riconobbe dei momenti, dei ricordi ben vividi nella sua mente. La gita in montagna, la passeggiata al mare, un pomeriggio di sole, l’hanami , gli hanabi  di fine anno, un gelato domenicale. 
Si riconobbe in varie pose, in smorfie e sorrisi, in vestiti ora invernali ora più leggeri.
Tolse le mani dalle maniglie dei cassettoni, prendendo in mano una delle foto.
Stavano abbracciati, sorridenti, vestiti in abiti tradizionali con le bancarelle del matsuri  sullo sfondo.
Il mese dopo si sarebbero lasciati, complici certe situazioni, persone..
“E’ tutto come lo ricordavo.” proruppe, poggiando nuovamente la cornice al suo posto.
Pensò che, qualsiasi ragazzo avesse mai varcato quella soglia, alla vista di certe istantanee, non avrebbe potuto mai approfittare di lei. Se suo fratello fosse anche entrato, di certo l’onnipresenza di Akito in quella stanza lo avrebbe fermato.
“Sei tu che mi hai lasciato.” precisò Reiko, chiudendo bene la tenda della finestra. 
Akito si sedette a terra, sospirando. Si passò una mano tra i capelli, calmandosi finalmente. Yoshi non era riuscito a farci niente, probabilmente non era neppure arrivato fino alla sua camera. “Temevo avessi fatto una cazzata delle tue, Reiko.”
Lei si chinò a guardarlo con un’espressione seria. “Non vuoi stare con me, ma non vuoi nemmeno che io mi faccia una vita.”
“Non te la meriti.”
“Stupidaggini.” lo fermò Reiko, tornando in piedi. 
“Anche se tu volessi, con tutte queste reliquie del passato..” indicò le foto e i regali che le aveva fatto, ancora sparsi per la stanza sotto forma di peluche. “..chi vuoi che ce la faccia?” Sota uscì da camera propria, senza nemmeno ribattere. Le dava fastidio vederlo nuovamente camminare tra le mura di casa, sapendo benissimo che lui continuava a divertirsi con molte ragazze, tra cui le sue cosiddette amiche. Natsumi in primis, pensò. Una delle prime a dare ad Akito del porco, quando la loro storia finì.
“Dai..” Akito l’aveva seguita fuori, e ora la stava tenendo per un braccio. “Scherzavo.”
Non poteva negare il fatto che vedere tutti i loro ricordi racchiusi in quella stanza non gli avesse fatto piacere. Sapere di non essere mai uscito dalla sua mente per lui era sinonimo di vittoria.
“Perché allora sei qui?” Sota glielo chiese di nuovo, aspettando impaziente una spiegazione.
Se era venuto per canzonarla, poteva andare al diavolo, pensò.
“Mi hanno detto che Yoshi era qui.” spiegò lui, mollando la presa. “Se non l’hai capito, ci sta provando.”
Sota sorrise, pensando che avrebbe dovuto essere cieca per non capirlo. “E allora?”
“Sono venuto qui per fermarti. Non vorrei mai che ti facessi mio fratello pensando che sia io.”
Reiko trattenne il respiro, facendo partire invece il braccio destro, colpendo in volto Akito con la mano aperta. Un sonoro schiocco risuonò per la stanza, poco prima che lei dicesse: “Pallone gonfiato.”
Akito si massaggiò la guancia dolente, scoppiando a ridere nervosamente. Aveva metà volto paralizzato dal dolore, come se formiche gli camminassero sottopelle. 
“Me la sono cercata, lo so..” ridacchiò, sedendosi sul divano ma tenendosi la mano sulla parte dolente della faccia. “Pensa che ho dato buca ad una per te.. e ora mi prendi pure a sberle!”
Sota andò verso la cucina aperta, aprendo il freezer alla ricerca di un po’ di ghiaccio. Non si sentiva minimamente in colpa ma l’educazione le imponeva di aiutarlo almeno a far passare il dolore che proprio lei gli aveva procurato.
“E’ solo che non riesco a non vederti mia.” continuò lui, abbastanza ad alta voce perché lei potesse sentire. 
Akito pensò che, date le condizioni della camera di Sota, piene dei loro oggetti, nemmeno lei si sentiva di qualcun altro oltre a lui, tantomeno libera.
“Tieni..” lei gli porse un sacchettino di ghiaccio, avvolto in uno strofinaccio. 
“Grazie.” Akito se lo premette contro il volto, sentendo un freddo gelido coprirgli la pelle. 
Rimasero in silenzio a fingere di interessarsi al telefilm, quando entrambi stavano pensando la stessa cosa. Ritrovarsi così, dopo tanto tempo e tanti fatti diversi, era ridicolo.
“Te ne puoi andare, se vuoi.” cominciò lei, non staccando gli occhi dallo schermo. 
“No, voglio aspettare qui con te tua madre.” scosse la testa lui. “Come facevo una volta.”
“Se ti trova qui ti uccide.” sorrise lei, facendo il segno del tagliare la gola con l’indice.
Akito si sfregò il ghiaccio sul viso, poggiandolo poi sul divano, ignorando il fatto che avrebbe macchiato la fodera. 
Con la mano ancora bagnata le carezzò una guancia, immaginando che, con mezzo viso gonfio, non doveva essere proprio al massimo del suo appeal. 
“Akito..” lei si sottrasse a quel contatto, guardando altrove nella stanza. “Stavolta sono io che ti rifiuto.”
E quelle parole, così fredde, risolute, fecero ad Akito più male di qualsiasi schiaffo.
“Lui non è me, Reiko.” rispose, tagliente. “Te lo puoi fare, ok, ma non è me.”
Notò sulle sue guance scorrere lacrime che non aveva visto nemmeno il giorno in cui l’aveva lasciata, andandosene dal luogo di un loro appuntamento. 
“Io ti amavo, Akito.” singhiozzò Reiko, piangendo in silenzio.
“Tra i due sei tu che conservi ancora le nostre foto.” Akito stava dando sfogo a tutta la cattiveria che aveva accumulato nei suoi confronti, dal primo sorriso che lei rivolse al fratello, al fatto che gli avesse permesso di entrare in casa sua. “Sei tu che cerchi ancora me negli altri.”
La sentì singhiozzare ad alta voce, come se ogni parola affondasse sempre di più nel suo cuore, riaprendo una ferita mai guarita del tutto.
“Pur di avermi andresti con mio fratello, non è forse così?” Akito la prese per le spalle, avvicinandola a sé. Premette la sua schiena contro il proprio petto, abbracciandola stretta. “Tu invece per me sei unica.”
Reiko si coprì il viso con le mani, piangendo a dirotto, scuotendo la testa come se non volesse ascoltarlo.
“Ti vorrò sempre.” Akito strusciò la propria guancia sui capelli di lei, lasciandosi inebriare dal suo profumo, che ricordava ancora intensamente. “Anche se vado a letto con altre.. ho sempre te nei miei pensieri.”
“Sta zitto, ti prego..” 
Le baciò la testa, le orecchie, la guancia, le mani con cui lei si riparava. “Non dimenticherò mai quando ti vidi con quell’uomo.” Le carezzò il collo, stringendola a sé forte, come per cullarla. “Ti odio per avermi fatto soffrire.”
Reiko riprese a piangere forte, implorandolo di non parlare, di non tornare su certi ricordi.
Akito però vedeva nitido di fronte a sé quella sera. Quella sera in cui gli parve di vederla camminare con un uomo per le strade di Ikebukuro. Non si erano visti perché lei era andata fuori con sua madre e ora lui la vedeva appesa al braccio di un uomo. Aveva pensato fosse suo padre, ingenuamente. Li aveva seguiti con Honda sino ad una zona dove sorgevano numerosi love hotel, capendo poi che con quell’individuo non poteva avere alcuna parentela. Vedendoli entrare nella hall assieme, ad Akito, come un flash, tornarono alla mente tanti piccoli particolari della ragazza che frequentava. I due cellulari, il portafoglio sempre pieno di denaro sebbene non lavorasse, parecchi ninnoli come catenine o braccialetti all’apparenza costosi che indossava e di cui non conosceva la provenienza. 
“Scommetto che a Yoshi non hai detto del tuo hobby, vero?” la sua voce divenne cattiva, parlava quasi urlandole nelle orecchie. Tutto ciò solo al pensiero di quello che aveva visto e provato. 
Lei smise di piangere, passandosi il palmo della mano sugli occhi per asciugarseli. 
“Scommetto che anche a lui faresti schifo..” continuò Akito, lasciandola di colpo, spingendola sul divano, lontano da lui. “Che anche a lui farebbe schifo venire con te se sapesse!”
Mifune si alzò dal divano, lasciandola singhiozzare premendosi il cuscino contro il viso. 
“Sei solo una troia.” le sussurrò all’orecchio, carezzandole i lunghi capelli sparsi sulla sua schiena. “Io ti amavo e tu mi hai tradito.”
Akito scandiva le parole per imprimergliele nella mente.
“Io ho amato solo te.” strinse la mano attorno ai suoi capelli, affondando le dita anche sulla pelle del collo della ragazza. “E per colpa tua non riesco ad amare nessun’altra. Non mi fido più di nessuna.”
Lasciò la presa, non sentendo più alcun singulto da parte sua. 
La osservò tirarsi su, facendo leva sui gomiti, il volto stravolto dal pianto appena cessato. Il trucco le era colato lungo le guance, disegnando striature nere sulla sua pelle chiara. Quelle labbra solitamente rosse e turgide erano storte in una smorfia di dolore. Con un gesto le tolse i capelli attaccati alla fronte, spostandoglieli dietro l’orecchio. 
Prima che potesse ritrarre la mano, Reiko gliela prese, facendola appoggiare sulla propria guancia. 
Socchiuse gli occhi, immersa in chissà quali pensieri.
Akito le afferrò il viso con forza, premendolo contro il proprio. Le infilò la lingua in bocca, in preda ad un forte desiderio, che la prese alla sprovvista. Ormai in apnea, la lasciò, per farla respirare. 
Reiko era senza parole oltre che senza respiro. Dopo un anno l’aveva baciata di nuovo e senza apparente motivo. 
Lo vedeva provato, nervoso, arrabbiato. Lui che aveva sempre soppresso tutti i propri sentimenti, che l’aveva lasciata semplicemente abbandonandola sola al parco, senza dirle quanto avesse sofferto ma solo elencandole ciò che aveva visto, ora sfogava su di lei tutta la sua frustrazione. 
Lo osservò alzarsi in piedi, accaldato, attraversare la stanza e dirigersi verso il portone d’ingresso, aprendolo ed uscendo, sbattendolo con forza.







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