"I
ragazzi l'hanno presa bene".
Demelza,
intenta a mettersi la camicia e a prepararsi per la notte,
annuì.
"Sicuramente meglio di come l'hai presa tu" – disse
scherzosamente al marito, intento ad accendere il camino.
Ross
sospirò, scuotendo la testa e smuovendo la cenere. "Non
dovresti prenderla con tutta questa leggerezza, è una
questione
seria".
"E'
una questione bella! Avremo un bambino, non è un lutto,
Ross!"
Suo
marito sospirò, alzandosi dalla posizione accovacciata e
sedendosi
su letto, accanto a lei. "Demelza, è diverso dalle altre
volte!".
"Ross
Vennor Poldark, stai dicendo che sono vecchia?" - chiese lei,
con gli occhi che promettevano scintille.
Ross
alzò le spalle. "Sicuramente lo sei più che le
altre volte e
questo è inequivocabilmente un dato di fatto!".
"Sto
bene e ho tutta l'intenzione di stare bene pure in futuro!" -
ribatté lei. "Di cos'è che hai così
paura?".
Ross
la fissò con quei suoi occhi scuri e penetranti, serio. "Una
volta, tanti anni fa, ho visto una donna morta di parto... E se penso
che puo' succedere... che potrebbe... che tu...".
Demelza
gli prese le mani. Tremavano... Aveva ben capito di chi lui stesse
parlando e di cosa aveva paura. Quel timore di Ross espresso
così, a
parole, fece venire la pelle d'oca pure a lei. Ma soprattutto... "Non
voglio parlare di Elizabeth!" - disse, secca.
"Non
ho detto il suo nome!" - ribatté lui, piccato.
"Ma
era a lei che ti riferivi! La mia, la nostra è un'altra
storia e tu
lo sai. Non è morta di parto e io non voglio parlare di
Elizabeth".
"Non
era mia intenzione farlo, sei tu che hai tirato in ballo l'argomento
e hai pronunciato quel nome".
Demelza
si morse il labbro. Ross era teso e nervoso e quando era
così,
spesso finivano col discutere. Ma era una cosa di cui non aveva
voglia, non quella sera, non nel giorno in cui aveva scoperto la
nuova imminente maternità. In realtà pure lei,
benché cercasse di
mascherarlo, aveva mille paure e i nervi a fior di pelle ma Ross
rischiava di peggiorare la situazione, facendo così. "Pensi
ancora a lei?".
Davanti
alla serietà del suo tono di voce, Ross deglutì.
"Penso a lei
come si puo' pensare ad un antico affetto. Penso a lei con la
tristezza con cui si pensa a una donna morta giovane".
Beh,
come risposta poteva andarle pure bene, ma lo sguardo di Ross era
ancora indispettito e teso. "Che c'è?".
Suo
marito la guardò con sospetto. "E tu... Pensi ancora ogni
tanto, a Hugh Armitage?".
Spalancò
gli occhi, una domanda del genere non se l'aspettava minimamente.
Come poteva paragonare ciò che l'aveva legata a Hugh
più di dieci
anni prima, con quello che lui aveva vissuto con Elizabeth. "Cosa?
Ross, sei impazzito?".
"Rispondi!".
"No,
non penso a lui" – disse, guardandolo negli occhi.
"Mai
fatto?" - insistette Ross.
Demelza
sospirò, suo marito aveva voglia di litigare a quanto
sembrava. "Si,
l'ho fatto. Ho pensato a lui a volte, con la stessa pietà
che tu usi
nel pensare ad Elizabeth, con la pietà che si prova nei
confronti di
una persona morta giovane. E comunque le due cose non sono
paragonabili".
Ross
fece per ribattere a tono ma alla fine abbassò lo sguardo,
si gettò
sul cuscino e chiuse gli occhi. "Hai ragione, scusa! Sono solo
nervoso...".
Demelza
scosse la testa, prese il suo cuscino e glielo tirò in
faccia. "Sei
detestabilmente insopportabile quando ti ci metti, sai?".
"Me
lo dicono in molti" – rispose lui, laconico.
A
Demelza scappò un sorriso. Allungò la mano, prese
quella del marito
e la strinse. "Ross, anche io ho paura per il bambino. Ma so che
andrà bene, che lui sarà in salute e che lo
sarò pure io. E' la
mia ultima gravidanza questa, dubito ce ne saranno delle altre e...".
"Puoi
scommetterci che sarà l'ultima" – la interruppe
lui.
Demelza
finse di non sentirlo. "E... Vorrei vivermela felicemente e
senza troppi pensieri, dall'inizio alla fine, con te. Stammi vicino,
pensiamo alle cose belle e releghiamo le preoccupazioni a quando
arriveranno dei problemi, SE arriveranno. Ho bisogno di te, stavolta
più di tutte le altre volte".
Ross
sospirò, sconfitto, lasciandosi andare sul cuscino. Le
sfiorò la
vita e la trascinò a se, stringendola e costringendola a
poggiare la
testa sul suo petto. Le accarezzò i capelli, piano, poi le
baciò la
fronte. "Hai ragione, è una cosa bella questa. Ma mi
conosci,
di carattere tendo sempre a pensare anche alle mille cose negative
che una novità comporta".
Demelza
annuì. "Lo so bene. E nonostante questo, da quando ti
conosco
ti ho visto sfidare con coraggio anche le imprese più
improbabili ed
avventurose. Io non sono così diversa da te e questa
sarà la mia
avventura. Ma vorrei che fosse anche tua...".
"Sarà
anche mia, sta tranquilla. Spero solo di poter essere un padre
attento e presente come lo sono stato per gli altri".
Demelza
alzò il viso e lo guardò. "Perché non
dovresti esserlo?".
"Perché
non sono giovane come lo ero con gli altri".
Demelza
sorrise e si sporse a baciarlo sulle labbra. "Hai più
energia
tu, di tanti ventenni che bighellonano attorno alla tua miniera".
Ross
alzò un sopracciglio. "I ventenni che non tolgono gli occhi
di
dosso dalla mia bambina prediletta?".
Demelza
scoppiò a ridere. "La tua bambina prediletta ha sedici anni.
Io
alla sua età ero già innamorata di te, ti ho
sposato che avevo un
anno solo più di quelli che ha ora Clowance e sono rimasta
incinta
di Julia subito dopo".
"Non
è la stessa cosa" – obiettò Ross. "I
tuoi sedici anni
erano diversi dai suoi, sono altri tempi adesso e Clowance è
ancora
piccola per OGNI cosa".
Alla
fine fu costretta a sospirare. "Erano tempi diversi perché
non
ero tua figlia?".
"Erano
tempi diversi e basta! Fine del discorso. A proposito, sai che mi ha
detto TUA figlia, poco fa? Che è contenta per l'arrivo del
fratellino, così farà pratica per quando
sarà lei a diventare
madre".
Ok,
era decisamente divertita da quella conversazione con Ross e la
tensione di poco prima era ormai archiviata. "Beh, come darle
torto?".
"Demelza...".
Lo
abbracciò, affondando il viso nel suo collo. "Guarda il lato
positivo, di bambini piccoli ne hai ancora due: quello che deve
nascere e Bella. In fondo lei è ancora una ragazzina".
Ross
la guardò storto. "Bella è pure peggio di
Clowance, ha
l'occhio troppo lungo coi ragazzi e ha solo undici anni. Mi
farà
venire i capelli bianchi... Sai che vuole prendere lezioni di
canto?".
"Sì,
me lo ha detto! Dal fratello maggiore della sua amica Josephine, che
studia al conservatorio. Mi sembra una buona idea".
Ross
scosse la testa, guardandola come fosse un'aliena che non comprende
l'ovvio. "Le ho detto che se vuole lezioni di canto, andrà
da
Miss Antoinette, l'organista della Chiesa di San Sawle. Non
è
necessario rivolgersi a un ragazzo del conservatorio".
"Sei
perfido!" - rispose, divertita.
"Ho
l'occhio lungo...".
Demelza
ridacchiò. Calò un silenzio sereno, tranquillo,
interrotto solo
dallo scrosciare rilassante della pioggia. Rimasero abbracciati per
un po', lei appoggiata al petto del marito e Ross che le accarezzava
la schiena.
Fu
Ross a interrompere quel momento. "Devo dirti un'altra cosa di
Clowance e forse non ti piacerà".
"Cosa?".
"Prima,
mentre parlavo con lei, mi ha raccontato che oggi, a cavallo, hanno
incontrato Valentin Warleggan nel bosco".
Demelza
spalancò gli occhi a quelle parole, mentre nella mente si
formava
l'immagine di quel bimbo dai ricci neri, magro e malaticcio, che
aveva conosciuto dieci anni prima in spiaggia, durante la sua fuga da
casa con Clowance. Per molto sua figlia aveva insistito per vederlo e
lei era stata categorica a rifiutare, pur senza darle spiegazioni.
Valentin Warleggan, il bimbo nato in una notte di luna nera, il
figlio di Elizabeth e forse di quella notte maledetta con Ross. "E
allora...?" - chiese, con timore.
Ross
deglutì. "Le ho raccontato la verità. Me l'ha
chiesta e ho
pensato che fosse abbastanza grande per saperla".
Demelza
rabbrividì. Alcuni anni prima, Ross ne aveva parlato con
Jeremy e
suo figlio l'aveva presa malissimo, tanto che per settimane non aveva
voluto rivolgere la parola a suo padre. Poi, con tanta pazienza, una
lunga chiacchierata e un faccia a faccia doloroso ma necessario, i
suoi due uomini avevano fatto pace e Jeremy si era riappacificato con
lui. Ma Clowance... "Come l'ha presa?".
"Era
sbigottita, quasi spaventata. Non se l'aspettava. Mi ha sempre visto
come un padre super-eroe e improvvisamente ha scoperto che sono stato
tutt'altro che perfetto".
Demelza
si alzò, mettendosi a sedere. "Ross, proprio per questo non
avresti dovuto dirle nulla. Non era necessario e tu sai che non ero
d'accordo".
"Io
non volevo mentirle" – rispose lui, laconico.
"E'
arrabbiata?".
"No.
Mi ha chiesto se tu mi hai perdonato e le ho detto di sì e
per lei
questo basta. Per il resto, rimango il padre che ha sempre
conosciuto, sa che ti amo e sa che amo i miei figli".
Questo
la rasserenava, sapeva quanto Ross e Clowance riuscissero a leggersi
nel pensiero e sicuramente sua figlia ci avrebbe rimuginato su per
giorni, prima di riempire entrambi di domande, ma l'avrebbe superata
meglio di suo fratello. Era un altro, l'aspetto che la preoccupava.
"E con Valentin?".
Ross
scosse la testa. "Gli ha fatto una brutta impressiome, ha detto
che era un tipo strano e si è sentita a disagio. Non lo
frequenterà
e questo è un bene perché ormai non potremmo
più impedirglielo. E'
troppo grande per i no categorici, senza spiegazioni".
"Già".
Demelza allungò la mano e strinse quella del marito. "Come
stai, quando pensi a Valentin?".
"Io
non penso mai a Valentin e per me vale il discorso che ti ho fatto
anni fa. E' figlio di George, indipendentemente dal sangue che scorre
nelle sue vene. Un perfetto prodotto di quel mondo che io detesto".
Demelza
sospirò. "Sai, prima ero nervosa per il tuo discorso su
Elizabeth, ma a volte ci penso a lei. Da madre, non posso non pensare
al fatto che non abbia potuto crescere i suoi figli. Geoffrey Charles
la adorava, Valentin l'ha persa che era piccolissimo e Ursula non
l'ha mai nemmeno conosciuta. Mia madre è morta quando ero
piccola e
so come ci si sente, lo so...".
Strinse
le coperte fra le mani, tremando. E Ross la strinse nuovamente a se.
"E' bello che tu riesca a pensare a lei in questi termini, sei
davvero straordinaria. Però... Sta tranquilla e non pensare
a nulla
di brutto o che ti incute tristezza o stress. Ricordi cosa mi hai
chiesto poco fa?".
Demelza
sorrise dolcemente. "Sì, lo ricordo. Allora, sarai al mio
fianco in questa avventura?".
"Certo
mia cara! Ma devi promettermi che non farai sforzi, che ti farai
servire in tutto e che non mi farai morire di preoccupazione".
"Hai
intenzione di tenermi segregata in questa camera, legata al letto,
fino alla data del parto?" - chiese lei, divertita.
Ross
esibì il suo miglior sorriso da perfetta canaglia. "Potrebbe
essere un'idea...".
E
ridendo, Demelza gli lanciò nuovamente il cuscino in faccia.
|