Disclaimer:
Attenzione. Il presente scritto ha per protagonisti persone reali e
personaggi inventati, impegnati in vicende frutto di pura fantasia
dell'autrice. La presente storia non ha alcun intento di
verità o
verosimiglianza; nessuna volontà lesiva nei confronti delle
persone
ivi citate; nessun diritto legale s'intende leso e ciascun diritto
appartiene esclusivamente ai rispettivi titolari.
Heroes
A
Christmas Carol
-Buon
Natale, buon
Natale!
Augurava
il rubicondo
omone all'angolo della strada.
Nelle
luci e nei lustrini
di inizio Dicembre il suono della campana che agitava richiamava
già
aria di festa, così come le risate allegre dei bambini con i
visi
contro le vetrine piene di giocattoli. Immancabile barba bianca,
vestito rosso e pancetta prominente, era l'immagine di un tempo in
cui i regali venivano confezionati dai folletti e lasciati cadere
sotto l'albero quando i bravi bimbi erano già nel letto.
Gli
stivali bassi della
ragazzina slittarono sulla pavimentazione bagnata del marciapiede
senza che perdesse l'equilibrio. Si fermò poco
più in là, davanti
alle vetrate di un negozio; le mani affondate nelle tasche dei jeans
ed il giaccone chiuso fino al collo, il viso magro spariva tra le
pieghe di uno sciarpone di lana colorata, che nascondeva anche gran
parte dei lunghissimi riccioli scuri, vaporosi, su cui una pioggia
sottilissima e costante distribuiva generosamente goccioline simili a
perle. Gli occhi verdi ebbero un guizzo di attenzione che
strappò
loro sfumature azzurrate: dall'altro lato del vetro profumi, ordinati
come soldatini di un esercito ben addestrato, promettevano
scintillanti serate di fascino e seduzione.
Mi
chiamo Alexandra
Sarah Elisabeth Berg e tutti mi chiamano Lisette.
Il
mio nome potrebbe
sembrare poco importante, ma non è così. Io,
infatti, mi chiamo
Lisette Berg perché mia madre ha amato ed ama mio padre come
mai
nessun altro al mondo.
Se
non fosse così, io
porterei lo stesso nome di mio fratello.
Ma
sono nata
quattordici anni fa, dopo che i miei genitori avevano già
smesso di
essere una coppia, e, se mia madre aveva potuto sopportare
l’abbandono di mio padre una volta, la seconda era stata
semplicemente troppo.
Così
io mi chiamo
Lisette Berg.
Tra
due giorni è il
compleanno di mio padre. Vorrei fargli un regalo, non gliene ho mai
fatti ma quest’anno mi sembra importante. Un po’
perché è quasi
tre mesi che ho iniziato un lavoretto tutto mio per poter avere i
soldi per i regali di Natale alla mamma ed a mio fratello, un
po’
perché…non so. Mi sembra importante.
Mio
fratello dice di
no, dice che papà a certe cose non ci bada nemmeno, che ha
poco
tempo per pensarci e che, in generale, ha già tutto e non
vuole
niente.
Io
lo so che nostro
padre ha già tutto, ma questo non basta a me. E
quest’anno voglio
fargli un regalo di compleanno.
Il
cellulare squillò in
un borbottio basso ed incomprensibile, vibrando nella bambagia
ovattata del piumino. La ragazzina si guardò perplessa, come
a voler
individuare con esattezza la fonte di quel disturbo, prima di
tastarsi il petto ed i fianchi alla ricerca delle tasche del
giaccone. Infilò due dita all’altezza del cuore,
scavando per
tirare fuori un vecchio telefonino malandato che scoppiò
all’aria
aperta in un guazzabuglio di suoni pop.
-…ciao.-
annunciò
soffocata la voce della ragazzina nel riconoscere il nome del
chiamante, aprendo la comunicazione.
-Dove
diavolo sei finita,
Lisette?- irruppe suo fratello, perentorio e…paterno come
sempre,
con quel lieve accenno di sarcasmo che sembrava non abbandonarlo mai,
in nessuna situazione. Lisette ricordava davvero poche occasioni in
cui lui avesse perso la pazienza o manifestato un sentimento diverso
da una quieta attesa nei confronti della vita intera.- Dovevi essere
qui un’ora fa. Mamma è impazzita.- la
informò.
-Mamma
impazzisce troppo
spesso.- osservò stringatamente lei.
-Oh,
e questo ti
giustifica?
-Non
necessariamente.
Comunque non torno ancora, Cody, sono in giro e devo vedermi con
Maggie più tardi.- notificò mentre combatteva
strenuamente contro
la sciarpa per riguadagnare fiato e voce.
-Ottimo.
Le verrà un
colpo.
Lisette
sbuffò,
infastidita dalla piega che la discussione stava prendendo. Suo
fratello approfittava un po’ troppo spesso della sua naturale
propensione al senso di colpa.
-Dì
la verità. Stai
ancora cercando un regalo per papà?- insinuò
l’altro con un
risolino affatto divertito.
-Sì!-
colse
immediatamente lei, frenetica.- Quindi, se hai
un’idea…- provò.
Ma
lui la interruppe in
modo talmente brusco da lasciarla senza fiato.
-Non
ce l’ho. E non
capisco dove sia il tuo problema. La mamma gli ha già preso
un
regalo.
La
sottile vena di
risentimento, che suo fratello sfoggiava ogni volta che toccavano
quell’argomento, la lasciava ancora stupita e le dava noia
come
poche cose al mondo. Avrebbe voluto rinfacciargli che lui, almeno,
papà lo conosceva e aveva avuto del tempo da passarci
assieme. A lei
questo diritto era sempre stato negato e la loro madre le concedeva a
stento quelle brevi visite mordi e fuggi nelle feste comandate.
Lisette, fin quando era stata bambina, aveva considerato il padre
alla stregua di un estraneo e, crescendo, era arrivata a pensare che
non sarebbe riuscita a provare per lui dell’affetto sincero.
Ancora
adesso non era
certa di provare alcunché.
Ma
aveva maturato la
convinzione – cosciente, e non emotiva – che, in
qualche modo, le
fosse stato portato via qualcosa, un suo diritto
che
rivendicava in quanto adolescente in conflitto con il mondo degli
adulti. E Cody rientrava in quel mondo, sia perché non aveva
mai
fatto niente per appartenere alla propria età neanche quando
era
stato molto più giovane di così, sia
perché a ventun anni e con
una carriera universitaria avviata in medicina si stava avvicinando
in fretta alle realtà dei “grandi”. Per
cui, quando lui tirava
fuori quell'accondiscendente e sbrigativo modo di liquidare la
faccenda “papà”, lei provava istintivo
un moto di rivalsa anche
nei suoi confronti ed avrebbe voluto davvero rinfacciargli quei
diritti negati.
Invece
non lo faceva. Non
esplicitamente, almeno. Si limitava a cercare di coinvolgerlo nei
propri progetti, avanzando richieste di consigli in virtù
della
maggiore familiarità del più grande con il loro
genitore. Cody
rintuzzava, si scherniva, ironizzava e scrollava le spalle. Non
rispondeva. Ridimensionava. Lasciava tutto nel limbo del non-detto. E
lei viveva in quello del non-fatto. La naturale ritrosia del fratello
davanti a quella storia la metteva in guardia contro tutte le ragioni
che avevano spinto sua madre a fare determinate scelte, ma Lisette
non voleva ascoltare ragioni. Solo quel desiderio di riprendersi la
propria vita ed indirizzarla dove avrebbe preferito.
-Vabbè,
senti, dì a
mamma che arrivo per cena.- sbuffò sbrigativamente.
-Uhm.
-…e
torna a studiare.-
ipotizzò.
Cody
rise, dandole
conferma dei propri sospetti, e Lisette sorrise nelle pieghe della
sciarpa, che era tornata ostinatamente al proprio posto.
-Mi
spiace di averti
rubato tempo, fratellone.- recitò compitamente.
-Ah,
se dovessero
bocciarmi in Chimica, saprò con chi prendermela!-
scherzò lui prima
di riattaccare.
Mentre
infilava
nuovamente il cellulare nel taschino, Lisette continuò a
sorridere
ed il riflesso nella vetrina le sembrò molto felice.
Una
volta, in
un'intervista, aveva letto che suo padre usava un profumo di
Chanel...
Scosse
la testa,
ridacchiando, a lei non piacevano neppure i profumi di Chanel!
Caldo.
Freddo. Freddo e
caldo. Dicembre era un mese che aveva una storia a sé,
pensava
oziosamente fissandosi la punta delle scarpe mentre aspettava che
qualcuno venisse ad aprirgli. Aveva una storia a sé
perché aveva
troppe cose. Il suo compleanno non faceva che aggiungerne
un’altra
e lui ne avrebbe fatto volentieri a meno, doversi ricordare dei
regali per tutti, dei biglietti di auguri, delle telefonate di
cortesia…del profumo del legno nel camino, della
neve fuori
dalla finestra, della voglia di salire in montagna e rimanere con il
naso incollato al vetro a vedere la notte ricoprirsi di luci
artificiali a sostituire quelle della luna e delle stelle…
Quand’era
piccolo, il
Natale voleva dire regali, dolci, la messa di mezzanotte e il pranzo
con il pastore il giorno dopo. Erano tutte cose piacevoli.
L’aspettativa finiva per colorare di sfumature le temperature
di
Dicembre. Freddo pungente della neve e delle giornate limpide e caldo
profumato degli interni di casa, dei biscotti alle spezie e degli
abbracci di sua madre.
Ma
aveva smesso di essere
“piccolo” in fretta. Dicembre non aveva perso
sfumature, ma erano
diventate diverse e più tiepide. Meno nette, mentre sul
pianerottolo
tirato a lucido si chiedeva se fosse il caso di liberarsi
già della
sciarpa di cachemire e dei guanti di pelle.
Passi
scoordinati dietro
la porta ed una voce alta e sicura gli dissero che non avrebbe avuto
il tempo di darsi una risposta. Qualcuno, all’interno,
annunciò un
“apro io”, cui seguì prontamente
l’azione.
Sorrise.
Avrebbe tanto
desiderato specchiarsi nella medesima ansia gioiosa anche
dall’altro
lato, ma fra le cose che Cody aveva preso da lui c’era la
capacità
di sorridere senza mettere nemmeno un briciolo di anima nel farlo.
-Ciao,
papà.- lo
riconobbe asciutto.- Sei in anticipo.- asserì subito dopo,
con un
tono che sapeva anche troppo di rimprovero.
-Già.
Mi sono liberato
più in fretta di quello che pensavo.- si
giustificò imbarazzato,
avanzando dentro casa, mentre sfilava via il cappotto dalle spalle.
Cody
lasciò chiudere la
porta alle sue spalle e lui non ebbe bisogno di girarsi per intuire
nel suo sbuffo tutto lo scetticismo con cui aveva accolto quelle
parole. Fu l’arrivo di Helena a salvarlo in corner dal
desiderio,
pazzo, di fare dietro-front e tornare sui propri passi.
In
fin dei conti aveva
mentito. Sia nell’accampare un preteso, precedente impegno,
sia nel
dire che si era liberato prima. Aveva semplicemente mollato a casa un
insoddisfatto compagno, che lo aspettava immusonito ed arrabbiato,
una volta di più costretto ad un’esclusione
forzata da quel nucleo
– disintegrato – che lui si ostinava a chiamare
“famiglia”.
Anche se della famiglia non aveva più i connotati da un
pezzo e,
forse, nemmeno li aveva mai avuti.
-Brian!-
lo salutò
Helena vivace ed aggraziata come sempre. Impeccabile nel vestito di
seta nera, gli anni sembravano passarle addosso con la gentilezza di
chi regala doni, invece di rubare gioie.
Ogni
volta che se la
trovava davanti, si diceva che era stato uno stupido.
Ma
per quanto se lo
ripetesse mille volte, sapeva con precisione disilludente due
verità
incontestabili: Helena avrebbe fatto qualsiasi cosa per apparirgli
nel proprio smalto migliore e lui non era davvero in grado di dare un
calcio alla propria vita per fare una scelta differente. Avrebbe
potuto. Anni prima. Ed avrebbe fatto meno male. Ma ora come ora
sarebbe stata una semplice ed infelice fuga verso una vecchiaia
“più
facile”.
-Ti
trovo bene.- lo
accolse lei, avvolgendolo in una nuvola di profumo nel piegarsi a
baciargli le guance.
-E
tu sei meravigliosa.-
ricambiò Brian.
-Adulatore.-
liquidò
cinicamente Helena, agitando una mano a cacciare via quel complimento
infestante.- Lisette è in ritardo.- annunciò poi,
breve,
precedendolo nel passaggio dall’ingresso al salone.
Brian
registrò
l’informazione senza commentarla e Cody approfittò
della scusa di
aiutarlo ad appendere il cappotto, la sciarpa ed i guanti per
defilarsi in camera propria appena terminato.
In
salone, Helena lo
accolse con un sorriso meno plastificato e più sincero,
recependo
con la solita dolcezza silenziosa lo sguardo perso e deluso di Brian
nel realizzare la manovra del figlio. Lei gli versò da bere
senza
prendersi la briga di chiedergli cosa preferisse – anni di
conoscenza le concedevano il privilegio di non dover fare una simile
domanda – poi lo raggiunse vicino ad uno dei bassi divani
champagne
che decoravano l’elegantissima sala. Si sedette di fianco a
lui,
dopo averlo lasciato prendere confidenza, ancora una volta, con un
ambiente che riusciva a disorientarlo anche dopo anni, e gli porse il
bicchiere.
Brian
accettò e mandò
giù d’un fiato il primo sorso e
quell’amarezza che sentiva
ancora nel ritrovarsi davanti la madre dei suoi figli – e
quegli
stessi figli, quando gli era concesso farlo.
-Non
farci caso.- esordì
lei, quasi stesse riprendendo un discorso interrotto pochi istanti
prima.
E
siccome era davvero una
situazione che si ripeteva con spaventosa ciclicità, Brian
poteva
considerarlo facilmente un “discorso interrotto” e
non badare
troppo al fatto che riprendesse con tanta naturalezza.
Non
le chiese di cosa
stessero parlando, si limitò ad annuire, fissando il fondo
mielato
del liquore ed avvertendo nello stomaco la sensazione piacevole di
calore fittizio.
Anni
prima, quando Helena
lo aveva lasciato per non tornare più indietro, si sarebbe
accontentato anche della sua pazienza attuale, di quella compassione
arrabbiata con cui faceva i conti ogni volta che si reincontravano.
Ma lei gli aveva inizialmente negato anche quello.
Non
poteva biasimarla –
non ci riusciva ancora adesso – se avesse
scambiato i loro
ruoli, si sarebbe sentito abbastanza tradito, offeso ed usato
da poter essere ben più vendicativo di così.
Tornare assieme era
stata una stronzata. Helena lo amava ancora, Brian non sapeva
più
cosa volesse ma sapeva che non era lei. Era la
famiglia che
lei offriva, forse, la sicurezza di poter trovare qualcuno disposto a
sostenerlo davvero e a curare una ferita che non voleva smettere di
sanguinare. Si sentiva troppo vecchio, allora, e troppo stanco per
fare i conti, una volta di più, con il senso di abbandono di
una
storia finita senza essere mai iniziata davvero. Eppure sapeva
–
con la lucidità di ogni proprio errore
– che stava
sbagliando e non era davvero stato necessario che Matthew suonasse
alla sua porta perché lui fosse consapevole che sarebbe
finita. Non
fosse stato Matt, sarebbe stato qualcos’altro o qualcun altro
a
decretare quella fine.
All’epoca
aveva
comunque finto di crederci. Aveva messo Matt alla porta, dicendogli
di non farsi più vedere e con la segreta speranza che lui
gli
disubbidisse – in fondo, anche con la convinzione che lo
avrebbe
fatto – salvo morire dentro l’istante stesso in cui
la porta si
era richiusa alle sue spalle. Helena era incinta di Lisette e la sua
menzogna non era durata abbastanza. Non abbastanza per aspettare che
la bambina nascesse ed ancora meno. Perché non aveva atteso
davvero
che Matthew tornasse per affrontare Helena: lo spettro di quanto in
quei due anni non si erano detti ed il proprio bisogno primario di
fare i conti con un sentimento che non riusciva a schiacciare come
avrebbe voluto.
Quando
Matt era tornato,
lo aveva fatto in una casa vuota. Helena si era portata via Cody ed
una figlia ancora non nata.
-Come
vanno le cose?-
s’informò educatamente prima di bere un secondo
sorso.
Helena
giocherellò con i
capelli, che portava molto più corti di quanto Brian
ricordasse
dalla volta precedente, ma erano ormai quasi sei mesi che non si
vedevano e, quindi, era naturale che lei fosse leggermente
“cambiata”.
-Come
al solito. Cody
studia ed i suoi risultati restano ottimi. Lisette studia meno,
s’intestardisce in un milione di cose come tutti i ragazzini
della
sua età, ma ha un cuore grande e la testa sulle spalle.
Lui
sorrise, soddisfatto
ed orgoglioso. Helena aveva smesso da allora di chiedergli consigli
su come educare i loro figli. Del resto, durante quel primo periodo
di silenzio totale in cui si erano allontanati completamente, era
stato necessario che lei imparasse a cavarsela da
sé. E dopo,
semplicemente, non aveva più avuto bisogno di chiedere.
-E
tu?- domandò ancora.
Scioccamente.
Helena
lo guardò. Il
sorriso che gli rivolse era genuinamente cattivo e Brian
pensò che,
se avesse potuto, presumibilmente gli avrebbe tirato uno schiaffo. Ma
la buona educazione e quella tregua, firmata con il sangue, che
avevano sottoscritto al compimento dell’ottavo anno di
età di
Lisette, la frenavano nei confini rigidi dell’educazione.
Ingoiò
la risposta autentica che avrebbe voluto dargli e si alzò.
-Come
vuoi che stia,
Brian? Benissimo, grazie.- mentì leggera, avvicinandosi
nuovamente
al mobile bar per servirsi a propria volta.- Spero che stia bene
anche tu.
Difficilmente
nominava
Matthew.
Pensare
che, una volta,
Matt aveva creduto di trovare in lei l’unica alleata in un
mondo
che non faceva altro che esigerli separati.
-Ah…sì.-
scorciò
Brian, finendo il proprio bicchiere e posandolo sul tavolino di
fronte.
Nel
tornare indietro,
Helena portò con sé la bottiglia e Brian
pensò che erano patetici
entrambi.
Lisette
si sfilò la
sciarpa ed aprì la lampo del giubbotto. Le guance si
arrossarono non
appena il calore del locale la investì, scaldandole le mani
intirizzite. Girò attorno lo sguardo alla ricerca della
propria
amica ed individuò ad uno dei tavolini in fondo allo
Starbucks la
chioma bionda e boccolosa di Maggie.
-Ciao!-
si annunciò
vivacemente, approdando al tavolo dopo un veloce zig zag nella
confusione caotica della caffetteria.
Il
sorriso le morì sul
viso non appena vide gli occhi azzurri dell’altra sollevarsi,
velati di una patina così persistente di lacrime che
sembrava quasi
ristagnassero lì da sempre. Lisette arrotolò il
proprio giubbotto
sulla sedia vuota che aveva di fianco e sedette rapida, scrutando
l’altra ragazza con aria preoccupata.
-…che
succede?- sfiatò
a voce bassissima, sporgendosi verso di lei.
I
riccioli neri
scivolarono in avanti sul tavolo, creando una tenda…una
tana,
in cui il singhiozzo strozzato della bionda si rifugiò
quando lei
abbassò la testa.
-Sono
incinta.- mormorò
a fior di labbra.
Lisette
credette di non
aver capito. La sua mente faticò a mettere a fuoco
l’idea stessa
che Maggie avesse parlato e poi, quando accettò che
effettivamente
avesse detto qualcosa, non riuscì ancora
a capire cosa.
Fu solo il suono del suo pianto, trattenuto e soffocato contro il
palmo della mano e, poi, la manica del maglione rosa, a ricordarle la
necessità di dire o fare qualcosa. Allungò una
mano per istinto e
quando incontrò la consistenza concreta del polso fragile
dell’amica
capì che era vero.
Semplicemente
vero.
Maggie
aveva quindici
anni ed aspettava un figlio.
Studiava
ancora, aveva
un ragazzo poco più grande di lei e voleva diventare una
ballerina.
Ma aspettava un figlio.
-E’
di Luke.- biascicò
ancora la bionda.
E
Lisette si sentì
umiliata al posto suo, pensando che era una precisazione inutile e
che l’ultima cosa che avrebbe voluto farle pensare era che
lei
potesse credere fosse andata a letto con qualcuno di diverso dal suo
ragazzo. Quel pensiero le fece capire quanto assurda potesse essere
in quel momento la percezione che Maggie aveva della propria vita.
-Non
è colpa tua.- fu la
prima affermazione che riuscì a formulare a quel punto.
Gli
occhi di Maggie
dicevano l’esatto opposto quando tornarono ad alzarsi nei
suoi, il
senso di colpa le stava già divorando l’anima.
-Lui
lo sa?- borbottò
Lisette, agganciando una ciocca di capelli dietro l’orecchio
in un
gesto che la urtò l’istante dopo. Le
sembrò indecoroso offrire a
quel modo il viso di Maggie, stravolto dalle lacrime e dalla
disperazione, agli occhi di tutti; ruotò attorno lo sguardo
cercando
di capire se qualcuno si fosse accorto di loro, ma sapeva da sola
che, in quella situazione, si sarebbero sentite gli sguardi addosso
anche se non fosse stato così.
Maggie
parve farsi forza,
invece, si raddrizzò sulla sedia, scavando nella borsa sul
tavolo
per cercare un fazzoletto ed asciugarsi gli occhi.
-Sì.-
rispose intanto,
con voce ferma.- Ma non è che cambi molto.
-Che
vuoi dire?- chiese
Lisette, torturandosi le maniche fino a sfilacciare il bordo del
maglione nell’allungarlo a coprire le dita magrissime.
Maggie
scosse le spalle,
tirando su con il naso e strofinandoselo poi con il fazzoletto. Era
rosso, così come gli occhi e le guance. Doveva
aver pianto così
tanto…!
-Avresti
dovuto chiamarmi
prima.- sfiatò Lisette, realizzando che avrebbe davvero
voluto
esserci fin dall’inizio, anche se nemmeno adesso aveva la
più
pallida idea di cosa andasse fatto.
-Non
riuscivo a dirlo.
Ora, invece, non provo più nulla. Le uniche persone a cui
avrei
dovuto davvero dirlo, non lo sanno ancora.
-I
tuoi genitori…-
intuì Lisette.
Maggie
si concesse un
sorriso storto.
-…mio
padre mi
ammazzerà con le sue mani.
-Come
puoi dire una cosa
del genere…?!- iniziò precipitosamente Lisette,
ma lo sguardo
serio e pacato dell’altra la zittì.
-…vedi…-
iniziò
piano, lenta ed impacciata, con un filo di voce così sottile
che
svaniva nel frastuono allegro del locale, spostando gli occhi attorno
a sé come alla ricerca di un’ancora che avesse la
consistenza di
un’immagine colorata e diversa
– …se pure non dovesse
succedere…non potrei mai sopportare di averlo
deluso…
Era
logico, no? Insomma…
chiunque avrebbe pensato quello, avrebbe pensato alla delusione dei
propri genitori, al modo in cui dopo ti avrebbero
fissata di
nascosto, chiedendosi quando eri diventata così
“grande” –
così stupida ed avventata –
così inutilmente incosciente!
da dimenticare ogni cosa, ogni insegnamento, ogni morale. Quanto
poteva pesare il giudizio dei genitori sulla coscienza di una
ragazzina?
Eppure
non era quello a
lasciare Lisette senza parole. No…era stata…la
scelta
di Maggie di parlare solo di suo padre.
Una
madre comprende. Una
madre vive dello stesso sangue, della stessa vita dei propri figli.
Ma un padre cos’è?
Mentre
Maggie piangeva
silenziosamente e soffocava se stessa per non mostrarsi al mondo
intero, Lisette si sentiva egoista. Perché tutto quello che
avrebbe
voluto sapere lei era cosa
ci fosse
nella testa di un padre.
Brian
bussò piano alla
porta della camera di Cody. Sentì un rumore
dall’altro lato che
non riuscì ad identificare, poi la voce del figlio gli diede
il
permesso di entrare e lui ruotò delicatamente la maniglia.
Cody
gli dava le spalle,
seduto alla scrivania e con almeno tre diversi tomi e due quaderni
aperti davanti. Era molto più robusto di quanto fosse stato
lui alla
sua età, aveva lineamenti più decisi e portava i
capelli più
corti. Rosicchiava la punta delle matite con i denti, quando era
concentrato nella lettura, e sottolineava i passaggi più
interessanti del libro o degli appunti: una volta quelli da leggere
con attenzione, due quelli più importanti. Barry faceva la
stessa
cosa. Suo fratello aveva le spalle larghe come quelle di Cody
– la
pallacanestro ed il nuoto che lui, Brian, si era rifiutato di fare
– portava i capelli corti e piaceva alle ragazze,
perché aveva un
viso bellissimo, dai tratti marcati e mascolini ma con occhi grandi
ed espressivi.
Chissà
se Cody aveva
una ragazza…
Suo
figlio si voltò a
cercare chi fosse entrato ed i loro sguardi si incrociarono nel mezzo
della stanza, impigliandosi in un momento di stasi perfetta prima che
Cody battesse le palpebre, stupito da qualcosa, e lo fissasse
interrogativo. Brian si rese conto solo in quel momento di stare
sorridendo come uno scemo!
-Ce
l’hai una ragazza?-
si ritrovò a chiedere, semplicemente perché,
lì per lì, non aveva
trovato di meglio da dire per giustificare la propria presenza.
-…come…?-
mormorò
Cody.
Brian
scoppiò a ridere,
scrollando le spalle. Era consapevole che non glielo avrebbe detto
comunque e non si aspettava, quindi, nessuna risposta.
Allontanò da
entrambi lo spettro della propria intrusione e si affacciò
alla
scrivania del ragazzo.
-Cosa
stai studiando?-
chiese, con più cortese distacco.
-Chimica.-
rispose Cody
agevolmente.
Se
i loro rapporti
restavano nei confini dell’educazione e del disinteresse
reciproco,
Cody riusciva a tollerarlo. Brian lo aveva capito anni prima ed ora,
sebbene ogni tanto tentasse una timida sortita nella vita
dell’altro,
non provava davvero a recuperare un rapporto esauritosi da tempo. Non
sapeva cosa Cody gli rimproverasse, lui non ne aveva mai parlato con
nessuno – neppure Helena – ed era bravissimo a
dissimulare il
dolore, se mai ne aveva provato, che la lontananza
del padre
gli aveva procurato. Non c’era stato nemmeno un momento
preciso in
cui quella cosa era iniziata: quando si erano rivisti, otto anni dopo
la nascita di Lisette, Cody lo aveva accolto con la freddezza di un
estraneo. E basta.
Brian
sedette sul letto,
Cody gli stava illustrando compitamente i risultati degli ultimi
esami, i progetti che aveva per la tesi e quello che pensava che
avrebbe fatto dopo. Era una recita che ripetevano sempre uguale ogni
volta – sei mesi prima c’era stata
Anatomia, il Prof.
Carrigane che gli aveva assegnato una relazione molto interessante ed
il laboratorio di Biologia - Brian si dichiarava molto
orgoglioso, Cody faceva finta che la cosa lo lusingasse... Mezz'ora
di chiacchiere vuote e la voce di Helena, in corridoio, che li
chiamava per la cena.
Brian
gettò uno sguardo
distratto all'orologio e calcolò quando sarebbe finita, quel
giorno,
la sua mezz'ora da padre.
Lisette
aveva lasciato
Maggie sotto casa. Lei aveva smesso di piangere da un po' e si era
chiusa in un mutismo malinconico che aveva accompagnato,
silenziosamente, i suoi inutili tentativi di distrarre l'amica dalla
propria condizione. Lisette l'aveva abbracciata stretta. Voleva dirle
qualcosa che la confortasse, che la aiutasse a passare incolume
quella serata e la notte che le si apriva davanti.
La
pioggia intorno a loro
era neve, adesso. C'era buio, gente che continuava a camminare senza
vederle, senza accorgersi dell'angoscia di Maggie.
Non
sapeva cosa dirle e
rimase in silenzio anche lei, appesa alle spalle troppo fragili di
una quindicenne. Maggie le ricambiò l'abbraccio e si
voltò per
sparire nel portone senza guardarsi indietro.
Lisette
guardò il vetro
a specchio. C'era una ragazzina con i capelli neri, le guance rosse
come mele per il freddo pungente, la sciarpa arrotolata attorno alla
bocca e il giubbino chiuso fino in alto, fino a sotto il naso che
spuntava da sopra l'orlo di lana. La ragazzina la guardava e lei
guardava la ragazzina e si chiedeva se avesse gli occhi verdi,
azzurri, o blu o...
Aveva
gli stessi occhi
di suo padre.
Ogni
tanto sua madre lo ripeteva. Lo diceva come se fosse una
constatazione incredibilmente dolorosa per lei. Cody non aveva i suoi
occhi; erano color caramello, come quelli della madre, erano
più
grandi, con ciglia folte e scure, con un'espressività
intensa e
magnetica, ma color delle nocciole tostate, caldi e profondi.
Lisette
guardò l'ora sullo schermo del cellulare sgangherato. Era
tardissimo. Sua madre la stava aspettando sicuramente, arrabbiata.
Anche suo padre e suo fratello la aspettavano. Digitò in
fretta un
messaggio per Cody, le dita intirizzite che saettavano sulle lettere
della tastiera.
“Non
vengo a cena”. Lapidario. Avrebbe affrontato le conseguenze
più
tardi.
Guardò
il nome della strada in cui si trovava, appeso in alto sopra un
lampione. Non era così distante dalla sua meta!
Allungò il passo e
quasi corse in direzione dell'isolato successivo.
La
defezione di Lisette all'ultimo momento aveva rabbuiato Helena tutto
d'un colpo.
L'umore
generale della serata stava virando dal pessimo al più nero
possibile. Cody osservava preoccupato la madre e il padre consumare
la cena in un silenzio pesante che preannunciava lo scatenarsi di una
tempesta. Conosceva quel tipo di tensione: sua madre era arrabbiata
con la figlia, in parte si sentiva in colpa per la circostanza che
lei non avesse ritenuto importante cenare con il padre, così
deludendo le aspettative di quest'ultimo, e lei avrebbe finito per
prendersela con lui quando, invece, Brian non aveva altra colpa se
non quella di essere un estraneo per i propri figli.
Cody
sospirò, posando cautamente la forchetta sul bordo del
piatto e
cercando affannosamente di trovare qualcosa che potesse
ridimensionare la situazione. Non capiva perché Lisette, che
in quei
giorni sembrava ossessionata dall'idea di dover
“piacere” al
padre, avesse preferito restare in giro con l'amica, invece che
tornare a casa e cenare con loro. Sua madre lasciava loro
così poche
occasioni per stare un po' con Brian...!
-Comunque...ho
un ragazzo.- esordì Cody all'improvviso.
Brian
sollevò lo sguardo dal proprio piatto, stupefatto. Helena si
voltò
anche lei in direzione del figlio, ma non sembrava sorpresa e,
quindi, doveva già saperlo.
-Credevo...-
Brian s'interruppe, rendendosi conto che stava per fare
l'osservazione più stupida del mondo, resa ancora
più stupida dalla
circostanza che potesse uscire dalla sua bocca.-
Oh. E come si
chiama?- chiese invece.
-Thomas.
E' un compagno di Università.
-In
realtà, studia Farmacia.- intervenne quietamente sua madre.
Il
tono controllato e pacato, con cui fece quella precisazione,
lasciò
intuire a Cody che anche lei doveva essersi accorta della direzione
sbagliata che i propri pensieri stavano prendendo e stava cercando di
porvi rimedio.
-E'
un bel ragazzo!- commentò Helena, facendo arrossire Cody e
strappando a Brian una risata.- Un bravo ragazzo.- aggiunse ancora.-
Ti piacerebbe.
-Magari,
potresti farmelo conoscere.- suggerì Brian, voltandosi di
nuovo
verso il figlio con un sorriso sereno.
-Può
darsi che a Natale resti da noi per qualche giorno. I suoi sono di
Manchester, così abbiamo deciso di passare le vacanze un po'
qui ed
un po' lì.- spiegò Cody.
-Quindi,
è una cosa seria!- osservò Brian, leggermente
stupito.
Cody
arrossì di nuovo e si rifugiò nel cibo, prendendo
ad inforchettare
pezzi di arrosto e carote con ostinazione evidente.
-Oh,
adesso non fare il padre geloso!- sminuì Helena in tono
leggero.
Brian
stette al gioco: Non faccio il padre geloso, ma penso di avere il
diritto di conoscere il ragazzo del mio bambino.
-Papà,
ho ventun anni.- intervenne Cody, senza alcuna ostilità.
-Appunto...bambino.-
ribadì Brian.
Cody
rise, fingendosi offeso: Non sono più un
bambino da un pezzo!
Si
sentiva bene. Cody afferrò quella sensazione in mezzo
all'allegria
strana che si era creata tra loro tre. Era come recuperare un senso
di familiarità che gli sembrava impossibile poter provare di
nuovo
per l'uomo seduto a tavola con loro. Cody si chiese se anni di
delusione e distanza potessero essere cancellati solo così,
con un
paio di battute e il confessare candidamente la propria
sessualità
ad un genitore che non era lì quando, al liceo, l'avevi
scoperta, ti
aveva fatto soffrire e piangere ed, infine, accettare per quello che
eri.
-Non
è che devo venire a sapere che anche tua sorella ha un
fidanzatino?-
insinuò Brian.
-Lisette?!-
Cody sembrava realmente sconvolto da quella prospettiva. Helena
rideva e Brian la guardò di sottecchi e sorrise anche lui,
senza
riuscire a mantenere quell'atteggiamento da padre severo – Lisette
è piccola!- protestò Cody, intanto.
-Ecco.
Adesso siete in due ad essere gelosi.- commentò Helena,
indicandoli
entrambi.
Brian
e Cody arricciarono in naso nella medesima espressione stizzita,
sembrando all'improvviso così simili che Helena
avvertì
distintamente una fitta affondarle rapida nello stomaco.
-Non
sono geloso!- sbottarono entrambi.
E
scoppiarono a ridere tutti e tre, subito dopo.
-In
ogni caso,- riprese Cody colloquiale, appena furono tornati seri.
Sollevò il pezzo sanguinolento di manzo trafitto in punta
alla
forchetta ed annunciò- ucciderò mia sorella non
appena sarà
tornata a casa.
-...meglio
che non lo abbia, quel fidanzatino.- commentò Brian
– Non vorrei
essere nei panni del poveretto che dovesse avere a che fare con un
fratello così!
Matthew
Bellamy stava provando a concentrarsi sul proprio lavoro da ore,
ormai. Ma la realtà dei fatti era che, con cadenza quasi
fissa, si
ritrovava piuttosto ad osservare in modo maniacale le lancette
dell'orologio a parete del salotto. Quello appeso davanti al
pianoforte apposta per dargli modo di rendersi conto degli orari e
dell'opportunità di andare a dormire, arrivati ad un certo
punto
della nottata. Per quella funzione, l'orologio non aveva mai sortito
alcun effetto – quando suonava, Matt dimenticava
semplicemente di
alzare gli occhi e guardare il mondo fino a quando l'ispirazione non
era completamente svanita. In compenso, quando Brian era fuori, da
Helena ed i figli, come quella sera, l'orologio si rivelava un ottimo
diversivo ed una splendida ragione per ignorare totalmente il mucchio
di spartiti che giacevano abbandonati un po' ovunque: piano, tavolo
della sala da pranzo, tavolino da caffè davanti al
divano...pavimento.
Sbuffò.
Premette
senza intenzione reale uno dei tasti del piano e storse il naso. Era
praticamente scordato! Come accidenti poteva essere quasi scordato?!
Valutò
l'opportunità di alzarsi, gettando un'occhiata annoiata al
telefono
di casa che lo attendeva all'ingresso: magari poteva fissare un
appuntamento con l'accordatore... Magari...
Chissà
se Brian avrebbe invitato Cody e Lisette da loro per Natale...
Ed
Helena avrebbe mai permesso che pranzassero con loro? Matt ne
dubitava. Magari se lui avesse acconsentito a partire per l'altra
metà del globo terracqueo, o se avesse giurato di imbarcarsi
per una
missione per Marte, lei avrebbe permesso a Brian di invitarla insieme
con i figli per il pranzo di Natale.
...avrebbe
potuto trovare on line dei biglietti per un tour natalizio di Marte?
Rise
istericamente a quell'idea. In quel momento aveva voglia di spaccare
qualcosa, tanta era la rabbia che avvertiva sotto pelle. Era stato
bravo, in quegli anni, aveva fatto di tutto per non interferire con
la vita di Brian quando aveva a che fare con la donna, per evitare
che una sua eventuale intrusione significasse perdere quei pochissimi
progressi che lei aveva faticosamente concesso. Praticamente,
conosceva i figli di Brian esclusivamente dalle foto che l'altro gli
mostrava quando tornava da uno degli incontri che aveva con loro o
dallo scambio di qualche battuta veloce al telefono, prima che lui
gli passasse il padre.
Questa
cosa gli pesava tantissimo. Da parte sua, aveva voluto che Bingham
crescesse conoscendo il suo compagno, instaurando con lui un rapporto
di affetto, e il risultato era stato che Brian e Bing andavano fin
troppo d'accordo, in una versione di famiglia allargata che era un
po' tipica della sua cerchia. L'esatto opposto di quanto accadeva
nella vita di Brian.
Sapeva
che pesava anche a lui. Dover tenere i figli distanti da Matt
significava, in qualche modo, doverli tenere distanti da sé.
E non
solo in senso fisico, perché non poteva permettersi di
ospitarli a
casa loro se non dopo aver cortesemente chiesto a Matthew di sparire
per qualche giorno, ma anche in modo più profondo e
difficile: era
impedire loro di conoscere qualcosa di lui che per lui
era
davvero importante.
Al
momento, però, non c'era verso di fare altrimenti.
Il
cellulare di Matt, appoggiato sul piano a cui era ancora seduto,
squillò. Lui lo sollevò per controllare chi fosse
e riconobbe il
nome del chiamante in pochi istanti.
-Dom.-
salutò asciutto, aprendo la comunicazione.
-Ehilà!
Stai ancora struggendoti di noia davanti ad un pianoforte muto o sei
giustamente indaffarato nella preparazione della festa di compleanno
del tuo uomo?- s'informò il batterista canzonatorio.
...come
lo conosceva dannatamente bene!
Matt
preferì non rispondere direttamente, comunque.
-La
festa del mio uomo è a un punto ottimo.- disse invece. E
puntigliosamente elencò – Ho già
fissato il locale, il catering,
comprato il regalo e mandato gli inviti.
-Da
quando sei diventato tanto efficiente?
-Da
quando tu mi stai con il fiato sul collo, senza nessuna ragione reale
per farlo!- ritorse Matt piccato.
-In
realtà, sto penosamente cercando di distrarti. Non potendo
essere lì
per farlo fisicamente,- Matthew avvertì distintamente il
senso di
abbandono che le parole dell'altro risvegliarono tutto in un colpo:
Dom era dall'altra parte dell'Oceano, al momento, e lui si sentiva
ancora più solo senza il sostegno dell'amico – ti
importuno al
telefono.
Matt
sfiatò un respiro profondo, cercando di cacciare almeno in
parte
quella malinconia che avvertiva. In fondo, Brian sarebbe rientrato a
breve.
-...grazie.-
mormorò. Dom non si premurò di farci caso.-
Comunque...voi ci
sarete, vero?- s'informò con praticità l'istante
successivo.
-Io
sicuramente. Kate ed i ragazzi resteranno qui, probabilmente. Vengono
in Inghilterra per Natale, lei deve ancora sistemare delle cose del
lavoro e i ragazzi hanno lezione fino al 20 Dicembre.
-Come
va con Bing?
-Un
disastro!- rise Dom.- Tutto suo padre!
-...ah...ah.-
mimò Matthew, senza nessuna inflessione.
-Santo
Cielo, Bells! Sei di umore esecrabile!
Il
campanello della porta suonò. Matt si chiese
perché il portiere non
lo avesse avvisato che c'era una visita per loro.
-Devo
andare, Dom.
-Dove?
Matt
guardò l'orologio: Mi sa che Brian si è
dimenticato le chiavi di
casa.- sospirò.
Dominic
rise nuovamente e lo salutò breve, mentre Matt,
già in piedi,
raggiungeva la porta. Intascò il cellulare nei jeans,
allungò una
mano verso il battente ed aprì, dandosi mentalmente dello
stupido
per non aver prima controllato chi fosse dallo spioncino della porta.
-Ciao...-
esordì una vocetta incerta, inciampando anche su quelle
pochissime
lettere infilate a forza tra la lana di una sciarpa enorme, in cui la
bocca piccolissima svaniva come in una nuvola.
Matt
sbatté gli occhi un paio di volte, la mano ancora sulla
maniglia
della porta e il cervello che lavorava alla velocità della
luce. Lei
schiacciò in basso la sciarpa, dopo aver allentato la
cerniera del
giubbino, e sfoderò un sorriso enorme – incerto
quanto il suo
“ciao” - che gli fece mancare un paio di
battiti, data la
somiglianza spaventosa con ben altro sorriso.
-...Lizzie...-
sussurrò alla fine Matthew.
Una
manina aperta a mo' di saluto e, insieme, di assenso a quel
riconoscimento, Lisette rimase ferma e composta, arricciandosi su se
stessa come una gattina infreddolita ed aspettando la sua reazione.
-...mi
fai entrare?- chiese alla fine, con la stessa vocina sottile.
Matt
si riscosse in quel momento, la squadrò ancora e poi chiese,
tentando di non suonare troppo brusco: Tua madre sa che sei qui?
-Ovviamente
no.
Matthew
si spostò dalla soglia: Entra.
Dopo
essersi assicurato che la ragazzina riprendesse un minimo di calore
ed averle, a questo scopo, fornito prontamente un proprio maglione ed
una tazza di tè bollente, Matthew raggiunse Lisette in
salotto, dove
lei si era accomodata al centro esatto del divano più
grande,
togliendosi gli stivali umidi di neve e arrotolando le gambe sotto il
sedere. Eliminato il giubbotto ingombrante, lei sembrava una versione
più giovane e con i capelli più lunghi di suo
padre. Un Brian in
miniatura – Lisette era perfino più minuta di lui
– ai tempi
migliori della propria carriera.
Matt
si sedette sulla poltrona davanti al divano, cercando di dire al
proprio battito impazzito che non c'era nulla di così
speciale in
quella situazione: la figlia del suo compagno era lì, in
casa loro,
a parlargli. Ok. Niente di speciale, proprio.
-Che
ci fai qui?- le domandò, quando si rese conto che lei,
impegnata a
sorseggiare serenamente il proprio tè, non sembrava
particolarmente
intenzionata a spiegare da sé quella presenza.
Lisette
mise via la tazza, abbassandola sulle gambe incrociate, e lo
guardò.
Era
davvero molto, molto carina, pensò Matthew. La ragazzina
più carina
che avesse mai visto. Sicuramente quella con l'espressione
più
dolce.
-Ho
bisogno del tuo aiuto.- annunciò con sicurezza.
-Del
mio aiuto?- ripeté Matt perplesso.- Per cosa?
-Per
papà, è ovvio!- esclamò lei, stupita
che lui potesse anche
chiederlo.- Tra poco è il suo compleanno...
-Sì.
-Ed
io non so cosa regalargli.- concluse Lisette.
-Tua
madre gli avrà già preso un regalo, Lizzie.- fece
notare Matt,
ripetendo il contenuto di quanto era usuale da sempre Helena facesse
per il compleanno di Brian: un regalo prezioso a nome proprio e dei
due figli.
-Quello
è il regalo della mamma.- ribatté lei, senza
farsi scoraggiare.-
Nemmeno ci chiede se ci piaccia, prima di comprarlo. E papà
avrà
l'armadio pieno di orologi costosi, ormai!- sbuffò.
Matt
rise. Sì, lo aveva.
-Non...credo...gli
importi del regalo che la mamma gli fa. E' solo un'abitudine.-
mormorò ancora Lisette, senza guardarlo più ma
fissando il fondo
limaccioso del tè.
Matthew
la scrutò con attenzione nuova. Lisette sembrava
sinceramente
colpita da quella cosa. Matt sapeva poco del suo rapporto con il
padre; Brian, in realtà, aveva sempre fatto intendere che
fosse
piuttosto superficiale: Lisette era educata con lui, socievole come
era, peraltro, con chiunque, cordiale...ma non si conoscevano e la
ragazzina non faceva nulla per infrangere quella barriera invisibile
che si era creata tra loro. Adesso, questa Lisette, tutta presa
dall'idea di un papà che non apprezzasse il regalo di
compleanno
fattogli a suo nome, non corrispondeva affatto all'idea mentale che
Brian gli aveva trasmesso.
-E'
molto carino da parte tua volergli fare un regalo personale.- le
disse, incoraggiante.
Lisette
sembrò apprezzare le sue parole, sollevò di
scatto la testolina e
lo guardò con un'espressione felice.
-Ecco
vedi! Cody dice di no!- affermò concitata.
Matt
non seppe cosa rispondere. Cody era un discorso parecchio complicato
e lui non se la sentiva di entrare così prepotentemente
nelle
dinamiche familiari di Brian, non senza che la situazione con Helena
si fosse chiarita.
-Lui
dice che a papà non interessa che io gli faccia un regalo
ma...per
me è importante!- sottolineò con enfasi.
-Se
lo è, dovresti farlo.- annuì Matt, prendendo
molto seriamente le
sue parole.
-Ma
non so cosa regalargli!- si lamentò a quel punto lei,
sgonfiandosi
sotto i suoi occhi come un palloncino riempito di sentimenti
contrastanti.- Io...! Io non lo conosco quasi per niente! Non conosco
i suoi gusti e...! Cody non mi aiuta!- concluse piccata, stringendo
le braccia al petto e mettendo su un broncio talmente grazioso che
Matt ebbe voglia di abbracciarla.
-Cody
avrà le sue ragioni, Lizzie.- lo giustificò,
invece, Matt.
-Cody
è uno stronzo!
Matthew
spalancò gli occhi.
Eccola
lì! Adesso sì che era una copia in miniatura del
padre: una piccola
furia arrabbiata, pronta a mordere il fratello maggiore per aver
deluso le sue aspettative. Decisamente, era come sentir dire le
parolacce ad una bimba di sei anni...
Matt
decise in fretta come muoversi. Lisette gli piaceva davvero e non era
così sciocchina o ingenua come poteva sembrare, anzi: pareva
che lei
fosse molto più sveglia e sensibile di quanto sarebbe stato
opportuno, data la situazione.
-Se
ha preso almeno un decimo del carattere di vostro padre, è
ben più
di uno stronzo.- la informò.
Lisette
ristette, sgranando quegli occhioni assassini per un momento e
trasformando poi, lentamente, la propria espressione stupita in una
divertita, sorrisetto sottile e complice tutto per lui.
Matt
pensò che, a breve, lei lo avrebbe fottuto esattamente come
aveva
fatto suo padre.
-...quindi...mi
aiuterai?- chiese la ragazzina, speranzosa.
Matt
ci pensò su un momento, poi sospirò.
-Lizzie...-
iniziò con difficoltà. Si grattò la
testa, imbarazzato, cercando
le parole migliori per spiegarle bene quel concetto.- Non è
importante.- decise alla fine, sebbene stesse, di fatto, ripetendo le
parole di Cody. Così, ritenne opportuno spiegarsi meglio
– Potrei,
effettivamente, portarti in giro con me e indicarti un regalo che
potrebbe andare bene, ma non è davvero necessario. Il regalo
più
bello, che tu o Cody possiate fare a Brian, è questo.-
spiegò
indicandola. Lisette sbatté gli occhi senza capire. Matt
sorrise,
intenerito.- Hai una vaga idea di quanto tuo padre sia...orgoglioso o
felice di avervi?- le chiese a bruciapelo.- Siete la cosa migliore
che gli sia mai successa, credimi, e non fa altro che ripeterlo a
chiunque sia disposto ad ascoltarlo.- La vide stringere forte le
labbra, emozionata.- E adesso sei qui, seduta in salotto a parlare
con me.
Lisette
fece per aprire la bocca e replicare, ma non parlò. Come se
stesse
lentamente capendo quello che lui voleva dirle.
-Qualunque
stupido oggetto tu gli comprerai, anche il più...inutile,
ingombrante, idiota degli oggetti che potrai trovare!-
esclamò Matt,
allegramente.- sarà il regalo più bello del
mondo, per lui, Lizzie.
-Ma
io...- mormorò lei, leggermente delusa.
-Sono
sincero. Tuo padre non ha bisogno di nulla e non vuole nulla. Tuo
padre ha bisogno di voi.
Cody,
dopo cena, gli aveva mostrato sul cellulare un po' di foto di Thomas.
Era
davvero un bel ragazzo, aveva convenuto Brian, anche se si era
guardato bene dal dare “ufficialmente” la propria
approvazione al
riguardo. E così, a pelle, sembrava anche un tipo a posto.
Uno
tranquillo. Ma Cody stesso era “uno tranquillo” e
Brian dubitava
potesse scegliere un compagno che fosse, invece, una gran testa di
cazzo.
...mica
come lui.
Rise
a quell'idea.
Cody,
seduto al suo fianco sul divano, in salotto, ed impegnato a
raccontargli come si erano conosciuti lui e Thommy, lo fissò
senza
capire quella reazione.
-Scusa.-
si giustificò rapidamente Brian, ammettendo sinceramente.-
Stavo
pensando a Matt.
Cody
s'irrigidì. Brian capì di aver fatto un tragico
errore nel citare
Matthew: Helena non era l'unica che aveva maturato del risentimento
nei confronti del suo partner, si rese conto.
Suo
figlio, comunque, scelse di non rovinare quell'attimo di
intimità e,
con uno sforzo fin troppo evidente, superò quel piccolo
ostacolo
spigoloso – quel nome fastidioso incastrato nel mezzo dei
loro
intricati rapporti familiari – e andò avanti.
-Insomma,
siamo usciti per un po' solo come...amici. Nel senso,- corresse
immediatamente- sapevamo entrambi di piacerci, ma non ci andava di
farci coinvolgere subito da questa cosa.
-Molto
maturo.- assentì Brian, pensando che lui,
invece, maturo non
lo era mai stato in vita propria.- E come siete...passati oltre?
Cody
sbadigliò, stanco. Si stava facendo tardi. Di solito, Brian
a
quell'ora era già a casa propria da un pezzo, ma quella sera
erano
tutti e tre in piedi, ad aspettare il rientro di Lisette.
La
ragazza avrebbe preso la più madornale lavata di capo della
propria
intera esistenza.
Il
ragazzo mise da parte quel pensiero e considerò se
rispondere al
padre. Aveva creduto, inizialmente, che sarebbe stato più
difficile
parlargli di Thomas. Invece, le cose venivano fuori con una
tranquillità familiare che lo faceva sentire particolarmente
sereno.
-...non
lo so.- confessò quietamente.- Ad un certo punto l'ho
baciato e non
ricordo nemmeno perché accidenti l'ho fatto.- ammise.-
Sarà stata
la situazione, immagino. Ma non era una gran situazione,
effettivamente. L'ho solo baciato, ecco.
-Evidentemente,
eri arrivato a sentirti sicuro di lui.
-Sì.-
annuì Cody, stropicciandosi il viso e lasciandosi
sprofondare contro
il divano.- Beh...Tu hai mai pensato semplicemente che qualcuno fosse
la persona giusta per te?- chiese tornando a fissarlo intensamente.
“Sì.
E ci vivo assieme dopo aver abbandonato la mia famiglia,
Cody”.
Brian
non lo disse.
-Ammetto
che le mie relazioni sono sempre state più tormentate.-
ridacchiò,
invece.- Sono felice che mio figlio non abbia preso esempio da me.
Anche
Cody rise, leggero.
-Papà...-
mormorò dopo un istante di silenzio che, per una volta, non
sembrava
né forzato né imbarazzato, ma estremamente
naturale.- Mi fa piacere
che tu sappia di Thomas.- gli disse.- E mi farebbe piacere che lo
conoscessi. La mamma ha ragione, ti piacerebbe.- ammise con un
sorriso.- E' il genere di ragazzo che piace ai genitori!- rise poi.
-Ottimo!
Approviamo i ragazzi che piacciono ai genitori.- affermò
Brian molto
seriamente, facendo ridere ancora il figlio.
-Ogni
volta che veniamo qui, papà fa sparire qualsiasi cosa ti
appartenga.
Matt
la guardò senza rispondere.
Lisette
stava girando per casa con l'attenzione accorta di chi,
effettivamente, la vedesse per la prima volta. In particolare, il
grande piano bianco in salotto l'aveva attirata come una falena;
aveva sbirciato i suoi spartiti, scavato nel suo disordine e
quasi...annusato la sua presenza come un gatto, come
se avesse
bisogno di capire se i loro “odori” potevano
confondersi
adeguatamente, adattarsi l'uno all'altro.
Matt
l'aveva lasciata fare. Si stava facendo davvero tardi e la madre di
Lisette sarebbe stata terrorizzata a morte. Si chiese se fosse il
caso di avvisare che era lì ed, alla fine, prese il
cellulare e
mandò un messaggio a Brian.
“Tua
figlia è a casa nostra”, comunicò
stringatamente.
Si
assicurò che lui avesse letto, ma non aspettò la
risposta.
Lisette
era seduta al suo posto al pianoforte e schiacciava tasti a caso.
-E'
scordato.- osservò piattamente.
-Sai
suonare?
Lisette
scosse la testa: Cody suona il piano.- lo informò invece.-
Molto
bene.- aggiunse. Lo guardò- Fa anche dei concerti, sai?
-Davvero?
Lisette
annuì, tornando a fissare il piano e premere tasti: Io canto.
-Oh.
Matt
pensò una cosa come “spero tu abbia una voce
migliore di quella di
tuo padre”, ma si astenne dal dirlo Lei non avrebbe
necessariamente
apprezzato l'ironia cattiva che lui e Brian erano soliti scambiarsi
in quell'ambito e lui non era abbastanza in confidenza per poter
cancellare una brutta impressione con una scrollata di spalle.
In
realtà, sapeva che Cody suonava il piano molto bene e
sapeva, anche,
che Lisette aveva iniziato a studiare canto quando era ancora
piccola. Una passione che aveva manifestato quasi subito e che non
era più andata via.
Brian
rispose al messaggio: “Rispediscimela in taxi. Helena ci
ucciderà
entrambi.”
Matt
intascò nuovamente il cellulare.
Lisette
sembrava essersi stancata del pianoforte, ma non delle partiture
abbandonate lì davanti. Le sfogliava con interesse,
concentratissima.
-Papà
diceva che non sai scrivere la musica.- affermò.
-Sì.
Tre milioni e mezzo di anni fa, era così.- convenne Matt
senza
offendersi, avvicinandosi anche lui al piano.- Ma tuo padre tende a
dimenticare che nella vita si può anche progredire.-
aggiunse
divertito.
Lisette
gli sorrise, complice: Per papà io ho ancora sei anni!-
ridacchiò.-
...in realtà, anche per Cody.
-Abbastanza
normale. Mio fratello mi tratta da poppante ogni volta che ci
vediamo.
-Comunque...-
Lisette gli sorrise con una dolcezza così autentica che
Matthew ebbe
nuovamente voglia di abbracciarla.- grazie.
-Figurati,
Lizzie.- Guardò il piano, le partiture che lei
posò con delicatezza
lì dove le aveva prese.- Sai...mi farebbe piacere se,
magari,
tornassi qualche altre volta. Se ti va.- aggiunse rapidamente.- Non
dobbiamo per forza dirlo a tua madre.
Lisette
rise: Mi stai suggerendo di disubbidirle?!- esclamò
fingendosi
scandalizzata.
Matt
non si perse d'animo: A differenza di tuo padre, io sono un pessimo
genitore.- confessò candidamente.- Andiamo.- la
incitò poi.- Ti
chiamo un taxi perché ti riporti a casa e, intanto che
aspettiamo,
ti preparo qualcosa da mangiare. Ho il sospetto che tu sia a
digiuno...
Lisette
non negò. Saltò giù dallo sgabello del
piano e lo seguì
diligentemente in cucina.
Nota
di fine
capitolo della Nai:
Questa
storia è vecchia.
L'idea
di fondo è coeva a quella di LLL, ma cronologicamente la
seguiva per
cui...
In
ogni caso, ho sempre pensato che Lisette e suo padre non potessero
restare degli sconosciuti l'uno per l'altra e che, prima o poi, i
rapporti che avevo “massacrato” con LLL dovessero
riprendere a
funzionare.
Spero
che vi piaccia! A breve la seconda parte...
MEM
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