Albuquerque, sola andata di crimsontriforce (/viewuser.php?uid=1320)
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Mi siedo sulle stelle e piango
C'è una lanterna, sopra di me. Arde.
Ma getta più fumo che luce nell'aria di questa caverna in
cui tutto
si ricopre di un velo di blu.
Nei giochi non era così.
Nei giochi c'era un obiettivo. C'era il
raggiungimento di un obiettivo.
Imprigiona Gehn. Salva Releeshahn.
Implicito: già che sei lì, aiuta quel povero
cristo a tornare a
casa sua.
Fatto, fatto, signorsìssignore.
Anche nei finali cosiddetti buoni non
c'era felicità o, se c'era, era comunque legata a filo
doppio con
una tristezza più profonda e me ne sono avveduta troppo
tardi,
quando già era tutto finito, presa com'ero dall'orgoglio del
mio
successo e magari da un sorriso saggio e lieve sulle labbra di Sheila
Goold.
Qui? Cosa sto facendo qui? Per che cosa
esploro e ragiono, Yeesha, se i torti che mi mostri sono sepolti dai
secoli? Cosa posso fare? C'era una città ed era costruita
sul
sangue. C'è una città ed è morta e
temo che non risorgerà grazie
a un enigma risolto o due. Avevo provato affetto per quegli edifici e
il suo popolo, quando ancora li credevo fittizi. Cosa ho guadagnato
da queste visioni? Solo disgusto. Non c'è dolcezza nella
verità:
qualunque storia amica sperassi di ritrovare quando, nell'albero, ho
toccato il pannello di Relto s'infrange qui e ora.
D'ni è marcia dentro e la mia guida è
incerta.
Le storie sussurrano orrori.
Non doveva andare
così. So cosa dicono da queste parti dei finali, ma non
è un
pensiero che consoli.
Mi siedo sul bordo della piattaforma di
pietra, con i piedi che dondolano su un mare di stelle. Il pensiero
segue di qualche lunghezza il cuore e lentamente ci arriva anche lui:
È la Fessura. La Fessura Stellata.
La frattura fra i
mondi, lo spazio gentile. 'La Divina Provvidenza in versione locale',
come scherzosamente la chiamavo da oltre lo schermo di un televisore.
È commovente, nelle sue profondità infinite.
Il vederla sotto di
me, il sentire la qualità diversa del suo spazio sulla
pelle, mi
svuota e scaccia anche il ragionevole dubbio che potrebbe riportarmi
a casa, o che se così fosse, e se in questo momento mi si
sfilasse
una scarpa, questa avrebbe una possibilità su qualche
milione di
finire in testa al signor Zandi.
Poi il
pensiero riprende lo stacco accumulato e tutto quello che so
è che
voglio tornare a casa.
Prendere il primo aereo e andarmene. Chiudere le orecchie a questa
storia che è dura e fredda come la pietra su cui si fonda e
piazzarmi al computer e poter tornare a scrivere di un lieto fine in
fondo a questa storia di specchi in cui più mi osservo e
più mi
perdo nel labirinto di riflessi.
Poi
resta ancora indietro di un'incollatura. La
verità di un
uomo si trova nell'oscurità sotto la superficie. La
luce di Teledahn cosa mi ha mostrato su di me, e sono disposta a
vederlo?
E Yeesha da una
registrazione invisibile parla di sentieri, parla di seguire le orme
di suo padre, del suo adorato padre, e tutto diventa un po' meno
straniero – un po' più Straniero, a voler esser
leziosi – e c'è
ancora un fardello sulle spalle di quell'uomo e di sua figlia che
proprio non posso lasciare intatto, pena la dignità.
Ma resta troppo dannatamente
complicato. E triste.
Così, piango. Piango a lungo, piango
per sfogo, piango perché ne ho una voglia disperata e quando
sento
di non poter piangere più mi alzo, sfioro il glifo luminoso
che
sembra guardarmi con gli stessi occhi eterni di Yeesha, sento la sua
voce tornare a parlare di un Viaggio che non capisco e scoppio ancora
in un pianto dirotto.
La roccia porosa della caverna assorbe
tutto e lo trattiene con sé. Se anche qualche Bahro mi sta
osservando, lassù dagli anfratti bui, non viene in mio aiuto.
Anche nei giochi ero sola.
Ma nei giochi non era così.
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