Dìa
de muertos
-Héctor-
Il tono di Imelda basta a
farti scattare sull'attenti.
Non sai ancora bene come
comportarti con lei. Neanche con il resto della familia, a dirla
tutta, ma con lei in particolare.
Lei ha vissuto una vita che
l'ha cambiata, tu sei rimasto... bé... più o meno il
ragazzo di venticinque anni che eri quando sei morto.
L'età non cambia
nella terra delle anime, e nemmeno il carattere.
E di certo lei non ti aiuta.
Non potrebbe farlo nemmeno se volesse, perché per più
di metà della sua vita si è sentita ed abbandonata da
te, e adesso le ci vorrà tempo per tornare ad ascoltare la
parte della sua anima che ti ha sempre amato.
Per questo alterna momenti
in cui sembra sia ancora la ragazza di vent'anni che hai sposato ed
altri momenti in cui ti riduce in cenere con uno sguardo.
E siccome non sai quale
momento sia, tenti un "Sì, Imelda?" molto timido.
Lei ti scruta con aria
severa. Se fosse viva, probabilmente avrebbe una ruga tra le
sopracciglia aggrottate.
Per causa tua.
-Pare che tu adesso faccia
di nuovo parte della famiglia-
Ti guarda male. Molto male.
E non ti ci vuole molto per sentirti in colpa.
-Tra qualche mese verrai al
Dìa de los muertos con noi. So che Coco tiene quella stupida
foto conservata, l'ho vista gli anni passati, sai?-
Muy bien, è uno di
quei momenti in cui è arrabiata.
Le serve tempo e tu le darai
tutto quello che le serve, perchè lei a te ha dato una vita
aspettando il tuo ritorno.
-Quest'anno la esporranno e
tu verrai con noi-
Lo dice arrabbiata, con un
pugno piantato sul fiancho ossuto e l'altro a picchiare forte dritto
sul tuo sterno, come tu le avessi appena detto che non vuoi andarci.
Come se dovesse ancora
convincerti e trascinarti con la forza dalla tua famiglia, come se
fosse ancora convinta che tu non volessi stare con loro.
-Certo che verrò con
voi, Imelda-
-Lo spero per te. E quindi,
se vuoi davvero fare parte di questa famiglia, ti devi dare una
sistemata- accenna ai tuoi vestiti stracciati.
Vorresti dirle che non è
colpa tua, che in tutti quegli anni i vestiti si sono rovinati perché
non hai potuto attraversare il ponte e che in ogni caso nessuno
avrebbe lasciato vestiti nuovi per te sull'ofrenda oppure al
cimitero; ti guardi bene dal farlo; sai che la farebbe solo
infuriare; e sai che avrebbe ragione.
-Non ho mai tollerato che
nella mia famiglia ci fosse qualcuno sciatto, e certo non permetterò
a mio marito di andare in giro come un desgracìado-
A quello non sai come
reagire. Davvero non lo sai.
Ma ci pensa lei, prendendoti
per un braccio e staccandolo di netto.
-Allora? Vieni o dovrò
trascinarti osso per osso, Héctor Rivera?-
Ti affretti a raggiungere
l'omero e tutto il resto, ma lei non ti molla. Continua a trascinarti
tra un vicolo e l'altro, fino a casa sua.
Solo i morti che sono stati
seppelliti hanno una casa nella terra delle anime, e purtroppo il tuo
cadavere non è mai stato ritrovato, quindi sei ancora un
vagabondo in un certo senso.
Tranne le volte in cui lei
ti ospita e ti offre ancora una volta una casa.
Fino al prossimo malumore,
insomma, quando qualcun altro dei parenti ti darà asilo per
non farti tornare dove abitano i morti quasi dimenticati.
Appena entrati in casa ti
piazza dietro un paravento senza degnarti di una spiegazione.
Dal rumore sembra che stia
manovrando qualcosa di metallico, ma tu non osi muoverti senza un suo
ordine, nemmeno per sbirciare cosa sta facendo.
L'ordine arriva poco dopo,
per la precisione dopo parecchio sferragliare e dopo parecchie
imprecazioni.
-Dammi i vestiti-
-Cosa?!-
Questo non te lo aspettavi!
-Sei diventato sordo? Ti ho
detto di consegnarmi quei quattro stracci che indossi, e sarà
meglio per te che tu lo faccia immediatamente perché se no
io...-
Ti spogli più veloce
che puoi, risciando di staccarti di nuovo le braccia per la fretta, e
lanci per prima cosa la giacca sdrucita oltre il paravento.
-Humpf! Era ora!-
La giacca sparisce, ed in
compenso inizia un ronzare ed un ticchettare strano ma familiare.
Stavolta, anche a rischio di
affrontare la collera di Imelda, ti arrischi ad affcciare la testa ed
a dare una sbirciata.
E poi devi essere veloce ad
acchiappare al volo gli occhi e a nasconderti per non farti scoprire.
Rimetti a posto i bulbi
oculari senza poter credere a quello che hai appena visto: Imelda sta
cucendo!
Sta sistemando la giacca, e
conoscendola come la conosci, sei sicuro che la renderà
qualcosa di dignitoso.
Ti sfili anche i pantaloni e
li fai passare sopra il legno.
Il fazzoletto puoi tenerlo
al collo (forse), il cappello è finito chissà dove
mentre tua moglie ti strattonava per le vie.
Resti in silenzio,
appoggiato al muro ad ascoltare il fruscio delle forbici ed il
ticchettio della macchina da cucire.
Vorresti ringraziarla ma non
sai come fare senza farla arrabbiare.
Meglio il silenzio allora.
Ad occhi chiusi puoi fare
finta che il tempo non sia mai passato e che quella sia ancora la tua
vita: tua moglie al lavoro in casa, la piccola Coco che da un momento
all'altro entrerà dalla stanza accanto e ti chiederà di
cantare per lei e mamà...
-Ay, de mi llorona...
llorona de azùl, celéste...-
Apri gli occhi di scatto
quando senti la voce di Imelda.
È bella. Non è
venata di vero dolore come quando ha cantato sul palco.
È di nuovo la sua
voce di ragazza, quando cantava della llorona come di qualcosa
lontano da lei, un dolore che non l'avrebbe mai toccata.
Piano, pianissimo, ti
affacci da dietro il legno e la guardi.
È bellissima. È
malinconica ma sorride.
Sta lavorando al pantalone
strappato, e quella accanto a lei sembra una gonna da cui ha tagliato
un rettangolo di stoffa per realizzare un rammendo di un colore
simile all'originale.
Ha sacrificato un dono dei
suoi parenti per darti la possibilità di farti vedere in giro
con la tua famiglia senza sembrare un desgracìado.
Se avessi ancora un cuore si
sarebbe stretto in una morsa.
La tenerezza che provi è
troppa per delle sole ossa, e per la prima volta senti davvero la
mancanza di un corpo per poterla stringere ed abbracciare, ed avere
lacrime da piangere tra i suoi capelli.
-Oh, Imelda...- mormori
pianissimo.
È questione di un
attimo: lei ti sente, si volta a guardarti, ed un attimo dopo il suo
stivaletto ti ha staccato di netto il cranio e qualche vertebra
cervicale.
***
Finalmente è el Dìa
de los muertos.
Non sei mai stato tanto
impaziente ed allo stesso tempo spaventato da qualcosa. Pobre Héctor!
Se avessi uno stomaco sarebbe tutto contorto!
Ma per fortuna almeno Imelda
è di buon umore. Dopo tutti quei mesi passati ad alternare lo
staccarti gli arti al comportarsi da ragazzina timida, sembra avere
accettato.
Anche il resto della
famiglia.
Finalmente. Tu familia,
Héctor!
Ed adesso che la giacca
strappata è diventata un gilet e che il pantalone è
stato rattoppato a dovere, non sembri più un desgracìado.
-Héctor. È
quasi ora, andiamo- ti chiama Imelda. Fortuna che non hai bisogno di
respirare, perché non ci saresti riuscito.
-E se non dovesse andare
bene? Se non potessi passare nemmeno quest'anno?-
Di nuovo lo sguardo di
Imelda si indurisce, e ti acchiappa dal nodo del fazzoletto per
tirarti alla sua altezza e guardarti negli occhi.
-Stammi bene a sentire,
Héctor Rivera! Tu attraverserai il ponte e farai visita alla
terra dei vivi perché la tua foto è sull'ofrenda! Mi
hai capito?-
-Sì... sì,
certo, Imelda...-
Guai a contraddirla. Poi le
tue ossa finirebbero sparse per tutto il regno delle anime e non ti
basterebbe un altro anno per rimetterti insieme.
-E comunque prima di
andartene c'è una cosa che dobbiamo sistemare. Vieni con me-
Imelda non ti trascina più
quando vuole che tu la segua, ma si guarda spesso indietro per
controllare, e tu fai sempre in modo che ti trovi.
Il resto della familia è
già uscito. Oscar e Felìpe sono già usciti, e tu
proprio non riesci a capire perché lei ti stia portando verso
casa loro.
-Ti manca una cosa, non puoi
certo andare a fare visita alla tua famiglia senza scarpe. Non sei un
povero desgracìado-
Se avessi un cuore si
sarebbe fermato: sul tavolo c'è un paio di scarpe nuove.
Sai benissimo da dove
vengono: le ha fatte la familia.
Dato che le anime possiedono
solo ciò che viene lasciato loro dai parenti in vita come
offerta, qualcosa, per passare di proprietà deve essere
ceduto.
Ma un paio di scarpe sono
difficili da trovare. Sono una cosa personale.
E quindi per ottenere il
materiale per fabbricarne un paio nuove tutta la famiglia aveva
dovuto sacrificare qualcosa di proprio.
La tomaya di uno, la suola
di qualcun altro, la pelle per il corpo della scarpa ottenuta unendo
la pelle di due paia per arrivare alla sua misura.
Tutto questo ti è
chiarissimo.
Non ci sono parole per
spiegare come ti senti.
-Io... io... Imelda...
grazie!-
Solo allora la abbracci.
Perché anche se lei
dovesse tornare di malumore e staccarti tutte le costole per
lanciarle ai quattro angoli del regno delle anime, stavolta lo devi
fare.
La sollevi in aria e la fai
volteggiare come quando era ragazza e vi eravate appena sposati e...
e lei ride.
Per la prima volta da quando
siete tornati insieme, la senti ridere veramente, per pura gioia.
Le vostre ossa fanno un
suono secco quando si scontrano, ma è come il suono allegro di
centinaia di campanelle.
-Ti amo, Imelda-
Riesci a dirle quando
finalmente la posi a terra.
Fortuna che non hai una
lingua, o lei portebbe staccartela. O forse no.
La sua mano sfiora i disegni
sul tuo zigomo invece di schiaffeggiarti e staccarti la testa come al
solito.
I suoi occhi non sono mai
stati così vivi come adesso che ti sorride.
-Anche io ti amo,
desgracìado-
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Cantuccio dell'Autore
Buon giorno!
Avete visto "Coco"?
Se siete qui immagino di sì.
Dunque, il film mi ispira
tonnellate di angst, e questa è la cosa meno deprimente che
sono riuscita a scrivere.
Ho visto un sacco di volte
la clip di "Proud Corazon" e mi sono accorta che i vestiti
di Héctor erano sistemati, non sbrindellati come durante tutto
il film. E che indosava delle scarpe.
Ed allora mi sono chiesta
"Che è successo?". Ed ecco queste tre pagine e
mezzo.
Detto per inciso, mi sono
divertita un sacco a scrivere le scene in cui Imelda maltratta Héctor
o minaccia di farlo, perchè, dai, un fidanzato da poter
smontare e che si rimonta da solo è il top!
Grazie per aver letto, un
saluto a tutti
Makochan
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