Follia
Piccola
premessa: questo racconto è stato scritto di proposito per
essere il più illeggibile e incomprensibile possibile.
Soltanto i più pazienti, capaci di pensare fuori dagli schemi,
saranno in grado di capire cosa succederà in questo testo e la
sua fine. Oppure avrai non ci capirai niente a priori e avrai solo
perso tempo!
Me ne stavo a casa,
avevo appena finito il turno di lavoro, erano le undici di sera.
Appoggiai il cappotto all'attaccapanni dell'ingresso di casa, sedetti
sul divano grato di aver finito un turno di dodici ore in fabbrica ad
affilare lame per la produzione di coltelli da cucina. Pagano bene,
difatti casa mia è arredata con una certa cura nel dettaglio,
soprattutto nella scelta di oggetti che se ne stanno in armonia con
altri oggetti. Il colore in prevalenza è il bianco, dei muri,
dei mobili e il nero, per gli oggetti che appoggiano sopra i mobili
bianchi, così da creare un bel contrasto. Mi stesi sul divano,
quando arrivò mia moglie vestita in pigiama e domandò,
rilassata «Ehi, non vieni a dormire?» le risposi
apprezzando la sua presenza, chiudendo gli occhi. «Sì,
un attimo, non riuscirei a fare un altro passo, sono stato in piedi
tutto il giorno.» Si appoggiò sopra di me e cominciai a
sognare. La monotonia della vita andrebbe spezzata, magari con una
spiaggia, ai tropici dall'altra parte del mondo, in un'isola a nord
del mare Indiano, sebbene il tenore di vita attuale sia più
che soddisfacente. Il sole ti abbraccia caloroso sotto il suo raggio,
la sabbia morbida che solletica i piedi ed una vista meravigliosa di
un mare celeste così cristallino che si poteva vedere
chiaramente il fondo. Senza dimenticare il molo che si ergeva sopra
il mare tramite travi di legno bianchissime, sopra di esso si trovava
una capanna di canapa. Sentii una lieve brezza ghiacciata, seguita da
un tuono ed un terremoto. Il caos ambientale si era succeduto, mi
alzai di scatto, mia moglie era scomparsa, dietro di me, un buco nero
che si stava agitando. «Tii veeedooo!» Una voce stridula
ma non troppo, pronunciava quelle parole quasi con fare denigratorio,
mentre il buco nero mi ingurgitò facendomi volare. Non
riuscivo a controllare in che direzione andava il mio corpo che
seguiva la direzione dove il tunnel mi portava nel vuoto dello
spazio, mi vennero vertigini, senso di nausea, lo stomaco mi fece
vomitare bile. Durante il "viaggio" sentii nuovamente
quella voce, sempre stridula, che non riuscii ad associare ad alcuna
persona che conoscevo. «Ricorda, ricorda Signor Lee, ricorda
cosa è successo... sto venendo a prendertiii...» Il
dialogo trasudava ossessione verso di me e determinazione nel volermi
prendere, malgrado io non capissi chi diamine fosse. Venni buttato di
prepotenza per terra, mi feci male alla faccia, beccai un sasso nella
guancia che mi provocò un'escoriazione, una fuori uscita di
sangue. Nonostante il dolore alla schiena riuscii ad alzarmi e vidi
una campagna pianeggiante, con delle piantagioni, un arancione
sfavillante, un tramonto dietro la collina, alla mia sinistra si
trovava una lunga fila travi di legno che delineavano il confine
della coltura. Alla mia destra si trovò un'enorme capanna
fattorina, l'ingresso era libero. Camminai lungo la fattoria pensando
e guardandomi attorno, a parte le piantagioni che si distendevano per
un centinaio di metri, non c'era nessuno. Eppure, quel posto ebbi la
sensazione di averlo già visto, anche se la memoria mi impedì
di ricordare altro. Mi chiesi dove caspita ero finito e perché
sono stato trascinato fuori da casa mia.
Ritornai
all'edificio fattorino, all'interno di questo c'era un mucchio di
fieno ed un cavallo che riposava in piedi. Entrai quando il paesaggio
intorno a me cambiò di nuovo e la capanna scomparve cedendo il
posto ad una struttura moderna, muri bianchi ed una luce che veniva
dal soffitto. Il posto era silenziosissimo. C'era una scatola appesa
al muro, non mi preoccupai di sapere cosa ci fosse all'interno anche
se davanti questa c'era scolpito il disegno di un fulmine. Cercai una
porta, che era dietro di me, la aprii. Venni inondato da una ventata
d'aria ghiacciata che portava con sé delle gocce d'acqua. In
lontananza, tra alberi, case ed edifici di ferro, vidi un tornado
enorme scatenarsi in città, sotto una luna piena. Ero
disperato, non capii un cazzo di quel che stava succedendo, uscii da
quella cabina per ritrovarmi all'interno di una centrale elettrica
circondata da mura. Mi arrivavano costantemente gocce d'acqua,
incontrai alcuni tipi, mi dissi "finalmente qualcuno con cui
parlare!" quel tornado stava provocando, oltre danni alla città,
con auto che svolazzavano, alcune che sbattevano contro case, edifici
e cartelli, case che vennero smontate, faceva un sacco di rumore. Fui
costretto ad urlare con tutte le mie energie «Mi spiegate cosa
sta succedendo?!» I tipi, tra l'altro con facce anonime, volti
poco chiari, non dissero niente. Era come se lì, fossi
nuovamente da solo. Stavano là, li sentivo ridere. Mi prese il
panico, non sapevo dove fosse l'uscita, quando mi accorsi che alla
cintura avevo un rampino attaccato. Lo presi in mano e lo lanciai, la
forza meccanica di questo era tale che volai letteralmente, verso la
parte dove si era attaccata l'altra estremità del rampino. Il
muricciolo dove arrivai era fatto di pietre grigie e bianche. Ero
sollevato di forse cinque metri da terra, riuscii a vedere un po'
meglio dove il tornado era e dove si stava dirigendo. Il muricciolo
dove mi ero attaccato aveva l'aria di esser fragile, mi preoccupai
quindi di attaccarmi da qualche altra parte. Stava per cedere, vidi
un pezzo di roccia staccarsi e cadere a terra, tolsi quindi il
rampino che era rimasto attaccato facendo in modo però di
reggermi al muretto con l'altra mano, ma tutto quanto crollò,
lasciandomi sospeso in aria. L'uragano mi attirò a sé e
volai verso di esso, mi sentii trascinare in mezzo a della corrente
d'aria e d'acqua, vidi il suolo allontanarsi e tutta la città
divenire minuscola, mi vennero nuovamente le vertigini, ebbi ancora
una volta un senso di vomito mentre le mani e le braccia
formicolavano. Volai all'interno dell'uragano, non vi furono gocce
d'acqua, soltanto venti prepotenti che mi fecero volare ancora una
volta nello spazio, vidi la sfera che era la Terra. «Ancora non
ti sei ricordato? Hahahahah!» Sentii una sonora risata,
probabilmente la stessa voce che avevo sentito quando all'inizio quel
buco nero mi aveva risucchiato. Lo spazio si fece più
"stretto" e vidi la terra avvicinarsi verso di me, non
sapevo di preciso se ero io che stavo precipitando verso il pianeta o
era il pianeta che stava per schiacciarmi.
Caddi in mezzo alla
strada, un'auto inchiodò. Stetti per terra una manciata di
secondi per riprendermi. Tastai il terreno. Sembrava solido. L'aria
era calma, sentivo le urla della gente, cercai di rialzarmi. Mi
guardai intorno, le persone mi osservavano, era straniti, avevano
tutti un viso specifico, sembravano normali. Guardandomi intorno
realizzai di essere in mezzo ad una strada di città, stavo
bloccando tutto il traffico di una corsia, era sera. Ero ritornato
nella vita reale? Stavo solo sognando ad occhi aperti? Rialzandomi in
piedi notai che avevo giramenti di testa, per cui magari ci sta che
avevo bevuto. «Signore, tutto bene?» Mi si avvicinò
un passante, visibilmente preoccupato. Risposi con lo sguardo perso
nel vuoto. «Sì... sto bene.» Mi incamminai sul
marciapiede ignorando il passante, camminai un po', riflettendo su
quanto accaduto. Avevo una forte nausea, probabilmente avrò
davvero bevuto e tutto ciò era soltanto un viaggio che il mio
cervello si era fatto su di giri con l'alcol. Mi tranquillizzai,
promettendomi che avrei bevuto di meno e più responsabilmente.
Girai l'angolo del marciapiede, cambiando via, con lo sguardo basso,
cercai di rilassarmi. Evitai altre persone che passeggiavano sullo
stesso marciapiede, essendo che quest'ultimo era un po' stretto.
Sentii suoni metallici come se qualcosa stesse sbattendo
ripetutamente sulla pietra. Alzai lo sguardo, vidi un'auto correre
all'impazzata sul marciapiede buttando giù i pali di ferro per
terra che delineavano il marciapiede, uno dopo l'altro. Le persone
sul marciapiede, parevano... indifferenti. Una non venne nemmeno
travolta, anzi, venne trapassata come un fantasma. Io però,
venni investito veramente. Sentii un gran dolore al torace che mi
sembrava stesse per esplodere, la testa bruciava. Mi addormentai.
Mi risvegliai
sdraiato, vidi il soffitto con delle luci che scorrevano, alcuni
dottori mi stavano trasportando su di un lettino. Sentii il rumore di
porte aprirsi, si fermarono, sopra avevo quattro lampade montate
sotto un pod che i dottori spostavano a seconda delle loro esigenze.
Mi misero un respiratore alla bocca, mi guardai intorno, alla destra
una dottoressa mi disse che "andrà tutto bene", alla
sinistra non c'era nessuno, soltanto uno specchio. Specchiava tutto,
il lettino, il pod della luce, la dottoressa... Me. Ricordavo
tuttavia un aspetto diverso da quello che lo specchio mi mostrava e
oltretutto, sentivo il respiratore fisicamente attaccato alla bocca,
ma nello specchio... non si vedeva. Il "me" nello specchio
poi incominciò a parlare «Ricordi adesso?» strinsi
gli occhi per osservarlo meglio, sembrava finalmente disposto a
parlare, volevo chiarimenti. «Ma tu... Giuliano?» avevo
una voce debole, ero ormai rassegnato e l'alcol in circolo non
aiutava. «Esatto, finalmente mi riconosci, fratellino.»
Ero più disperato che mai, domandai ancora «Ma...
Perché? Cosa succede?» Irritato, rispose «Evidentemente
continui a non ricordare... te lo farò vedere più
esplicitamente.» Venne illuminato il corridoio esterno alla
camera dove ero, così da vedere attraverso il muro: ero io che
mi disperavo con accanto mia moglie che cercava di consolarmi. Si
sentiva qualcosa, tramite dell'eco: "io... io ho sbagliato...
non volevo... è stato uno sbaglio. Ho sbagliato"
«Quello... sono io? Cosa sto facendo?» Domandai. Mi fece
vedere una sequenza, davanti a me comparirono delle immagini, il
momento in cui ero stato investito, tramite il parabrezza vidi che
alla guida c'ero io.
Mi fece poi vedere
me stesso che mi butto dal palazzo Eurosky con mia moglie che urla
disperata "non farlo!" Nel frattempo sentii i dottori
agitarsi mentre le macchine emettevano un lungo interminabile suono
fisso. «Lo stiamo perdendo!»
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