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di Lupe M Reyes
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19. LA QUARANTENA

 

Quando mi sveglio, trovo gli occhi di Clarke ad appena qualche millimetro dal naso. Vorrei sussultare, ma non trovo nemmeno la forza di spaventarmi.

“Sta’ ferma.”,

mi ordina, per poi sollevarsi, uscendo dal mio campo visivo.

La prima cosa che noto è che non sono più sulla stuoia con John. Mi hanno spostata su una specie di tavolo metallico. La nausea mi fa venire voglia di sporgermi oltre il bordo e vomitare. Peccato che non riesca a trascinarmi sul fianco. Volto la testa per poter tossire ed è come se un grumo solido di dolore mi strizzasse i polmoni e risalisse per la gola, fino ai denti.

Clarke è tornata da me di corsa, mi passa un fazzoletto sulle labbra. Intravedo il sangue che lo sporca.

“Blair, stai tranquilla. Andrà tutto bene.”

“Tutto cosa?”,

mormoro, stremata. Sono scossa da brividi gelidi, anche se sto sudando.

La mia amica si sporge sul mio viso. Cerco di metterla a fuoco.

“I Terrestri non hanno solo torturato John. Lo hanno anche esposto ad un virus. Ecco perché lo hanno liberato. Per rimandarlo al mittente come arma batteriologica.”

“John è malato?”

“Sta meglio di te, molto meglio. È fuori pericolo. È ancora debole ma è in piedi. La febbre era dovuta al virus, non allo stress subito dal corpo per le torture. Mi ero sbagliata.”

“Non potevi saperlo.”,

sussurro, cercando di anticipare la sua espressione corrucciata, il senso di colpa per l’errore che sente di aver fatto. Vorrei dirle che non mi ha delusa, che l’imperfezione è umana, persino per Clarke Griffin.

“Si trasmette per contatto. Forse anche per via aerea, non siamo sicuri. Il virus sembra avere effetti molto diversi sulle persone. Io ormai ero infetta dopo aver curato John ieri, quindi posso violare la quarantena. Ma ho toccato altre persone ieri, e anche tu, e questo è un guaio. Raven sta bene, Finn sta bene… Sto cercando di visitare tutti e vedere se presentano sintomi. Tu sai dirmi chi hai…?”

“Bellamy.”

“Cosa?”

“Bellamy ha trasportato John in braccio dal bosco fino al campo. Hai controllato Bellamy?”

Clarke tentenna. Resta in silenzio così a lungo che mi costringe a chiederglielo di nuovo. Lei si rimette al lavoro, si allontana verso una cassetta appoggiata su un ripiano alla mia destra, mi da le spalle.

“Ora devi riposare.”,

mi ordina, senza guardarmi.

“Griffin, giuro che se non mi rispondi mi strappo la flebo.”

“Non è una flebo.”

Osservo il tubicino che mi esce dal braccio, agganciato ad una sacca trasparente piena di liquido.

Trovo l’energia per allungare una mano e stringere il tubo tra le dita. Clarke si accorge del rumore e mi corre addosso. Ma è tardi, non può toccarmi senza che io abbia il tempo di esaudire la mia minaccia. Clarke respira profondamente.

“Non ho avuto modo di visitare Bellamy.”

“Perché?”

Clarke allunga un braccio per fermarmi. Per tutta risposta, tendo il tubicino al massimo del possibile. Basta un movimento del polso per tirarlo via. Immagino farà male. Ma mi fa meno paura della reticenza del mio dottore.

“Ok! Ok… Bellamy è fuori. È andato a cercare una medicina.”

Che cosa?”

Clarke stringe i denti e le ossa della mascella le sporgono sul viso.

“Perché non l’hai fermato?”

“Credi che non ci abbia provato? Mi dispiace, ma non sono riuscita a trattenerlo abbastanza a lungo da controllare che stesse bene. Ha saputo cos’era successo e appena ho detto che l’alga che abbiamo usato per curare Jasper poteva tornarci utile per combattere le infezioni è scappato…”

“Scappato?”

“Non ho fatto in tempo nemmeno a finire la frase.”

Cerco di deglutire, invano.

“Ma Octavia è malata?”

“No, Octavia sta bene.”

L’ansia mi regala una forza a cui fino a qualche minuto fa non credevo di poter attingere. Mi agito, smuovendo le coperte che mi intrappolano le gambe. Devo scendere da qui.

Borbotto, tra me e me:

“Fuori è pieno di Terrestri che stanno cercando in ogni modo di ucciderci e quell’imbecille…”

Un grido lacerante ci raggiunge dal piano superiore della navicella, interrompendomi.

“Quello che diavolo era?”

Approfittando della mia distrazione, Clarke mi ha raggiunta e rimessa al mio posto. Controlla che non abbia fatto danni alla mia non-flebo.

Un uomo sta soffrendo, ad appena qualche metro sopra le nostre teste. E io sono pietrificata dal terrore. Se quello è il dolore che provoca la malattia che mi sono presa, quanto tempo manca prima che anche io inizi ad urlare in quel modo?

“Ora stai buona qui. E dormi. Devi riposare o non guarirai, alga o non alga, antidoto o non…”

“Antidoto? Di che parli?”

La ragazza si morde la lingua. 

“GRIFFIN.”

“C’è un antidoto. Forse. Ma ce l’hanno i Terrestri.”

Un secondo urlo straziato riempie la navicella, che come una cassa di risonanza ne rifrange l’eco agghiacciante intorno a noi.

“Stiamo cercando di convincerli a consegnarcelo.”

La fisso nei suoi begli occhi intelligenti e ci trovo lo stesso sguardo di sua madre. Ho un deja-vu tanto rapido che non ho il tempo di preoccuparmene.

“Abbiamo un prigioniero.”

Respingo un colpo di tosse, rischiando di strozzarmi.

“Abbiamo un cosa?”

La voce di Clarke non ha titubanze, così come la sua espressione:

“Un Terrestre si era spinto troppo vicino al nostro campo. I ragazzi l’hanno catturato.”

Un nuovo boato ci costringe a sollevare gli occhi al soffitto. Le grida si stanno facendo via via più intense.

“Lo stiamo torturando?”

Lei non mi risponde ma tutto quel che mi serve sapere ce l’ha scritto in faccia.

Clarke, cosa diavolo…”

“È per salvarti che lo stiamo facendo. Per salvare tutti quelli in quarantena.”

Per la prima volta mi accorgo che non sono sola nella stanza. Altri ragazzi sono stesi in sistemazioni di fortuna ad appena qualche passo da noi. Alcuni dormono, altri sono coscienti. Hanno tutti linee di sangue a corpirgli i visi e le mani, le magliette… Una ragazza si alza sui gomiti per vomitare. Stringe gli occhi e il bel castano chiaro scompare tra le ciglia imperlate di lacrime. Ha un nasino minuscolo e porta i capelli cortissimi. Avrà trecidi, forse quattordici anni.

Quando torno a guardare Clarke, scopro nei suoi tratti una convinzione che mi destabilizza. È la stessa che ha mosso Abby Griffin a mandare sua figlia sulla Terra. La certezza di fare la cosa giusta nonostante tutto, a qualunque prezzo. Cediamo parte della nostra umanità pur di far sopravvivere la specie. Quel che è peggio sembriano non chiederci nemmeno se ne valga la pena.

Nel perlustrare la stanza, non sono riuscita ad individuare John.

“Lui è di sopra.”,

dice Clarke, rispondendo alla domanda che non ho avuto il tempo di farle.

“Si sta occupando lui del Terrestre.”

 

Clarke mi impedisce fisicamente di alzarmi dal tavolo. La lotta è impari, io sono troppo debole. Non avrei avuto una chance contro di lei nemmeno al massimo delle mie forze, figuriamoci ora. Mi tiene giù, stesa, finché non mi arrendo. Scivolo in un sonno agitato.

 

Quando mi sveglio, le urla sono cessate. È piena notte e il solo rumore percepibile sono i colpi di tosse degli ammalati intorno a me. La testa mi fa male e la temperatura mi sembra persino più alta di prima. La maglietta che indosso è bagnata di sudore freddo e si appiccica alla mia pelle bollente senza lasciarmi scampo. Il fastidio che provo è insopportabile, così come insopportabile è il dolore pulsante al petto, che mi torce i polmoni e infiamma la gola. I conati continuano a scuotermi e mi sento meno lucida di quanto mi piaccia.

“Buongiorno, Mostro.”

La voce di John mi fa voltare la testa. Lo faccio troppo in fretta e un giramento mi sconvolge, anche se sono stesa. Non capisco come sia possibile, sono solo certa di non essere mai stata tanto male in vita mia.

Lui avvicina lo scatolone su cui è seduto. Si accuccia a fianco del mio viso, con le dita appese al bordo di metallo.

“Se muori non ti perdono.”

Sto cercando di sorridere e forse riesco nell’impresa, perché i suoi occhi si quietano. Sta cercando di fingersi tranquillo ma la Terra ha decisamente ridotto le sue capacità attoriali. L’angoscia che sta provando trasuda da ogni centimetro di pelle.

“Come stai tu?”,

gracchio, cercando di minimizzare le espressioni di dolore.

“Io sto bene. Benone. La Principessa mi ha rimesso in sesto. Certo, senza il mio aiuto non avrebbe potuto fare molto…”,

dice, dondolando la testa con aria sorniona. Estrae dalla tasca un bottiglietta di vetro, dove un residuo di liquido verdastro danza sul fondo.

“È…”

“L’antidoto, sì. Mi sono servite tutte le mie doti di persuasione per ottenerlo.”

All’improvviso mi ricordo del Terrestre. Mi chiedo se si trovi ancora al piano superiore. Mi chiedo se sia ancora vivo.

Mi sono servite tutte le mie doti di persuasione per ottenerlo.

Un brivido mi percorre le braccia e so che non è colpa della febbre.

“John…”

“Blair, non cominciare nemmeno.”

“Non avresti dovuto…”

“Non avrei dovuto?”

Il suo volto è livido, all’improvviso. Cerca di mantere la voce più bassa che può, ma allo stesso tempo so che vuole urlare.

“Hai idea di quello che hanno fatto loro a me?”,

mi domanda, con le vene del collo che pulsano, per un attimo. Un attimo che è sufficiente a spaventarmi.

“Non voglio che tu faccia qualcosa che…”

Le parole mi si sciolgono sulla lingua. Sto faticando a mettere in fila le frasi.

“Non voglio che tu senti in dovere, per me, di fare qualcosa che rischia di… cambiarti…”

La sua bocca si distorce in un ghigno che non è il suo solito sberleffo da Gian Burrasca, ma qualcosa di disgustoso.

“Io sono già cambiato, Blair.”

“Che vuoi dire?”

Lui distoglie lo sguardo. Il distacco riesce a procucarmi un dolore quasi fisico, che si somma a quelli reali, e li annulla.

Si abbassa, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e unendo le mani. La schiena si inclina, così la fronte. Perdo contatto con il suo viso, che ora è completamente in ombra. La sua voce sembra raggiungermi da un'altra dimensione.

“Tu hai avuto un’immagine di me, per tutta la vita. Di questo ragazzo così straordinario… Ma te la sei costruita. Hai ricamato su di me un personaggio, qualcuno che ti andasse bene, che fosse degno di starti accanto. Tu mi hai romanzato…”

La mia testa fa un piccolo movimento. Stavo cercando di scuoterla, di dire di no.

“John, ma che diavolo stai dicendo?”

“Io non vengo da un libro, Blair. Io sono reale. E faccio schifo. Lo vedono tutti. Tutti lo sanno, qui. Mi vedono per quello che sono.”

Sono spiazzata. Sono rimasta a bocca aperta, senza capacità di replicare. Per rispondere, prima dovrei almeno capire quel che mi sta dicendo. Ma non ha senso. Niente di quanto ho sentito ne ha.

“È liberatorio, sai? Essere chi sono. Finalmente. È riposante non doversi sempre dimostrare all’altezza di Blair Foer.”

Intorno a noi la notte della Terra riempie di suoni il silenzio che ci separa. Il vento che accarezza la navicella, le fronde degli alberi del bosco, i passi dei ragazzi che hanno il turno di guardia, gli altri abitanti della quarantena che si muovono, irrequieti, sui loro giacigli improvvisati.

Io sono immobile e John mi sta ancora fissando. Ha sollevato il mento, sta per stirare uno dei suoi sorrisi sarcastici.

Ma non lo fa.

È serio.

“Finchè c’eravate tu e mio padre a guardarmi come se fossi una cosa preziosa, un miracolo… Non potevo deludervi. E allora mi sono sforzato, mi sono sforzato tanto, per voi. Avevate questa idea di me, che fossi un ragazzo tanto buono e generoso…”

Con non so quale forza, mi sollevo su un gomito.

“Ma tu sei questo, John, lo sei!”

“No che non lo sono! Sei cieca, forse? Com’è che a tutti è così chiaro che sono uno scarafaggio e Blair Foer non ci riesce, eh? Perché? Non puoi avere torto, almeno una volta nella tua vita?”

Ha alzato la voce, e si è alzato lui stesso. Mi impedisce di guardarlo da vicino, voltandosi da un lato, torcendo il collo pur di non rivolgersi direttamente a me.

Io mi chiedo come sia possibile che ancora nessuno si sia svegliato, che Clarke non sia corsa a salvarmi. Sembriamo protetti dal buio come una camera stagna.

La luce che lo sfiora, di taglio, enfatizza i chiaroscuori del suo volto. L’azzurro degli occhi di John si è sbiadito: resta solo il verde. Sembra una maschera.

E poi realizzo.

È una maschera.

 

Aspetto che continui a parlare, a blaterare.

Con il mio silenzio lo sto invitando a raschiare il fondo del barile, a buttare fuori tutto.

E lui lo fa:

“Io oggi ho torturato una persona, Blair. L’ho fatto solo in parte per te. E l’ho fatto con piacere. Lo stesso piacere che avrei provato a mettere le mani addosso a Wells. Quella che gli avevo fatto - pubblicamente, perchè sono un idiota - non era una minaccia a vuoto. Lo odiavo. Odiavo suo padre, soprattutto. Ma la ragazzina mi ha rubato il coltello e mi ha risparmiato la fatica. Non ero il solo ad cercare vendetta con il Cancelliere. Non fosse che la piccola dolce Charlotte poi non è stata accusata, sono stato io ad essere quasi impiccato. E quando la verità è venuta a galla, a lei l'avrebbero lasciata andare. Ci credi? Non potevo sopportarlo. E le ho dato la caccia. Peccato si sia buttata da una montagna, pur di non darmi la soddisfazione.”

Attendo ancora qualche secondo, con l’espressione più neutra possibile che ho a disposizione. Poi scosto la mia non-flebo, parte delle coperte, e mi sollevo. Le vertigini rischiano di uccidermi. Reprimo un conato, aggrappandomi con forza ai bordi del tavolo. Le nocche mi si sbiancano per lo sforzo. Ma finalmente sono a sedere.

“Hai finito?”

Lui tentenna, preso alla sprovvista dal mio tono. Il bello di quando qualcuno ti conosce da tutta la vita, è che appena fai qualcosa che va di un millimetro fuori dal percorso, li costringi a barcollare.

Porto il mento all’altezza del suo. Siamo simmetrici, ora. E non può impedirsi di guardarmi, non adesso. I suoi occhi sono più lucidi dei miei.

“Hai torturato un uomo con piacere? Bene. Avevi voglia di uccidere uno dei Jaha? Benvenuto nel club. Hai spinto al suicidio una bambina? Ti ho sentito, non c’era bisogno di urlare. Ah, e lo sapevo già.”

John Murphy mi ha educata troppo bene, al punto che nemmeno lui stesso può tenermi testa.

“Io ho complottato per uccidere il Cancelliere. A sangue freddo, nota bene, non sull’onda del dolore o della disperazione. Se avessi avuto una pistola per le mani, avrei fatto quel che dovevo. Anche su Kane, probabilmente. E sono la responsabile di una rivolta che avrà messo in pericolo mezza Arca, se siamo fortunati.”

Schiocco la lingua. Sono certa che non mi ha mai guardata così. Perché, semplicemente, non mi ha mai vista così. Ed è lui a credere che io non lo conosca.

“Sai cosa dice la gente di me? Questa stessa gente? Che si vede che avrei messo un cappio al collo di chiunque, pur di salvarti la pelle. Cito testaulmente. Che sarei disposta a fare qualsiasi cosa, con un po’ di motivazione.”

Per quanto sto per dire mi serve prendere almeno un po’ di fiato. Al costo di rischiare di tossire sangue.

“Non so cosa ti abbia fatto credere di non essere alla mia altezza, John Murphy, quando per tutta la vita mi è stato molto chiaro che ero io a non meritarti. Non hai letto quel che ti ho scritto, non davvero.”

Sento il peso che mi riempie la tasca dei pantaloni con improvvisa chiarezza. Avrei voglia di aprire la lettera qui ed ora e spiegargli punto per punto, costringerlo a credermi. Voglio che gli sia chiaro ciò che dico, come mai prima di stanotte. Vorrei strattonarlo acchiappandolo per il colletto, ma devo limitarmi ad arpionarlo con gli occhi.

Lui mi ascolta, lo vedo, lo sento. Lo percepisco a fior di pelle, allo spostarsi del suo petto quasi ansante, al fremito che gli scolorisce le iridi, allo spazio tra le sue labbra separate, che non riesce a chiudere.

“Tuo padre ed io siamo le persone che ti conoscono meglio. Vuoi fare a gara tra me e lui contro un branco di delinquenti minorenni che ti hanno visto per un paio di giorni in totale? No perché potrebbe rivelarsi istruttivo.”

Cerco di ammorbidirmi ma il guaio è che voglio strangolarlo e al tempo stesso riempigli le guance di baci. Non ho mai avuto sentimenti contrastanti nei suoi confronti. Gli ho sempre e solo voluto bene, attraverso qualsiasi sciocco litigio. Sull’Arca erano giochi, tutti giochi, anche quando ci tiravamo addosso gli oggetti e ci minacciavamo di sparire l’uno dalla vita dell’altra. Durava mezza giornata e sapevamo che era una messinscena.

Stasera è reale.

“Non ti permettere mai più di usare la parola scarafaggio per definirti o giuro che ti metto le mani addosso. Non ho attraversato lo spazio, rischiato la vita e condannato a morte i miei genitori senza nemmeno salutarli per uno scarafaggio. Abbi un po’ di rispetto per ciò che provo per te, per ciò che mi spingi a fare, solo essendo come sei.”

Mi trema la voce. Non ho speranze di tenerla a bada. Lascio che le parole si sgranino con difficoltà, come piccoli singhiozzi delle lacrime che non sto versando:

“E se ti senti davvero cambiato, se la morte di tuo padre e la Terra e quello che ti hanno fatto qui ti hanno trasformato, sappi che se comunque nel nuovo John Murphy è rimasto l’un per cento del mio John Murphy, rimani una persona che vale la pena, ogni pena, avere accanto.”

Detto questo, cedo. Le forze mi abbandonano. L’adrenalina mi ha portato fin dove doveva farmi arrivare.

Scivolo di nuovo sul tavolo, cerco di coprirmi le gambe con la coperta, anche se sto morendo di caldo. Ma il sergente Griffin si è raccomandata, quindi io obbedisco.

John è rimasto dov’era.

“Ora vattene e lasciami dormire. Sono stanca.”

“Blair…”

“John, per oggi basta così.”

Lo congedo, voltandogli la schiena. Mi costa un dolore inenarrabile stare su un fianco solo. Sento già la tosse graffiarmi la gola. Ma non importa, non me ne importa niente.

Aspetto, ma non sento i suoi passi allontanarsi. Lo ascolto sedersi di nuovo sullo scatolone. Un lungo sospiro. Poi, il silenzio.  




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14/09/17
Ebbene sì, sono ancora viva ^^
(Mi spiace per l'aggiornamento lento, ma prometto che il prossimo sarà più ravvicinato.) 

Devo assolutamente esprimere la mia gratitudine per le new entry che seguono questa storia, Nina Ninetta, Fede27, Spettro94, che non solo scrivono belle recensioni, ma anche belle storie - e se fate un saltino sui loro profili vi fate un regalo. 

Un grazie speciale a Sky delle Sagas, che si è appassionata a questa vicenda con un'attenzione che mi commuove.

E dulcis in fundo il grazie più grande va a Pixel, che c'era dall'inizio e senza il cui supporto non so se saremmo qui a seguire Blair e John e tutti gli altri. 

Ciao anche a voi, lettori silenziosi! 
A presto,
LMR





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