Tarocchi 1
I
TAROCCHI DELLA PAPESSA NERA
Capitolo
1
L’agente
Hayes era quello che si potrebbe definire un poliziotto di
esperienza. La sua lanterna era così vecchia che a forza di
lucidature ormai brillava. Quello che aveva in testa era già
il
quinto casco che cambiava, e per la fine di ognuno dei precedenti
aveva da raccontare una storia talmente avventurosa che le reclute
rimanevano ad ascoltarlo con il fiato sospeso.
Conosceva
a menadito ogni strada, vicolo, cortile e anfratto di Whitechapel, e
anche se c'erano buio, nebbia o pioggia era in grado di orientarsi
nel quartiere con la sicurezza di un piccione viaggiatore.
Quella
sera, la nebbia era solo moderatamente fitta, la qual cosa
significava che la luce della lanterna era un cono lattescente che
gli rimbalzava davanti in sincronia con i suoi passi, ma consentiva
di distinguere almeno i contorni delle cose. Non come cinque anni
prima, quando in pieno giorno era quasi caduto nel Tamigi
perché non
si vedeva che la strada era finita.
Tirò
fuori lo sfollagente e con quello picchiettò qualche porta e
finestra chiusa per controllare che fosse effettivamente tale.
“'Sera,
Jeff,” disse a un viluppo di stracci raggomitolato sotto una
tettoia.
“'Sera,
agente Hayes,” provenne la risposta.
Arrivò
al Raglan's Rest, un pub orgogliosamente gestito da
un ex
combattente della guerra di Crimea. Il posto era aperto e illuminato
a giorno. Il padrone, in maniche di camicia e grembiule, era sulla
soglia e scrutava ansiosamente il fondo della strada.
“'Sera,
signor Olson,” disse il poliziotto, portandosi la punta dello
sfollagente al bordo del casco in segno di saluto.
“Buona
sera, agente Hayes,” rispose l'uomo. Tornò a
scrutare la strada
nebbiosa.
“Aspettate
qualcuno, signor Olson?”
L'altro
abbandonò l'osservazione e lo fissò orgoglioso.
“Potete
scommetterci. Un intero carro della migliore birra di Burton. La
faccio arrivare di notte perché le strade sono
più libere.”
Il
poliziotto annuì. “Molto ben ragionato, signor
Olson,” approvò.
“È
con la logistica che si vincono le offensive,”
sentenziò l'oste,
che nel corso della guerra aveva servito in una Compagnia Comando e
Servizi. Stava per aggiungere altro, quando dal fondo della strada
cominciò a farsi udire un lieve scampanellio.
“Eccolo!”
esclamò. Poi, rivolto verso l'interno del pub:
“Venite fuori, sta
arrivando.”
Alcuni
robusti operai si riversarono sul marciapiede.
Lo
scampanellio nel frattempo andava aumentando. A esso si associarono
lo sferragliare di pesanti ruote e il battere ritmico di molti
zoccoli equini. “Forza, belli!” esclamò
una voce possente.
Svoltò
l'angolo un carro che trasportava una piramide di barili di birra.
“Eccolo!”
ripeté Olson. Si fregò le mani soddisfatto.
Il
veicolo percorse l'ultimo pezzo del tragitto a un trotto vivace,
quindi si fermò davanti al pub.
Subito
vennero sistemate le rampe di legno, e gli uomini cominciarono a far
scendere i barili. I corpi poderosi dei cavalli fumavano nell'aria
fredda mentre essi lasciavano ciondolare la testa.
L'orologio
batté tre colpi. “È l'ora del
lupo,” constatò distrattamente
Hayes.
Olson
si voltò verso di lui. “Che cosa?”
Con
lo stesso tono di mistero con cui raccontava gli aneddoti alle
reclute, l'agente spiegò: “È l'ora in
cui il sonno è più
profondo e gli incubi sono più vividi. Ogni poliziotto la
conosce
bene, caro signore, perché è il momento in cui
vengono commessi i
crimini più efferati.” Tacque con fare
significativo, poi
soggiunse: “Con permesso.” Si allontanò
di qualche passo lungo
la via buia. Non era infrequente che bande di ladruncoli si
organizzassero durante le consegne per portare via qualcosa, e voleva
controllare i dintorni del pub.
Non
appena uscì dal cerchio di luce del Raglan's Rest, fu
investito da
una sensazione di gelo mortale. Nello stesso momento udì
delle urla
scomposte alle sue spalle, rumore di legno che si fracassava e un
baccano infernale di ruote e zoccoli. Si voltò e vide il
tiro a sei
al galoppo sfrenato nella sua direzione. Le bestie avevano gli occhi
fuori dalla testa e schiumavano dalla bocca.
§
“Questo
è tutto,” disse l'agente Jackson, “Se
qualcuno vuole lasciare
donazioni per la vedova, la procedura è la solita, andate
dal
sergente Kelsey.”
La
folla di poliziotti si disperse brontolando.
“È
un maledetto schifo,” sbottò a un certo punto
l'agente Wyndham,
uno dei veterani. “Uno stramaledettissimo schifo!”
“Ridotto
come il ripieno della cottage pie,” rincarò un
altro.
“Per
quale motivo nessuno ha tenuto a bada quei cavalli, eh?”
volle
sapere un terzo, guardandosi intorno come se il responsabile
dell'accaduto fosse in quella stanza. “Ma che accidenti
avevano in
testa?”
“Forse
pensavano già alla birra che si sarebbero bevuti.”
“E
intanto il povero George c'è rimasto secco.”
“Uno
schifo,” ripeté Wyndham.
Dall'angolino
in cui l'avevano relegato, l'agente MacLeod, sei mesi scarsi di
servizio, seguiva in silenzio la scena. Aveva conosciuto solo di
sfuggita l'agente Hayes. Lo ricordava come un uomo dai capelli
brizzolati, piuttosto imponente e con l'espressione bonaria. Si
chiese se fosse suo dovere andare da Kelsey e lasciare qualcosa per
la vedova. Quanto, poi? Non che ne avesse da sprecare, con sedici
scellini la settimana, tuttavia avrebbe donato volentieri una parte
della sua paga.
Mentre
era immerso in quei pensieri, l'agente Wyndham lo apostrofò:
“E tu
che hai da guardare?”
Il
giovanotto si affrettò ad abbassare gli occhi.
“Niente, signore.”
“Vedi
di andare a fare qualcosa, invece di stare qui a squadrarmi con
quella faccia da pesce lesso.”
“Scusate,
signore.”
Intervenne
a questo punto l'agente Jackson: “Lascia stare il ragazzo.
Dispiace
a tutti per Hayes, ma lui non ne ha colpa.”
“Non
sa neanche ammanettare un ladro come si deve, eppure è
ancora qui
che porta a spasso la sua faccia da poppante.”
“Dai,
James, lascia perdere,” disse l'altro. Lo prese per una
spalla.
“Andiamo a berci una birra dopo il servizio? Offro
io.”
Uscirono
dalla stanza che Wyndham stava ancora recriminando.
MacLeod
li seguì per un attimo con lo sguardo, poi si
girò e vide che
Kelsey lo stava fissando.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato, sergente?” volle sapere.
“I
vecchi poliziotti sono più ombrosi dei cavalli guerci,
ragazzo,”
gli rivelò il superiore. “Ognuno ha i suoi
pallini.”
“Scusate,
sergente.”
“Ah,
lascia perdere. A stare dietro alle manie di tutti vai a finire al
Bedlam.”
§
Nonostante
fosse novembre, la notte era limpida. C'erano addirittura le stelle,
che facevano capolino qua e là tra le cime dei palazzi.
L'agente
Pierce fece girare la lanterna, mandando il pennello di luce a
frugare nel fondo di un vicolo. Un gatto saltò
giù dal davanzale di
una finestra e scomparve nell'ombra. Una figura rannicchiata, un
bambino a giudicare dalle dimensioni, si tirò sulla testa un
lembo
del fagotto di stracci nel quale stava dormendo.
Riprese
a camminare sulla strada. Una ragazza che non poteva avere
più di
quindici anni, pallida, con le labbra dipinte di carminio e un abito
troppo leggero per il freddo pungente della notte autunnale, si
ritirò in un adrone al suo apparire.
“Va’
a casa, Molly,” le disse il poliziotto passando.
“Me
la paghi tu la cena?” replicò la ragazza in tono
provocatorio.
L’agente
si fermò. “Molly, su, fa la brava.”
Illuminata
dalla lanterna, la giovane prostituta pallida aveva un’aria
spettrale. Cerchiati, brucianti di febbre, gli occhi erano enormi nel
viso emaciato. La pennellata di rosso delle guance sembrava dovuta
più alla tisi che al belletto.
Pierce
si frugò in tasca, ne trasse alcune monete e gliele mise in
mano.
“Tieni, ma non comprarti del gin, questa volta.”
Lei
gli rivolse un sorrisetto. “Non vuoi niente, in
cambio?”
“È
meglio di no, Molly. Buona notte.”
Riprese
a camminare.
Aveva
percorso quasi tutto il giro di ronda quando l’orologio della
chiesa batté tre colpi. Sollevò la testa in
direzione del
campanile, e quando tornò a fissare lo sguardo sulla strada
vide che
circa trenta iarde più avanti c’era una donna.
Vestita di nero, si
distingueva a stento contro il buio della via.
Ella
si voltò brevemente nella sua direzione – Pierce
percepì l’ovale
bianchissimo del viso – poi si girò e prese ad
allontanarsi a
passo svelto.
“Signora,
aspettate!” esclamò l’agente. Che ci
faceva una donna sola,
dall’apparenza rispettabile, in giro per Whitechapel
all’ora del
lupo? Decise di andarle dietro.
“Signora!”
La
donna proseguiva senza rallentare. La lanterna, che la illuminava a
sprazzi, mostrava un severo abito nero e uno scialle frangiato,
sempre nero. Portava un ampio cappello immerso in una nuvola di velo
nero.
“Signora,
aspettate!”
La
misteriosa figura sembrò indugiare per un attimo, quindi
voltò
bruscamente ed entrò nel cortile di una casa abbandonata che
nel
quartiere veniva chiamata ‘il castello’, per la sua
architettura
neogotica e le quattro torri angolari. Percorse il vialetto, quindi
salì i tre gradini che conducevano alla porta e spinse
l’anta, che
cedette cigolando. Scomparve all’interno.
“Signora!”
ripeté per l’ennesima volta il poliziotto, a
questo punto ben
deciso a scoprire chi fosse la persona che stava inseguendo e cosa
cercasse in quella casa. Considerò fugacemente che il
castello era
una magione antica e fatiscente, le cui strutture non erano
più
solide come apparivano, ma al momento gli parve preponderante
scoprire le intenzioni della misteriosa donna.
Entrò
a sua volta nell’androne buio, che puzzava di polvere vecchia
e
muffa. I suoi passi fecero scricchiolare le assi del pavimento.
Fece
girare tutt’intorno la luce della lanterna, ma non vide
nessuno.
“Signora?” chiamò. Si guardò
intorno e scorse il volto bianco
nel vano di una porta. Si mosse in quella direzione e
percepì un
suono di tacchi femminili che si allontanava lungo un corridoio.
Seguendo
quel rumore arrivò a una scala a chiocciola che andava verso
l’alto.
Cominciò
a salire. I gradini erano dissestati, e più volte si
trovò a fare
affidamento sulla luce della lanterna per poggiare il piede su
porzioni di essi relativamente solide. Guardò in su e per
l’ennesima
volta chiamò: “Signora? Siete qui?”
Quando
la scala finì, si rese conto di trovarsi in una delle
torrette. Era
in una stanza ottagonale, sulla quale si aprivano tre alte bifore,
che in alcuni punti conservavano ancora qualche vestigia dei vetri
colorati che le avevano chiuse. Le pareti erano attraversate da
profonde crepe, l’intonaco qua e là era caduto.
D’improvviso,
l’aria si era fatta mortalmente gelida. L’agente
fece un passo
avanti e il pavimento scricchiolò. Dai muri caddero altri
calcinacci. “Maledizione!” esclamò.
Cercò di farsi indietro, ma
con un rombo cupo la torretta collassò su se stessa.
§
“Ma
che accidenti ci faceva, nel castello, dico io! Che ci faceva? Lo
sanno tutti che sta in piedi per miracolo, che non si entra in quel
dannato tugurio.”
L’agente
Jackson girava in tondo e intanto sacramentava, imprecando contro gli
edifici pericolanti, il Governo che non faceva nulla per abbatterli,
la dabbenaggine dei colleghi e in generale il servizio di Polizia,
mal pagato e pieno di insidie.
“Due
incidenti mortali in meno di dieci giorni,” disse poi.
“Cosa
aspettano, che crepiamo uno dopo l’altro?”
Memore
dell’esperienza precedente, MacLeod se ne stava fermo nel suo
angolo, intento a fissarsi con il più grande interesse la
punta
delle scarpe.
Aveva
intravisto l’agente Pierce qualche volta, ma non si poteva
certo
dire che lo conoscesse. Sapeva solo che era uno dei vecchi, e che era
reputato da tutti un buon poliziotto.
“Sono
sempre i migliori che se ne vanno,” sentenziò
infatti l’agente
Gardner.
“Già,”
grugnì qualcun altro.
Calò
il silenzio. Anche le imprecazioni di Jackson erano andate pian piano
esaurendosi e l’unico rumore che si sentiva, a parte qualche
sospettato che sbraitava nell’altra stanza, era il camminare
nervoso dell’agente.
MacLeod
osò alzare lo sguardo. Temeva una sfuriata, ma nessuno fece
caso a
lui.
Fu
un altro agente giovane, Charles Campbell, che dopo un po’
andò a
chiamarlo. “Mi serve qualcuno per aiutarmi a registrare gli
arresti
di oggi,” gli disse. L’altro si limitò
ad alzarsi e a seguirlo.
“Poveraccio
Chris Pierce, vero?” gli disse il collega quando furono nella
stanza attigua.
MacLeod
annuì. “Già.” Poi, Dopo una
pausa: “Voi lo conoscevate?”
Campbell
sorrise. “Puoi darmi del tu, non ho tutti questi anni
più di te.
Comunque sì, lo conoscevo. È stato lui che mi ha
insegnato tutto
quando ero recluta.”
“Era
un agente esperto, vero?”
“Sì.
Ora non cominciare a dire anche tu che non ti spieghi come mai sia
entrato in quella casa pericolante.”
“No
no, non volevo dire niente di questo,” si affrettò
a rispondere il
ragazzo.
“D’accordo.
Andiamo a vedere questi sospettati, forza.”
§
L’agente
Banks fece girare la lanterna per lo spiazzo deserto. Un refolo di
vento spinse una cartaccia nel fascio di luce, ma per il resto non
colse il più piccolo movimento.
Era
notte fonda, il freddo era pungente. Dappertutto regnava un gran
silenzio.
Fece
qualche passo. Davanti a lui, visibile solo per il numero di stelle
che oscurava, si ergeva la mole imponente della Malley and co., una
fabbrica di tessuti.
Il
poliziotto si avvicinò all’edificio, di nuovo
sollevò la lanterna
e fece scorrere il pennello di luce lungo la recinzione.
Con
un moto di stupore notò che il cancello era accostato: la
catena che
lo chiudeva era penzoloni su un ricciolo di ferro battuto, e il
lucchetto giaceva al suolo aperto.
Si
avvicinò e guardò verso la porta della fabbrica,
trovando anche
quella socchiusa. Strinse gli occhi. Sapeva che c’erano bande
di
ladri che di notte entravano nelle fabbriche e portavano via quel che
trovavano, e probabilmente era incappato proprio in una di esse.
Con
l’intento di sorprendere i malfattori sul fatto, si
avvicinò cauto
all’edificio.
Quando
fu sul punto di entrare, schermò la lanterna in modo che il
fascio
di luce non lo tradisse, aspettò qualche secondo per
abituare gli
occhi al buio e si introdusse nella fabbrica.
All’interno
c’era un silenzio perfetto. La luce della luna entrava dai
finestroni, delineando i contorni dei grandi macchinari immoti e
facendoli assomigliare a strani mostri dormienti. Camminando lungo le
pareti, fece un giro d’ispezione dappertutto, senza
però trovare
nulla di insolito.
Fissò
lo sguardo su una scaletta di ghisa che saliva. Seguì il
percorso
dei gradini e notò che tutt’intorno al perimetro
della fabbrica
correva un ballatoio di metallo sospeso al soffitto, probabilmente
per controllare dall’alto il funzionamento dei macchinari.
Salì.
Nel silenzio che regnava ovunque, i suoi passi risuonarono come
altrettanti colpi di maglio.
Quando
fu arrivato al ballatoio si guardò intorno, e gli parve di
vedere
una sagoma in fondo alla passerella. Si sarebbe detta una donna, con
un abito nero e un ampio cappello.
Si
mosse in quella direzione, e quando raggiunse il punto in cui aveva
avvistato la misteriosa figura, udì il campanile battere tre
colpi.
Un attimo dopo, con un lungo gemito di metallo, una gigantesca ruota
dentata si mise in movimento.
“Che
succede?” disse l’agente a voce alta, guardandosi
intorno con
apprensione. “C’è qualcuno?”
D’improvviso
nell’enorme ambiente era calato un freddo mortale.
La
ruota intanto si stava muovendo sempre più veloce, solo che
non
c’era nessuno ad azionarla.
Si
sporse a guardare, e in quel momento una botta sulla schiena gli fece
perdere l’equilibrio.
§
Era
un mattino grigio. C’era una nebbia lattiginosa, che toglieva
i
colori alle cose. Di fronte alla Malley and co. Si muoveva un
insolito assembramento di poliziotti. Tutt’intorno, a
rispettosa
distanza, operai silenziosi attendevano il permesso di entrare,
chiedendosi nel frattempo di quanto il signor Malley avrebbe ridotto
loro la paga per quel ritardo nella produzione.
Si
avvicinò un carro chiuso dell’obitorio. Da esso
scesero due
uomini, che presero una barella ed entrarono nella fabbrica.
“Non
guardare quando esce,” suggerì Campbell a MacLeod.
“Perché?”
chiese ingenuamente il giovane poliziotto.
“Stanno
togliendo i resti da in mezzo agli ingranaggi. Se vedi
com’è
ridotto, vomiti anche quello che hai mangiato lo scorso
Natale.”
Mac
Leod deglutì. “Com’è
possibile?” chiese poi. “In neanche un
mese, tre agenti morti in servizio.”
“Ti
stai pentendo di aver scelto questo mestiere?”
“No,
ma...”
“Ma?”
Il
ragazzo scosse la testa e non aggiunse altro. Dopo un po’
vide
approssimarsi i due uomini dell’obitorio, che portavano la
barella
coperta da un lenzuolo, e previdentemente distolse lo sguardo.
“Non
mi sembra normale,” disse alla fine.
“Che
cosa?”
“Tutti
questi morti.”
L’altro
diede un’occhiata agli inservienti che chiudevano lo
sportello del
carro, quindi disse: “Hayes, Pierce e Banks erano poliziotti
esperti, gente che aveva vent’anni di servizio come minimo.
Chissà,
magari dopo tanto tempo che ne vedi di tutti i colori sei portato a
crederti invulnerabile. Pensi che a te non toccherà
mai.”
MacLeod
si voltò verso di lui. “Pensi che
toccherà anche a te?”
“Spero
di no,” rispose l’altro con un mezzo sorriso.
“In ogni caso,
farò del mio meglio per non abbassare mai la
guardia.”
Rientrarono
alla stazione di Polizia. Gli agenti in servizio li accolsero con
qualche saluto brontolato fra i denti. “Allora?”
chiese uno di
essi.
“Fatto,”
rispose Campbell. “Kelsey è qui in giro?”
“Di
là. Sta parlando con l’ispettore.”
“Come
mai?”
“Vuole
sapere di tutti questi incidenti. Saranno due ore che sta facendo
domande su qualsiasi cosa.”
Campbell
si sedette. “C’è un po’ di
tè?”
“Woods
lo sta facendo.”
L’altro
emise un sospiro. “Bene. Faceva un freddo cane su quel
piazzale. E
poi, Mike non è stato un bello spettacolo.” Si
girò verso la
recluta e disse: “Vieni a scaldarti, MacLeod.”
Il
giovane si avvicinò senza parlare.
Quando
furono tutti seduti intorno alla vecchia stufa di ghisa con una tazza
in mano, l’agente Woods domandò:
“Qualcuno di voi era in
servizio ieri sera?”
I
presenti scossero la testa.
“Ve
lo chiedo perché Brennan ha parlato con Lynch, che invece
era di
servizio, e lui gli ha detto che a un certo punto si è
trovato
davanti una vecchia vestita di nero che gli chiedeva di
Banks.”
“Una
vecchia? E chi era?” volle sapere Campbell.
“E
che ne so. Ha detto che era una vecchia con un cappello grande
così,”
allargò le braccia, “tutta vestita a
lutto.”
“Che
allegria,” commentò l’agente Dobbins
dalla finestra cui era
appoggiato, “Magari era la Morte.” Fece una risata
cupa, tirò
fuori qualcosa dalla tasca e si avvicinò ai colleghi intorno
alla
stufa. Mostrò quello che aveva in mano, ovvero una
fiaschetta di
metallo, e chiese: “Qualcuno ne vuole?”
“Siamo
in servizio, Sam,” gli ricordò Woods.
“E
dai, solo un goccio. Chi vuoi che se ne accorga?” Poi, dopo
una
pausa: “Io direi che ne abbiamo bisogno.”
In
quel momento la porta si aprì e sulla soglia comparve
l’agente
Wyndham. Sul gruppetto attorno alla stufa calò il silenzio.
Dobbins
rimase fermo con la fiaschetta in mano e l’aria irresoluta.
Il
veterano si avvicinò in silenzio.
“Cos’hai lì?” chiese alla
fine.
“È
solo un po’ di scotch, James.”
“Dà
qua,” disse, tendendo la mano con il palmo in alto. Dopo
un’esitazione, l’altro vi depose la fiaschetta.
“E
adesso una tazza,” ordinò Wyndham. Sotto gli
sguardi silenziosi
dei colleghi, vi versò una buona metà della
fiaschetta, vi aggiunse
il tè e poi rivolse un’occhiata storta a MacLeod,
che si affrettò
a cedergli il posto.
L’uomo
si accomodò con un sospiro, e per un po’ si
limitò a sorbire la
bevanda ignorando gli sguardi incuriositi dei colleghi. Infine disse:
“Non avete un accidenti da fare?”
Nessuno
rispose.
“Cosa
siete, agenti di Polizia o comari che passano la giornata a
spettegolare?”
I
presenti finirono in fretta le rispettive tazze di tè e si
dispersero in silenzio.
Campbell
e MacLeod si limitarono a uscire dalla stanza. “Il vecchio
Wyndham
non è mai stato molto amichevole, ma adesso
esagera.” disse il
primo.
“Sarà
preoccupato,” rispose l’altro.
“Dici
che ha paura che capiti anche a lui un incidente?”
“Forse.”
Poi, dopo una pausa: “Ma senti, quella donna…
quella vecchia...”
“Sì?”
“Secondo
te ha qualche correlazione con la fine del povero Banks?”
Campbell
scosse la testa. “Sicuramente era una di quelle che si
presentano a
denunciare il marito che le picchia ma all'ultimo momento
rinunciano.”
“Perché
a quell’ora? E perché avrebbe chiesto di
Banks?”
L’altro
alzò le spalle. “Magari il marito è
rientrato a casa ubriaco e ha
cominciato a dargliele. Lei non ce l'ha fatta più ed
è venuta qui.”
“Sì,
ma perché proprio Banks?”
“E
chi lo sa. Si vede che per quale motivo sapeva il suo nome e ha
chiesto di lui perché preferiva parlare con una persona
conosciuta.”
MacLeod
rimase in silenzio. C'erano ancora così tante cose che non
sapeva
del servizio di Polizia che non avrebbe avuto gli strumenti per
contraddire il collega. “Penso che andrò in
archivio,” disse
poi, “Webster aveva promesso di farmi vedere come
funziona.”
“Auguri.
Se comincia a parlare dei suoi faldoni, non finisce
più.”
Il
giovane agente andò a presentarsi al collega. Quando lo vide
arrivare, Webster si illuminò in volto e disse:
“È bello avere a
che fare con i nuovi, perché sono gli unici che stanno a
sentire
quando parlo.”
MacLeod
annuì con aria diligente.
L'archivista,
un uomo gracile e precocemente ingrigito, con l'uniforme larga sulle
spalle, si sistemò gli occhiali sul naso e
proseguì: “Eppure,
l'archivio è la memoria storica del posto di Polizia.
Sapendo
cercare bene, qui si trova tutto.” Si guardò
intorno con aria
fiera.
L'altro
fece a sua volta girare lo sguardo sugli scaffali carichi di faldoni.
“Bello,
eh?” gli chiese Webster.
“Ecco...”
“Ai
nuovi fa sempre questo effetto. Vieni, ti faccio archiviare delle
denunce, così cominci a prendere confidenza.”
“Sissignore.”
“Non
chiamarmi signore, siamo colleghi. Chiamami Paul. E tu
sei?...”
“Alistair.”
“Ah,
Alistair. Scozzese?”
“Di
Edimburgo. I miei sono venuti a Londra quando ero piccolo.”
“Ma
pensa un po'.” Poi, dopo una pausa: “Beh, adesso
sei qui con
noi!”
Prendendolo
familiarmente per una spalla, l'archivista lo condusse a una
scrivania su cui era ammucchiato quella che a prima vista parve a
MacLeod una pila di carta straccia. “Queste sono le denunce
da
archiviare,” lo informò. “Io vorrei
sapere come diamine le
conservano, quelli di là.” Prese un registro, lo
aprì su una
pagina compilata a metà che lisciò quasi con
affetto, quindi disse:
“Qui va il nome di chi ha sporto denuncia, qui il motivo, poi
la
data e infine il nome dell'agente che l'ha raccolta. Tutto
chiaro?”
“Sì.”
“Molto
bene. Io vado a sedermi un po'. Sai, l'età... Se hai
bisogno,
chiamami.” Prese una sedia e si sistemò accanto
alla stufa con un
sospiro di soddisfazione.
MacLeod
cominciò a lavorare. Dopo un po' Webster, che evidentemente
si
annoiava, disse: “Certo che è triste quello che
è successo a
Banks, vero?”
“Già.”
“Beh,
qui in archivio non può succedere. Al massimo ti
può cadere un
faldone su un piede.” Fece una risatina.
MacLeod
sollevò la testa dal registro e disse: “Mi hanno
detto che è
venuta una donna a chiedere di lui, ieri sera. Secondo te
può avere
qualche attinenza con quello che gli è successo?”
Si
aspettava che Webster liquidasse la faccenda come l'eccessivo zelo
del novellino, invece l'altro rispose: “Ma tu guarda che
roba.”
“Che
cosa?” chiese il più giovane incuriosito.
L’altro
assunse un’aria di mistero e disse: “Io ero in
servizio, la sera
che morì il povero Pierce. Ero seduto nella sala grande, con
il mio
bel registro davanti. A un certo punto si è presentata una
vecchietta tutta vestita di nero, con un cappello che sembrava una
tinozza del bucato. Me lo ricordo come se fosse ieri, anche
perché
quando ha aperto la porta mi ha fatto gelare anche le chiappe.
È
venuta avanti a passettini, poi mi ha salutato e mi ha chiesto se
c’era l’agente Pierce. Credevo che fosse una sua
parente, magari
mezza stramba per l'età.”
“Che
ore erano?”
“Mah,
parecchio dopo mezzanotte, direi, perché le ragazze di Red
avevano
già smesso di lavorare.”
Perplesso,
MacLeod chiese: “Che ci faceva una vecchia signora in giro a
quell’ora?”
“E
che ne so. Però mi ha chiesto di Chris. Quando gli ho detto
che
stava facendo il giro di ronda se n’è
andata.”
“Che
aspetto aveva?”
“Non
l’ho vista in faccia, aveva un velo nero. Sai, di quelli che
portano le donne...”
“Certo,
ho capito.”
La
conversazione si arenò. MacLeod riprese il suo lavoro,
l'altro
rimase a sonnecchiare accanto alla stufa. Il giovane agente
ripensò
a quello che Webster aveva detto: Ero seduto nella sala
grande,
con il mio bel registro davanti.
Controllò
che il collega si fosse addormentato, quindi uscì in
silenzio e andò
alla ricerca dell'ultimo registro, che era ancora in uso e si trovava
su un tavolino.
Risalì
alla data in cui Hayes era stato travolto da un carro e
trovò una
nota: Ore 02.30: persona di sesso femminile e di
età avanzata
chiede dell'agente George Hayes, quindi si allontana evitando di
fornire le generalità.
§
Mentre
camminava per la strada accanto a Campbell, MacLeod disse:
“Sai che
la vecchia vestita di nero è arrivata anche quando sono
morti gli
altri due?”
L'altro
si voltò a fissarlo. “Sul serio?”
“La
sera che è morto Pierce c'era Webster in servizio, e l'ha
vista. Per
quella prima sono andato a controllare nei registri.”
“Hm.”
Al
silenzio del collega, il più giovane chiese: “Ho
fatto qualcosa di
sbagliato?”
“Ai
vecchi non piace molto che si vada a spulciare nei registri. Quello
che è fatto, è fatto, dicono. Se vuoi fare bella
impressione, è
meglio che non lo sbandieri troppo in giro che sei andato a
guardare.”
“Ho
capito.” Poi, dopo una pausa: “E se quella vecchia
in qualche
modo fosse implicata?”
“Hayes,
Pierce e Banks erano tre pezzi d'uomini. Cosa vuoi che possa fare una
vecchia contro un agente robusto e abituato a trattare con i peggiori
delinquenti?”
“Però
si è presentata tutte le volte. Tu come lo
spieghi?”
“Sarà
un caso.”
“Tre
volte? Io dico che è la madre di qualche delinquente. Magari
viene
ad accertarsi di dove siano gli agenti, poi manda qualcuno a
occuparsene.”
L'altro
non rispose.
“Dici
che è il caso di parlarne al sergente Kelsey?”
insisté MacLeod.
Campbell
stava per rispondere quando in un negozio poco lontano espose una
cacofonia di grida. Un ragazzino vestito di stracci schizzò
fuori
come un fulmine con un involto stretto al petto.
“Al
ladro!” gridò dalla soglia un uomo corpulento, con
un grembiule
che arrivava quasi fino ai piedi.
“Al
ladro! Al ladro!” fece eco la folla che si andava
raggruppando
intorno al negozio. “Io l'ho visto!”
strillò una donna, “ha
preso un intero pasticcio!”
I
due dovettero lanciarsi all'inseguimento del giovane malfattore e la
questione venne accantonata.
Per
quanto ancora inesperto, MacLeod una cosa l'aveva capita: i vecchi
non parlavano volentieri con le reclute, soprattutto se si sentivano
chiamati in causa su azioni passate. “Quel che è
fatto è fatto,”
ripetevano invariabilmente, “se non c'eri, non hai il diritto
di
entrare nel merito delle decisioni prese dai colleghi.”
Come
tutte le regole non scritte, anche quella veniva scrupolosamente
rispettata. Persino da Campbell, che pure gli era sembrato
più
disponibile rispetto agli altri.
Si
chiese se ci fosse qualcosa che accomunava i deceduti. La morte era
stata violenta per tutti e tre, ma non sembrava in nessun caso opera
umana: dei cavalli si erano imbizzarriti, un edificio pericolante
aveva avuto un crollo e infine un macchinario industriale si era
messo in movimento, e sembrava accertato che l'incidente fosse stato
causato da una valvola del vapore incautamente dimenticata aperta.
Entrò
in archivio. “Salve, Alistair,” lo accolse Webster,
“sei venuto
a farmi compagnia?”
La
recluta sorrise. “Sì, ecco... tu mi hai detto che
sapendo cercare,
qui si trova tutto, giusto?”
“Assolutamente
tutto!” asserì l'altro categorico. Poi,
sistemandosi gli occhiali
sul naso: “Che cosa cerchi?”
“Beh,
ecco...” Il giovane agente si chiese se fosse opportuno
spiegare a
Webster il motivo della sua presenza in archivio. Considerando
l'ammonimento di Campbell, preferì evitarlo. Con la massima
tranquillità, disse: “Vorrei leggere un po' di
cose, giusto per
farmi un'idea di come funziona questa stazione di Polizia.”
“Ah,
i casi più spettacolari? Ce ne sono da far accapponare la
pelle,
credimi.” Indicò uno scaffale che si incurvava
sotto il peso di
enormi faldoni gonfi di carte. “Qui ci sono le copie dei
rapporti
degli ultimi dieci anni, in ordine cronologico. Se mi prometti di non
mettere in disordine nulla, puoi leggerli.”
“Certo,
prometto.”
“Bravo
ragazzo. E guarda quello del cinque novembre dell'ottantadue, quando
arrivò un tizio che diceva di essere Guy Fawkes con la
pretesa di
far saltare la stazione di Polizia. Ci vollero dodici agenti per
ridurlo all'impotenza.”
“Va
bene.”
“Oppure
quella della notte di Natale dell'anno scorso, quando trovammo
un'intera famiglia fatta a pezzi con l'accetta, impacchettata e messa
sotto l’albero come i regali.”
MacLeod
estrasse il primo e più recente dei faldoni.
“Darò sicuramente
un'occhiata,” gli assicurò, quindi posò
il contenitore sulla
scrivania e sciolse i laccetti che lo tenevano chiuso.
Era
ormai notte fonda quando MacLeod trovò qualcosa di
interessante.
Data l’ora tarda, Webster se n’era andato a casa
affidandogli
l’archivio, per cui il giovane agente era solo nella stanza
semibuia.
Aprì
il faldone che risaliva a sette anni prima, e dopo aver sfogliato
alcune vicende di poco conto, si imbatté in un fascicolo
piuttosto
grosso, sul quale era scritto solo Malcolm
O’Hanigan.
Lo
tolse dal contenitore e lo posò sulla scrivania, quindi
cominciò a
sfogliarlo lentamente. Dapprima di imbatté in una lista di
reati
commessi da O’Hanigan. Il soggetto era giovane, ma aveva
già una
serie impressionante di violazioni a suo carico. Non solo banali
furtarelli, anche ricettazione, truffa, taglieggiamento e cose del
genere.
Successivamente,
trovò un accertamento di decesso, del quale però
era presente solo
il frontespizio. Su di esso si leggeva che Malcolm O’Hanigan
era
morto il primo di novembre, alle tre di notte. Mancava tutta la parte
relativa alle cause.
MacLeod
realizzò che il primo di novembre era anche la data in cui
l’agente
Hayes era stato travolto dal carro. Sulla base delle testimonianze e
dell’esame necroscopico, l’ora del suo decesso era
stata
approssimativamente fissata alle tre di notte.
Nel
fascicolo c’era anche il rapporto di un arresto. Malcolm
O’Hanigan
era stato fermato all’una del primo di novermbre, arrestato e
avviato alle celle del posto di Polizia, dove però non era
mai
giunto.
Lesse
la lista degli agenti che avevano partecipato all’operazione
e il
cuore gli saltò un battito: George Hayes, Michael Banks,
Clifford
Adamson, Alfred Taggart, Christopher Pierce, James Wyndham, Reginald
Jackson e Charles Campbell.
Emise
un fischio, che nel silenzio della stanza sembrò quello di
un treno
in avvicinamento.
Tutti
gli agenti che avevano partecipato a quell’arresto stavano
morendo.
Che fosse uno dei complici che voleva vendicarsi?
Pensò
alla stranezza dei modi usati per eliminare i poliziotti. Forse quel
qualcuno voleva che le morti sembrassero incidenti.
Quello
che non capiva, era come avesse fatto il misterioso attentatore a far
imbizzarrire i cavalli, a far crollare la torretta della casa e a
mettere in moto il macchinario proprio nel momento giusto.
Ripose
pensoso il fascicolo.
§
Il
giorno dopo, Alistair MacLeod andò dal sergente Kelsey.
L’altro
lo accolse affabile nel proprio studio, e gli offrì la sedia
che si
trovava dall’altra parte della scrivania. “Ebbene,
ragazzo mio,
stai cominciando ad ambientarti?” volle sapere.
“Sì,
signore,” rispose l’altro.
“Molto
bene. I giri di ronda come vanno? Le hai imparate le strade?”
Il
giovane annuì. “Sì, sergente. I
colleghi hanno molta pazienza con
me, mi spiegano sempre tutto.”
“Ma
certo, voglio essere sicuri che tu impari bene il mestiere.”
Gli
rivolse un sorriso compiaciuto.
MacLeod
annuì con fare diligente, quindi disse:
“C’è una cosa che credo
dovreste sapere, signore.”
“Che
cosa?”
“Ecco,
io penso di avere scoperto qualcosa a proposito della morte degli
agenti, signore.”
Kelsey
aggrottò le sopracciglia. Il sorriso da padre che guarda il
figlio
farsi la barba per la prima volta scomparve. “Sono solo
tragici
incidenti,” tagliò corto.
MacLeod
non abbandonò il suo proposito nemmeno di fronte
all’espressione
di fastidio che il suo superiore aveva assunto. “Signore, ho
scoperto che gli agenti morti erano tutti presenti a un fatto
verificatosi sette anni fa.”
“E
quindi?”
“Lì
morì un sospettato. Ho pensato che potrebbe essere qualcuno
che
vuole vendicarsi, signore, magari un complice del deceduto. Se
così
fosse, anche gli altri agenti coinvolti sono in pericolo.”
L’altro
lo fissò senza preoccuparsi di nascondere la propria
irritazione. “E
così, abbiamo qui un grande investigatore,” lo
schernì, “uno
che perde il suo tempo qui a Whitechapel, tra ladri e puttane, e che
dovrebbe come minimo finire nei ranghi di Scotland Yard.”
MacLeod
ritirò la testa fra le spalle.
“Chi
credi di essere, giovanotto?” lo redarguì il
superiore. “Sei qui
da neanche sei mesi e già pretendi di insegnare il mestiere
ai
detective?”
“Ma
io volevo solo...”
“Te
lo dico io, cosa volevi,” lo interruppe l’altro con
voce dura.
“Volevi metterti in mostra. Quelli che sono successi sono
solo
incidenti. Tragici, ma incidenti.”
“Sergente
Kelsey, forse avvisando gli agenti coinvolti potremmo salvare delle
vite,” si permise comunque di replicare la recluta.
“Chi
deve stare attento lo sa già da solo. E ora va’,
ho un sacco di
cose da fare.” Fece un gesto come per scacciare i polli.
MacLeod
si trovò in corridoio senza aver ben capito
perché il sergente si
fosse arrabbiato in quel modo. In fondo aveva solo cercato di dare
una mano.
Si
imbatté nell’agente Jackson, che lo
squadrò e disse: “Che
faccia! Oggi Kelsey era di cattivo umore?”
“Si
è arrabbiato su una cosa.”
“Che
cosa? Scommetto che hai lasciato aperta la finestra dello spogliatoio
ed è di nuovo entrato il gatto randagio che sta nel
vicolo.”
“No,
ecco… ho fatto delle ricerche in archivio e gli volevo far
sapere i
risultati, ma non mi ha voluto ascoltare.”
Mentre
parlavano si incamminarono verso la zona riservata agli agenti,
Jackson chiese: “Che genere di ricerche?”
MacLeod
si morse un labbro. “Ecco… ti dice niente il nome
di Malcolm
O’Hanigan?”
L’altro
si immobilizzò e gli rivolse uno sguardo di fuoco.
“E tu che ne
sai di quel bastardo di O’Hanigan?”
sibilò, stringendo gli occhi
fino a farli diventare due minacciose fessure.
Il
ragazzo dovette fare uno sforzo di volontà per impedirsi di
indietreggiare. “Com’è morto?”
chiese.
“È
morto e basta. E se vuoi saperlo, non meritava altro. Visto che ti
piace tanto frugare nell’archivio, perché non vai
a vedere la sua
fedina penale?”
“L’ho
già fatto, Reggie.”
“Agente
Jackson, d’ora in poi, per te, stramaledetto
moccioso.” Gli girò
le spalle e si allontanò.
MacLeod
rimase a fissarlo perplesso, poi con un sospiro raggiunse i colleghi.
Lì trovò Dobbins e Lynch che stavano smontando
dal turno. Il primo
aveva già la fiaschetta in mano e stava apprestandosi e
versarne una
discreta quantità nel suo tè e in quello del
collega. Il giovane si
accertò che nella stanza non ci fosse nessun altro e li
raggiunse.
“Ah,
il nostro ragazzo!” lo accolse Dobbins. Allungò
verso di lui la
fiaschetta. “Vuoi un sorso?”
MacLeod
scosse la testa. “No, grazie.”
“Molto
bravo,” approvò Lynch. Poi, con una risata
soggiunse: “Così ne
resta di più per noi.”
Forte
del fatto che quando la gente ride di solito è ben disposta,
il
giovane agente si avvicinò e chiese: “Posso farvi
una domanda?”
“Oh,
ma certo!” rispose bonario Dobbins. Si slacciò con
un sospiro di
soddisfazione il primo bottone dell’uniforme e tese una mano
verso
la stufa per scaldarsi. “Cosa vuoi sapere, qualcosa sul
servizio?”
“Ecco,
non proprio. Sapete qualcosa di Malcolm O’Hanigan?”
Il
sorriso scomparve dal volto di entrambi come neve al sole. I due si
scambiarono un’occhiata e Dobbins bevve un generoso sorso di
Whisky.
“Non
c’è niente da sapere su quel bastardo,”
disse infine Lynch. Il
tono era di quelli che non ammettevano repliche.
MacLeod
li fissò uno dopo l’altro: gli sguardi bonari con
cui l’avevano
accolto erano stati sostituiti da espressioni di rabbia mista ad
apprensione.
“Potete
almeno dirmi com’è morto?”
tentò.
“È
morto e basta,” fu la lapidaria risposta. “Ha fatto
la fine che
si meritava.”
§
Seduti
a un tavolino del pub dove erano soliti andare dopo il servizio,
MacLeod e Campbell stavano sorseggiando una birra.
“Che
ne dici, ti stai abituando al lavoro?” chiese il secondo.
“Sto
cominciando ad ambientarmi.”
“Beh,
hai fatto un bel lavoro ieri, con quel ragazzino che era scappato di
casa.”
“Ho
solo fatto quello che credevo giusto.”
“Sei
un bravo ragazzo, Alistair, lo dico sempre. Probabilmente oggi la
famiglia avrà rivenduto quel ragazzino a qualcun altro, ma
intanto
ieri non è finito in nessun bordello.”
Il
più giovane, che stava bevendo, appoggiò il
bicchiere e lo fissò
stupefatto. “Cosa?”
“Certo,
credevi che fosse andato via di sua volontà?”
L’altro
annuì in silenzio.
“Ti
sei guardato intorno quando l’abbiamo riportato ai
suoi?”
Di
nuovo, MacLeod annuì: l’aveva fatto. Un tugurio
sordido,
miserabile, buio e gremito di ragazzini di varie età
cenciosi e
sporchi. La madre era una donna ossuta, con i capelli scarmigliati e
la gonna rattoppata, del padre non s’era trovata traccia.
“Te
lo sto dicendo,” gli giunse la voce di Campbell,
“giusto per
farti capire alcune cose.”
Il
ragazzo si voltò verso di lui. “Quali
cose?”
“Che
hai ancora tanto da imparare, ad esempio. E che, per quanto
volenteroso e rapido nell’apprendere, solo
l’esperienza potrà
insegnarti che cosa è come appare e che cosa, invece,
è in
tutt’altro modo.”
McLeod
bevve un altro po’ di birra. Immaginava dove volesse andare a
parare il collega, tuttavia gli chiese: “Che cosa intendi
dire,
Charles?”
“Jackson
si scusa, dice che puoi continuare a chiamarlo Reggie, ma avrebbe
piacere che tu smettessi di andare a rivangare le cose del passato.
Quello che è successo, è successo, è
così che si dice da noi, e
se non c’eri, fai bene a non metterci becco.”
L’altro
emise un sospiro. “Quindi mi stai dicendo che dovrei smettere
di
far domande su quel Malcolm O’Hanigan.”
Campbell
sorrise. “Lo vedi che quando vuoi capisci le cose al
volo?”
“Ma
Charles, e se questo tizio aveva dei complici che adesso vogliono far
fuori tutti quelli che erano presenti durante il suo arresto?
Riflettici: sono già tre su otto. Quando arriverà
il prossimo?”
“Quando
un altro agente si distrarrà durante il servizio. Quelli che
hanno
ucciso i nostri colleghi sono solo degli incidenti.”
MacLeod
finì la birra. Rimase per qualche istante a guardare il
mondo
deformato dal fondo della pinta, poi riabbassò il bicchiere
e disse:
“Ci sei anche tu in quella lista, Charles.”
Il
collega fece una breve risata. “Vuoi che non lo sappia? Ero
appena
una recluta, forse più giovane di te. E come te, capivo le
cose solo
a metà.” Finì a sua volta la birra, poi
soggiunse: “Ci vogliono
anni per comprendere certe faccende fino in fondo. Per entrare
veramente nella mentalità
dell’agente.” Tacque con l’aria
di essere immerso nei suoi pensieri, infine propose: “Un
altro
giro?”
Il
più giovane scosse la testa. “No,
grazie.”
“Vuoi
fare bella impressione su Kelsey?”
“No,
è che non ne reggo più di una,” rispose
MacLeod quasi con aria di
scusa.
“Va
bene, allora ci vediamo domani in Centrale. E ricordati quello che ti
ho detto, Alistair: il passato è passato. Rivangarlo non
serve a
nulla.”
|