Premessa:
allora...cosa dire? Innanzittutto, questa storia, proprio come la
precedente, era stata inizialmente concepita come una di quelle
mini-storie per una round robin. L'ispirazione mi era venuta guardando
il film "L change the world", alla vista del furgoncino rosa con la
scritta "Angel crepes" da cui ho parzialmente tratto il titolo,
modificandolo appena. Ad ogni modo, a differenza di "Pitagora", ho
sviluppato questa storia come una one-shot. Penso sia abbastanza IC,
eccetto per il finale. A dire il vero, nella mia testa era IC, ma temo
di averlo reso in maniera inappropriata, fino a farlo diventare OOC.
Lascio comunque il giudizio a voi^^ Tanto per fare qualcosa di
originale, non sono soddisfatta del risultato XD Ma almeno la prima
parte della storia mi piace, e questo è già un
passo avanti, no? Beh, ora basta cianciare XD Buona lettura^^
Angel’s crepes
Chino su di lui,
aggiustò energicamente il colletto del cappotto un
po’ logoro per coprire meglio quel bambino che, frattanto,
manteneva uno sguardo fisso e vuoto sulle leggere e silenziose
goccioline che picchiettavano con insistenza sull’asfalto
grigio.
Quando erano
usciti, il signor Whammy non aveva dato troppo peso a quella condensa
grigia di nuvole compatte e allo stesso modo inconsistenti.
D’altronde, non è altro che routine per un
Londinese, niente che costringa a prendere l’ombrello. E
invece, contrariamente ad ogni sua previsione, si era ritrovato a
lottare, senza perdere la sua usuale e perenne compostezza, contro la
fanghiglia di un parco deserto.
Il piccolo L, dal
canto suo, sembrava compiaciuto da quella doccia naturale, tanto da
lasciare che la pioggia impregnasse i suoi scomposti capelli corvini,
facendoli aderire mollemente alle guance a dir poco nivee. Ogni tanto
alzava un poco il viso per godersi lo spettacolo di quel gioco
d’acqua, oppure, pensieroso, osservava le gocce scivolare
languidamente sulle maniche del cappotto, o ancora, si limitava a
fissarle mentre si rompevano e scindevano al suolo.
Il signor Whammy,
nelle ultime settimane, si sentiva molto più vicino a quel
bizzarro ragazzino di quanto non lo fosse stato prima. Se i primi tempi
era semplicemente incuriosito dalle sue bizzarre abitudini e dalla
difficoltà nel comprendere quel che passasse per la sua
testa, di recente aveva cominciato a scorgere il suo aspetto
più…umano.
E si era
ritrovato a pensare che questo fosse ancora più curioso
delle sue assurde consuetidini.
In quel momento
stesso, ad esempio, si chiedeva come uno dei componenti più
promettenti dell’istituto riuscisse a rimanere catturato da
qualcosa di così comune e semplice come la pioggia. Il
vestito ormai zuppo lo distolse dai suoi pensieri.
-Quindi, L?
-Cioccolata e
fragole, per favore. – disse sfiorandosi delicatamente il
labbro con il pollice. L’adulto annuì
impercettibilmente, per poi avviarsi verso il furgoncino rosa brillante
– accecante persino in quell’opprimente grigiore
pomeridiano – affacciato sul ciglio del marciapiede. La
scritta “Angel's crepes”, fatta ad
imitare una calligrafia manuale, spiccava sulla fiancata sinistra.
Ne
tornò poco dopo con uno strano involucro triangolare in
mano, il tutto sotto lo sguardo attento e celatamente curioso del
più giovane. Lo porse a quest’ultimo che,
titubante, afferrò i due angoli superiori fra gli indici e i
pollici delle mani: la pasta sottile di quello strano dolce, mai visto
prima, a stento non collassava per via dell’eccessiva
quantità di crema al cioccolato e i pezzi rossi e succosi
della fragola sporgevano pericolosamente all’esterno, mentre
lo zucchero a velo, appena intravedibile, coronava il tutto.
L
contemplò estatico quel capolavoro, solo una lieve nota
d’impazienza trapelava dai suoi occhi.
Infine si decise
ad addentare la crepe, ostacolato dallo scomodo cartone.
Masticò con aria assente, come se effettivamente non stesse
compiendo il gesto – il naso imbrattato appena di cioccolato
– alimentando l’impazienza dell’adulto.
Infine, ingoiò, strabuzzando ancor di più gli
occhi e massaggiando le labbra fra loro con estrema lentezza.
-…-
-allora? Cosa ne
pensi?
-Detto con
sincerità, signor Whammy, è squisita
L’uomo
gongolò un poco, tentando di nascondere l’evidente
soddisfazione. L, dal canto suo, lo ignorò bellamente,
divorando la crepe in pochi secondi, palesemente contento della nuova
esperienza. Infine, si pulì gli indici sui jeans, mentre
l’uomo lo scortava all’auto, ponendo,
così, fine alla loro “gita” settimanale.
***
Non
poté fare a meno di abbandonarsi a quella fastidiosa
sensazione di vuoto.
Aveva passato la
notte intera a scandagliare con maniacale attenzione ogni fonte
d’informazione presente su internet, a discapito, persino,
della nazione di provenienza. Le ore erano trascorse incastrate fra
righe fittizie di caratteri di ogni genere, sprigionando macabre
notizie che il suo cervello aveva diligentemente immagazzinato e,
lì dove ve ne era stata la necessità, analizzato.
Tuttavia, un
po’ di tempo dopo, aveva d’improvviso interrotto
questo rituale – discostandosi dalla ciclicità
delle sue insolite abitudini-, con il solo scopo di non fare nulla.
Si era
appollaiato sul davanzale della finestra, raccogliendo le ginocchia al
petto come di consueto, e, appoggiando delicatamente la fronte contro
il vetro, aveva inclinato un poco la testa di lato, abbandonandola a
quella posizione in un atteggiamento quasi d’inerzia.
Apparentemente, non vi era nulla di poi così bizzarro, visto
che persino la sua espressione vacua risultava consona allo stato
pensieroso nel quale, di solito, si avvolgeva.
Tuttavia, L non
stava affatto riflettendo.
Per essere
precisi, la sua mente era totalmente sgombra, vuota.
E questo non era
da lui.
Aveva letto di
almeno una decina di omicidi quella notte, ma si era ritrovato a
fissare l’alba, accantonando nel dimenticatoio qualsiasi
caso: il cielo, torbido nella sua parte inferiore, quasi fosse stata
ancora notte fonda, sfumato da pennellate arancioni poco sopra, come
stesse andando a fuoco, e, infine, rischiarato da un azzurro spento in
cima, risultava pretenzioso in quel suo atto di virtuosismo. Chiuse gli
occhi per proteggerli da quella luce così fievole, e per
questo tanto fastidiosa; non poté fare a meno di trovare
tutto quello insopportabilmente noioso.
Infine, si
grattò un poco le ginocchia, accarezzando la stoffa ruvida
dei suoi jeans, per poi sospirare quasi impercettibilmente e scendere
dal davanzale.
Gli era venuta,
stranamente, voglia di crepes.
***
La settimana
seguente, il signor Whammy ritenne opportuno far ripetere
l’esperienza ad L. A dire il vero, non è che ne
avvertisse, in effetti, una particolare necessità, tuttavia
provava un’intima soddisfazione nell’avergli
procurato qualche minuto piacevole, o forse sarebbe meglio dire
nell’aver scatenato in lui una reazione in qualche modo
differente. L’espressione era la stessa, apatica e scostante,
e questa toccava ogni cosa intorno a lui con sufficienza.
Ma qualcosa non
era la solita; ciò, ovviamente, non significava che sapesse
bene identificare cosa.
Ad ogni modo,
tale era il suo buonumore che persino la prospettiva di ore passate a
strofinare macchie di fango incrostate sui pantaloni e di polpastrelli
resi bianchi dal sapone non lo allarmavano, né provocavano
in lui quel moto di repulsione, di solito naturale. Chiariamoci: non
che fosse schizzinoso. Semplicemente, detestava il disordine.
Tornando a noi,
l’uomo aspettò pazientemente l’arrivo
del furgoncino rosa, risplendente sotto la luce diurna, per poi
dirigersi verso di esso e prendere un dolce per il ragazzo.
Quest’ultimo,
però, non sembrava prestare la minima attenzione a quel
procedimento. Difatti, sebbene in quei giorni avesse occasionalmente
concepito quel bizzarro capriccio –sì,
perché non era un bisogno, ma solo un capriccio- , la sua
concentrazione era totalmente calamitata dalla gente intorno a lui, dai
bambini festanti che giocavano fra loro e dalle mamme apprensive che
correvano affannate da una parte all’altra. Era strano come la
confusione, elemento che detestava, poiché lo ostacolava
nella sua ricerca di pensiero, invece di costituire
un’indesiderata distrazione, si stava dimostrando solo come
un curioso passatempo atto a riempire quel vuoto mentale che, ebbene
sì, ancora non lo aveva abbandonato. Non che si sentisse
effettivamente interessato o attratto da qualcosa di così
comune, ma, in un certo senso, persino la banalità
costituiva pur sempre qualcosa in grado di distrarlo dalla sua apatia
(per una volta davvero reale), in modo che quasi non se ne accorgesse.
Si
accucciò su una panchina, incavando la testa nelle spalle e
comprimendo il resto del corpo nella solita maniera, per poi tornare ad
essere un semplice e neutro spettatore.
Per quaunque
londinese quella sarebbe stata la giornata perfetta:il sole, seppur
pallido, illuminava la città, quasi avvolgendola in quello
che appariva come un tepido alone, e le strade sembravano rischiarate
da quell'idilliaca atmosfera, tanto che la sola prospettiva di rimanere
chiusi in casa dava l'impressione di gettarsi in pasto al suicidio.
Il parco poi,
custodiva con tanta gelosia la rigogliosità e la rugiada di
ogni filo d'erba che anche il più impegnato uomo d'affari
avrebbe sprecato 5 minuti del suo prezioso tempo per una passegiata.
Londra appariva
quasi come una vecchia e stanca signora, di cui i segni del tempo si
lasciavano intravedere, senza, però, segnarla del tutto,
conferendole, nel complesso un'aria serena ed imperturbabile.
Proprio per
questa atmosfera rassicurante il parco pullulava di bambini, mentre
coppiette camminavano tenendosi per mano, sussurrandosi parole d'amore,
appena udibili fra il chiacchiericcio generale ed il cigolio delle
altalene ormai vecchie.
All'improvviso,
però, qualcosa lo distrasse da tutto quello, quasi
cancellandolo ai suoi occhi.
C'era qualcosa,
in quel parco, che si discostava da tutto il resto. Non seppe spiegarne
il motivo (il che, vista la piega assunta negli ultimi tempi, nemmeno
lo stupiva più di tanto), ma il suo corpo si diresse verso
quel punto meccanicamente, quasi come se anima e raziocinio fossero
ormai due entità distinte, lontane fra loro e morte,
impazzite di fronte ad un'incontrollabile corrente trascendentale.
Ad ogni modo,
sfruttando la sua agilità e la sua costituzione esile,
sgattaiolò fra alcuni cespugli fino a ritrovarsi in un
piccolo spiazzo naturale.
Si tolse
infastidito le scarpe, anch'esse un po' logore, che il signor Whammy
gli aveva costretto ad indossare, godendo appieno della sensazione
fresca e solleticante procuratagli da quel tappeto erboso, di un verde
intenso. Infine, si guardò un po' intorno, osservando
attento gli alberi vecchi e rinsecchiti che delineavano quella nicchia
naturale, e i cespugni di rovi.
Probabilmente,
viene spontaneo chiedersi cosa mai potesse averlo attirato in quel
posto, e a dire la verità per qualche mometo si
interrogò lui stesso a riguardo, per poi giungere alla
conclusione che la chiave di tutto fosse il silenzio che gravava
sull'intero luogo, quasi sovrumano nel suo assolutismo. Nessun suono, a
partire dalle grida delle madri per finire con il rombo delle macchine
che, prepotenti, scivolavano sull'asfalto, era più udibile,
quasi come se, invece di superare qualche barriera arborea, avesse
oltrepassato un misterioso portale, ritrovandosi in un mondo parallelo,
o in un altro tempo, dopo chissà quanti anni.
Per un attimo,
ebbe quasi la tentazione di guardarsi le mani per vedere se fossero
diventate raggrinzite e nodose sotto il peso del tempo, ma poi, prima
che il suo raziocinio potesse sprofondare ancora più
giù del fondo - ahimè!- già toccato,
si rese conto di quanto tutto quello fosse ridicolo. Quindi, si
concesse qualche secondo per ricomporsi, e per tentare di recuperare
quel distacco e quella razionalità che lo
contraddistinguevano e che, da qualche giorno a quella parte,
sembravano essere sprofondate sotto il peso di una gravosa noia.
-chi sei?
Si
girò di scatto, senza tradire la minima sorpresa.
L'acuta e
stridula vocina - pensò subito che fosse oltremodo
fastidiosa - proveniva da una graziosa bambina, di tipici tratti
albionici, accovacciata scomposta sull'erba, ai limiti della piazzetta
naturale.
-tu?
-l'ho chiesto
prima io! - rispose evidentemente irritata. Poi ripetè: -chi
sei?
-Se tu hai
diritto a non rispondere, altrettanto ne ho io.
-Sei scemo. E
parli anche in maniera strana.
L
sospirò pesantemente, come per scaricare la frustrazione
accumulata in un solo soffio. Ad occhio e croce, quella bambina doveva
avere pochi anni meno di lui: i suoi occhi vispi lo fissavano lambiti
da una vuota intensità, mentre una strana smorfia le
storpiava il viso. Dopotutto, non sembrava molto intelligente.
-Bleah! Sei senza
scarpe!...Ma che schifo!
-...-
-La mamma dice
che solo gli straccioni non hanno le scarpe, quindi tu sei un
poveraccio.
L, a quelle
parole, non poté fare a meno di rivolgerle uno sguardo di
sufficienza, roteando, poi, gli occhi al cielo e trattenendosi dallo
sbuffare ancora. Ogni parola in più proferita da quella
bambina costituiva un'ulteriore, schiacciante dimostrazione della sua
idiozia.
-Non le indosso
poiché le trovo alquanto scomode e costrittive.
-Allora sei scemo
Già...perché
sprecarsi a rivolgerle la parola? pensò annoiato.
-e sporco
-riprese quella - se mi attacchi qualche malattia, mia madre ti fa
arrestare! -concluse alzando il nasino all'aria, in un movimento
superbo e stizzito.
Ma ormai L non
l'ascoltava più, calamitato dal sussurrare delle fronde e da
quei raggi di sole che, intrusivi, si facevano strada tra gli arbusti,
carezzando ogni foglia e rischiarando di un pallido bagliore la sua
pelle troppo bianca. D'altronde, perchè attardarsi a
prestarle attenzione quando era certamente preclusa ogni
possibilità di ottenere in cambio una risposta degna di nota
o, quantomeno, vagamente intelligente?
La sua "compagna"
doveva essersi accorta della superba indifferenza riservatagli,
perchè cominciò a stropicciarsi la gonnellina con
nervosismo, e a mordersi il labbro inferiore con forza.
-Non vorrei che
mi attaccassi la tua bruttezza!
-sei noiosa
-e tu sei brutto
Sbuffò
di nuovo. Si ritrovò a pensare, piuttosto sconcertato, di
non riuscire a farne a meno.
-Semttila, scemo!
-Quantomeno, un
minimo di originalità sarebbe gradita.
Udì
uno stridore acuto e irregolare: la bambina, evidentemente furibonda,
stava digrignando i denti e, serrate le labbra, si tratteneva a stento
dall'urlare, emettendo, in cambio, quel fastidioso suono.
Ed L sorrise.
Non è che fosse uno di quei ghigni che mostrano file di
denti bianchi e luccicanti, ma solo una lieve incurvatura della bocca,
talmente nascosta da essere appena distinguibile dall'usuale linea
dritta in cui si esibivano le sue labbra sottili. Eppure, non era
proprio riuscito ad evitarlo: per qualche motivo a lui ancora
sconosciuto, trovava tutto quello alquanto divertente.
-Smettila!
-Di fare cosa?
-Di trattarmi
come una stupida!
Il ragazzo
alzò gli occhi al cielo qualche attimo, appoggiando
l’indice della mano destra sul labbro inferiore della bocca
impercettibilmente aperta, così come, ogni tanto, usava fare
mentre rifletteva su qualcosa. Infine, riabbassò il capo,
fissandola con un’espressione ingenua e priva di malizia.
-Ma lo
sei…- disse pacatamente; la sua voce sembrava voler
sottolineare l’ovvietà di una simile affermazione,
con tale innocenza che la stessa bambina si chiese se questa fosse
vera, e non un’ulteriore presa in giro. A dire la
verità, L non lo aveva detto per spingere
l’irritazione della sua interlocutrice oltre i limiti umani.
In realtà, era più che convinto della sua
affermazione: non che, in effetti, non avesse potuto mascherarla con
qualche piccola bugia – e la qual cosa sarebbe di certo
risultata alquanto divertente– oppure rispondere con qualche
studiata provocazione.
Semplicemente, in
quel frangente non ne aveva visto né alcuna
necessità, né alcun guadagno, e nella sua mente
si era quasi annidata la convinzione che fosse un crimine rifilare
qualche falsa idiozia a quella ragazzina che proprio non sopportava.
Sostanzialmente,
proprio per questo motivo.
Era
così immerso in questi pensieri che non si accorse nemmeno
che la compagna, attirata dalle grida di un adulto (con ogni
probabilità il padre), aveva smesso di tirargli con stizza i
sassolini contro le scarpe logore, le gambe sottili e le ginocchia
appena intravedibili sotto la stoffa dei pantaloni. Difatti, si
riscosse solo quando avvertì le spesse dita del signor
Whammy adagiarsi delicatamente sulla sua spalla, facendo sì
che un fastidioso brivido gli percorresse veloce l’intero
braccio.
-E’
tardi, L. Andiamo.
Il ragazzo non
discusse, seguendo passivamente l’imponente figura del suo
tutore.
Nel frattempo, la
bambina seguiva trotterellando suo padre, mentre la moglie li aspettava
pazientemente al posto di guida di un furgoncino rosa sfavillante
– ancora impregnato del dolce aroma delle crepes- , pronta a
mettere in moto.
Suo malgrado, non
poté fare a meno di sorridere ancora, quasi fosse stato per
lui un gesto usuale, e di sentire i residui di una qualche scarica di
adrenalina animargli l’intero corpo. Poteva affermare al 97%
che odiava quella ragazzina: lei che non gli aveva rivolto altro che
insulti e giudizi superficiali, lei che non era stata trattata in altro
modo, se non per la stupida che era.
Tuttavia, lei da
sola era riuscita a spezzare, anche se solo per poco più di
un’ora, la monotonia, la noia di una vita tutta uguale,
seppur giusta. E per questo, L non poteva evitare di considerarla quasi
come un’involontaria, insopportabile salvatrice: in un certo
senso, il suo angelo senza ali, senza tunica, priva di qualsiasi
misticismo e rilevanza. Però, il suo angelo.
-Non
l’hai ancora mangiata; l’avevo presa per te,
dopotutto. –disse il signor Whammy allungando una crepe
riempita di pezzi di banana annegati nella cioccolata. L
sembrò rifletterci su, quasi tentato di afferrare il dolce.
Ma poi, sotto lo
sguardo stupito dell’uomo, che aveva quasi aperto gli occhi
di solito strizzati, tanta la sorpresa, rifiutò, infilandosi
nella grande macchina scura.
-Ma…perché?-
chiese l’altro, senza ricevere risposta.
No, L
pensò che non avrebbe mai rovinato tutto quello rendendo
qualcosa di così speciale come quella crepe
un’abitudine scontata e ripetitiva. Così, i due
lasciarono il parco in silenzio, guardando entrambi verso un odioso e
accecante furgoncino rosa.
Beh, eccoci alla conclusione della storia^^ Prima di tutto vorrei
chiarire che, per quanti di voi stiano pensando che L sia
inconsapevolmente innamorato della bambina, hanno toppato alla grande
XD Non era affatto questa la mia idea, ma mi rendo conto, purtroppo, di
averla resa in maniera alquanto equivocabile. Purtroppo, non sono
riuscita ad esprimermi in maniera migliore, perciò spero che
il messaggio si sia colto e che coloro che avevano frainteso,
rileggendo, possano capire meglio^^ Ad ogni modo, in casi estremi, sono
persino disposta ad arrabbattarmi per spiegarmi e chiarire le idee XD
Non penso di avere altro da dire, se non esortarvi a recensire in
tanti: spero in consigli per migliorarmi e vorrei un po' di opinioni
sulla trama, sul modo in cui è scritta questa shot (mi
lascia molti dubbi .__.) e sapere se secondo voi è OOC o
meno^^
Ammetto che sono quasi
tentata di non pubblicare più questa storia e di seporla
nella mia pennetta XD
Beh, lasciamo
stare....ringrazio tutti i lettori e i recensanti di "Pitagora" ancora
una volta^^
Bacioni!
0*Umpa_lumpa*0
|