Ringrazio anche solo chi legge.
Cap.1 Il piccolo Iemitsu
Resta!
Timoteo cercò di allungare
la mano ossuta oltre le sbarre di
metallo, tentando inutilmente di raggiungere la gamba del bambino
dall’altra
parte, lo sfiorò con la punta delle dita. Le sue unghie
erano spezzate, sporche
di sangue rappreso e terra.
Il bambino guardava il viso emaciato
del padre, gli occhi
incavati, le guance scavate e i lividi sulla pelle. Socchiuse gli
occhi, i suoi
capelli rossi erano tagliati da una parte sola, ricci, e la sua
espressione era
grave. Indossava una larga maglietta su cui era disegnata la faccia di
un
alieno, strappata in più punti e dei pantaloncini inguinali.
Timoteo indossava, invece, solo dei
boxer violetti macchiati
di sangue.
“Se vado col principe ti
libereranno” disse il piccolo. Di
sottofondo si udivano delle urla, provenienti dalle altre celle, e il
gocciolio
dell’acqua.
Timoteo fece stridere i denti
ingialliti e negò con il capo,
i capelli gli ricadevano scompigliati davanti al viso, ingrigiti in
più punti.
“Non andare, ti prego.
Preferisco una vita di torture che
perdere il mio unico figlio. Non mi sono sottomesso a Ieyasu Simon per
non
perdere la mia dignità, non per perdere il mio bambino. Al
massimo abbandonerò
io i miei ideali, diventerò il mostro che
vogliono” gemette.
Il piccolo negò con il
capo e si alzò in piedi, con
movimenti lenti.
“Tu sei troppo buono,
papà. Inoltre non hai fiamme né del
vecchio, né del nuovo trinisette.
Farò ciò che
devo, sono io quello d’azione tra noi due”
ribatté.
“No! NO!”
gridò Timoteo.
Vide il bambino allontanarsi e
gridò, le lacrime gli
rigarono il viso, tentò inutilmente di afferrarlo.
“Iemitsu, torna
qui!” ululò Timoteo.
Iemitsu si allontanò e
raggiunse la porta con passi
cadenzati, le urla strazianti del genitore risuonavano
tutt’intorno.
Iemitsu aprì il pesante
uscio di legno.
“Resta! RESTA! RESTA CON
ME!” implorò Timoteo. Era in
ginocchio per terra, quando il figlio uscì dalla porta,
colpì il pavimento di
pietra con entrambi i pugni, graffiandosi le nocche.
Iemitsu si richiuse pesantemente la
porta alle spalle,
guardando i simboli dei polpi viola che coprivano le pareti. Erano sia
dipinti
che su degli stendardi, il simbolo era anche su tutti i mobili.
Le guardie gli puntarono contro delle
lance laser, di colore
violetto. Avevano la pelle nera, ma i capelli bianchi e gli occhi
rossi. I loro
muscoli dirompenti si intravedevano sotto le tute da motociclisti che
indossavano,
avevano dei caschi legati alla cintola.
Il piccolo cadde carponi,
deglutì un singhiozzo. Si passò
una mano sul viso e regolò il respiro, si rialzò
in piedi e allargò le braccia,
fece un sorriso ebete.
“Non
c’è bisogno di minacciare”. Chiuse gli
occhi e
ridacchiò. “Ho tutta l’intenzione di
venire in un posto
in cui si fa la bella vita sulle
mie gambe”.
< Mi dispiace,
papà. Non ho trovato altra scelta, ma me
la caverà, te lo prometto > pensò.
Le guardie annuirono e abbassarono le
lance, spegnendo la
lama laser.
“Ti porteremo al castello
volante del principe in carrozza.
Se proverai a fuggire, non ti riporteremo qui per un nuovo
addestramento, ma ti
uccideremo anche se sei parte della famiglia” disse la prima
guardia.
“Se oserai dire al nostro
‘falso’ Boss che cosa facciamo
davvero noi Carcassa, uccideremo non solo te, ma anche tuo padre per
cancellare
le tracce” ordinò la seconda guardia.
“Sarò muto come
un pesce. Non vedo l’ora di vedere la mia
nuova camera” rispose Iemitsu.
< Avrei voluto rimanere,
papà, ma questo è il mio destino
> pensò.
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