Un giorno

di Cottondew
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Un giorno
In quel tardo pomeriggio primaverile, dopo le lezioni, Gheorge si diresse verso il gazebo del giardino interno dell'Accademia.
Nonostante la bellezza e la tranquillità del posto, non era molto frequentato dagli alunni che, stanchi di una giornata scolastica, preferivano ritirarsi nelle proprie camere.
Ogni volta che andava al gazebo si portava dietro un libro e una tazza di cioccolata calda con la panna, non poteva rinunciare a quella nuvoletta bianca galleggiante.
Una volta accomodato in una delle poltroncine in vimini del gazebo, aprì il libro per leggere. Gli occhi scorrevano annoiati sulle parole d'inchiostro nero, ma la sua mente non riusciva a identificarne il significato, troppo presa da altri pensieri, quel giorno.
Il vento fece muovere qualche foglia caduta che catturò i suoi occhi blu. Effettivamente, non trovava proprio concentrazione, così chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolino accanto, concentrando la sua attenzione sulla tazza fumante di cioccolata, che avrebbe bevuto in un sorso, se non fosse stata troppo calda.
Non c'era qualcosa di preciso a cui rivolgeva il suo pensiero, era assorto da una malinconia generale che lo rinchiudeva in una bolla, isolandolo dalla realtà, e ciò non gli dispiaceva, nel suo intimo.
Fissò il liquido dai caldi riflessi, nella tazza, aspettando che la panna venisse risucchiata dall'oscurità della cioccolata.
Non si accorse dell'arrivo di qualcuno, né dei suoi richiami, finché non gli toccò la spalla facendolo saltare sul posto. Dalla scossa improvvisa, la cioccolata bollente schizzò sulla camicia e sui pantaloni, tingendo le vesti con chiazze marroni.
"Oh, povero piccolo, ti ho spaventato?" canzonò il professore di Teatro, con un tono da cui non trapelava l'evidente sarcasmo.
"N-no signore".
Gheorge si affrettò a poggiare la tazza sul tavolino e in un primo momento non seppe come porre rimedio alla situazione, quindi si alzò di scatto e si guardò intorno visibilmente imbarazzato.
Il professore, vedendolo in difficoltà, estrasse un fazzoletto dalla dalla tasca interna della lunga veste nera e gli tamponò le chiazze bagnate.
"Ahi, ahi, che bimbo impreparato a ogni situazione o imprevisto..." mormorò lentamente, spostando il suo sguardo dalle macchie agli occhi bassi del ragazzo, che diventava sempre più rosso e imbarazzato.
"C-chiedo venia per le condizioni con cui mi ritrovo, signore. Sono stato colto nel mezzo dei miei pensieri" si scusò il ragazzo, abbassando il capo e facendo un passo indietro.
"Presumo che i tuoi pensieri fossero rivolti all'ultima rappresentazione a cui, purtroppo, sono stato costretto ad assistere".
Con un gesto sprezzante insinuò il fazzoletto dentro il taschino del suo gilet, assottigliando lo sguardo e assumendo un tono autoritario tutto in una volta. 
Il ragazzo sgranò gli occhi, chiedendosi quale imperdonabile sbaglio avesse commesso durante quella performance che aveva provato fino allo stremo per una settimana o due.
"Professore, non capisc-" provò a chiedere spiegazioni, ma venne bloccato con un gesto della mano dall'uomo dai capelli albini.
Ci fu un lungo momento di silenzio, in cui il professore rimase a fissarlo insistentemente; Gheorge iniziò a sentire il ghiaccio impadronirsi delle sue ossa e pregò affinché quella situazione di disagio finisse il prima possibile.
"Non... capisci" ripeté le sue parole, soffermandosi su ogni sillaba.
"Sei distratto ultimamente. Troppo. Prima ci chiudevo un occhio, ma la situazione sta diventando insopportabile". 
Ogni parola era una pugnalata per il ragazzo; come era riuscito a insinuarsi oltre la sua apparenza così composta e tranquilla? Dove aveva indebolito la sua fortezza?
Tormentandosi interiormente, non riuscì ad ascoltare oltre e si chiuse nel suo silenzio, abbassando il capo. 
Sentì le affusolate dita dell'insegnante sollevargli il mento, costringendolo a sostenere il suo sguardo che, a differenza di poco prima, diventò dolce e premuroso.
"Nonostante le tue imperdonabili mancanze, sarò magnanimo e ti concederò lezioni in più, per recuperare. Ora penso che potrò considerare la tua cioccolata come... una dovuta ricompensa per il sottoscritto" sciorinò addolcendo i toni e appropriandosi avidamente della tazza lasciata sul tavolino. Dopo averne bevuto un sorso, lo guardò alzando un sopracciglio e cantilenò: "Beh? Che fai ancora qui? Fila in aula, il tuo cammino verso il mio perdono inizia tra cinque minuti".
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