Peach, Tiara e Pauline terzo capitolo
L’immensa libreria si snodava come un immenso labirinto
costruito in uno stile volutamente antico su più piani, ciascuno di esso pregno
di tomi e volumetti che chiedevano disperatamente di essere comprati e letti da
un avido lettore; incamminarvisi era come entrare in un poetico, pacifico mondo
parallelo ove ogni paura veniva attutita da pagine profumate e storie
malinconiche.
Tra le rade e minute figurine che si riuscivano a scorgere in mezzo a tal
paradiso cartaceo vi erano anche quelle di Peach e di Tiara, ma un’aura
impalpabile, immaginaria pareva far risplendere ulteriormente le fisionomie di
entrambe: la Principessa mirava, seppur distrattamente, alcune costine,
sfiorandole appena col dito e la sua amica non poteva far altro che osservarla piacevolmente
stranita mentre spiegava alcuni libri per bambini dalle magnifiche
illustrazioni, come se la giovane donna fosse così radicalmente cambiata in
così poco tempo.
L’incontro di alcuni giorni addietro fu, sorprendentemente, un catalizzatore,
che nonostante fosse iniziato da un supino torpore annegato da lacrime di
dolore si trasformò come il preludio per un’intensa pausa di riflessione:
risentiva ancora gli effetti di ciò che la sindaca di New Donk City aveva
espresso nella sua sfuriata, come fosse un aspro rimbombo di campane, e ancora
si sentiva vilipesa dai toni sgarbati che ella aveva usato; ma al contempo
ravvisò in mezzo alle righe delle sue veementi parole un invito a risvegliarsi
dalla sua scarsa reattività ch’ella aveva avuto nella sua esistenza, specie con
Mario. Quando avrebbe potuto rivedere l’adoratissimo idraulico, gli avrebbe
chiesto definitivamente scusa per il suo errore forse imperdonabile, anche a
scapito di bloccarlo durante le sue incessanti e sfrenate avventure nel corso
del globo, e di dichiarargli, una volta per tutte il suo amore per lui, in caso
l’avesse perdonata. Il tempo nel quale gli appena accennati bacini sul naso e
le deliziose torte erano gli unici palesamenti di un sentimento così tanto
profondo poteva definirsi concluso; si era resa conto che il suo amato
necessitava di una condotta lievemente meno allusiva, seppur rimanendo dolce, e
di più sincerità affinché il loro rapporto potesse fiorire come la sovrana
pensava meritasse. Quel tentativo di
matrimonio fallito così miseramente poteva rimanere solamente una pagina oscura
tra le tante così iridescenti che il futuro poteva offrirle, e ne volle
definitivamente scrivere le dolci parole.
Pauline era nel torto dandole dell’ingrata con cotanta leggerezza, ma
ripercorrendo i trascorsi con l’eroe dai
grandi mustacchi durante quei lunghi anni in cui l’ha salvata, effettivamente
ravvisò un’eccessiva superficialità e un’inutile allusività nei suoi confronti,
ed era ora di superarla definitivamente. E doveva ringraziare proprio lei,
quella donna così appassionata, quella vecchia fiamma rossa di Mario, per
averle scaturito accidentalmente quella matura meditazione.
Questa ragione, un miglioramento di se stessa, la trascinò ulteriormente
nell’erudita corrente della letteratura e della saggistica: quando non era
occupata dalla folta lista dei suoi oneri reali o non era per l’ennesima volta
la malcapitata ospite di Bowser, soleva dilettarsi con una lettura di un buon
volumetto; non era una persona molto esigente, apprezzava qualsiasi genere,
nonostante avesse una predilezione per i classici e per le storie d’amore,
purché fosse scritto bene e l’avrebbe fatta emozionare o riflettere in qualche
maniera.
La giovane donna ravvisò, confuso tra gli altri corsi bianchi e inumati, un
volumetto sottile con un titolo che però le era noto: il giovane Toalden, la storia
dell’annichilito peregrinare di un giovane Toad in mezzo alle strade che ella
stessa stava percorrendo in quei momenti, uno dei romanzi più adatti da leggere
in quei giorni in cui era ospite nella medesima città.
Una voce brillantemente carica, stranamente familiare ruppe il religioso
silenzio, facendo sobbalzare improvvisamente la ragazza dal crine paglierino
dapprima intenta ad assaporare quel sincero incipit di un libro così tanto famoso
e amato:
“Ottima scelta, Principessa!”
Qual fortuita visione, immersa in quell’onirico acquario di
libri!
Un’aleatoria sorpresa così vaga, impossibile da descrivere con dei termini
precisi, siccome oscillava vorticosamente tra l’ingenuo gaudio di un nuovo
civile inizio e la consapevole angoscia di aver commesso un peccato tanto grave
da meritare il biasimo che meritava da parte di quella innocente Principessa e
quello dei suoi adoratissimi concittadini per aver a capo colei che è una
persona incapace di controllare i propri
impulsi, e inetta a pensare ad altri se non a se stessa.
Era già entrata nel negozio, quando Peach e Tiara vi arrivarono, ma
inizialmente si nascose dietro a quel dedalo di scaffali, accontentandosi di
seguirle tacitamente, in punta di piedi. Teneva stretta tra le solide pugna la
sua bella borsetta, madre degli affanni e delle paranoie di una manciata
indefinita di giorni; cercava di annegarli in uno di quei pochi modi che la
Sindaca riteneva onorevoli: annegare in un lavoro stacanovistico quando il sole
illuminava ancora la città e da lunghe peregrinazioni quando esso svolgeva il
suo compito eterno dall’altra parte del mondo e la luna lo rimpiazzava
pallidamente; se l’era imposto come una laica penitenza, che proprio quel tardo
diurno aveva già infranto. Ah, se non era neanche buona di darsi una degna
punizione, come poteva essere colei responsabile del benessere quotidiano di
migliaia di persone?
Si morse un labbro macchiando di rosso uno dei bianchi incisivi, e sgattaiolò
guardinga dietro a un’altra sezione di quel grandioso negozio, prese il primo
libro che vide e fece finta di leggerne l’incipit; Peach e Tiara si stavano
avvicinando, pur inconsapevoli della propria presenza, a lei! No, non voleva
ancora mostrarsi, il suo battito cardiaco si fece via via più palpabile; ma
scappare era seriamente la soluzione? No che non lo era, ma al contempo aveva
lei, Pauline l’iraconda codarda, il coraggio adatto per poter parlare
nuovamente con colei che aveva irrimediabilmente offeso?
Internamente agitata come uno dei cocktail che soleva sorseggiare dopo i suoi
concerti, era bloccata in quel limbo paradossale, ma qualcosa riuscì a
sbloccarla, un vivo lampo sussurrato fulmineamente dal suo subconscio: non
stava, forse disertando il suo dovere per lasciarsi trascinare dal flusso delle
sue suggestioni? A pochi metri di distanza non aveva, per caso davanti quella
Principessa sulla quale doveva espiare il proprio peccato?
Un’epifania minore fu in grado di smuoverla dalla sua immobile pusillanimità, di
sistemare quel volumetto che aveva ancora in mano nel posto in cui l’aveva
trovato.
S’avvicinò senza troppa fretta alla Principessa, ora lasciata in disparte dalla
sua piccola amica dal velo fluttuante; era intenta nel saggiare placidamente un libro, che
inizialmente stentò a individuare, ma che seppe riconoscere subito appena
lettone l’incipit: era proprio il giovane Toalden, un romanzo così affascinante, che tuttavia
stava trascurando proprio in quei giorni di artificiosi propositi e lancinanti
dolori!
“Ha degli ottimi gusti, la Principessa” cogitò osservando quel dolce e pacifico
quadro, poco prima di iniziare a smuovere quello scenario idilliaco e porle i
propri complimenti fuori luogo per le sue scelte. Prima di muovere la scelta
fatale, la sindaca si compiacque di aver trovato un buon espediente col quale
avviare pacificamente la conversazione, che sarebbe poi confluita nelle sue
scuse più sincere; e nonostante un’ultima ponderazione e trovò il coraggio di
esalare quelle gentili inconsuete parole.
La Principessa si voltò e riconobbe immediatamente la
fisionomia alta e formosa della sindaca Pauline, che la osservava con uno
sguardo diverso dal solito, più… genuino?
Peach strizzò gli occhi scettica, come se davanti a sé ravvisasse solamente una
vaga allucinazione dettata dalla suggestione dettatale dall’ambiente onirico in
cui si trovava.
“S… Sindaca?” fu quello che riuscì a scandire bene dalle sue piccole e rosee
labbra la cui forma a cuoricino si schiuse in un’espressione di una ambigua
sorpresa; pareva essere immediatamente tornata all’ibernazione fisica e mentale
che conseguì la litigata dei giorni addietro: non riusciva nemmeno a
comprendere come poter continuare la conversazione con la sua collega, la cui
sola vista le generava sentimenti così violentemente contrastati ma al contempo
così uniti da paralizzarla, impeti di ammirazione, rabbia, rammarico e
gratitudine si mischiavano nei suoi confronti.
Tiara, che fino ad allora era rimasta incredulamente ad osservare la situazione
così paradossale dal suo infantile cantuccio, si diresse verso la sua protetta
Principessa nascondendosi dietro alla sua sottana, come una bambina impaurita
dal mondo; e dal suo nuovo rifugio di stoffa, fissò di sdegno l’interlocutrice
della sua protetta, come a rimproverarla di essere stata la responsabile di
quel periodo di sofferenza dell’amica.
Pauline, iniziatrice di tale scena madre nonché consapevole di essere stata la
portatrice di un’ineluttabile malinconia nello stato d’animo della principessa,
decise di provare per lo meno a sciogliere la tensione che ella stessa aveva
creato, e lo fece nel modo ch’ella stessa riteneva il migliore per l’occasione:
“So che si troverà spaesata nel trovarmi improvvisamente in un luogo dove non
si sarebbe mai aspettata…” iniziò deglutendo amaramente le sue parole, come
fossero pillole amare per curare una malattia rappresentata da un’azione
sbagliata.
“non importa né il luogo in cui ci troviamo, né il momento, ma mi permetta delle
scuse, qui, in questo luogo pubblico; affinché anche i miei cittadini
comprenderanno che anche io, la loro amata sindaca, ho dei difetti non
indifferenti…”
Il suo sguardo si chinò, come una tardiva reverenza innanzi all’oramai
angelicata figura della Principessa, e una lacrima nera e fuggitiva macchiò
l’attillato pantalone rosso; il tempo decise nuovamente di rallentare il suo
ineluttabile incedere per concedere alle due ex rivali di chiarirsi con calma.
Il viso di Peach inizialmente indefinito si mutò in un’espressione ancor più
vaga, in cui gli occhi grandi tornarono nuovamente lucidi e le labbra tremarono
frementi; mentre Tiara sbucata dal regio nascondiglio la osservò ancora
scettica, ma ugualmente confusa.
“Chiedo ancora scusa per la mia impulsività, ho lasciato che il mio pregiudizio
verso lei, Principessa, accecasse la mia obiettività…” sospirò ancor più
spezzatamente la donna dai capelli mori, il cui pianto oramai esploso finì per
inzupparle le guance rigate di nero.
Una piccola mano diafana le carezzò delicatamente la schiena, per consolarla.
La sovrana del Regno dei Funghi, definitivamente riscaldata dalle sue sincere
parole si mosse a consolarla, e prima di avviarsi verso la donna strinse la
mano a Tiara, come per rassicurare pure l’esterrefatta fantasmina.
“Sindaca Pauline… n-non dica cose del genere… ammetto di esserci rimasta male
l’altro giorno, ma sappia che il nostro rapporto non si ridurrà solamente a
questo spiacevole evento: se vuole, possiamo metterci una pietra sopra e
tornare a parlare come se nulla fosse successo”
le mormorò nell’orecchio con voce vellutatamente flautata mentre con le sue
membra avvolse il corpo debolmente rammaricato della prima cittadina, che al
contempo pianse ancor più copiosamente lasciando che quello sfogo raggiungesse
il culmine in mezzo alle braccia di quella sconosciuta Principessa che a lungo
tempo aveva disprezzato.
“M-ma è sicura di voler perdonarmi così subito senza udire una buona scusa?”
balbettò la donna di vermiglio abbigliata, adagiando delicatamente il capo sul
petto della così pietosa Principessa.
“Sicura, in cuor mio sono sempre stata convinta della del suo cuore” insistette
l’angelica creatura, sussurrando quella gentile sentenza quasi fosse una dolce
ninnananna priva di melodia accarezzando la schiena della sindaca. Tiara,
ancora spettatrice assorta della scena, finalmente colpita dalla sincerità di quella
situazione, e decise di unirsi a Peach in quel tenero amplesso; sul quale
l’attenzione generale delle occasionali comparse si spostò, gemendo dalla
tenerezza, come se fosse partecipe a un appassionante capitolo di un libro
pregno di emozioni.
Nel torbido e confuso brusio del locale dal quale ebbe
genesi quella agrodolce cordialità, un tavolino come tanti altri, popolato
temporaneamente da tre distinte figure femminili dalle sagome ben scindibili
pareva essere il centro degli sguardi di
coloro si trovavano loro limitrofi.
“Davvero quella borsetta è un regalo di Mario?!” cinguettò entusiasta la voce
di Peach mentre le sue lucenti iridi scrutavano euforicamente i dettagli di quel fine accessorio; che ora
poteva tastare con le sue stesse mani, potendone sentendone la consistenza
liscia e gradevole al tatto, mentre Tiara si limitava a sfogliare beata per
l’ennesima volta uno dei curati libri che la Principessa le aveva regalato il
giorno addietro, in segno di scusa per non esserle sempre stata vicina durante
l’intero corso del viaggio. Pauline, sedutasi di fronte alle due amiche annuiva
mentre terminava di sorseggiare il suo caffè sotto lo scorcio di un cielo
viola, glicine e arancione nel quale poche nuvole scure otturavano la comunione
completa tra le tinte acquerellate.
“Hehe, ha sempre dimostrato un buon gusto, quando si tratta di regali” constatò
la donna scostandosi leggermente la grande tesa del cappello viola, che le cominciava a calare innanzi agli occhi “Sa
che ha una storia dietro?” continuò certa che la Principessa avrebbe ascoltato
di buon grado la malinconica favola che l’oggetto celava.
“Dovete sapere che quando fui rapita da Donkey Kong, anni fa, ho perso questo
oggetto e non ne ho avuto traccia fino a quando Mario, tornato a farmi visita è
riuscito a trovarmela, proprio il giorno del mio compleanno! Com’è ironica la
vita, non trovate?” riassunse brevemente la Sindaca, rievocando quella
lietissima immagine raffigurante il suo idraulico preferito (ah, come le
mancava ancora la sua esuberante presenza all’interno della città!) con in mano
quella malinconica offerta, esibito come se fosse un trofeo che ora poteva
tornare tra le braccia della sua legittima proprietaria; un dono testimone di ricordi lieti e non, che sarebbe
rimasto per sempre insieme alla sua Pauline, nonché l’oggetto ch’ella
paranoicamente aveva frainteso come un capriccioso desiderio di Peach la
settimana innanzi, come se la sovrana volesse strapparle quel poco che le era
rimasto della relazione oramai diradata con Mario.
“Oh, che dolce!” mugolarono in coro intenerite la Principessa e Tiara, la cui
concentrazione passò dal libercolo ancora aperto innanzi allo struggente
racconto della sindaca, la quale emise un sospiro afflitto; l’ennesimo.
Costringendo l’aria dall’emozione fortissima che stava rievocando, mormorò con
un fil di voce, quasi fosse in lacrime:
“Avete capito, insomma, quanto questo mio possedimento sia a me più che caro… e
mi dispiace ancora aver generato inutili litigi a causa di ciò, e so benissimo
che anch’io sono stata estremamente superf…”
“Ti ho già perdonato tutto- la interruppe Peach rivolgendosi a Pauline con tono
più colloquiale restituendole quella reliquia con la delicatezza che meritava-
ti stai dimostrando come una persona passionale e sincera, e Tiara ed io siamo
così felici poter conversare con te in questo momento”
“Sì, sei simpaticissima, e adoro come canti!” le fece eco Tiara cinguettando e
tentando di imitare stonatamente quel motivetto che aveva udito in quella prima
serata e che ancora in quel momento ricordava con piacere; Peach e Pauline
irruppero in una piccola risata divertita, come se le adorabili movenze di
Tiara avessero posto definitivamente la parola fine a quei giorni di
riflessione, di angoscia e di maturazione per entrambe le ragazze.
Fu meravigliosamente incantevole il così veloce progresso, in così pochi
giorni, che spinse loro a scoprire una buona intesa, che da quell’incontro in
libreria si dipanò in una serie d’incontri a un ritmo serratissimo, quotidiano;
quanto era bello, per la Principessa, poter girovagare per la città con una
nuova leggerezza, fluttuando quasi come fosse la sua spiritica amica insieme a
una guida così preparata e al contempo sensibile alle grazie che la città
poteva offrire. La dolce sovrana, inoltre, cominciò a reputarsi finalmente appagata
di poter conoscere un tassello così fondamentale nella vita di Mario, colui che
in quei giorni riscoprì di amare ancor più profondamente e teneramente di quanto
avesse fatto fino ad allora, ma al contempo il suo senso di colpa nei confronti
dell’idraulico di rosso vestito diventò più intenso, rendendo impossibile alla
Principessa godere pienamente delle sue vacanze. Tuttavia, in fede di ciò che gli
insegnamenti che la sindaca le stava elargendo durante quei primi istanti di
un’amicizia com’ella si auspicava forte e duratura, tentò di rincantucciare quegli
amari pensieri e di godere appieno degli appaganti frutti che la Grande Banana
poteva offrire a una rampolla come lei e alla sua vivace compagna di viaggio.
Pauline, al contempo riuscì a tornare gradualmente in sé, la gioviale sindaca dalla
voce argentina che il mondo aveva imparato ad amare: liberatasi del tutto dagli
orpelli dettati da paranoie e vecchi fantasmi del passato, decise di rallentare
lievemente il ritmo del proprio lavoro, che dall’opinione cittadina aveva
risaputo svolgere più che egregiamente, contrariamente a ciò ch’ella pensava,
per dedicarsi maggiormente a se stessa, e alla propria felicità, nonostante
ravvisasse ancora un certo debito morale nei confronti di Peach. Ma come fu
contenta di tornar a una sensazione di leggera spensieratezza, durante le
proprie lunghe passeggiate nella splendente metropoli, di ricambiare con vivo
gaudio chiunque l’avesse ossequiata e di essere orgogliosa del proprio impegno
per la città.
“Peach, Sin… Pauline!” esclamò Tiara scostando i lembi delle morbide maniche
del leggero abitino in cotone della
Principessa chiacchierante con la Sindaca, ripetendo insistentemente i nomi
delle due amiche, come se cercasse insistentemente di distaccarle dal loro
discorso.
“Sono le sei… tra mezz’ora inizia il film! Dai, andiamo!” si lamentò attirando
la loro attenzione ticchettando con l’argentea paletta ovale del cucchiaio
contro il bicchiere sporco del frappè che aveva consumato poc’anzi. Gli sguardi
delle due fanciulle finalmente confluirono verso l’impaziente coroncina, la
quale ribadì la propria smania di tornare nuovamente al cinema a vedere il
medesimo lungometraggio interattivo di cui tanto voleva essere la fortunata
protagonista.
“Ah, è vero! Come passa in fretta il tempo!” mormorò Peach osservando velocemente
l’orario dal telefonino che recava, guardando poi dolcemente la coroncina
assentendo implicitamente alla sua proposta di avviarsi verso il cinematografo.
“Chiedo venia se possiamo essere sgarbate ad abbandonarti così tempestivamente,
ma Tiara ci tiene tanto, e ho rimandato fin troppo questo appuntamento”
continuò alzando le spalle la Principessa, la quale abbassando impacciata lo
sguardo temette di apparire rude proprio con una conoscenza che stava giusto imparando
ad apprezzare anche durante quell’incontro informale; ma la reazione di Pauline
fu teneramente comprensiva:
“Non preoccuparti, Peach, ci credo che una tubalese così curiosa come Tiara non
veda l’ora di provare un’esperienza simile! Ah, è da così tanto tempo che non
vado al cinema, se volete vengo a farvi compagnia!”
“Davvero?!” esclamarono insieme le due amiche, colte da un piacevole sussulto.
Che pensiero gentile da parte sua!
“Certamente, e in qualità di prima cittadina di New Donk City farò sì che il
desiderio di questa dolce fanciulla si avveri”
La piccola coroncina accorse precipitosamente dalla sindaca e la travolse
gettandole le sue piccole protuberanze addosso, esprimendole in modo quanto più
affettuoso possibile la propria riconoscenza per quella finezza, ripetendole
velocemente dolci lemmi ovattati dal corpo di Pauline, la quale dopo aver sfiorato con le
grandi mani curate il piccolo corpicino tondeggiante e aver atteso che la
fantasmina si scostasse da lei naturalmente si alzò dal suo posto e,
sistemandosi le grinze della sua vermiglia giacca, incoraggiò Peach e Tiara ad
accodarsi insieme a lei verso il trepidante luogo ove sarebbe iniziata la
proiezione immerse nel luccicante e ruggente vespro di New Donk City.
Il maniero maestoso si ergeva come un imperituro monumento tinto di bianco e di
rosso volto a celebrare una dinastia di magnanimi sovrani tra le bucoliche e rigogliose
vallate del fiabesco Regno dei Funghi; l’ombra smussata dall’ovattata luminosità
del cielo pitturato di glicine e di lavanda si posava delicatamente sui prati
fioriti di tarassachi, margherite e nontiscordardime, come se la natura fosse
clemente nell’elargire un dono segreto agli occhi degli sporadici visitatori
già svegli nell’ora dell’aurora.
Tutt’un tratto i fini e giovani fili d’erba cominciarono a piegarsi sotto un’improvvisa raffica di vento
accompagnata da un rombo di eliche e d’ingranaggi decisamente frastornante da
udire di prima mattina, tanto d’aver fatto sussultare alcuni Toad ancora
immersi nel propri sogni; costoro si affacciarono, indisposti, dalle aperture delle
loro singolari casette a forma di micete, e rivelatasi la fonte di così tanto
fastidioso suono mutarono completamente il proprio umore: una strampalata
navicella dalla particolare forma a tuba trainata da un enorme palloncino i
quali riflessi dorati riflettevano la timida luce solare era appena atterrata
nella piazza principale; non c’era alcun dubbio, l’eroe era tornato a casa
dalla sua lunga odissea!
Contrariamente a quanto avvenuto a celebri eroi suoi colleghi, i funghetti
uscirono frettolosamente dalle loro casupole, abbigliati coi primi capi che
avevano trovato, per celebrare immediatamente lui, il grande Mario, il redentore
del regno nonché della loro adoratissima Principessa, e Cappy, il misterioso
cappello suo aiutante collaboratore alla pace; piccolo copricapo dai forti
principi e il cui coraggio sarebbe eternamente ripagato dalla stima degli
abitanti.
“Se solo la Principessa e Tiara fossero qui…” sospirò malinconica una Toadette non ancora
del tutto ridestata, lasciando solamente intravedere le scure ma lucenti iridi
dietro ai pesanti tendaggi delle finestre, accontentandosi solamente di
osservare l’idraulico dai grandi mustacchi e il cappello processare dietro
all’allegra fila di funghetti sotto le finestre di casa propria.
“Acciderbolina, che accoglienza in grande stile!” ridacchiò proprio il candido tubalese
dal ciuffetto con le punte turchesi spalleggiando il suo fido compagno di
avventure mentre erano in procinto
d’incamminarsi su per il sentiero che conduceva alla dimora dell’idraulico
baffuto, posta a esattamente metà distanza tra la piazzetta in cui erano
approdati e il castello di Peach; Mario, esausto del lungo pellegrinaggio che
aveva percorso fin dal satellite che aveva contribuito a distruggere
parzialmente alcuni mesi addietro, preferì non proseguire il dialogo e continuò
a marciare a passi tardi e lenti fino alla sua
lontana e tranquilla casupola.
Congedata la lunga processione dei suoi ammiratori, entrambi gli amici si
rintanarono tra le piccole ma
accoglienti mura di casa Mario e si buttarono a capofitto su un singolare divanetto
per metà rosso e metà che l’eroe del Regno dei Funghi soleva condividere col
fratello nei loro radi momenti di svago domestico.
Quant’era dolce rimettere piede nel proprio cantuccio dopo l’epica conclusione
una simile epopea! L’incantevole scia del pescato profumo degli esili
bastoncini si distribuiva sensualmente in ogni recesso domestico, rimembrando
all’idraulico dolci vagheggi sulla dolce Principessa con cui condivideva il
nome; ma al solo rimirare quella lucente chioma paglierina l’occhio dell’eroe
baffuto lentamente si socchiuse: chissà se la sua dolce protetta stesse
superando quel trauma… Tiara è stata così gentile a volerla distrarre dal giogo
dei suoi oneri facendole visitare i luoghi che lui stesso aveva accuratamente
esplorato col fido Cappy per poterla salvare. Ciò ch’egli fece sulla luna in
quel frenetico, indistinto giorno era alquanto infantile da parte sua, e
fortunatamente se ne ravvide presto: ritenne che la reazione di Peach fu più
che sensata e ne ammirò il suo autocontrollo in quella situazione traumatica,
non meritava alcun rancore; solo tempo per riassestarsi e, se avesse voluto, di
compiere una decisione ragionata.
Concorde con l’idea della coroncina, confidava di tornar a notare nella sua
adorata fanciulla un colore più rosato nelle sue gote sottili, e un nuovo dolce
crepitio nei suoi occhi non appena fosse tornata al trono del suo Regno, e che
potesse nuovamente essere la donna di cui lui si era innamorato sinceramente e
teneramente.
Come per cessare bruscamente l’onirica dormiveglia, Mario si sentì tirare gli
stopposi mustacchi da un tocco timido ma affettuoso, e come per incanto al
posto del viso di Peach l’idraulico, alzando stanco gli occhi verso l’alto, riconobbe istantaneamente l’impalpabile
fisionomia di Cappy: da quanto tempo si era alzato?
“Mario, ehi, Mario guarda cos’ho trovato!” tentò di sussurrare il tubalese facendosi a malapena udire già dalla
ravvicinata distanza da cui era posto l’idraulico; tratteneva stentatamente con
una delle sue piccole e diafane protuberanze una sottile ma grande busta di
carta avoriata dai bordi porpora la quale recava nel prezioso fronte il
peculiare logo a stelle e grattacieli della città di New Donk City; non appena
i suoi occhi riuscirono a discernerlo, lo sguardo del baffone trasalì in una
buffa espressione euforicamente contenta.
Era proprio una lettera da parte della sindaca Pauline, qual lieto
gaudio aver sotto agli occhi una missiva redatta proprio da lei! Malgrado il
loro interesse romantico fosse oramai scemato dopo tutto quel tempo, serbava
ancora tra i suoi ricordi l’immagine di una donna così passionale e sincera la
cui amicizia era un tenero tesoro da custodire. Quei fortuiti incontri a New
Donk City avvenutisi qualche mese
addietro avevano contribuito a rinsaldare ulteriormente quei già buoni seppur
radi legami che avevano mantenuto, e fu genuinamente orgoglioso di aver potuto
assistere, seppur di sbieco, alla brillante carriera che la ragazza dai capelli
di mogano aveva intrapreso. Serbava
ancora tra i recessi della sua mente la prima volta in cui l’aveva incontrata: lei
era ancora una semplice giornalista alla
ricerca di uno scoop tra gli snodati e bui vicoletti della città, quando improvvisamente
si ritrovò tra le indifese vittime di un ingenuo scimmione, una dama, la prima tra
le tante fanciulle che ormai aveva riscattato. Oramai si era trasformata in
quell’indipendente autorità quale aveva saputo dimostrarsi pur non perdendo la
sua dolcezza originaria, e perciò ne fu lieto; le era profondamente grato se
egli era diventato l’eroe del Regno dei Funghi declamato in tutto il mondo, e
non volle mai dimenticarsi del legame profondo che la legò a Pauline.
Dopo essersela fatta pazientemente consegnare da Cappy, oramai smanioso di
conoscerne il contenuto, Mario strappò velocemente la busta preziosa, malgrado
il più morigerato avvertimento dell’amico cappelluto, e la lesse voracemente,
scandendo attentamente nella sua mente ogni singolo grafema delle righe della sua
vecchia amica. Tutt’un tratto afferrò per la mano l’attonito Cappy, fino ad
allora nient’altro che un semplice osservatore di un’inspiegabile e improvvisa pantomima
del suo amico.
Fuori dalla casupola ove si erano ristorati i due eroi, campeggiava un cielo
schiarito da una bollente luce estiva, lievemente mitigata dalla soffice brezza
la quale sospingeva delicatamente gli ultimi leggeri batuffoli di polline, e
tra i vasti campi profumati si rincorrevano
serenamente alcuni piccoli Toad sorvegliati premurosamente dai parenti
affettuosi.
Tenendo ancora ben stretta la sua mano con quella di un Cappy ancora intento
nel suo tentativo di decifrare i suoi gesti, l’idraulico galoppò per tutto il
sentiero sul quale era passato tanto faticosamente poche ore prima, attirando
delle occhiate altrettanto curiose dai piccoli funghetti che fino a poco prima
giocavano spensieratamente, e si fermò alla Piazza Principale, davanti alla
navicella a forma di tuba adagiante davanti alla limpida e fresca fontanella in
attesa di una nuova avventura. Riverendo dapprima una tenera occhiata prima al
singolare veliero poi a quel leale fantasmino col quale condivideva la
fisionomia, Mario trillò giovialmente lasciando la potente presa a Cappy, il
quale cominciò finalmente a intuire ciò che stava passando nella mente
dell’amico: “È ora di tornare in azione, mio caro! La sindaca Pauline ci sta
aspettando”
E accese nuovamente i rombanti motori della loro navicella.
--Note
d’Autrice--
E finalmente il terzo capitolo ha potuto vedere la luce!
Scusatemi per il ritardo biblico col quale ho postato, ma in questi giorni la
scuola mi sta assorbendo più di quanto non abbia fatto finora; e immagino già
che per il mese prossimo sarà ancor peggio. Inoltre mi sto sentendo sempre più
insicura riguardo alla questione stilistica: temo che tra un capitolo e l’altro
non ci sia consistenza, o che spesso la prosa sfoci nel banale… come al solito,
se notate qualcosa che non torna, ditemelo, sono disposta ad ascoltare le
vostre critiche: so di non essere una professionista, ma è proprio per questo
che le accolgo più che volentieri!
In ogni caso ringrazio accoratamente quelle due anime sante che mi hanno
recensito quanto scritto negli scorsi due capitoli: le vostre parole mi hanno
sciolto il cuore, e spero di non deludervi con questo e il prossimo!
Un salutone, ci vediamo in quello che (credo) sarà l’ultimo capitolo!
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