[Rosalinda,
3^ persona]
Inizio
novembre, notte
Sotto
una tenda di coperte, accompagnata da una piccola torcia, Rosalinda
leggeva alla meno peggio il libro scritto in un austero funghese
medievale. Le lettere erano consumate dal tempo e la grammatica
appariva alle volte incomprensibile, addirittura più di quella di
certi individui su Facekoop.
Un
trillo allegro la fece sobbalzare dallo spavento, e per un attimo si
sentì gelare la schiena. Gettò all’aria le coperte, per poi
guardare con occhi accusatori il piccoletto rumoroso.
«Che
cosa ti ho detto prima?» sussurrò, modulando per quanto possibile
un tono amaro.
L’esserino
luminoso piroettò nell’aria, come a sottolineare il suo
menefreghismo.
«Devi
fare silenzio, okay? Non è così difficile… dormono tutti, non
vogliamo destare sospetti, giusto?»
L’altro
la guardava con i piccoli occhi neri, simili a due semi di fragola,
senza capire.
La
ragazza sospirò, poi spense la luce della torcia elettrica. Le
finestre erano sbarrate dalle persiane scure, la fessura sotto la
porta era stata tappata con un cartoncino fissato con lo scotch, e
per sicurezza ogni luce era spenta. Eppure, Rosalinda continuava a
temere per la sua privacy. Dopo tutto quello che le aveva detto il
Sig. Pennington, vedeva ogni cosa attorno a sé come una potenziale
minaccia.
E
se all’inizio aveva pensato che forse tutte quelle strambe
precauzioni potessero essere da paranoici, ora stava iniziando a
ricredersi.
“Stavo
seguendo una pista molto intricata - aveva spiegato quando lei era
andata a trovarlo in ospedale, qualche giorno dopo l’incidente -
che mi ha portato sulle tracce di questo gruppo di criminali.
Gentaglia immischiata nel contrabbando, spaccio di funghi, questo
genere di cose… be’, sembrava un caso semplice, fino a che non ho
scoperto qualcosa di più! Infatti, questi farabutti erano alla
ricerca di qualcosa. Qualcosa di inimmaginabilmente prezioso, stando
ai loro discorsi! Si erano accordati di recuperare questo qualcosa,
ma sembra che qualcuno
sia
arrivato prima di loro. Li ho seguiti per tutta la notte, ma ad un
certo punto uno di loro si è accorto di me, e pensa un po’, hanno
pensato che fossi stato io a rubare quella cosa misteriosa! Io
ovviamente ho spiegato loro che non potevo essere stato io, perché
li avevo pedinati per tutto il tempo, ma loro non mi hanno creduto e
mi hanno rivoltato la borsa, mi hanno anche rubato i soldi! E poi,
be’, poi mi hanno probabilmente dato una botta in testa, non
ricordo molto, e devono avermi gettato sotto la macchina sperando di
sbarazzarsi di me! Ma non sapevano che nessuno può sbarazzarsi di
Holmut Pennington così facilmente!”
Dopo
un’ora di racconto, nella quale Rosalinda aveva utilizzato ogni
energia per tenere alta l’attenzione, l’investigatore occasionale
aveva concluso che, secondo lui, un’organizzazione criminale ancora
più
criminale doveva aver rubato quella cosa! E, visto che, secondo lui,
i farabtutti in cui si era imbattuto non erano semplici briganti
urbani o ladruncoli da quattro soldi ma veri e propri criminali
organizzati, questi avrebbero fatto di tutto per riprendere questa
cosa a loro rubata.
A
quel punto, la ragazza si era sentita così male da rischiare di
svenire.
Era
dovuta tornare al suo dormitorio, al campus, per chiudercisi dentro e
sbarrare ogni fessura con la crescente paura di essere spiata. E
quando aveva preso il telefono con l’intento di chiamare Peach, si
era dovuta fermare un attimo a riflettere.
E
aveva capito che non avrebbe dovuto coinvolgere nessuno in quella
faccenda, neanche la sua migliore amica.
Aveva
iniziato a fare ricerche, spulciando la biblioteca scolastica con
compulsiva ossessione; aveva girato sei librerie, alla ricerca di
trattati sulle creature spaziali, e aveva cercato dei corsi
extrascolastici dedicati alle forme di vita aliene, senza però avere
successo.
Si
era intrufolata senza permesso nella casa di Peach, rubandole un
vecchio libro di favole a cui era molto affezionata, e il tutto
mentre cercava di tenere nascosto quell’affarino luccicante dagli
occhietti neri e innocenti.
Un
affarino che però sembrava capace, da solo, di gettare all’aria
ogni suo provvedimento.
«Sto
cercando solo di salvarti. E tu mi ripaghi trillando come una
campanella nel mezzo della notte?»
La
creaturina non disse niente. Si limitò ad avvicinarsi timidamente
alla ragazza, che allungò un braccio verso di lui e lo cinse
delicatamente.
Rosalinda
sentì il debole calore emanato dal corpicino pervaderla come una
sorta di energia. Quella creatura nascondeva qualcosa di magico,
sicuramente.
Abbracciandolo,
se lo cinse al busto. Con la sua debole luce, continuò a leggere il
vecchio libro per gran parte della notte.
«Allora,
che ne dici di questo?»
Infilando
una zolletta di zucchero oltre la cerniera del borsone, cercò di non
dar nell’occhio mentre cercava di offrire il dolcetto a quello
strano ospite.
In
poco tempo la ragazza dai capelli platino era arrivata alla
conclusione che il modo migliore per prendersi cura di quell’esserino
era portarselo dietro. Seppur scomodo e rischioso, rimaneva meno
pericoloso che lasciarlo nella sua camera, al dormitorio. Chiunque
avrebbe potuto facilmente fare irruzione e rapirlo, oppure lui - o
lei, qualunque cosa fosse - sarebbe potuto fuggire o farsi scoprire.
Il modo migliore per occuparsene era, per la giovane, nasconderlo
nella borsa e tenerlo costantemente sott’occhio.
Mentre
con la sinistra teneva il segno al libro che stava leggendo, faceva
attenzione alle mosse della creaturina. Sentì il flebile calore di
questo accarezzarle il palmo della mano, e poi si sentì sottrarre la
zolletta dalle dita.
«Rosy?»
Rosalinda
sobbalzò, ritirando di scatto la mano dalla borsa e alzando lo
sguardo. Si ritrovò a fissare negli occhi una Peach dall’aria
vagamente confusa.
«Oh,
ciao Peach.»
Nel
dirlo, si portò la borsa in collo.
L’altra
tentennò un attimo, guardandosi intorno, poi spostò la sedia del
tavolino e si sedette di fronte a Rosalinda.
«Be’
- inizió con tono vagamente sospettoso - ciao...»
«Sta
per caso succedendo qualcosa?» chiese con sorriso innocente lei,
iniziando a pensare ad un milione di modi nefasti con i quali Peach
avrebbe potuto carpire il suo segreto in quel momento.
«...no?
Dimmelo tu, pensavo che fossi
tu.»
Rosalinda
faceva finta di non capire, ma in realtà capiva benissimo. In quegli
ultimi giorni aveva risposto sfuggevolmente ai messaggi dell’altra,
si erano viste di rado e aveva tenuto nei suoi confronti un
atteggiamento misterioso.
«Vedi,
non voglio saltare a conclusioni affrettate… - iniziò Peach con
tono vago - ma, insomma, è una mia sensazione… o mi stai
evitando?»
Rosalinda,
distaccandosi per un attimo dall’aria composta e seria che teneva
sempre, finse un’espressione accigliata.
«Evitando?
No, no, cosa te lo fa pensare?»
Peach
iniziò ad intrecciare le dita delle mani, con visibile nervosismo.
«Sembri
un po’ strana… volevo solo sapere se va tutto bene, o per caso
c’è qualcosa che non va tra… noi.»
«Non
c’è niente che non vada tra noi! - Rosalinda sorrise, appoggiando
una mano sulla sua - Sono solo un po’ stressata in questi giorni…
sai, tra non molto avrò due esami e sto cercando di prepararmi al
meglio...»
La
ragazza avrebbe davvero voluto poter dire a Peach la verità. Peach
era la sua amica, lì al campus, e si conoscevano dalla prima
superiore. Però questo era davvero troppo complesso da spiegare… e
troppo pericoloso.
Peach,
dal canto suo, abbozzò un sorrisetto poco convinto.
«Sono
felice di non essere il problema - ridacchiò con una punta di
nervosismo nella voce - insomma, mi stavo facendo venire dei dubbi…
ma… sei davvero sicura che vada tutto bene?»
L’altra
annuì con decisione, mentre chiudeva la zip della borsa senza farsi
vedere.
«Vedi…
è che mi sembra di star sbagliando tutto con tutti, in questo
periodo...»
«Cosa
intendi?»
«Ecco,
forse l’avrai già notato, ma Daisy e io… c’è qualcosa che non
funziona più tra noi. Però la conosco da sempre e non riesco a
capire cosa la turbi… e credo di essere io il problema.»
«Non
puoi dirlo con certezza, non accollarti una colpa di cui non sei
certa» commentò lei mentre cercava di tener fermo il borsone senza
dare nell’occhio.
«Ahh,
sono abbastanza sicura di essere io che la sto facendo allontanare…
da me.»
Sospirò,
guardandosi sempre le mani. Poi alzò lo sguardo verso di lei, e
continuò.
«Poi
c’è Farfalà… non so se te l’ho fatta conoscere, mi sa di no,
ma è una nuova che sto cercando di - gesticolò in modo buffo -
“integrare” nella scuola… eppure anche lei sembra così
distaccata, come se io la… come dire, la mettessi a disagio. Non
riesco a capire se è il suo carattere o sono io che la metto
effettivamente a disagio...»
Rosalinda
iniziò a spostare lentamente la sedia. Dalla tasca aveva fatto
scivolare fuori degli spiccioli, per pagare la colazione al bar.
«...e…
anche Mario sembra evitarmi… lo vedo spesso parlare con Pauline e
inizio a pensare che...»
«No,
questo non dirlo neanche - la interruppe lei alzandosi con
discrezione - li ho osservati, non hanno niente in comune oltre che
l’amicizia. Sono amici d’infanzia, non succederà mai una cosa
del genere!»
«Come
puoi esserne certa?»
Mentre
scivolava al bancone, Rosalinda fece una pausa per pagare e poi si
voltò verso l’amica.
«Ti
faccio un esempio pratico. Ti metteresti mai con Daisy?»
«Co…
che diamine, no! Certo che no! Siamo cugine, e poi… che schifo! No,
con Daisy proprio no!»
Rosalinda
si divertì a contare il numero di “No” che Peach continuò a
sfornare per qualche secondo.
«E
non te lo dico perché non sono gay - aggiunse con voce più bassa -
ma perché Daisy… eww»
«La
tua faccia disgustata parla da sola - sorrise vagamente Rosalinda -
ed ecco la risposta alla tua domanda. Mario e Pauline andavano alla
scuola materna insieme, si conoscono da troppo tempo per piacersi…
in altri sensi!»
Peach
tirò un gran sospiro.
«Probabilmente
hai ragione - sorrise - anche se… il sentimento di gelosia che covo
sarà duro da abbattere...»
«Ricordati
sempre che Mario non ti appartiene - l’ammonì con aria da saggia
la ragazza - o finirai a pensarla come Bowser.»
L’altra
a questo nome rabbrividì.
«Non
sono come lui, lo sai bene!»
Rosalinda
imbracciò la borsa e imboccò la via d’uscita, seguita a ruota da
Peach.
«Ora…
devi perdonarmi ma devo proprio scappar-»
La
Principessa le afferrò il braccio con imprevista decisione.
«Rosy»
Peach la costrinse a voltarsi verso di lei e a guardarla negli occhi
Lei
rabbrividì nello specchiarsi nei profondi occhi dell’amica.
«Ti
hanno fatto qualcosa?» sussurrò questa.
«No,
che...»
«Seriamente
Rosy, è una questione seria.»
Rosalinda
dovette mordersi la lingua per non raccontarle tutto. Anche se dal
profondo del cuore sentiva di doversi confidare con qualcuno, non
poteva e non voleva mettere in pericolo altre persone.
«Non…
mi hanno fatto niente… suppongo, cosa intendi?»
Peach
lasciò la presa sbuffando e scuotendo la testa, indietreggiando di
qualche passo.
Si
spostò il ciuffo via dagli occhi stringendo un pugno dall’evidente
frustrazione.
«Sei
strana da… quando, due settimane fa? Quando ti è successo
l’incidente in auto e sei tornata alle tre di notte!»
Rosalinda
stava per ribattere, ma l’altra la fermò e continuò.
«Non
mi hai voluto dire cosa stesse accadendo, ora ti comporti in modo
strano, io non so più come comportarmi! Se ti hanno solo torto un
capello, e a me puoi dirlo, giuro sul Rettore della scuola che...»
«Non
mi è successo niente quella sera! E’ stato solo un incidente senza
danni, davvero, nessuno mi ha fatto niente e io non mi sono fatta
niente.»
Peach
sospirò.
«Non
mi hai ancora spiegato di preciso cosa eri andata a fare nel
Quartiere Os-»
«Shhh!»
si lasciò sfuggire lei, sull’attenti. Si guardò di sfuggita
intorno, ma nessuno dei ragazzi che scivolavano dentro e fuori la
Hall sembrava star prestando loro attenzione.
«Shhh?
Che...»
«Stavi
urlando! Vuoi spaventare tutto il campus?»
Rosalinda
si sentì in pericolo. La borsa a tracolla si mosse, e per un attimo
temette che l’amica l’avesse vista.
«Rosalinda,
ma che ti sta succedendo?»
Le
due si guardarono negli occhi per parecchi secondi. L’una
accigliata, l’altra impassibile.
«Peach!»
una voce chiamò la prima, che si voltò.
Rosalinda
ne approfittò per indietreggiare di qualche passo e tirar fuori la
bacchetta che teneva sempre nella tasca assieme al portafoglio. Un
tocco, e si fu teletrasportata via.
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