Cuore
Altra breve one-shot; ho tratto ispirazione da un'intervista rilasciata dal Tori. Spero vi piaccia, buona lettura :*
Cuore
Iniziarono con un
bacio.
Dopo un respiro di
indecisione, le loro labbra si toccarono, chiuse, e decussarono i loro cuori in
un abbraccio, avvicinandosi l’uno al corpo dell’altro.
Incredibile ciò
che stesse facendo Vegeta e non se ne sarebbe mai creduto capace, perciò seguì
l’istinto senza troppe complicanze in un gesto che, in fin dei conti, aveva
l’antichità del tempo.
Stanco, depresso;
raccolse il volto di Bulma tra le mani e approfondì la suzione, suggellandosi
ad essa in un sospiro che, per una volta, non fu di morte ma di quiete.
E le loro bocche
si schiusero, le lingue si sfiorarono; ognuno conobbe il sapore dell’altro. Si
spogliarono a vicenda, senza neanche togliersi tutto in una lussuria crescente.
Il resto non le
sarebbe piaciuto altrettanto; troppo veloce, troppo egoismo verso un piacere
unidirezionale, non il suo. Ma Bulma lo avrebbe perdonato, per l’amore di essere
riuscita ad abbracciarlo.
Dopo, Vegeta non
la uccise.
Entrò nella stanza
e lo vide, prima ancora di accendere la luce. Non l’accese; rimase con il
braccio a mezz’aria, la punta delle dita a sfiorare l’interruttore. Iniziò ad
osservare Vegeta, studiando la situazione peculiare in cui pareva immerso, con
la televisione accesa, lasciata su dal dottor Brief in sottofondo, prima che
sparisse chissà dove. Un film d’azione, le cui roboanti immagini si stagliavano,
dorate, contro la sua figura aliena; bronzavano le sue spalle nude, incastonate
tra fili d’ombra che disegnavano i contorni dei suoi muscoli perfetti. Era
attraente Vegeta, a scoppio ritardato; chissà se ne rendeva conto. La sua mente
molto più del suo corpo.
E se non si
accorse subito di lei fu soltanto perché perso in pensieri più densi del suo
profumo dolce, in considerazioni più pesanti dei suoi passi leggeri. Avrebbe
potuto accorgersene ma, in fondo, nemmeno gli importò e continuò a contare le
luci argentate di un città ancora sconosciuta, sciolta dall’afa notturna che,
con il suo riverbero azzurro, gli bagnava gli zigomi alti e le nocche di un
pugno serrato contro la bocca sottile. Schiuse appena le labbra per
mordicchiarsi l’unghia del pollice e non si mosse, quando Bulma gli si sedette
accanto, sul tappeto, assumendo la sua stessa posizione, contro il divano, a
gambe incrociate. Distante.
Cartoni vuoti,
eccetto che per una fetta di pizza, erano sparsi sul pavimento, probabilmente
lì da ore, e, ai piedi di Vegeta restava, accasciato come un cadavere, un
generatore di ki blast. Non occorreva sprecare materia grigia per capire chi
l’avesse rotto e a chi fosse stato chiesto, inutilmente, di riaggiustarlo.
Le piaceva da
morire il suo naso, sottile e impercettibilmente all’insù. Ed era strano
accorgersi quanto, di lui, le piacesse ogni giorno qualcosa di nuovo. Tornando
a guardarsi intorno, trovò il telecomando sul bracciolo del divano e spense le
bombe della tv. Restò il ronzio del condizionatore.
Quasi impossibile
indovinare a cosa pensasse, quando, rinchiuso in se stesso, non vedeva altro
che se stesso, ma le aveva raccontato della sua morte una mattina, con poche,
semplici ed efficaci parole, dandole la contezza di chi fosse realmente. Fu
inaspettato, come il riscoprirsi innamorata di chi aveva osato farla soffrire
prima ancora di conoscerla; di chi l’avrebbe fatta soffrire sempre, prima ancora
di riconoscersi. Non sarebbe però stata l’unica nel loro turbinoso rapporto,
fino alla serenità di entrambi, anche se per motivi diversi.
Bulma lo aveva
visto depresso, frustrato e arrabbiato con se stesso, già troppe volte da credere
che non fosse roba da mostri, provare emozioni così. I genocidi erano tanto più
spaventosi se compiuti da un’altra vittima in grado di capirne l’entità e non
da un semplice pazzo. E la terrorizzava il suo non voler nemmeno provare a
giustificarlo, ma, di lui, non aveva voluto che vedere la sua inusuale e
bizzarra umanità. Di questa si era innamorata: di tutto il suo bene, di tutto
il suo male; lo rendeva Vegeta.
Quante
donne hai avuto?
Quelle
che mi andava.
«Freezer era
troppo abituato a dare ordini.» Schioccò Vegeta, risvegliando l’attenzione di
entrambi.
Bulma rigirò il
telecomando tra le dita; «A questo pensavi?» Domandò, leggermente delusa.
«Non esattamente.
Ci sono arrivato adesso.»
Il discorso si
calmò lì, insieme ad una marea di parole non dette.
Bulma avrebbe
voluto baciarlo di nuovo e insegnargli che la vita poteva essere meno amara di
quel che credeva. Anche lei si sentiva sola, mascherata dalle proprie bugie per
mostrarsi più forte.
Ogni giorno Vegeta
trovava un nuovo appiglio a cui agganciare le proprie elucubrazioni. E se
Freezer fosse stato più indipendente, meno viziato, avrebbe ucciso subito tutti
quanti su Namecc; non ci sarebbe mai stato bisogno di un super saiyan. Il quale
non sarebbe mai apparso, inutile come la sua vendetta covata per anni, mai
davvero appagata se non con lacrime amareggiate da un orgoglio negletto,
nell’ineluttabilità della sua morte. Accettabile soltanto perché, alla bile e
al sangue tra i denti, non si era aggiunto che un ordine all’ultimo dei suoi
sudditi: uccidilo.
Lo
sai che Vegeta ha pianto su Namecc?
«E, comunque,
perché costruire una macchina del tempo invece di una navicella per raggiungere
Namecc e riportare tutti in vita?» Esclamò Vegeta, dopo una lunga navigata alla
deriva della sua mente.
Si era posta la
stessa domanda, senza maturare una risposta; rimase zitta.
«Allora?» E
sarebbe tornato a porsela lui stesso, quella domanda, in futuro, chiedendosi
come mai sua moglie non avesse piuttosto pensato di riportarlo in vita.
Tuttavia, non ne conosceva ancora molto, Vegeta, della propria, accontentandosi
di chiederlo, per la prima volta, ad und Bulma non ancora del tutto sua.
«Ci sto pensando!»
Rimbrottò lei, incrociando le braccia al petto, ma la risposta comunque non le
sovvenne. «Ma perché t’importa?» Concluse poi, quasi infastidita, non abituata all’assenza
di un suggerimento mentale. Non sarebbe stato neanche tanto difficile, avrebbe
anche lei pensato: trovare le coordinate di Neo Namecc, costruire una navicella
spaziale e richiamare in vita almeno Vegeta, il quale, all’avvento di Zamasu,
l’avrebbe riportata sullo stesso argomento. La scarsa fiducia nei suoi
confronti non gli sarebbe mai andata giù, perché era stata capace di infrangere
le regole divine e del tempo, per avvertire Kakaroth, non lui che, comunque, non
aveva mai detto di amare.
La verità all’ingiusta
accusa sarebbe però stata un’altra. Bulma lo avrebbe capito in un altro tempo,
al momento giusto, ma non lo avrebbe mai davvero spiegato a suo marito, un uomo
che non aveva ancora trovato spazio nel saiyan che le sedeva accanto.
E forse nessuna
Bulma avrebbe avuto l’umiltà di ammettere un tale limite; né Vegeta, avrebbe
mai ammesso una tale incidenza nel loro rapporto. La risposta sarebbe stata
Goku: la brezza che accompagnava le onde sulla risacca.
«Mi disgusta, la
vostra attitudine terrestre a portare del bene ovunque, persino dal futuro.»
Gli pareva
l’avessero fatto a posta per schiaffeggiare la sua fierezza già turbata, come
se la difficoltà nel risplendere super saiyan non fosse stata abbastanza.
Persino il bastardo di uno sconosciuto era riuscito a dar voce alla leggenda.
Ma non lui, il principe.
Un giorno, beato
del potere di un dio, con la mente sgombra da velenose rivalità, avrebbe
ripensato alle frustrazioni passate e accolto Goku nel senno dell’amicizia e
dell’accettazione di se stesso; ancora prima, avrebbe accolto Trunks, il
bastardo, nel senno del padre.
«Secondo te chi è
quel ragazzo?» Disse Bulma.
«Un bastardo.»
Perché un saiyan puro con capelli così ridicoli non si era mai visto.
«Uffa, intendevo
che dovresti saperlo, no?»
«Perché accidenti
dovrei?» Schioccò voltandosi, quasi inutilmente, a guardarla. Erano al buio,
alle sue spalle i grattacieli bianchi dalle cime tonde di West City che, indiamantati
dalle luci dell’insonnia, posavano stelle negli occhi blu oceano di Bulma.
«Beh se è un super
saiyan i suoi genitori dovranno essere stati saiyan, almeno uno di loro.»
«Perché tu conosci
tutti i terrestri di questo pianeta.»
«I saiyan erano
poche migliaia, l’hai detto tu stesso.»
Tch.
Tornò sulla città
e aggiunse. «Come se mi fosse interessato conoscerli.» Ma sapeva di ricordare
molti più guerrieri dell’armata di Freezer che saiyan. Li aveva già compiuti
simili calcoli, molto prima dei suoi trent’anni.
«Se pensi questo,
non mi stupisce che nessuno dei superstiti abbia voluto nominarti re.»
«Sta’ zitta.»
Parlava sempre
troppo Bulma e Vegeta era ancora troppo lontano da loro due come coppia, per
concederle il giusto rispetto. Tuttavia, si trattò di un ordine svogliato che non
la inquietò più di tanto.
«Dal tuo ottimo
umore si deduce che anche oggi hai fallito nell’impresa.» E glielo ricordò per
dispetto, mentre la conversazione assunse un’altra piega: la sua preferita.
«Perché, secondo
te?»
Sentirsi rivolgere
certe domande la faceva sentire speciale. Sapeva già di esserlo, Bulma, ma i
suoi amici non le davano molto credito, eccetto Vegeta. Il quale nel futuro
della sua vita, l’avrebbe ingelosita rivolgendole ad altri: al suo unico
maestro, Whis.
«Sono molto più
forte di lui quando si scontrò con Freezer.»
«Forse perché il
suo limite è inferiore e ha raggiunto prima il suo picco. Magari bisogna
arrivare al limite della forza e per te ci vuole più tempo perché hai più forza.»
Fu abbastanza orgogliosa della propria conclusione, gli aveva appena rivolto un
complimento, raro da parte sua.
«Non ha senso, che
stupidaggine.»
«Beh, allora,
forse ci vuole un cuore.» Disse
Bulma, adesso offesa dal modo blando con cui Vegeta aveva sbolognato la sua brillante
congettura. «E tu non ce l’hai.»
«Cu…cuore?» Le
rise in faccia e specificò. «Se non lo avessi non starei qui a parlarti…perché
sarei morto.»
«Inutile
scherzarci, Vegeta, sai bene cosa intendo: tu non sei come Goku.»
Lo sapeva,
purtroppo.
Nessuno aveva mai
conosciuto il super saiyan della leggenda, se non nelle storie tramandate
davanti al focolare, nelle pause tra una battaglia e l’altra, per incoraggiare
i guerrieri e ispirarli a lotte feroci. Senza pietà, appunto, senza cuore, ma se
davvero quel primo, leggendario, saiyan dorato lo avesse avuto o meno, un
fottutissimo cuore, nessuno poteva averlo saputo con certezza. Altre
generazioni di saiyan avevano raccontato le sue gesta, senza neanche sapere
cosa poi fosse successo, a quella leggenda lì.
Lo aveva chiesto a
suo padre, Vegeta, una volta, cosa ne fosse stato, dove fosse finito quel
famoso guerriero. Allora il Re si incrinò di sorpresa ma nulla aggiunse.
«Kakaroth ha
ucciso suo fratello mentre ha lasciato in vita me, e persino Freezer. Non è
cuore, è egoismo. È un saiyan.» Cercò di convincersi, sotto la folgore
dell’ennesima, ostinata considerazione.
Eppure, anche dopo
averlo tradito su Namecc, lasciandolo in balia di Jeeth e Ginew, rivedendolo,
Kakaroth gli aveva sorriso, nonostante mezzo morto per i pugni che, proprio
lui, gli aveva inferto con affatto celato gusto, nonostante sapesse quanta
voglia avesse ancora di ucciderli tutti, sia lui che suo figlio. E certamente nemmeno
l’ombra di un nemico comune avrebbe mai potuto giustificare quello sconvolgente
sorriso.
Kakaroth; il
figlio della più debole e rara di tutti i saiyan. Che fosse davvero quello il
gene dorato?
Gli
scarti come te vengono mandati su pianeti in cui non ci sono nemici potenti.
Ne
sono contento, visto che grazie a quello sono potuto venire sul pianeta Terra.
«Beh quel Radish
faceva spavento.» Disse Bulma, in perfetta disarmonia con i pensieri di Vegeta,
ricordando il primo saiyan avesse mai conosciuto e lo shock provocato dalle sue
parole, su di lei e su di Goku. Il quale dovette scoprirsi diverso e poco
lucido durante uno scontro che gli fu fatale.
«E tu come lo
sai?»
«Ero presente,
quando fece il suo bel discorso da sono un saiyan e ucciderò tutti. Mise i
brividi.»
«In quel momento
avevo appena conquistato un pianeta e stavo divorando il cadavere di un
alieno.» Questo era spaventoso.
Bulma si volse
sorpresa verso di lui, il suo profilo perso nella semi oscurità. «Con che
salsa?» E rise, prima dello scatto iracondo di Vegeta. Il quale le strinse la
mascella, costringendola a reclinare la testa contro la seduta del divano. «Non
prendermi in giro.»
Chiunque altri
sarebbe rimasto zitto, ma Bulma, nonostante tremasse, riuscì comunque masticare
un: «O…mi… divori?» Come la volta scorsa.
Vegeta arrossì
nella complicità del buio che lo nascose. La lasciò, risalendo la corrente dei
propri pensieri.
Tutti
morti?
Ora
non metterti a piangere, Radish, o ti faccio fuori.
E poi da principe
era diventato una bestia da mostrare con orgoglio, per suscitare terrore
indiretto nei confronti del suo padrone: Freezer.
Un essere
inferiore; lo avevano pensato entrambi, l’uno dell’altro, però non era stato
Freezer a doversi inginocchiare.
«Maledizione!» Vegeta
svettò, sormontato dalla rabbia. «Ma cosa accidenti avete, voi altri, da
sorridere tanto?» Dei fasci energetici gli avvolsero il braccio.
Generò una piccola,
ma potente sfera nel pugno, il suo viso corrucciato ne trovò il bagliore
sinistro, prima di puntarla lentamente contro Bulma, seduta ancora sul tappeto.
Guardava il saiyan con occhi sfavillanti della sua energia.
«Kakaroth davanti a
Freezer non ha sorriso. Ne sono sicuro. Ci vuole rabbia.»
Rabbia e calma, un
impossibile ossimoro, come una leggenda.
«Se sconfiggerai i cyborg, ucciderai
tutti?»
«Ovviamente.»
«Anche me?»
«In un istante.»
Indolore. Bulma
gli sorrise. «Baciami ancora.»
La sfera si
spense.
Fine
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