Albuquerque, sola andata

di crimsontriforce
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Mi siedo sulle stelle e piango








C'è una lanterna, sopra di me. Arde. Ma getta più fumo che luce nell'aria di questa caverna in cui tutto si ricopre di un velo di blu.

Nei giochi non era così.

Nei giochi c'era un obiettivo. C'era il raggiungimento di un obiettivo.
Imprigiona Gehn. Salva Releeshahn. Implicito: già che sei lì, aiuta quel povero cristo a tornare a casa sua.
Fatto, fatto, signorsìssignore.
Anche nei finali cosiddetti buoni non c'era felicità o, se c'era, era comunque legata a filo doppio con una tristezza più profonda e me ne sono avveduta troppo tardi, quando già era tutto finito, presa com'ero dall'orgoglio del mio successo e magari da un sorriso saggio e lieve sulle labbra di Sheila Goold.

Qui? Cosa sto facendo qui? Per che cosa esploro e ragiono, Yeesha, se i torti che mi mostri sono sepolti dai secoli? Cosa posso fare? C'era una città ed era costruita sul sangue. C'è una città ed è morta e temo che non risorgerà grazie a un enigma risolto o due. Avevo provato affetto per quegli edifici e il suo popolo, quando ancora li credevo fittizi. Cosa ho guadagnato da queste visioni? Solo disgusto. Non c'è dolcezza nella verità: qualunque storia amica sperassi di ritrovare quando, nell'albero, ho toccato il pannello di Relto s'infrange qui e ora.

D'ni è marcia dentro e la mia guida è incerta.
Le storie sussurrano orrori.
Non doveva andare così. So cosa dicono da queste parti dei finali, ma non è un pensiero che consoli.

Mi siedo sul bordo della piattaforma di pietra, con i piedi che dondolano su un mare di stelle. Il pensiero segue di qualche lunghezza il cuore e lentamente ci arriva anche lui:
È la Fessura. La Fessura Stellata.
La frattura fra i mondi, lo spazio gentile. 'La Divina Provvidenza in versione locale', come scherzosamente la chiamavo da oltre lo schermo di un televisore. È commovente, nelle sue profondità infinite.
Il vederla sotto di me, il sentire la qualità diversa del suo spazio sulla pelle, mi svuota e scaccia anche il ragionevole dubbio che potrebbe riportarmi a casa, o che se così fosse, e se in questo momento mi si sfilasse una scarpa, questa avrebbe una possibilità su qualche milione di finire in testa al signor Zandi.

Poi il pensiero riprende lo stacco accumulato e tutto quello che so è che voglio tornare a casa. Prendere il primo aereo e andarmene. Chiudere le orecchie a questa storia che è dura e fredda come la pietra su cui si fonda e piazzarmi al computer e poter tornare a scrivere di un lieto fine in fondo a questa storia di specchi in cui più mi osservo e più mi perdo nel labirinto di riflessi.

Poi resta ancora indietro di un'incollatura. La verità di un uomo si trova nell'oscurità sotto la superficie. La luce di Teledahn cosa mi ha mostrato su di me, e sono disposta a vederlo?
E Yeesha da una registrazione invisibile parla di sentieri, parla di seguire le orme di suo padre, del suo adorato padre, e tutto diventa un po' meno straniero – un po' più Straniero, a voler esser leziosi – e c'è ancora un fardello sulle spalle di quell'uomo e di sua figlia che proprio non posso lasciare intatto, pena la dignità.
Ma resta troppo dannatamente complicato. E triste.

Così, piango. Piango a lungo, piango per sfogo, piango perché ne ho una voglia disperata e quando sento di non poter piangere più mi alzo, sfioro il glifo luminoso che sembra guardarmi con gli stessi occhi eterni di Yeesha, sento la sua voce tornare a parlare di un Viaggio che non capisco e scoppio ancora in un pianto dirotto.
La roccia porosa della caverna assorbe tutto e lo trattiene con sé. Se anche qualche Bahro mi sta osservando, lassù dagli anfratti bui, non viene in mio aiuto.

Anche nei giochi ero sola.
Ma nei giochi non era così.








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