TOOTHBRUSH
Personaggi: Takashi Shirogane | Katie ‘Pidge’ Holt | Lance McClain | Keith Kogane | Hunk Garrison
Ship: Lance/Keith
Categoria: Voltron Legendary Defender
Contesto: Metà prima stagione.
Range di parole: 9100.
TOOTHBRUSH
—
Le luci soffuse
del ciclo orario notturno del castello gli diedero l’augurio di
ben svegliato, facendosi man mano più nitide e meno sfocate nel
buio della sala comune dove si era ritrovati quella sera per discutere
di tattica e seguire poi il flusso della conversazione in un insieme di
discorsi sconnessi e frammentati.
Lance chiuse
nuovamente gli occhi blu, sbadigliando rumorosamente e stringendosi le
spalle in un accennato tentativo di sgranchirsi la schiena, malamente
abbandonata lungo la seduta del divano, le gambe allungate in maniera
scomposta tra lo schienale ed il pavimento lucido che rifletteva le
luci turchesi del soffitto.
Doveva essersi
assopito a metà tra il battibecco di Coran e Hunk sul concetto
di ‘agrodolce’ ed un’animata discussione tra Shiro e
Pidge riguardo le regole di quelli che parevano giochi in scatola
alieni vecchi di diecimila anni.
Aveva ovviamente
sottolineato ad entrambi che tanto valeva deciderne di nuove, dato che
le istruzioni erano andate perdute e Allura non riusciva a ricordarne
nemmeno una, nonostante gli sforzi della sua memoria e
dell’ausilio dei topini altenai, cinetici e circensi.
Quei roditori
gli mettevano i brividi e contemporaneamente lo affascinavano
enormemente, ma il non scorgerne le piccole figure nella penombra lo
rassicurò, temeva sempre di pestarne uno –soprattutto la
sicura ritorsione che la cosa avrebbe portato.
Allungò
braccia e gambe verso il soffitto, emettendo pigri suoni di
soddisfazione nell’udire le ossa scricchiolare appena.
Quando
lasciò ricadere le braccia in maniera scomposta la mano destra
sfiorò distrattamente qualcosa di soffice, la curiosità
costrinse il Paladino Blu a girarsi placidamente sul fianco destro,
sbirciando con occhi appesantiti contro cosa avesse abbandonato le
lunghe dita affusolate.
Il sottile suono
del respiro di Keith gli svegliò le orecchie non appena le
pupille misero faticamente a fuoco la figura nera nella penombra. A
differenza della testa di Shiro, il cui ciuffo bianco rifletteva le
fredde luci alteane, o dei dettagli lucidi della giacca di Hunk, il
Paladino Rosso non aveva praticamente nulla di identificabile
nell’oscurità della stanza.
Ad eccezione
della pelle, si ritrovò a pensare in distratta lucidità,
osservando il viso nascosto sotto i ciuffi corvini del compagno di
squadra, il naso quasi appoggiato al divano, il corpo sdraiato al
pavimento in una posizione fetale vagamente accennata.
Lui passava ore
a prendersi cura della sua pelle, abbronzata dal sole cubano e scaldata
dal sale delle onde dell’Oceano, ma Keith non sembrava aver alcun
bisogno di passare del tempo a preoccuparsi del suo viso, oppure lo
faceva di nascosto, alle ipotetiche quattro del mattino, chiuso a
chiave nel bagno della sua cabina e con delle trappole anti-invasore.
Sogghignò
appena all’idea, riusciva ad immaginarsi la scena, anche se
probabilmente l’esagerazione teatrale della reazione era cosa che
apparteneva più a lui stesso. Keith avrebbe lanciato qualcosa di
affilato, fatto centro e mantenuto il suo oscuro segreto per molto
tempo ancora.
Ormai sdraiato
di pancia sulla morbida seduta del divano, appoggiò il viso
sulla mano destra, il piegato appena, il volto sporto verso il pilota
del Leone Rosso e la mano sinistra protesa nel tentativo di scostare i
ciuffi di capelli scuri che ricadevano sul viso quasi diafano del
diciottenne.
Tentò di
fermarli dietro l’orecchio destro del compagno, ma questi
tornarono alla disposizione precedente, facendolo sbuffare appena prima
che riprovasse a spostarli nuovamente in una posizione meno spettinata.
Anche i suoi
capelli volevano litigare con lui, pensò distrattamente,
sistemandoli con un movimento più deciso, ritraendo la mano a
velocità disumana quando Keith si lamentò nel sonno,
vedendosi già indice e medio staccati a morsi.
Si
aqquattò sul divano, premendo il corpo contro la superficie
sulla quale era sdraiato, pronto a fingere una morte apparente in
qualsiasi istante. Molto più efficace del sonno, si disse.
Tutti quelli che si fingono morti la scampano sempre, nei film almeno.
Dopo un paio di
tick di tesissimo silenzio, tornò a protrarsi verso il Paladino
Rosso, osservano poi con più attenzione l’ambiente: Pidge
stava usando il bicipite sinistro di Shiro come un cuscino, la bocca
socchiusa e gli occhiali abbandonati a pochi centimetri, probabilmente
se li era levati in dormiveglia, sdraiata sul pavimento.
Allura e Coran non erano nella sala, notò.
Avevano detto
loro che avevano bisogno di molte meno ore di riposo, per cui le loro
giornate erano molto più lunghe e le notti più corte, ma
non avevano avuto nulla da ridire all’idea di impostare la
regolazione delle luci della nave in base ai bioritmi umani dei
Paladini.
« Dopotutto- » aveva sottolineato la Principessa, « Siete la maggioranza, e noi abbiamo dormito fin troppo negli ultimi anni. »
Suppose che
fossero tornati sul ponte di comando, dove alcune volte li avevano
trovati a conversare in quello che probabilmente era alteano antico.
Decise che stessero ripercorrendo ricordi del loro pianeta natale e
smise di pensare ai due alieni, interrotto da un rumoroso suono emesso
da Hunk, seduto con la testa riversa sul petto, le spalle curve e le
gambe abbandonate in maniera talmente scomposta da sembrare quasi
dolorosa.
Si trattenne dal
tirargli un calcio per farlo riavere da quell’insieme di
grugniti, ma l’amico inclinò la testa verso destra e
questo sembrò bastare a calmarne il fastidioso russare.
Quando
tornò a girarsi verso Keith, sentì premere con forza
contro le sue labbra, ed uno squittio di sorpresa gli morì in
gola nell’incrociare gli occhi viola scuro della mancata vittima
dell’idea di riempigli la testa di adorabili treccine.
« Vuoi svegliare tutta la squadra? Sono giorni che non dormono! »
bofonchiò l’altro in un sibilo, gli occhi socchiusi e
l’espressione impigrita dall’interruzione del ciclo del
sonno.
Lance rimase in
silenzio mentre sul suo viso andava dipingendosi la delusione dello
scherzo andato in fumo, assieme a tutte le altre possibilità di
disegnare qualsiasi cosa gli passasse per la mente sulla faccia
dell’altro.
Keith,
appoggiato sul gomito sinistro e proteso ancora verso lui, non
accennava a diminuire la pressione della mano destra contro le sue
labbra, troppo concentrato a mettere a fuoco la stanza, soffermandosi
qualche istante di più sulla figura di Shiro, circondato da
carte e dadi colorati, abbandonando l’espressione irritata dalla
sveglia imprevista ad una più dolce.
« Mphf! »
mugugnò appena Lance, afferrando il polso del maggiore con la
mano sinistra, spostandone il braccio ormai rilassato e riservando al
ragazzo uno sguardo offeso.
« Se tu non mi avessi assalito nel cuore della notte— »
sussurrò con tono accusatorio, le parole appena udibili anche
dal mezzo coreano, che lo osservava nuovamente con aria di rimprovero « —non avrei detto proprio nulla, ninja. » concluse in un soffio, lasciando andare la leggera presa sul polso di Keith, tornando a stendersi sul divano.
« Ad ogni modo come hai fatto ad addormentarti ai piedi del divano, il pavimento sarà gelato. »
fece poi notare il latinoamericano, piegando le ginocchia e facendo
dondolare i piedi sopra le proprie cosce, il mento appoggiato alla
seduta del divano e gli occhi socchiusi, rivolti al Paladino Rosso,
l’espressione quasi annoiata.
« Mi ci hai spinto tu. »
soffiò Keith, indicandolo con la mano destra con fare
accusatorio, assottigliando lo sguardo ed aggrottando le sopracciglia.
« Oh. Tutto a posto allora. »
concluse Lance, sogghignando di quella sciocca vittoria inutile, se non
per infastidire l’altro, guardando poi con sufficienza
l’indice a lui rivolto.
« Non sai che indicare è maleducazione, buzzurro? » sussurrò, alternando lo sguardo dalla mano dell’ufficio dell’accusa al candido viso del corvino.
«
Buttarmi giù dal divano per avere più spazio per le tue
gambe ridicolmente lunghe invece è considerato buona etichetta?
» replicò piccato il più basso, ritraendo
l’indice e alzandosi in piedi, facendo ben attenzione a non
colpire nessuno né a fare rumori molesti.
« Non ti facevo così delicat- ridicolmente lunghe a chi, Pianoterra?! »
bofonchiò Lance, tentando di girarsi e dare la schiena a Keith
mentre questi si alzava, in una manovra elusiva chiaramente portartrice
di un ‘no’ grande quanto il Castello al concetto di
‘alzarsi’, prima di squittire teatralmente al pesantissimo
insulto rivolto alle sue gambe, ritrovandosi nuovamente la mano del
paladino rosso premuta sulla bocca, gli occhi viola scuro a pochi
centimetri dai suoi, lo sguardo assassino.
« E abbassa la voce, imbecille! »
soffiò minacciosamente il corvino, avvicinandosi ulteriormente
ed aumentando la pressione contro le labbra di Lance, il quale
alzò entrambe le mani in segno di resa, lo sguardo implorante
del cubano fin troppo esplicito.
« MPHF!! »
lamentò nuovamente, il Paladino Rosso gli era ancora proteso
sopra, il braccio destro appoggiato allo schienale del divano per
aiutare a mantenere l’equilibrio così vicino a lui, mentre
lo studiava in silenzio, indeciso se fidarsi o meno di lasciare ancora
la possibilità di aprir bocca a quel petulante e logorroico
essere umano.
Evidentemente
impiegò troppo tempo a deliberare con sé stesso, vista la
rapidità con cui Lance aprì la bocca sotto le sue dita e
premette la lingua calda ed umida contro quanto lo stava obbligando al
silenzio.
Aveva un buon
sapore, pensò in maniera completamente istintiva, lo sguardo di
sfida verso il compagno di squadra, sentì la mano
dell’altro allontanarsi dalla sua bocca.
Il Paladino Blu
sogghignò, allungando immediatamente la mano sinistra e
premendola contro la bocca del corvino per soffocare
l’esclamazione di sorpresa che aveva preventivato, ma venne
nuovamente zittito dal palmo dell’altro quando questi gli morse
mignolo e anulare in risposta.
Si guardarono in
silenzio, seduti faccia a faccia sul divano, la stessa espressione
irritata e innervosita, anche se il viso del cubano aveva sfumature di
dolore dovute alla presa dei denti del maggiorenne sulle sue dita.
« Kif— mi ftai fafendo mae! »
lamentò contro il palmo dell’altro pilota, le parole
assemblate in una litania sofferente, sofferenza che ben poco
aiutò, dato che il suo aguzzino strinse ulteriormente la
mascella sulle dita abbronzate, prima di allentarne la presa più
di quanto non facesse prima, abbassando cautamente il palmo della sua
mano dalle labbra del cubano.
« Lance, che schifo! »
borbottò quindi, ripulendosi la mano contro la spalla del
compagno, l’espressione disgustata e la bocca libera
dell’ostaggio, che uomo magnanimo.
« Che schifo? Mi stavi per amputare le dita! »
esagerò in un sussurro l’ormai libera vittima, infilandosi
in bocca le dita ferite in un riflesso incondizionato, con fare
infantile, lo sguardo basso e sofferente.
Keith rimase in
silenzio qualche frazione di secondo di troppo rispetto alla
normalità, notò il latino, al che alzò lo sguardo,
ritrovando lo sguardo pallido dell’altro appena più scuro
attorno alle gote, per quanto potesse intravedere nella penombra.
In compenso il bianco del ghigno divertito riusciva a distinguerlo molto meglio grazie ai toni azzurrini delle luci soffici.
« Non c’era bisogno di tutta questa scenata per un bacio. »
soffiò il più grande con tono divertito, afferrando
delicatamente il polso del diciassettenne ed avvicinandosi in maniera
allusiva, mentre gli unici due neuroni attivi a quel lasso di tempo dal
risveglio elaboravano la situazione all’interno
dell’impolverata scatola cranica di Lance, mandandogli a fuoco il
viso.
Fortunatamente, a differenza di Keith, la sua carnagione ambrata giocava a suo favore nel mascherare il rossore nella penombra.
« Non voglio un bacio, voglio un chirurgo che mi salvi la mano! »
maneggiò di rispondere, ringraziando la maglia a maniche lunghe
di coprire la pelle d’oca che risaliva a fior di pelle dal nodo
allo stomaco che pareva ancorarlo al divano.
« Coran sarà sicuramente affascinato da questo nuovo morbo umano. »
sussurrò il Paladino Rosso, sogghignando e soffermando per poche
frazioni di secondo lo sguardo sulle labbra dell’altro,
ritraendosi quasi si fosse ustionato, lasciando andare il polso del
più piccolo e scattando improvvisamente in piedi una seconda
volta, lo sguardo nuovamente a vagare per la stanza.
Lance,
più confuso dal fatto che il solitario del gruppo si fosse
espresso in rima piuttosto che dalla situazione allusiva, ne
fissò la schiena, seguendo poi lo sguardo e notando come Shiro
si fosse girato verso Pidge, dando loro la schiena e avvolgendo la
ragazzina con il braccio meccanico.
Keith si
passò la mano sinistra, non infetta della contaminazione di
Lance, tra i capelli, puntando poi lo sguardo alla porta d’uscita
automatica e distogliendolo poi, percependo quello del Paladino Blu
trapanargli la colonna vertebrale, incontrando un enorme punto di
domanda negli occhi scuri di Lance.
« Buonanotte, Lance. Vedi di non svegliare nessun altro. »
borbottò quindi, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni
e dirigendosi in religioso silenzio fuori dalla sala, fiducioso della
delicatezza del suono delle porte automatiche.
Sedotto ed
abbandonato, Lance non ebbe nemmeno la destrezza di rispondere
all’accusa del fuggiasco, limitandosi a fissare insistentemente
la porta automatica ormai chiusa mentre si ripuliva la mano della
saliva di entrambi, borbottando sommessamente frasi sconnesse di altre
frasi senza senso e discorsi sconclusionati, distendendosi poi sul
divano, rigirandosi per riprendere sonno cullato dal pesante respiro
del Paladino Giallo.
Sbadigliò
nuovamente prima di socchiudere placidamente gli occhi, combattendo
contro nodi, farfalle e l’improvviso trottare della sua cassa
toracica.
Ormai in
dormiveglia, avrebbe giurato di aver intravisto due occhi a mandorla
fissarlo nella penombra, ma probabilmente, si disse, si trattava
già di sfumature del mondo dei sogni.
—
Nonostante si
fosse allontanato ormai da parecchio tempo dalla stanza comune, gli
occhi scuri del Paladino ancora non si erano completamente adattati
alla luminosità quasi abbagliante della sala di allenamento con
le luci alla massima capacità.
Probabilmente la
cosa era dovuta al continuo gesto di coprirsi il viso e serrare con
forza le palpebre al pensiero di quanto accaduto poco prima, lasciando
ricadere al fianco la mano armata della Bayard sfoderata.
« Terminare sequenza di allenamento. » bofonchiò mentre il Gladiatore bianco calava l’arma a corto raggio verso la sua testa.
Era ormai la
quarta volta che chiudeva la sessione, disperso nell’imbarazzo
adolescenziale e nella vergogna che tingeva prepotentemente di
vermiglio le sue gote pallide.
Non appena era
uscito dalla novella stanza del pisolino si era diretto a grandi
falcate verso la sala d’allenamento, inspirando profondamente nel
tentativo di regolare nuovamente il battito cardiaco e il flusso
sanguigno che dava segnali di follia.
Cosa diavolo gli
era saltato in mente, e soprattutto da dove l’aveva tirata fuori
quella frase da… Lance? Aveva assistito a troppi squallidi
tentativi di rimorchio di quest’ultimo, decise, da esserne ormai
affetto? Poi cosa sarebbe successo, avrebbe fatto delle avances a Red?
Proposto ad Allura qualche ridicola uscita sull’ennesima galassia
che avrebbero costeggiato? Tentato di abbordare qualche perfetta
sconosciuta ad ogni pianeta del prossimo sistema solare?
Abbassò la mano sinistra dal suo viso, lasciando rantolare un lamento su per la gola, seguito da un sospiro scocciato.
Se davvero Shiro
li aveva visti, lo avrebbe preso in giro fino alla fine
dell’Universo, il che era un lasso tempo considerevolmente
insostenibile per la pazienza e l’imbarazzo di Keith.
« Oh, giovanotto! Pensavamo foste tutti impegnati nel vostro… ciclo di riposo. »
la voce di Coran, anticipata dal delicato sibilo della porta
automatica, lo risvegliò come una bomba d’acqua gelata
sulla schiena di prima mattina, facendolo quasi saltare sul posto,
colto impreparato.
« Hu— Hunk russa. »
rispose il Paladino, convinto sia che l’Alteano conoscesse il
significato del verbo, sia che la risposta fosse esaustiva alla
sottintesa domanda riguardo cosa ci facesse Keith in piedi in mezzo
alla sala d’allenamento, apparentemente tutt’intento a
fissarsi il palmo della mano sinistra, in quella che gli altri esseri
umani gli avevano spiegato essere la fascia oraria più
importante per il completo funzionamento dei loro nervi.
« Il Paladino Giallo sta male? »
chiese con espressione e tono confusi l’alieno, nonostante le
cabine di cura avessero elaborato gli organi interni e gli apparati
umani, lui ancora non conosceva certi termini… tecnici.
« No, Coran, Hunk sta benissimo. Dorme solo in maniera molto rumorosa. »
spiegò Keith, notando di avere le spalle tese dall’entrata
in sala dell’alteano, rilassandole e abbandonando anche la mano
sinistra lungo il fianco, mentre l’arma tornava alla sua forma
generica con un fischio sommesso.
«
Non dovreste essere tutti a dormire? Io e la Principessa abbiamo
pensato fosse opportuno anticipare il ciclo luminoso notturno dopo che
vi siete assopiti tutti- il Paladino Blu si lamentava della luce anche
in pieno sonno. » chiese, ripercorrendo il ricordo di
poche ore prima, la voce impastata di Lance che, accompagnata da
movimenti involontari delle braccia, borbottava a qualcuno non meglio
identificato di chiudere delle serrande (?).
Keith si
portò la mano sinistra al collo, alzando lo sguardo su Coran,
gli occhi lucidi di sonno e l’espressività del volto
ridotta al range che andava da “stanchezza” a “coma
vigile”.
« Hai ragione, dovrei cercare di dormire finché ci è concesso. »
rimuginò, senza davvero mettere a fuoco l’espressione
soddisfatta del suo interlocutore, sicuro di aver consigliato quel
ragazzino da bravo zi- consigliere.
Salutò
con un cenno il più anziano, incamminandosi con passo poco
convinto verso l’area adibita a ‘dormitorio’,
faticando appena a riadattarsi alle luci nuovamente abbassate lungo i
corridoi del Castello dei Leoni, le mani in tasca e la Bayard appesa
alla cintura che rimbalzava contro il suo fianco ad ogni passo.
—
Il tragitto
dalla Sala d’Allenamento all’ala degli appartamenti dei
Paladini era quello che probabilmente conosceva meglio, dato che lo
percorreva ogni giorno, erano i due ambienti dove si aveva più
probabilità di incrociarlo, almeno quanto facilmente si poteva
trovare Hunk tra il ponte di comando con Pidge e le cucine o ancora
l’officina che condivideva con la Paladina del Leone Verde.
Paladina la cui
testa al momento riposava contro il petto del Team Leader che Keith
mise a fuoco vicino alle camere, il pensiero corse immediatamente alle
minacce rivolte al pilota del Leone Blu se questi avesse svegliato
qualcuno dei loro compagni, Shiro in primis.
« Ehi. »
salutò l’asiatico, sorridendogli come suo solito,
l’espressione paterna e lo sguardo rassicurante, mentre si
voltava nella sua direzione: aveva riconosciuto il passo ed il suono
della Bayard fin dal primo rumore che aveva percepito. Tra le sue
braccia, Katie respirava piano, gli occhi cerchiati di stanchezza ed i
piedi che penzolavano appena, oltre il braccio meccanico del giapponese.
« Sembra che qualcuno sia riuscito a rimanere a letto. »
constatò Keith, sorridendo all’amico e lanciando uno
sguardo intenerito alla Paladina, osservandola dormire placidamente.
«
Sono più le notti che passa davanti ai monitor olografici che
nel suo letto, credo fosse una questione di tempo prima che crollasse,
come tutti noi. » commentò Shiro, guardandola a sua volta.
Pidge era la
più piccola del gruppo, eppure era già stata privata del
fratello maggiore e del padre, si era opposta ed imposta a chiunque si
fosse messo tra lei e la possibilità di ritrovarli, aveva
già capito e modificato la tecnologia del suo Leone, una
tecnologia anni luce più avanzata di quella terrestre, ed era, a
tutti gli effetti, uno dei punti cardine di tutta la strategia del team.
Shiro passava
ormai gran parte del suo discutendo con lei di spionaggio informatico,
con Hunk riguardo a possibili avanzamenti delle attrezzature, con Keith
ed Allura di tecniche di combattimento e politica, vederlo così
rilassato da accennare ad addormentarsi poche ore prima aveva scaldato
il cuore al Paladino Rosso, almeno tanto quanto lo scaldava adesso
vederlo così affettuoso con la quindicenne.
«
Dovresti riposare anche tu, Shiro. Non possiamo permetterci che il
nostro Capo abbia più sonno che determinazione. » lo riprese Keith, appoggiando la mano destra sulla spalla sinistra del compagno, stringendola appena in segno di affetto.
Dio solo sapeva quanto profondamente gli fosse mancato durante l’anno di latitanza.
« Non montarti la testa, ragazzino »
rispose sottovoce il più anziano, trattenendo una risata al
ricevere ragguagli su come dovesse regolare il suo riposo
dall’unico compagno che dormiva forse meno di lui.
« Ad ogni modo, tranquillo— »
continuò, sogghignando appena in direzione del più
piccolo, stringendo appena la presa su Katie ed incamminandosi verso la
porta automatica più vicina a loro, diretto nella caotica stanza
della quindicenne per deporla nel suo letto « —è stato Hunk a svegliarci, non Lance. » concluse, prima che la porta si chiuse dietro di lui, lasciando Keith arrossire indecentemente in solitudine.
Aveva sentito,
aveva sentito ed aveva visto la patetica scenetta dell’ora prima,
e avrebbe giurato di poter sentire una bassa e soffocata risata dalla
stanza di Pidge seguire il sonoro schiaffo che Keith si tirò sul
viso con fare sconsolato.
« Fantastico. »
brontolò, tornando ad incamminarsi verso l’utima stanza,
quella che gli era rimasta quando si erano ‘spartiti’ gli
spazi personali lungo quell’ala, quella di Hunk era poco distante
da quella di Pidge, mentre la porta di Shiro l’aveva già
superata, era la più vicina all’entrata del corridoio, era
stato il Paladino Nero ad insistere, stranamente, per avere quella.
Nessuno si era
fatto grandi domande, ma aveva il vago ricordo di una descrizione delle
prigioni Galra nella quale era spesso rinchiuso nelle ultime celle, le
più lontane dalle purpuree fonti di luce.
L’eco dei
suoi passi risuonò per un ulteriore paio di centinaia di metri,
prima di fermarsi davanti ad un’anomalia: davanti all’ampia
vetrata poco oltre la sua stanza, una piccola e scomposta figura
avvolta nelle sottili e calde coperte alteane stava seduta,
apparentemente intenta a scrutare le stelle lontane anni luce che
puntellavano il cielo oscuro della volta spaziale.
A quanto pare
Lance non era tornato a dormire per molto tempo, dedusse, osservandolo
con la coda dell’occhio, prima di entrare nella propria stanza
senza rivolgergli parola, anche se questi gli aveva rivolto un cenno di
saluto una volta resosi conto della sua presenza.
—
Il Paladino Blu
si era rigirato sul divano per circa un quarto d’ora abbondante
al secondo rumoroso exploit dell’amico, era riuscito ad assopirsi
nuovamente per non più di una mezz’ora scarsa da quando
Keith se ne era andato, lasciandolo a disagio e solo con sé
stesso.
« Hunk, ¡madre de dios! »
aveva infine bofonchiato, trattenendosi dal tirare il calcio che il
Paladino Giallo aveva già rischiato in precedenza,
principalmente nel notare la figura di Shiro alzarsi lentamente,
probabilmente avendo cura di non svegliare Katie nel muoversi.
« Lascialo stare, Lance— »
mormorò il Paladino Nero, riprendendolo sottovoce e facendo
sì che il più giovane abbassasse la gamba già
protesa verso un incosciente Hunk che aveva ripreso a russare
sommessamente « —mi sembrava che Keith fosse stato chiaro sul lasciar dormire gli altri. »
concluse, tendendo il collo verso destra fino a quando un secco suono
non lo avvertì che l’indolenzimento stava per placarsi.
Sul divano,
cubano scattò seduto a quelle parole, quasi tentando di darsi un
tono agli occhi del suo eroe nonostante la penosa scenetta di poco
prima con il Paladino Rosso.
« Non ho bisogno che quell’imbecille mi dica cosa fare o meno »
puntualizzò, arrossendo fino alla punta delle orecchie allo
sguardo di sufficienza del giapponese, prima che questi si voltasse
verso il Paladino Giallo, il cui respiro risuonava costante
nell’ampia sala, ignaro dei disagi che aveva creato a quasi tutta
la squadra.
«
Non mi interessa chi te lo abbia detto, Lance, lascia dormire Hunk.
Sono settimane che ciondola tra l’officina ed il ponte di comando
per affinare l’attrezzatura dei Leoni, e domattina preferirei
avere nuovamente una colazione para-terrestre. Coran ci sta sguazzando
nella sua assenza dalle cucine, ed il mio stomaco comincia a
risentirne. » liquidò Shiro, lanciandogli uno
sguardo minaccioso, gli occhi scuri appesantiti dal sonno e le occhiaie
più scavate del solito.
Probabilmente
non era solo a causa della cucina nuovamente in mano a Coran che il
capo della squadra si faceva irritabile, ma la mancanza di sonno li
stava affliggendo tutti, non c’era quindi da stupirsi che Coran
ed Allura si fossero affrettati a lasciarli riposare senza battere
ciglio, nel vederli ciondolare le teste quella sera.
« C-Certo »
balbettò Lance, vergognandosi del dover essere ripreso come un
bambino viziato dal più anziano, convenendo mentalmente con lui
sul fatto che un Hunk riposato apportava benessere alimentare a tutta
la squadra e un piatto di pseudo-pancake valeva molto di più
della soddisfazione di svegliarlo e farlo sentire in colpa per aver
interrotto il suo sonno.
« Sarà meglio farla dormire in un posto meno scomodo. »
commentò poi il Paladino Nero, rivolto a Pidge mentre si alzava
lentamente, svegliandola delicatamente prima di prenderla in braccio.
« Ssh, tranquilla, adesso andiamo a dormire. »
la rassicurò appena allo sguardo stropicciato e confuso della
ragazza, mettendole nuovamente gli occhiali grandi e rotondi sul naso.
Il Paladino Blu
lo osservò, mentre un fastidioso ed irritante sentimento di
gelosia si muoveva viscido nel suo stomaco: lo sguardo e le
parole che Shiro rivolgeva a chiunque altro all’interno della
squadra erano comprensivi, caldi, rassicuranti… Lui era invece
riuscito a guadagnarsi un rapporto di richiami e sguardi insofferenti
durante quei lunghi mesi. Sapeva che il Paladino Nero gli voleva bene,
nel suo ruolo paterno nei confronti del figlio più irritante
della famiglia, un affetto simile a quello di un cane pestifero che
squarta i cuscini nottetempo.
Il pensiero gli
incurvò le spalle, facendogli sfuggire un sospiro sconsolato. Se
alla Garrison la sua invidia era concentrata solamente dall’avere
idealmente la schiena di Keith sempre un passo avanti a lui, tanto da
essere riuscito a riconoscerla nottetempo dopo più di un anno di
assenza, ora era ben spartita ed acuita dalla presenza di Shiro stesso.
Il suo complesso
di inferiorità si era di gran lunga ridotto dal punto di vista
delle esecuzioni sul campo: era il supporto principale di tutta la
squadra in mezzo alla ressa, aveva salvato la pelle ad ognuno almeno
una manciata di volte, quantità che si alzava vertiginosamente
quando si parlava del Paladino Rosso e della sua noncuranza nel
lanciarsi a capofitto tra le linee nemiche indipendentemente dalla
situazione.
« Lance— »
venne richiamato, alzando immediatamente la testa nella direzione della
voce di Shiro, scoprendolo poco lontano dalla porta automatica aperta,
non aveva nemmeno sentito lo scorrere dell’apertura, immerso nei
suoi pensieri.
Osservò
la luce azzurrina poco più luminosa sottolineare i tratti del
viso stanco del soldato, incontrandone gli occhi scuri ed arrossendo
appena nel trovarlo a sorridergli dolcemente.
«
—dovresti andare a dormire anche tu, non credo il russare di Hunk
sia così poderoso da arrivare alla tua stanza. Ed ho bisogno che
il nostro Cecchino sia lucido nel coprirmi dietro il mirino. »
concluse, ampliando il sorriso fraterno ed uscendo dalla porta nel
sentire Katie lamentarsi sommessamente di tutto quel parlare e quel
poco raggiungere il suo caldo letto immerso nella chincaglieria
spaziale che teneva nella camera da letto.
Lance
avvampò più di quanto pensasse fosse possibile, restando
in silenzio per qualche istante prima di scattare in piedi, le braccia
al cielo in segno di vittoria, girandosi velocemente verso Hunk per
crogiolarsi dei complimenti del Team Leader nei suoi confronti,
sbuffando sconsolato nel rendersi conto che quelle parole le avevano
udite solamente lui e Shiro, con il quale chiaramente non poteva
pavoneggiarsi a suo piacimento, né era uno dei suoi fan numero
uno.
Deluso dalla
realizzazione, strinse idealmente a sé quel momento, sorridendo
poi. Non sapeva come facesse Shiro a sapere quasi sempre cosa dire ad
ognuno di loro per farli star meglio, ma le sue parole e, soprattutto,
la scena di familiare quotidianità tra di loro, così
distante dal campo di battaglia e così vicina ai ricordi di casa
sua e della sua rumorosa e grande famiglia.
Afferrando la
sua felpa, appallottolata in fondo al divano, lanciò
l’ultimo sguardo ad Hunk, avvicinandosi e posandogli un bacio
appena accennato tra i capelli, trattenendo una rumorosa sghignazzata
nel sentirlo bofonchiare nel sonno per quel contatto appena accennato.
Tanto era fisico
tra abbracci, baci e gesti continui di affetto durante la veglia, tanto
era distaccato durante il sonno. Sembrava essere sempre infastidito
mentre riposava, probabilmente sfogava il nervosismo durante la fase
rem per essere così solare 24/7 durante il resto del tempo.
« Vedi di non svegliarti da solo, ragazzone. Abbiamo grandi aspettative per la colazione di domani. »
concluse Lance, uscendo dalla stanza, appoggiandosi la felpa verde
sulla spalla destra, le mani in tasca ed il solito andamento
ciondolante, le spalle incurvate dal sonno.
Ritrovò
Shiro e Pidge dopo non molto, mentre il primo scambiava due parole
sottovoce con Coran, poco lontano dall’entrata della Sala di
Allenamento, stranamente illuminata a giudicare dalla luce che filtrava
dalle sottili fessure tra le lastre di pesante metallo automatizzato.
Probabilmente
Allura stava ripassando le tecniche di combattimento alteane, era una
cosa che faceva via via sempre più spesso, si era sorpreso a
notare. Tutti sapevano quando soffrisse lo stare in seconda linea in
una guerra così personale per lei, la sua gente ed i suoi
ricordi, ormai avevano perso il conto delle volte che il Paladino Nero
e l’alteano le avevano proibito di seguire Voltron ed i Paladini
in pieno campo di battaglia.
« Non sono più una bambina, Coran! Posso combattere! »,
quelle parole le aveva ripetute fino all’esasperazione, ma i due
erano irremovibili, anche se la maggior parte delle volte la
Principessa riusciva ad apparire tra le fila dei soldati in prima linea
ed a cambiare le sorti del suo fronte della battaglia.
Prima di subirsi
un paio di strigliate da quasi tutta la squadra, nonostante il titolo
nobiliare ed il grado di comando più alto. I Paladini avevano i
Leoni, armi ad hoc ed era previsto che combattessero in ogni
situazione, lei avrebbe dovuto preoccuparsi delle difese della nave e
dell’accoglienza di eventuali fuggiaschi, ruolo che finiva per
gravare sulle spalle di Coran, che teoricamente doveva supportare il
ruolo di Pidge di coordinamento delle informazioni e supervisione dei
movimenti dei Paladini.
Fortunatamente
Katie era diventata fin troppo autonoma anche su quel lato, quindi le
lamentele per l’atteggiamento della Principessa trovavano ormai
il tempo che lasciavano.
Lance fece un
cenno di saluto, interrotto da uno sbadiglio silenzioso ed inaspettato,
al quale Shiro trattenne un sorriso divertito e rispose con un cenno
della testa, entrambe le braccia impegnate a sorreggere la Paladina
Verde, imitato da Coran nel saluto rilassato.
Lasciandoli alle
sue spalle, il Paladino Blu aumentò la velocità del
passo, fino a quando le porte scorrevoli della sua stanza non si
aprirono nel consueto sibilo, anche se i suoi occhi blu osservavano
l’ampia vetrata che ricopriva la parete sul fondo del corridoio,
nostalgici.
Entrò
nella stanza il tempo di abbandonare la giacca sul letto e spogliarlo
delle coperte aliene, sottili eppure costantemente calde e
rassicuranti, trascinandosele per il tragitto fino all’ampio
finestrone e raggomilandovisi con la schiena appoggiata al muro opposto
all’ultima porta delle stanze del corridoio, perdendosi
pigramente ad osservare i miliardi di stelle che lo stavano adocchiando
oltre la lucida superficie trasparente.
Quando i passi
di Keith interruppero il suo pigro vagare con lo sguardo tra i puntini
luminosi, inventandosi per ognuno di loro un tipo di civiltà
differente ed una splendida principessa in pericolo sempre diversa, ma
sempre in attesa delle sue braccia per essere tratta in salvo, non ebbe
grandi reazioni, se non una confusione iniziale, dato che dava per
scontato il Paladino Rosso fosse già assopito da tempo e Shiro
non avrebbe avuto motivo di camminare fino a quel punto del corridoio,
che solitamente evitava e nessuno faceva domande a riguardo.
« Ehi- »
salutò pigramente, ricevendo solamente uno sguardo scocciato ed
il suono della chiusura delle porte automatiche della stanza di Keith
in risposta, borbottando poi dell’ipocrisia di averlo chiamato
maleducato per averlo buttato giù dal divano ore prima, quando
lui nemmeno si degnava di rispondere educatamente ad un saluto di
cortesia.
La bassa
lamentela venne interrotta da un’improvvisa pressione contro la
sua spalla destra, alla quale Lance irrigidì inconsciamente
tutto il corpo, preso in contropiede e confuso, si voltò
rapidamente, per trovarsi a mettere a fatica a fuoco un’informe
massa di capelli corvini, sotto ai quali le lunghe ciglia scure di
Keith spiccavano sulla pelle chiara, gli occhi chiusi e la sua coperta
rossa sulle spalle.
« Ho capito, ho capito, ora sta zitto, lagna. »
borbottò il più grande, gli occhi ancora chiusi e le gote
appena tinte di vermiglio, seduto accanto a lui e appoggiato di peso
contro il suo fianco.
Dopo qualche
istante di silenzio, la sfacciataggine di Lance non ne seppe comunque
di starsene buona, mentre distoglieva lo sguardo e rilassava le spalle,
il naso rivolto all’insù con atteggiamento di teatrale
superiorità.
« Non hai comunque risposto al saluto, barbaro. »
puntualizzò, distendendo appena le ginocchia piegate e
appoggiando il suo capo contro quello di Keith, strusciando appena la
gota contro i capelli soffici del compagno di squadra.
« Chiudi quella fogna o ti mordo di nuovo. »
minacciò in un mormorio che via via perdeva credibilità
mentre si affievoliva, il Paladino si stava crogiolando nel tepore del
pilota del Leone Blu che filtrava tra le due coperte, e diede a quello
la colpa dell’improvvisa e rinnovata calura che gli risaliva
dalle spalle alla punta delle orecchie, forzandosi a mantenere gli
occhi chiusi, orgoglioso.
Non sapeva dove
fosse nata l’idea di Hunk, Pidge e Lance che Keith non
apprezzasse il contatto fisico, con Shiro gli abbracci erano ricorrenti
e lui stesso accennava a pacche nei confronti dei compagni di squadra,
semplicemente non era così superbo da decidere di testa sua come
il resto di quella nuova famiglia sgangherata preferiva essere
abbracciata, o addirittura se la cosa li irritasse o meno.
Probabilmente
era semplicemente un pensiero reciproco, concluse senza farsi altri
castelli in aria, concentrandosi sul placido ritmo del respiro del
Paladino Blu, mentre una debole belle d’oca gli risaliva lungo la
colonna vertebrale al familiare profumo maschile dell’altro.
« Ti denuncerei all’accalappiacani. » commentò divertito il più giovane, immaginando Coran o Shiro armati di retino e sguardo truce.
« Chiameresti la mamma? Che codardo. »
bofonchiò in risposta Keith, arricciando il naso, infastidito
dal procedere della discussione, quando lui voleva solamente dormire e
godersi la compagnia del compagno di squadra nell’unico modo in
cui questa non fosse enormemente irritante, ovvero in silenzio.
« Stai minacciando di azzannarmi la faccia, si tratterebbe di legittima difesa legale. »
rispose il cubano, apparentemente tutt’altro che interessato a
mettere a tacere la sua inutile parlantina, nonostante gli occhi blu
fossero ormai socchiusi ed osservassero distrattamente il cielo esterno
solamente con la zona periferica.
« Sarebbe quindi immensamente saggio starsene zitti. »
tentò di liquidare il maggiorenne, alzando appena il tono della
voce al semplice mormorio, sapeva di aver fatto un errore
madornale a tornare fuori armato di coperta e buone intenzioni,
Lance non si smentiva mai né mai si sarebbe smentito, avrebbe
fatto qualsiasi cosa per irritarlo, infastidirlo o frustrarlo.
«
Probabilmente non hai tutti i torti, sai? Ovvierebbe sicuramente
qualsiasi implicazione positiva o, in questo caso, certamente negativa
chiudessi la bocca; ma vorrebbe dire perdere un’occasione per
conoscerci meglio e legare maggiormente, sai, per il bene della
squadra— » iniziò il più alto, la voce
alla stessa altezza della risposta scocciata del Paladino Rosso, il
tono che tradiva volontariamente l’intento scanzonatorio, mentre
strusciava ancora la guancia abbronzata contro i soffici capelli neri
del compagno, soffocando una risata nel sentirlo ringhiare
sommessamente « —e
soprattutto mi macchierei dell’onta di privarti del suono della
mia melodica voce, delle informazioni del mio magnifico cervello e
delle brillanti battute che mi rendono l’anima della festa e
l’idolo delle ragazze. » continuò, mentre il
ringhio di Keith aumentava d’intensità, fino a zittirsi e
constringere Lance ad alzare la testa dal suo capo, gli occhi viola
socchiusi e freddi, le labbra serrate e l’espressione irritata
che solitamente gli riservava.
Il Paladino Blu
non riuscì a trattenere un sorriso di soddisfazione, inspirando
teatralmente, pronto a ricominciare il monologo senza capo né
coda, un insieme di parole quasi senza senso, fine unicamente ad
alimentare il fastidio del corvino, ormai vicino alla morte per
stanchezza.
« Smettila. »
sibilò imperante e minaccioso, facendo scattare appena la
mascella, rinnovando l’avvertimento precedente, lo sguardo fisso
e serio sulle iridi blu dell’altro Paladino, che nascose sotto la
coperta celeste il dito indice che aveva alzato inconsciamente per
gesticolare in accompagnamento alle sue frasi sconclusionate.
« A cuccia~ »
lo prese nuovamente in giro, prima di soffocare un’esclamazione
di sorpresa nel trovarsi premuto alla finestra al suo fianco sinistro,
il labbro inferiore pizzicato per poche frazioni di secondi da una
stretta delicata, appena percettibile, dei denti della vittima
preferita dei suoi scherzi infantili.
« KEI— » esclamò
ad alta voce, più per sorpresa che per altro, il viso in fiamme
ed il cuore improvvisamente palpitante nella cassa toracica. Tutto
d’un tratto le morbide coperte aliene sembravano fin troppo
riscaldate, mentre sentiva le labbra andare a fuoco contro quelle del
Paladino Rosso, il respiro mozzato ed il freddo della superficie
trasparente contro il collo nudo.
Keith lo stava baciando, gli occhi socchiusi ed il corpo muscoloso, ancora avvolto dalla coperta rossa, premuto contro il suo.
Un bacio casto,
silenzioso, quasi infantile se non avesse mandato l’intero
sistema nervoso del Paladino Blu in cortocircuito: sentiva brividi
lungo la schiena rigida, le mani accaldate, la testa leggera e lo
stomaco sottosopra. Con un elenco di sintomi del genere, Coran avrebbe
dichiarato l’ora del decesso e chiuso la questione a priori.
Nella frazione
di un secondo, Lance rilassò i muscoli della schiena e della
mascella, socchiudendo appena le labbra e spingendosi a sua volta
contro la bocca dell’altro, per ritrovarsi con le braccia
leggermente protese verso di lui, le spalle lievemente incurvate a
colmare la poca differenza di altezza con il più anziano ed un
vuoto improvviso che stridette rumoroso quanto le unghie sulla lavagna
nella sua testa, facendogli sbarrare gli occhi scuri ed avvampare
ulteriormente il viso quando si trovò davanti
l’espressione indefinita di Keith, le braccia visibilmente
incrociate sotto la coperta rossa.
Si era scostato e lui era rimasto in quell’imbarazzante posa in una bolla di improvvisa e dilaniante vergogna.
« Ora va meglio. »
concluse il corvino, tornando ad appoggiarsi al muro e socchiudendo gli
occhi, la voce appena incrinata dall’imbarazzo e le gote
visibilmente rosse sulla carnagione candida.
Dal canto suo
Lance rimase in silenzio per svariati istanti, la coppia di neuroni
ormai sul piede delle dimissioni e il sistema circolatorio più
in sciopero che altro.
« K-Keith »
richiamò, la voce appena più alta di un sussurro, al che
l’altro aprì l’occhio destro, osservandolo di
sottecchi, l’espressione visibilmente scocciata.
« Che c’è »
bofonchiò in un sospiro, stava anche scomodo appoggiato al muro,
almeno poteva fare lo sconvolto facendogli da cuscino, se proprio,
pensò fra sé e sé, cercando di soffocare
brutalmente la tachicardia che ancora gli rimbombava nel petto. Fai
l’indifferente, Keith.
Vai così.
Una lastra di ghiaccio.
« Mi hai baciato »
puntualizzò il Paladino Blu, spezzando il silenzio quasi irreale
tra i due, improvvisamente consapevoli di star galleggiando
all’interno del cosmo, avvolti dall’unico suono
dell’universo che filtrava dalle imponenti pareti di metallo
alteano.
« Ti ho morso »
lo rimbeccò Keith, chiudendo l’occhio e mettendo la parola
‘fine’ a quella inutile discussione, incassando il capo tra
le spalle, avvolto nella coperta vermiglia.
« Dopo »
insistette Lance, alzando appena il tono della voce incrinata, il
corvino pensò a quanto quel tono irritante gli ricordava il
pigolio dei cani quando per errore si pestava loro la coda.
« Hai urlato, ti ho zittito »
concluse nuovamente, il tono impassibile, socchiudendo entrambi gli
occhi e fissandolo con espressione annoiata, sbuffando e tornando a
tentare di dormire contro il muro per ovviare ulteriori
approfondimenti, ispirando profondamente cercando per l’ennesima
volta di placare l’ansia e l’emozione. Sotto la coperta,
sentiva le dita chiare tremare appena, lo stomaco tutt’intento a
dare luogo ad una dimostrazione pratica di stretiching estremo.
« Ah. »
esclamò infine il cubano, come se la risposte fosse il motivo
più scontato ed ovvio del mondo per baciare chicchessia e
spalmarlo contro la superficie più vicina per poi scansarsi e
far finta di nulla.
Abbassò
lentamente le braccia, fino a quel momento ancora protese nella
direzione del più grande, l’espressione confusa e
concentrata, lo sguardo catturato da qualcosa in un punto indefinito
davanti a lui, all’altezza degli occhi chiusi del compagno di
squadra.
Il silenzio si
prolungò ulteriormente, Keith iniziava ad agitarsi sempre di
più man mano che i secondi ed i minuti passavano: Lance non era
tornato ad accoccolarsi al suo fianco, né a fissare il cielo;
non aveva risposto alle sue ridicole motivazioni, né aveva
sghignazzato del suo tentativo di occultare l’ovvio, tra il
palese rossore sul suo viso e l’evidente difficoltà che
stava avendo nel tenere gli occhi chiusi ed il corpo immobile, con gran
parte degli organi interni in completa anarchia comunista, a cominciare
dal cervello, che aveva evidentemente deliberato di andarsene a quel
paese in grande stile e quanto prima.
Soprattutto,
Lance non era sbottato. Non lo aveva preso in giro, sbeffeggiato,
rifiutato, deriso o abbandonato in mezzo al corridoio, anche se ne
avrebbe avuto motivazioni più che sufficienti per limitarsi a
salutarlo ed infilarsi finalmente nel suo letto e lasciarlo in pace,
lui e la sua irritante presenza nella sua testa, nel suo stomaco, nella
sua ira e sul suo viso.
La (mancanza di)
pazienza del Paladino Rosso lo aiutò a raccogliere il poco di
coraggio e dignità che gli rimanevano, aprendo nuovamente gli
occhi viola e ritrovando il compagno di squadra esattamente nella
stessa posizione di prima, lo sguardo ancora concentrato e perso nel
vuoto, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la schiena contro la
parete di simil-vetro e la coperta disposta in maniera scomposta e
raffazzonata sulle sue spalle incurvate.
Lo
osservò, prima di sottecchi e poi sporgendosi appena nella sua
direzione, iniziando seriamente a preoccuparsi di non aver creato dei
danni al chiaramente già difettato sistema nervoso del Paladino
Blu, considerando le battute che reputava divertenti e quelle che
utilizzava per (non) rimorchiare.
« Lance? »
richiamò in un sussurro, sussultando al vedere l’altro
voltarsi di scatto e metterlo a fuoco, non aveva mai visto i suoi occhi
blu farsi così grandi.
« Sto per strillare. »
dichiarò con voce piatta, facendo sbiancare il viso
dell’altro, già in paranoia da reazione plateale, teatrale
e di pubblico rifiuto e scherno.
« L-Lance, aspetta, non intend- »
iniziò, rantolando nervosamente, la voce appena più alta
del mormorio che aveva proferito il cubano. Sentì mancargli il
respiro ed il nodo allo stomaco farsi macigno nel petto.
« Davvero, Keith, non sto scherzando » lo interruppe il diciassettenne, lo sguardo sicuro e minaccioso, la voce appena più ferma « Ora mi metterò ad urlare »
avvertì nuovamente, fissandolo insistentemente « E gridare
» proseguì, incurvando appena gli angoli della bocca in un
sogghigno accennato, mentre la sequenza di scene di isolamento dal
gruppo e solitudine proiettata della positiva mente di Keith si fermava
bruscamente all’apparizione del solito, sfacciato ed irritante
ghigno sul viso di Lance.
« E svegliare tut— »
—
L’acuto
suono delle stoviglie alteane che venivano sovrapposte tra loro tra le
mani di Hunk risuonò per tutta la cucina, assieme alla voce del
Paladino Giallo che sembrava molto interessato a raccontare sé
stesso il sogno della notte passata, qualcosa a che vedere con branchi
di lupi all’attacco al chiaro di luna, o similare.
« Hunk? »
la voce sorpresa di Pidge, in piedi alle sue spalle, lo colse
impreparato, rischiando che rovesciasse a terra gli ampi piatti di
materiale sconosciuto e portandolo poi a girarsi con un gran sorriso
dipinto sul viso scuro.
« Buongiorno Pidge! »
trillò, osservando soddisfatto l’espressione della
quindicenne illuminarsi nella complessa associazione di vederlo in
cucina a quell’ora a preparare da mangiare al resto della squadra.
« HUNK! » esclamò il cervello del gruppo, alzando le braccia al cielo di gioia.
« Sei la mia persona preferita! »
continuò, gli occhi quasi lucidi di commozione: quella mattina
era rotolata a forza fuori dal letto con la rassegnazione nel cuore
all’ennesimo pasto senza capo né coda né sapore o
consistenza gradevoli, trovare il cuoco del team di nuovo a spadellare
in cucina le aveva rianimato la speranza nel futuro ormai persa tra le
ricette di Coran.
« Lo so, lo so »
replicò il Paladino del Leone Giallo, l’espressione di
finta modestia dipinta in viso mentre disponeva la colazione nei piatti
di ognuno sotto i famelici occhi dorati della ragazza, la cui pazienza
sembrava essere completamente svanita assieme ad ogni granello di sonno
rimastole.
« Oh, sia ringraziato- Hunk, ti voglio bene. »
la voce di Shiro gli strappò una fragorosa risata, aveva parlato
con il sollievo il gola e le spalle improvvisamente rilassate rispetto
alla postura impettita da soldato che aveva usualmente.
« Dovreste almeno aspettare di aver assaggiato qualcosa prima di celebrarmi a questo modo! »
rispose Hunk, porgendo loro i rispettivi piatti e sorridendo
all’espressione estatica del giapponese, prendendo poi la propria
razione ed incamminandosi in direzione della Sala da Pranzo poco
distante.
« Mi hai appena reso la voglia di vivere. » concluse
la Paladina Verde, prendendo posto alla lunga tavolata bianca
nell’ampia stanza bianca sulla sedia bianca nell’enorme
nave bianca.
Il
diciassettenne rise nuovamente, accomodandosi poco distante e seguendo
con lo sguardo il più anziano del gruppo mentre questi si sedeva
di fronte a lui, con movimenti molto meno posati rispetto al solito.
« Da quanto tempo sei in piedi a cucinare? Ieri sembravi distrutto- »
commentò Shiro, ricordandosi un minimo di buona educazione anche
se questa significava aspettare di gettarsi a capofitto tra la cosa
più simile a dei pancake e dei muffin da quando avevano
attraversato il primo wormhole mesi prima, a bordo del Leone Blu e
guidati da Lance.
Hunk
deglutì il boccone che aveva addentato pochi istanti prima,
alzando appena le spalle ed inclinando il capo verso sinistra.
«
Non molto, spadellare mi rilassa e avevo il sentore che fossimo tutti
saturi della brodaglia verde del menù preferito di Coran »
rispose quindi, facendo poi cenno al Paladino Nero di cominciare a
mangiare. Seduta accanto a Takashi, Pidge aveva già spazzolato
metà della sua razione, mugolando estatica. Shiro avrebbe potuto
giurare di vederla scodinzolare una coda immaginaria, e non era nemmeno
la più schizzinosa del gruppo in fatto di cibo, chissà la
scenata che avrebbe fatto Lance quando avrebbe deciso di presentarsi.
A proposito.
« Buongiorno Paladini di Voltron! »
stillò a gran voce una baffuta figura all’entrata della
sala, l’uniforme blu impeccabile come al solito, almeno quanto la
meticolosa acconciatura di capelli e baffi rossi.
« Buongiorno Coran. »
la risposta gli giunse solo dal diciassettenne, Pidge troppo impegnata
a godersi il pasto e Shiro immerso nel contemplativo silenzio del primo
morso di cibo decente da più di un mese.
« Vedo che vi siete già organizzati per rifocillarvi »
continuò, avvicinandosi alla lunga tavola ed evitando
volutamente il contatto visivo con il fautore delle cibarie. La
rivalità culinaria tra i due era rimasta in termini amichevoli
per parecchio tempo, frenata dall’idea che i sapori della
tradizione erano più rassicuranti per i Paladini rispetto
all’avanguardia alimentare alteana, ma quanto Allura aveva
iniziato a nascondersi dietro Lance per scambiare il piatto con lui e
mangiare le preparazioni di Hunk, Coran ne era rimasto mortalmente
ferito nell’orgoglio.
« Dove sono Numero Quattro e Numero Tre? » domandò poi, cambiando argomento per allontanarsi dal doloroso ricordo del tradimento della sua Principessa.
«
Keith sarà probabilmente già ad allenarsi, e Lance
starà perdendo ancora al videogame che abbiamo in Sala Com-
» ipotizzò Numero Due, tra un boccone e
l’altro. L’alteano li aveva ‘nominati in ordine di
altezza’, parole sue, e questo faceva di Pidge ‘Numero
Cinque’ e Shiro ‘Numero Uno’. Non che non avesse poi
imparato i loro nomi e soprannomi vari, ma sembrava essersi affezionato
a quegli appellativi, e loro non avevano mosso lamentela alcuna,
soprattutto quando il polemico Lance poteva vantarsi di essere
più alto di Keith.
Katie si
schiarì la voce, interrompendo l’ex compagno di scuola e
sfoderando un ghigno divertito nella direzione di Shiro.
« A dire il vero- »
iniziò, ignorando l’espressione di rimprovero del leader,
impegnato a trangugiare quanto aveva in bocca per zittirla verbalmente,
troppo posato per tapparle la bocca a mani nude.
« -quando ci siamo svegliati erano impegnati a farsi le fu- »
continuò, spostando lo sguardo ad Hunk, il sogghigno sempre
più ampio, agitando la stramba forchetta alteana nella mano
destra, gesticolando come suo solito.
« Katie! »
la richiamò il Paladino Nero, aumentando la curiosità
dell’alteano, mentre Hunk sgranava gli occhi, sorridendo
incredulo ed ignorando il richiamo del giapponese per l’amica.
« No! »
esclamò con fare interessato, inclinandosi verso la ragazza e
seguendo con lo sguardo il capo di quest’ultima annuire
lentamente e con enfasi.
« OHMMIODDI— »
continuò, battendo i palmi scuri delle grandi mani sulla
superficie del tavolo, facendo sospirare sconsolatamente il capogruppo,
illusosi che ammonire la quindicenne alla vista dei due ragazzi
assopiti, ancora accoccolati contro la finestra, sarebbe bastato a
farle mantenere un profilo discreto sulla faccenda.
« Hunk! » lo richiamò l’unico adulto seduto alla tavolata, sospirando nuovamente.
«
Non ne sappiamo niente, lascia perdere il gossip prima di sentirli
lanciarsi dietro roba da stanza a stanza. Hanno appena smesso di
colpirsi volontariamente durante gli allenamenti, non ho intenzione di
vederli lanciarsi l’un l’altro contro il primo incrociatore
Galra che ci passa sotto il naso per orgoglio. »
Il Paladino
Giallo si zittì, annuendo appena e tornando a sedersi in maniera
più composta, imitato dalla quindicenne ed ignorando lo sguardo
confuso ed indagatore di Coran, prima che la voce di Keith esplodesse
in una sequela di insulti confusi lungo il corridoio su cui dava la
Sala, rimbombando per mezza ala del palazzo.
—
Il Paladino
Rosso socchiuse le palpebre, l’espressione rilassata dal
risveglio placido dovuto all’aumento della luminosità
delle luci del corridoio, seppur graduale.
Tentò di
allungare il collo e le braccia nel classico movimento di routine,
trovando entrambe le movenze ostacolate: la prima dal peso del viso di
Lance appoggiato ai suoi capelli, la seconda da quello delle braccia
del compagno di squadra abbandonate sul suo petto.
Sentì un
calore ormai familiare risalire rapidamente verso le gote mentre
irrigidiva i muscoli di tutto il corpo, trattenendo inconsciamente il
respiro nel tentativo di riavviare il server centrale e velocizzare il
processo di contestualizzazione del tutto.
Aveva la schiena appoggiata al petto del Paladino Blu, ne sentiva il respiro lento tra i capelli.
Alzò la
mano destra, incontrando il ginocchio del cubano appoggiato al muro
chiaro, mentre l’altra gamba vestita di jeans celesti sgualciti
era rilassata al suo fianco sinistro.
Era intrappolato. Non c’era modo che si divincolasse dalla placida presa del diciassettenne senza svegliarlo.
Sentì il
cuore rimbalzargli in gola con forza al ricordo di poche ore prima,
avvampando ulteriormente e lasciandosi sfuggire un rantolio sommesso
mentre cercava di nascondersi nelle coperte stropicciate che li
coprivano entrambi, accoccolandosi ulteriormente contro il petto del
latinoamericano in un riflesso automatico.
Aveva passato
mesi a cercare di instaurare un rapporto decente con quel pezzo
d’imbecille, per il bene della squadra e l’affiatamento dei
Paladini nell’utilizzo di Voltron e sul campo di battaglia.
Ed erano
settimane che cercava di capire in che istante, durante quei mesi, il
vedere Lance mezzo addormentato la mattina, a colazione, si era fatto
più piacevole e meno fastidioso; da quando le loro stupide
discussioni senza motivo erano diventate fonte di risate e non di
minacce di morte; in che frangente, per la prima volta, aveva pensato
che l’altro avesse un bel sorriso, in mezzo a tutti quei
sogghigni maliziosi e provocatori.
Non ricordava
quasi più la prima volta che si era scoperto osservarlo per un
secondo di troppo, mentre questi era intento a fare il cascamorto per
l’ennesima volta, con l’ennesima sconosciuta in adorazione
dei Leoni meccanici atterrati sul pianeta per offrire aiuto alla sua
gente.
Era poco
professionale, aveva lamentato a Shiro. Non poteva mettersi a fare lo
stupido con ogni forma di vita bendisposta e di bell’aspetto che
si presentava sulla loro strada, avrebbe potuto mettere in pericolo una
qualsiasi missione con quella parlantina senza freni che sfoderava ad
ogni pié sospinto.
Il Team Leader
si era limitato a spettinargli i capelli, mandandolo in bestia, e
confermandogli che lui di Lance si fidava, per quanto imbranato potesse
sembrare, non avrebbe messi in pericolo la squadra.
Almeno, non per la seconda volta.
Quindi si era
dovuto sorbire le avances pietose del cubano per molte altre missioni a
seguire, sentendo crescere il fastidio e la frustrazione, fino a quando
non venne ripreso proprio dal diciassettenne ad una sua frecciata nei
confronti di una verde fanciulla estatica del loro ultimo successo.
« Avanti, Keith, non sarai mica geloso? » aveva
scanzonato il più giovane, facendolo sentire prima terribilmente
ridicolo, e poi riconfermandosi un perfetto idiota « Hai una fila di Eriviane alle tue spalle che vogliono farsi una foto con te, basta provarci! »
aveva quindi concluso, quasi offrendosi da mentore, ricevendo un sonoro
invito ad andarsene in posti speciali, prima di essere abbandonato dal
pilota del Leone Rosso in mezzo a quella calca di fan.
Ancora
infastidito dalla scena, cercò di incrociare le braccia al
petto, scontrandole ancora con quelle dell’altro, ritornando
bruscamente alla realtà del presente e abbandonando i ricordi di
due settimane prima.
« ‘Giorno. »
bofonchiò con suo estremo orrore Lance, sfregando il naso
appuntito contro la sua nuca, prima di tornare ad appoggiare il mento
sulla cima dei soffici capelli corvini del maggiorenne.
« Mh. »
rispose agitato il Paladino Rosso, impietrito. Non aveva considerato
l’idea che, prima o poi, l’idiota si sarebbe effettivamente
svegliato dal mondo dei sogni.
Poche ore prima
aveva passato quasi mezz’ora a baciarlo premendolo contro il
vetro alle sue spalle, ricordava il sapore delle sue labbra fin troppo
vividamente perché riuscisse a riappropriarsi della calma, ed il
fatto che ora l’altro si mettesse a stringerlo non aiutava.
Lo sentì appoggiare il viso alla sua spalla destra, voltando il viso verso di lui.
« Ho fame. »
commentò quindi con naturalezza, gli occhi blu puntati su un
soggetto indefinito oltre l’orizzonte, probabilmente concentrati
a sperare in una colazione diversa da quelle preparate da Coran.
Keith
accennò appena un sorriso, sospirando e rilassando la schiena,
non sembrava essere sconvolto dalla sera prima, né poi
così diverso dal solito polemico.
« Dovremmo alzarci. »
mormorò, sussultando nel percepire le gambe dell’altro
allungarsi sotto le coperte, prima che esercitassero una leggera
pressione contro le sue.
Alzò lo
sguardo, incontrando i profondi occhi blu del più alto,
sorridendo appena ed avvicinandosi alle sue labbra, lo stomaco ancora
in subbuglio.
« Ohi, amico, hai un alito tremendo! »
esclamò il cubano, ridacchiando senza spostarsi, prima di
sbiancare all’espressione che andava dipingendosi sul viso di
Keith, improvvisamente conscio di essere schiacciato tra un permaloso
soldato abituato al combattimento corpo a corpo che aveva appena messo
in tremendo imbarazzo e la parete trasparente alle sue spalle.
« Lurido pezzo di merda »
iniziò a ruggire il più grande, divincolandosi dal suo
abbraccio e cercando di alzarsi, costringendo Lance a lasciar perdere
l’idea di costringerlo finché non si fosse calmato e
cominciare a correre quanto prima.
« TORNA QUI, LANCE. TORNA SUBITO QUI. »
lo sentì sbraitare, mentre il suono delle sue scarpe da
ginnastica rimbombava per il corridoio, seguito da quello degli stivali
di Keith.
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