La
nascita di Julia aveva portato la spensieratezza e la gioia delle
favole, dove si pensa e crede che tutto andrà sempre bene.
La
nascita di Jeremy, capitata in un momento della sua vita e del suo
matrimonio difficilissimo, aveva portato angoscia e paura di amare e
di soffrire.
La
nascita di Isabella-Rose rappresentava la consapevolezza del suo
ruolo di marito e padre e la felicità di aver di nuovo
accanto la
donna che amava e con cui voleva e poteva costruire ogni cosa
desiderata.
La
nascita di Clowance era diversa per lui, rappresentava un buco nero
che mai avrebbe potuto colmare. Non si puo' tornare indietro nel
tempo, non si puo' permettere al se stesso più giovane di
non
commettere quell'errore che gli aveva fatto perdere tutto, compresa
la nascita della sua bambina. Si era rassegnato che mai, nonostante i
racconti di Demelza, avrebbe saputo com'era sua figlia quando aveva
abbozzato il primo vagito, com'era guardarla dormire nella culla da
neonata, com'era quando ha detto la prima parola o fatto i primi
passi. Per lui Clowance era nata in una giornata estiva londinese, a
casa di Caroline Penvenen, ed aveva le fattezze di una bimba di due
anni dai capelli rossi e pieni di boccoli tenuti bada da un nastrino
che malsopportava e che già sapeva correre e parlare, anche
se
stentatamente.
Aveva
sentito da subito un forte legame con quella piccola, testarda e
vivace bambina che già sembrava sapere cosa volesse dalla
vita.
Anime affini, simili, nonostante ancora non sapesse che era sua
figlia.
Poi
aveva ritrovato Demelza e aveva scoperto la verità e da quel
giorno
Clowance era stata 'la sua figlia preferita'. Non per togliere
qualcosa agli altri, ma perché era la figlia che aveva avuto
di meno
da lui. Era un qualcosa che lo aveva sempre fatto sentire in colpa,
unito alla strana sintonia di carattere fra lui e la bambina. Erano
simili lui e Clowance, stessa testa dura, stesso caratteraccio,
stesso orgoglio che muoveva ogni loro passo. Ma Clowance era anche
molto altro e di quel 'molto altro' lui era innamorato perso come
solo un padre puo' essere. Clowance era la più Poldark fra i
Poldark. Aveva in se il carattere, che aveva preso decisamente da
lui, unito alla nobiltà e alla fierezza dei Poldark di
vecchia
generazione, quei Poldark nobili e raffinati che un secolo prima
avevano costruito Trenwith. Clowance era elegante e nobile nel modo
di porsi e di parlare, era bellissima e conscia di esserlo e spesso
ti guardava con quell'espressione di chi ti sta concedendo l'onore di
respirare la sua stessa aria e questo era un tratto del suo carattere
che lo faceva impazzire. Non lo avrebbe tollerato in nessun altro, ma
in sua figlia aveva un sapore diverso, dolce e deciso insieme ma mai
altezzoso. E poi l'aspetto fisico, così simile a Demelza,
così
bella e selvaggia come lei. Adorava Clowance quando rideva, ma era
soprattutto quando teneva il broncio che la trovava irresistibile.
Esattamente come sua madre...
A
passo spedito si avvicinò alla spiaggia, pensando a com'era
sempre
stato il rapporto con sua figlia e a come potesse essersi sentita
tradita e messa da parte durante la sua malattia. Odiava se stesso
per il modo in cui l'aveva trattata e sentiva sulla sua pelle la
delusione e l'angoscia che doveva aver provato nell'essere messa da
parte da quel padre che per lei aveva sempre straveduto.
Finalmente,
la vide. Era fra l'erba alte delle dune che portavano al mare, in
compagnia di Artù. Aveva i capelli sciolti e indossava un
abitino
semplice, di un colore viola pallido. La vide andare verso il
bagnasciuga col cane, inginocchiarsi a terra e smuovere la sabbia
alla ricerca di conchiglie e si ricordò che era un qualcosa
che
spesso, lui e lei, avevano fatto insieme prima del suo incidente alla
miniera.
Ross
deglutì. Non era mai stato molto bravo a parole e
soprattutto a
chiedere scusa. Ma con Clowance doveva sforzarsi di essere perfetto!
Non voleva, non poteva perdere la sua bambina! E la situazione di
stallo fra loro era durata pure troppo.
Si
avvicinò a passo felpato, il suo arrivo attutito dal rumore
delle
onde che si infrangevano sulla battigia. Clowance si accorse del suo
arrivo solo quando fu alle sue spalle. Sussultò,
alzò la testa e
rimase perfettamente immobile. Una volta gli sarebbe saltata al collo
felice ma quei tempi erano finiti e forse non sarebbero più
tornati,
pensò tristemente. "Posso aiutarti?".
"No".
"Perché?
Sono bravo a cercare conchiglie, sai?".
Clowance
sbuffò. "Sono brava anche io e non ho bisogno che mi aiuti".
Ross
si inginocchiò per essere alla sua altezza e guardarla negli
occhi,
poi le sfiorò il mento. "Lo so che sei capace ma vorrei
aiutarti lo stesso. Come una volta, ricordi?".
Clowance
rimase seria, lo guardò in viso e poi scosse la testa. "Mi
hai
detto che dovevo imparare a fare le cose da sola e l'ho fatto. Ora
non mi serve più che nessuno venga ad aiutarmi. Sto bene qui
da
sola, con Artù".
Si
sentì in colpa al sentire quelle parole. Era vero, era stato
severo
ed inflessibile con Clowance durante la sua malattia e aveva preteso
che facesse tutto da sola, senza rendersi conto che sua figlia,
cercando il suo aiuto, non faceva che cercare il contatto con lui.
Contatto che lui le aveva negato. "Mi dispiace di averti detto
quelle cose, ero malato e non sapevo chi ero. E non sapevo nemmeno
chi eri tu e cosa facevamo assieme. Ma non ho mai smesso di volerti
bene e mi dispiace di esserti sembrato cattivo, non lo ero, stavo
semplicemente male. So che ti ho detto che devi imparare a fare le
cose da sola e lo penso ancora, ti servirà quando sarai
grande, ma
questo non significa che non potremo fare tante cose insieme, come
una volta. Per quanto tu possa crescere e diventare adulta, io
sarò
sempre tuo padre e non ci sarà MAI nulla che non mi
piacerà fare
con te. E non ci sarà mai una volta in cui mi chiederai
aiuto e io
ti dirò di no".
"Sei
un bugiardo!".
La
voce di Clowance era fredda e piena di risentimento e lo fece
sussultare. La guardò, aveva solo sei anni e mezzo eppure
gli
sembrava molto più grande della sua età, non
tanto nell'aspetto –
era esile e minuta – quanto nei modi di fare e
nell'atteggiamento.
Non stava facendo capricci o sbraitando ma stava, al contrario,
gestendo quella situazione con la freddezza di un adulto. "Non
ti ho mai mentito".
"Si
invece! Anche adesso! Non è vero che mi dici sempre di si
quando ho
bisogno di aiuto, quando non riuscivo a imparare a scrivere mi hai
sgridata e volevi lasciarmi senza mangiare. E mi hai detto che dovevo
fare da sola!".
"Clowance!".
Non c'era niente che potesse dirle per farle cambiare idea, c'era
solo una cosa che poteva fare per farle sentire quanto la amava. Le
prese le mani, la attirò a se e la abbracciò. La
piccola tentò di
ribellarsi, ma poi si arrese al fatto che lui era più forte
di lei.
La sentì tremare e poi singhiozzare, rilasciando una
tensione che
probabilmente aveva accumulato in tutti quei mesi. "Mi dispiace,
i papà a volte sbagliano e io l'ho fatto. Senza volerlo e
senza
accorgermene, te lo giuro. Ma non ho mai e poi mai smesso di volerti
bene, credimi. Ora sono guarito, sono di nuovo quello di prima e so
che sei arrabbiata, ma credi di poter riuscire a fare la pace con me
un giorno?".
"Mi
avevi detto che ero la tua preferita" – singhiozzò
la bimba,
fra le sue braccia.
"E
lo sei. Ti voglio bene come ne voglio a tuo fratello e a tua sorella,
ma per me tu sei speciale per tanti motivi che ti spiegherò
quando
sarai più grande".
Clowance
alzò lo sguardo su di lui, lo studiò in viso e
poi si asciugò le
lacrime con la mano. "Mi vuoi bene anche se ti dico che sono
stata cattiva?".
"Non
sei mai stata cattiva!".
"Sì
invece. Rispondi! Mi vuoi bene anche se ti dico che ho fatto una cosa
brutta?".
Ross
sbuffò. Non capiva quel discorso e trovava stupefacente che
sua
figlia, così piccola, sapesse già metterlo alla
prova. "Certo,
ti vorrò bene anche più di quando sarai brava,
quando sbaglierai.
Sono tuo padre, non dimenticarlo".
Clowance
abbassò lo sguardo, giocò con la sabbia
smuovendola con un piede e
poi sospirò, come se quello che stava per dire pesasse come
un
macigno sulla sua coscienza. "Sai quel drago con due teste,
quello che ci avevi messo tutta la notte a farmi?".
Ross
annuì. Era bello ricordare, finalmente... "Certo".
Clowance
sbuffò. "Quando sono scappata di casa, ero così
arrabbiata che
l'ho distrutto e buttato nel fuoco del camino".
Ross
espirò. Si aspettava una catastrofe, da com'era iniziata
quella
discussione e invece era solo un drago di carta... Le sorrise,
accarezzandole i capelli. "Avevi ragione ad essere arrabbiata
con me e quello che hai fatto non ti rende cattiva. Io avevo tradito
la tua fiducia e tu ti sentivi abbandonata ed eri arrabbiata e
triste. Per questo l'hai fatto".
"Si
ma... Ci avevi messo tanto per farlo".
Ross
la guardò. Percepiva quanto si sentisse in colpa per quel
drago e
tutto quello che lui desiderava era rassicurarla. "Non fa
niente, era solo un drago di carta, ne faremo altri. Magari, se ci
esercitiamo insieme, con tre teste. Che ne dici? Ci proviamo?".
Clowance
vacillò per un attimo, quasi timorosa ed indecisa se
accettare e
tornare a fidarsi di lui o rimanere chiusa nelle sue posizioni. Ma
poi, timidamente, allungò la mano prendendo quella di suo
padre e
stringendola. E sorrise. "Sei tornato davvero, papà".
"Davvero!".
La strinse a se, la abbracciò forte e le baciò la
testolina rossa.
"Papà?".
"Sì?".
"Va
bene, puoi aiutarmi a cercare le conchiglie per il braccialetto di
mamma".
Ross
sorrise. "E allora vieni con me, conosco un posto dove ne
troveremo di bellissime".
"Dove?"
- chiese la bimba, dandogli la mano.
Presero
a camminare sul bagnasciuga, seguiti da Artù che giocava fra
le
onde. "In una grotta qui vicino".
A
quelle parole, Clowance si bloccò. "No, non voglio venire in
una grotta, ho paura delle grotte. L'ultima volta, mamma è
quasi
morta".
Ross
strinse la sua mano, si chinò e la prese in braccio,
mettendosela
sulle spalle. "Nessuno ti farà del male e nessuno ne
farà mai
più alla mamma. Puoi starne certa! Ti fidi di me?".
"Si".
"E
allora andiamo nella grotta?".
Clowance
sospirò. "Va bene, andiamo nella grotta".
Ross
la rimise a terra e le ridiede la mano, cercando di infonderle
coraggio e la bimba, dopo un'iniziale titubanza, lo seguì a
passo
più spedito. Lo guardò di sottecchi, studiandolo
ancora, poi
timidamente gli raccontò cosa aveva fatto negli ultimi mesi,
come se
lui non ci fosse stato e fosse appena tornato da un viaggio.
Infine... "Papà, posso chiederti una cosa?".
"Certo!".
"Perché
mamma non vuole farmi essere amica di Valentin Warleggan? Sai che
Artù me lo ha regalato lui?".
Ross
a quella domanda si irrigidì. Valentin Warleggan... Quel
nome
riportava indietro tanti, troppi ricordi dolorosi. La sua
gioventù,
Elizabeth, la guerra, il tradimento ai danni di Demelza, l'espiazione
delle sue colpe. Aveva avuto quattro figli nella sua vita e forse ce
n'era un quinto, Valentin. Ma non riusciva a considerarlo tale, per
lui i suoi figli erano coloro che stava crescendo e che portavano il
suo cognome. Valentin forse aveva il suo stesso sangue ma era un
Warleggan cresciuto ed educato da George. Non era suo figlio, non lo
conosceva e forse non l'avrebbe mai conosciuto, nulla li avrebbe mai
uniti in qualcosa. Ma quell'ipotetico legame di sangue restava e
capiva il perché Demelza avesse deciso di recidere i
rapporti fra
Clowance e il bambino. "Un giorno te lo dirò, quando sarai
grande. E' una storia un po' complicata da capire per una bambina ma
quando sarai capace di comprenderla, ti prometto che te la
racconterò".
Clowance
sospirò. "Siete così misteriosi voi adulti! Ma
Valentin è
cattivo? Per questo non volete che sia mia amico?".
"No,
non è cattivo! Ma è meglio che tu gli stia
lontana".
"Tu
lo conosci, papà?".
Ross
scosse la testa. No, non lo conosceva, l'aveva visto di sfuggita solo
una volta, quando era corso a Trenwith dopo aver saputo della morte
di Elizabeth e da allora aveva cercato di rimuovere l'immagine di
quel bambino dalla sua mente. Ma da allora aveva deciso che, una
volta cresciuti, ai suoi figli avrebbe detto la verità circa
la sua
vita e i suoi errori. Demelza non era d'accordo su questo ma lui lo
desiderava. Non voleva né segreti né ombre nel
suo rapporto coi
suoi figli e anche se non sapeva come l'avrebbero presa, voleva
essere sincero, una volta cresciuti. "L'ho visto solo una volta"
– disse, fugacemente.
Clowance
non disse altro, capendo che era meglio non proseguire a chiedere. E
anche questo era tipico di lei e del loro vecchio rapporto, il
capirsi senza bisogno di parole. Il rapporto con sua figlia sarebbe
stato diverso da com'era prima dell'incidente, lo sapeva. Ma sapeva
anche che era talmente forte da essere indistruttibile e che
ciò che
li univa si sarebbe modificato con gli anni ma non sarebbe mai
finito. Sarebbero cresciuti insieme lui e Clowance, ognuno in modo
diverso. Ma le loro strade non si sarebbero mai divise davvero, anche
se la vita avrebbe potuto portarli fisicamente lontani. "Siamo
arrivati, la grotta è questa" – disse, indicando
l'ingresso
roccioso alla piccola.
"Sicuro?".
"Sicuro!
Vedrai, ci sono conchiglie di mille colori, trasporate dalla marea di
notte".
Clowance
sorrise. "Mamma sarà contenta del bracciale".
Ross
le strizzò l'occhio. "Mamma sarà contenta di
sapere che
abbiamo fatto pace, che ne dici?".
La
bimba ricambiò il suo sguardo complice, come una volta.
"Sì,
anche per quello" – esclamò finalmente allegra,
correndo
senza più esitazioni nella grotta.
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