I’ve
just been sitting here
counting
ghosts
(and
you look scared again)
La
camera assegnatagli è proprio come piace a lui: minimalista,
essenziale, ordinata.
Nonostante
questo, Kurapika già sa che nel giro di mezz’ora
– tempo di
svuotare le valigie e riporre i documenti nella cassaforte
palesemente nascosta dietro la meravigliosa, cupa natura morta alle
sue spalle – il caos regnerà sovrano nella modesta
stanzina.
Con
movimenti quasi automatici, sovrappensiero, Kurapika posa il
cellulare sul comò e issa con delicatezza il bagaglio sul
letto; le
flebili ombre crepuscolari pigramente stagnanti sulle lenzuola
candide fluiscono come onde all’improvviso peso, e striature
cobalto lambiscono i suoi effetti personali come piccole isole in
alto mare. A opera completata il sole ha già oltrepassato la
linea
dell’orizzonte da un bel pezzo, alcuni vestiti indispensabili
giacciono accasciati sull’unica sedia addossata alla
scrivania e
l’avviso di tre chiamate perse lampeggia a intermittenza
sullo
schermo di quello stesso telefono che Kurapika non ha osato sfiorare
durante tutto il processo, in attesa d’essere notato.
Uno
sguardo fugace, il nodo della cravatta definitivamente sciolto e il
servizio in camera a chiamata; il meeting si terrà il
pomeriggio
successivo, quindi perché non prenderla con calma?
Kurapika
opta per una doccia.
L’acqua
scivola ripida come cascate sulle scapole stanche, tiepida di quella
lieve freddezza che intirizzisce i muscoli e apre la mente, e una
piccola pozza si forma ai suoi piedi dopo un’ora di pensieri
vacui
e tormentosi e brividi sulla pelle. Kurapika solleva lo sguardo,
osservando quelle stesse goccioline che scorrono flemmatiche lungo le
pareti trasparenti del box doccia come lacrime o
pioggia—questo,
pensa, è a discrezione di chi medita—e
simultaneamente al defluire
dell’acqua persino il flusso delle sue riflessioni pare
interrompersi, tenuto a bada da monotoni automatismi di routine.
L’accappatoio
giallo paglierino è delicato al tatto e gli ricorda tanto
quegli
ampi mantelli tipici delle cerimonie Kurta, e non si stupirebbe se la
filatura fosse la stessa.
Indossato
un ben più pratico pigiama, Kurapika affonda
nell’oltraggiosamente
morbido letto con un libro, il primo che gli capita sottomano tra
quelli esposti sullo scaffale sopra la sua testa, nel quale
già sa
non troverà la pace che cerca. Non ha nemmeno fame; una
bottiglia
d’acqua e un bicchiere riposano intoccati sopra il mobiletto
all’ingresso, gentilmente offerti dall’hotel.
Placati
i suoni, nella stanza cala il silenzio. Non che a Kurapika
dispiaccia, anzi: i borbottii concitati di Gon e Killua, il rumoroso
russare di Leorio—è raro, solitamente, godere di
un po’ di
tranquillità, quando si tratta di loro tre. Kurapika ci
ripensa e
scuote il capo, e commette l’errore di controllare il
telefono
accanto a sé.
Sono
numerosi tra chiamate e messaggi, e l’ultimo Kurta
è ben
consapevole del suo dovere di rispondere all’interessamento e
alla
preoccupazione dei suoi compagni, invece riposiziona
l’apparecchio
dove l’aveva precedentemente abbandonato e lì
finge di
dimenticarlo, immergendosi inutilmente in una lettura che
effettivamente non lo assorbe come vorrebbe.
Quand’anche
le sue palpebre danno i primi segni di cedimento, Kurapika ripone il
libro sul comò e si rifugia tra le lenzuola in cerca di quel
sonno
che voglioso lo avviluppa nelle sue agrodolci spire, e lo fa
scivolare languido nel mondo dei ricordi.
♡ post
scriptum.
Buongiorno,
fandom! Ebbene, non ho resistito: questa bozza riposava già
da ben
troppo tempo nel mio pc perché io l’abbandonassi
definitivamente,
dunque a seguito di questo improvviso momento di pace ho deciso di
non esitare oltre. Kurapika è uno dei miei personaggi
preferiti,
forse quello che sento più mio all’interno della
vicenda, e non
potevo non scrivere qualcosa su di lui – anche se si tratta
di un
misto tra introspezione, malinconia e sottaciuta angst (?). Non
saprei in quale parte della timeline inserire questa flashfic,
perciò
vi lascio carta bianca a riguardo, ma non nascondo di essere un
po’
in pensiero per i risvolti che Emperor Time
avrà su questa
testa dura... Togashi, I’m watching you!
Detto
ciò passo e chiudo; chissà che mi metta
finalmente in pari con le
varie recensioni e relative risposte che, francamente, rimando da un
bel po’− AH, già! Prima che mi
dimentichi, qui trovate il link
alla canzone che mi ha ispirata per buttar giù questa
manciata di
parole, e per il titolo stesso. Or dunque, grazie a tutti coloro che
sono incappati in questo brano, e buona giornata!
aki
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