Colpa del Sole

di Angelika_Morgenstern
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Salendo le scale incrocio più persone che vanno nella direzione opposta alla mia, chiacchierando chi più, chi meno allegramente, alcuni silenziosamente, altri a testa bassa, altri ancora spostando lo sguardo altrove .
Con la coda nell’occhio noto delle persone nell’atrio, qualcuno sta piangendo, due ragazze mantengono la testa bassa.
Intuisco che qualcuno è appena deceduto: perché piangono?
Ha sofferto?
O solamente perché sentono il vuoto nel cuore?
Gli saranno stati sempre vicini?
O si sono ricordati della sua esistenza solo poco prima della morte?
È un dispiacere sincero? O c’è qualche forma d’interesse, magari economico?
Un tipo sulla cinquantina ha una cartellina sottobraccio e non piange. Sta già pensando al testamento.
Sorrido: questa è la natura umana.
Questo ci ha insegnato ad essere la nostra società: vuoti, materialisti.
Le regole restano stupidi dettami senza fondo, la verità è nell’animo.
Consumismo, materialismo, l’invito a comprare per migliorare il proprio status, arricchire il proprio guscio, adornarlo, farci apparire migliori di ciò che siamo in realtà, mascherare lo schifo che siamo e profumarlo per non sentirne l’olezzo.
Oggi come oggi il rapporto tra anima e involucro è inversamente proporzionale, ci s’inaridisce con una semplicità disarmante.
Ho sempre notato nelle persone la codardia pura del soffrire che li porta a chiudersi e pensare solo ai propri interessi, senza aprirsi agli altri, senza capire che non si vive soli ma siamo in una comunità, che bisogna pensare con la propria testa e non farsi abbindolare da false promesse.
Stiamo andando verso lo sfacelo più totale.
I telefonini sono diventati computer portatili che i più non sanno utilizzare ma che acquistano solamente per uno status symbol, credendo che ciò possa farli apparire migliori agli occhi altrui.
Come si può credere davvero a una così evidente menzogna?
Arrivo di fronte alla porta che m’interessa, leggendo il nome del medico sulla targa in metallo.
Una cosina semplice, sobria. Mi fa piacere che a salvarmi sia stato questo Dottor... Grandi.
Chissà, se avessi ancora avuto voglia di vivere magari saremmo potuti diventare amici.
Busso.
— Avanti.
Entro senza esitazioni e lo sguardo dell’uomo sulla cinquantina seduto di fronte a me s’illumina quando mi vede.
Sotto di sé una quantità di fogli che hanno tutta l’aria di essere delle ricette mediche. Chissà cosa lo spinge a fare qualcosa per delle persone che non conosce.
— Luisa! – esclama – Come ti senti? Ti sei ripresa, vedo.
Non rispondo perché non ho nulla da dire. Amilcare – così si chiama – guarda i miei polsi.
— Certamente ci vorrà ancora del tempo, ma se vorrai potremmo effettuare un intervento laser per eliminare queste brutte cicatrici. Accomodati, forza!
Davvero è contento che io sia viva?
E per quale motivo?
— Veramente non sono qui per fare salotto. – rispondo, sentendo io stessa il mio tono di voce piatto e liscio come l’acqua naturale. Amilcare non sembra granché sorpreso dalla mia reazione neutra, ma sinceramente non m’interessa. Sono qui per un altro motivo.
— Allora, cosa ti porta da queste parti? – mi domanda. Neanche leggesse il pensiero.
— Solo una domanda: perché?
Il medico aggrotta un attimo le sopracciglia, rompendo la sua maschera di serenità. Chissà, magari è il sentirsi la coscienza pulita che gliela conferisce.
Illuso.
Rotea gli occhi in basso, prima a destra e poi a sinistra, cercando una risposta all’angolo della stanza, trovando però solo polvere. Che delusione, eh?
— Cosa? – mi chiede.
Mi viene da sorridere ma non lo faccio perché effettivamente non c’è nulla da ridere.
— Perché salvi la gente. – spiego.
— Beh, è il mio lavoro.
— Ma l’hai scelto. – incalzo – Per quale motivo?
— Perché è giusto così. La gente deve vivere.
— Deve?!
Non riesco a trattenermi dallo scoppiare a ridere, scontrandomi col suo sguardo confuso.
— Deve? E chi lo decide che deve? Lei? Il giuramento d’Ippocrate? – mi alzo – La società?
— Luisa, siediti. – mi dice, ma io non eseguo.
— A che scopo? Per sentirmi dire che bisogna affrontare i problemi?
Amilcare resta inebetito. Evidentemente ho colto nel segno, come al solito.
Scuoto il capo — Quanto siete… pateticamente prevedibili. Cosa credi, che non mi abbiano mandato dallo strizzacervelli a suo tempo? Eccome! Mi ha fatto una marea di prediche, ed è stato così noioso sentirlo sempre parlare di… tristezza e depressione… – prendo fiato – ...e di storie di sfigati che erano riusciti a stare bene, oh Dio, stare bene!
Possibile che non capiate quanto sia stupido continuare a vivere in questo modo?
Adattarsi, omogeneizzarsi, siamo un frullato di regole, convenzioni, comportamenti… tutto, tutto deciso da altri! Parole, azioni, hobby, gusti, tutto quanto!
E vi piace?
Vi piace essere presi in giro dagli altri? Da chi ha deciso e continua a decidere della vostra vita?
Il medico mi guarda stranamente calmo. Probabilmente ha iniziato a capire il mio punto di vista.
Si alza e sospira — No, Luisa, non mi piace.
Molte, troppe volte ho dovuto zittire i miei istinti per il quieto vivere, e molto spesso ho fatto bene, anche se avrei voluto dire la mia.
— Ma perché? Perché? Che senso ha vivere così?
— La vita è un dono, e come tale va rispettata. Non esiste solo la nostra vita, esistono anche gli altri, e a volte bisogna soppesare parole e azioni a favore di chi abbiamo davanti.
Socchiudo le palpebre e sollevo le sopracciglia — Sta dicendo davvero?
Quindi io dovrei… vivere volando basso? Cioè, qualcuno è così incapace da non sapersi difendere e io, IO dovrei abbassarmi al suo livello?
Scherziamo? – grido, rafforzando il concetto con un pugno ben assestato sulla scrivania, le cui penne sobbalzano per il colpo.
Non credevo di avere così tanta forza in corpo,.
— E io per quale motivo dovrei mettermi a certi livelli? Io che sono una persona pensante,
un soggetto con le sue opinioni e giudizi?
Per non mettere paura ai più deboli? O per educazione? Che se sfori una regola, agli occhi della società diventi subito una maleducata?
E sia! Sono maleducata e l i b e r a di esprimermi!
Vedo Amilcare che sorride in modo strano, come se fosse… compassione?
— Sei una donna molto sola, Luisa.
— E voglio restare tale, dottore.
Non mi ha ancora detto per quale motivo la vita è sacra. Secondo il suo punto di vista, ovviamente.
M’illumini.
— Semplicemente perché – assume una posizione più confortevole – non tutti hanno il privilegio di arrivare ad un’età che permetta loro di esprimere le proprie capacità. Inoltre i meccanismi del nostro corpo non sono eterni, noi viviamo costantemente appesi a un filo. Basta poco, davvero poco per perdere tutto.
E ancora la nostra vita ha un senso, non solo per noi ma anche per chi abbiamo vicino.
Ognuno può insegnare qualcosa a qualcun altro.
Annuisco — Giusto. E adesso lasci che le insegni io qualcosa. – dico alzandomi.
Il dottore aggrotta le sopracciglia, come tutti quando non capiscono a cosa stanno andando incontro, ma leggo la curiosità nei suoi occhi. Sorrido appena, facendo crescere la suspance e immaginando quali emozioni potrà provare.
Rabbia?
Tristezza?
I n d i f f e r e n z a ?
Gioia?
— La prossima volta si faccia i fatti suoi, dottore.
Fulminea tiro fuori la lama in ceramica dalla tasca, passandola sulla gola, uno schizzo di sangue che colpisce il medico, il quale si protrae verso di me mentre crollo a terra.
Mi… mi manca... l’aria.
Perché il mio corpo si ribella alla mia mente? Io voglio morire eppure il mio fisico annaspa, cercando disperatamente l’ossigeno, che però sfugge al suo controllo appena sopra la glottide.
Mi tremano le labbra, le gambe hanno già ceduto e le dita delle mani si intorpidiscono.
È il momento, finalmente.
Sento freddo, tutto inizia a farsi scuro, come quando calano le luci del cinema, ma riesco comunque – anche se con fatica - a spostare gli occhi su quelli del medico, leggendo il senso di colpa.
Senso di colpa.
Esattamente ciò che volevo ottenere!
Sorrido tronfia mentre il buio s’impossessa per sempre di me.
E di lui.


Ed eccoci arrivati alla fine di questa storia un po' noir.
Spero vi sia piaciuta, anche se i ragionamenti di Luisa non sono esattamente rosei, carini e simpatici, non c'è amore, non c'è sentimento se non un disprezzo nei confronti di chi vuol far vivere a tutti i costi i propri simili.
Effettivamente è un pensiero buono, ma personalmente mi sono chiesta diverse volte quanto ne sappiamo noi che stiamo bene o meglio di molti altri di chi si è stancato di vivere.
Chissà cosa vivono, cos'hanno passato, che strascichi si portano dietro per arrivare al punto di non ritorno.
Questa è una storia che dedico a tutte quelle persone che si sono suicidate, nella speranza che chi sta meglio non li giudichi dei deboli a prescindere.
Grazie a chi ha seguito la storia e a chi è arrivato fino in fondo.
Spero di riuscire a pubblicare in breve tempo la storia che ho in cantiere da un paio d'anni: tra depressione, ripresa, fidanzamento, incidente in moto e convivenza sono riuscita a mettere le mani sul pc tante volte quante sono le dita di una mano.
Buona serata a tutti, spero di rivedervi presto!


- A.





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