Bizet

di crazy lion
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                    BIZET
 
Anni fa credevo che la mia vita
fosse troppo dura
e che non valesse la pena
di essere vissuta.
 
Arrivò un pomeriggio di novembre,
poco più di due anni fa
un piccolo gattino impaurito,
anzi terrorizzato,
dopo essere stato
abbandonato,
salvato
e dato a noi.
 
Non ci conosceva,
tremava,
era così piccolo e piangeva.
 
Ogni volta che miagolava
il mio cuore si spezzava.
Lo presi in braccio
e gli raccontai:
"Anch'io ho paura, sai?
Mi sento sola,
come te ora.
Ho perso una persona
a me molto cara
e il dolore che provo è come
una lama che mi trafigge il cuore."
 
Lui sembrò capire,
miagolò, fece le fusa, mi leccò.
Da quel momento mi capì
fino in fondo,
ancora meglio di chi
mi stava intorno.
 
La mattina veniva a svegliarmi,
saliva sul letto,
si metteva sopra di me,
e cominciava a leccarmi
e ad abbracciarmi
con le zampe,
ed era incredibile
con quanta umanità
ci riuscisse.
 
Non sembrava un gatto,
in quel momento.
Pareva una persona,
senza problemi lo ammetto.
 
Solo io e lui sappiamo
quante notti abbiamo
passato l'uno accanto all'altra,
mentre io piangevo e stavo male,
e lui mi sapeva sempre calmare.
 
Il suo pelo era morbido,
il portamento nobile ed elegante,
lo adoravano tutti
e mio padre diceva:
"Bizet è
il re del quartiere."
 
Io lo amavo,
lui mi amava.
Era questo l'importante,
per noi due null'altro contava.
 
Una sera miagolò.
Era tardi.
Io gli dissi:
"Non ti faccio uscire, no!"
Ma lui piangeva.
"Ti prego!"
sembrava dire.
 
Io non volevo,
ma mia mamma gli aprì lo stesso.
Andai a letto
ma rimasi sveglia.
Solo quando lo sentii rientrare
caddi nel mio solito dormiveglia.
 
La mattina dopo non lo vidi,
lo aspettai per ore,
pregando il Signore
che non fosse accaduto nulla.
 
Ma in cuor mio ero sicura
che qualcosa fosse successo.
Non so come mai,
forse era un sesto senso.
 
Una forte angoscia iniziai a provare,
mentre mi veniva da vomitare
e le lacrime nei mie occhi si iniziavano a formare.
 
Stavo male,
ma forse mi sbagliavo
e nessuno volevo far preoccupare,
quindi zitta decisi di stare.
 
Nel pomeriggio mia mamma e mio fratello
lo andarono a cercare,
ansiosi come me
nel non vederlo tornare.
 
Io mi sedetti
sulla poltrona
e attesi
pregando,
implorando.
 
Avevo ancora speranza,
mi dicevo:
"Ho sofferto abbastanza,
non credo che ora
succederà ancora."
 
Il cancello si aprì,
poi la porta.
Mia mamma piangeva
e pareva sconvolta.
Mio fratello non diceva niente
ed io non riuscivo a capire, veramente.
 
Forse era solo ferito
e dopo le necessarie cure
sarebbe guarito
e meglio si sarebbe sentito.
 
"È morto, Giulia, è morto!"
Questa frase,
pronunciata con tutto lo  strazio
che mia mamma aveva in corpo,
io non potrò mai dimenticare.
 
Una macchina l'aveva investito
e ucciso.
Era stato trovato così
da degli operai che,
non sapendo di chi era,
l'avevano lasciato lì.
 
I miei a prenderlo andarono,
gli parlarono,
poi lo seppellirono.
 
Io non li seguii.
A reggermi in piedi non riuscivo.
Sarei presto morta di dolore, lo sentivo.
 
Quella sera, nel mio letto,
esclamai:
"Addio,
ti voglio bene,
piccolo mio!"
e piansi,
pensando che non avrei smesso mai.




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