Adagio

di LazySoul
(/viewuser.php?uid=126100)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


ADAGIO

 

Iniziano a sgorgare le prime note, le casse ne amplificano il suono; è come avere un'orchestra alle spalle.

Prendo un profondo respiro, mi lascio sciogliere dagli accordi e muovo piano la testa fino ad alzare lo sguardo, puntandolo di fronte a me. Mi duole il collo, probabilmente mi sono nuovamente addormentata in posizione fetale, forse mi sono anche stirata il muscolo trapezio. Non ci penso troppo, la musica guida i miei movimenti e allungo le braccia di fronte a me, quel tanto che basta per sfiorare con le dita il tessuto pesante delle tende che limitano la mia visuale. Mi blocco.

Non sono sicura di voler sapere cosa c'è oltre, o cosa non c'è. Lascio scivolare di nuovo le braccia verso il basso, lentamente.

Espiro attraverso le labbra socchiuse e chiudo brevemente gli occhi.

Sono da sola, nessuno alla mia destra, nessuno alla mia sinistra. L'unica luce giunge alle mie spalle, fioca, giallastra; dona un colore indefinito alle tende che si trovano a quaranta centimetri dal mio viso.

Il pavimento è in legno, è freddo a contatto con i miei piedi scalzi, ma non quanto potrebbe esserlo il marmo o la pietra. Anche il colore del parquet è imbruttito dalla luce giallastra, così come la mia pelle; sembra malata, vecchia.

Abbasso lo sguardo e mi osservo le mani, lo smalto rosso spicca rispetto alla pelle ingiallita.

Torno a guardare di fronte a me, muovo le braccia in avanti, accarezzando il velluto pesante delle tende, ne stringo un lembo tra le dita e lo scosto piano.

La tenda sembra non spostarsi, tiro più forte, uso entrambe le mani e mi sporgo col busto.

Oltre il velluto pesante sembra esserci soltanto altro velluto.

Un sospiro di frustrazione mi sfugge dalle labbra.

Non mi dò per vinta, faccio un passo avanti e mi lancio contro il tessuto morbido con tutto il mio corpo, lotto con le tende che mi avvolgono nel loro abbraccio tiepido, fino a quando non emergo nell'oltre.

Non c'è più la luce giallognola, è calato il buio più totale.

Mi porto le braccia intorno al corpo, stringendomi in me stessa e facendomi piccola.

Tengo lo sguardo basso, gli occhi chiusi.

La musica continua ad accompagnarmi, lenta, cadenzata.

Mi fa venire voglia di scomparire. Di non essere.

Se fosse possibile svanire, vorrei farlo. Ora.

É in questo momento che la musica s'interrompe.

Alzo la testa, apro gli occhi.

La luce che s'irradia dal cielo plumbeo mi ferisce gli occhi, il rumore dei motori delle auto e delle voci delle persone mi giunge ovattato.

Sono in mezzo al marciapiedi, circondata da persone, è pomeriggio inoltrato.

Mi sfilo gli auricolari dalle orecchie, i suoni esterni mi colpiscono i timpani.

Uno schiaffo avrebbe fatto meno male.

Non sono mai stata così sola in vita mia.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3703163