Beltane
Di
tutte le cose, non avrebbe mai creduto d'esser stata tradita
dall'oscurità della quale usava circondarsi: la stessa che
ora
inghiottiva la sedia sulla quale stava, le gambe disperse nell'eterna
notte di tale luogo.
Alzò
le ciglia alla fioca luce sopra la propria testa, gli occhi ambrati
leggermente feriti dai raggi della lampadina: oltre di essa, la
stanza galleggiava nel nulla portandola con sé.
Quanto
tempo era passato da quand'era lì? Un mese? Due?
Il
suo potere scemava ad ogni respiro, ad ogni sussulto della sua chiara
pelle che emergeva dallo spazio circostante per contrasto: affondava
nelle carni, annegava nel sangue.
Sigillato
dal freddo che le cingeva i polsi decadeva, irrecuperabile, nel
profondo.
Aveva
già provato a liberarsene, ma il metallo era stato stretto a
dovere,
legandosi indissolubilmente alle sue vene: solamente un incantesimo
avrebbe potuto romperne la composizione, magia che non era in grado
di compiere in simili condizioni.
Mentre
il suo capo dondolava fra le braccia di un uomo – la sua
visuale
era troppo annebbiata per permetterle di collegarne il volto nella
sua mente – aveva erroneamente creduto che una sola misura di
precauzione non sarebbe bastata a contenerla.
Quante
volte era uscita da situazioni peggiori?
Roccaluce
era sempre stata l'alternativa più sicura quando si trattava
del
discutere sulla prigionia di lei e delle sorelle: le garanzie che
forniva erano molteplici, la massima sicurezza della quale vantava
era la sua più grande qualità. Peccato
nascondesse una buona dose
di corruzione, manipolabile nel pianificare una perfetta evasione.
Aveva
creduto, nel tempo in cui le sue zeppe avevano sfiorato il suolo, che
l'avrebbero condotta ai prati illuminati costantemente dalla
disgustosa ed intensa luce solare, data l'immensa fantasia che i suoi
nemici, in più occasioni, non si erano fatti mancare di
mostrarle.
In
verità ci aveva quasi sperato: anche senza le sorelle,
sarebbe
riuscita a cavarsela con il proprio intelletto. Era spesso stata in
grado di attendere e sfruttare, senza la necessità di un
aiuto, il
momento opportuno e in tale occasione non sarebbe stato differente.
Ovunque
lei fosse, la sicurezza non sarebbe stata abbastanza attrezzata da
non permetterle di scappare.
A
tal proposito rivolse il suo attento sguardo, le scure pupille in
grado di analizzare il buio, intorno a sé, spingendolo
sempre più
lontano dal proprio corpo, obbligandolo con un considerevole sforzo a
superare i propri limiti: perché riteneva impossibile non ci
fosse
veramente nulla attorno a lei.
Non
potevano esistere tenebre tanto fitte da sfuggire alle attente
analisi delle sue iridi, esprimere un simile concetto avrebbe
significato incappare in un paradosso: chi era stato in grado
di
ingannare la Regina dell'Oscurità con le sue stesse
illusioni?
Più
la frase fece eco di sé nella sua scatola cranica,
più la trovava
inconcepibile.
Nessuno
era in grado di illuderla, come di superare le barriere del suo
intelletto.
“Sei
ancora lì a farti le seghe mentali?”
Il
tagliente e sprezzante suono le arrivò all'udito come un
sibilo,
distraendola momentaneamente dalle riflessioni e provocando un
visibile irrigidimento dei nervi: esso aveva lacerato l'aria alla sua
destra fino a farsi estremamente vicino a lei, tanto da farla voltare
di scatto in tale direzione.
Seppur
prima era stata certa di non aver scorto nulla negli immediati
dintorni, ora gli occhi avevano colto un lungo specchio, dove la
figura di una ragazza mora dal bell'aspetto fissava senza posa la
propria condizione. Aveva appena aggrottato le sopracciglia
nell'allungare il collo verso il nuovo arredo – era comparso
da
poco, non le sarebbe sfuggito un dettaglio simile – quando la
voce
si fece sentire ancora con un rumoroso sbuffo.
“Non
credevo sarebbe stato così noioso guardare la scena a parti
invertite. Tu sembravi molto più divertita quattro anni
fa.”
aggiunse, le gravi parole rimbombarono per qualche attimo nella
stanza vuota.
Esternandosi
per un attimo dalla situazione nella quale si trovava,
riuscì ad
affibbiare un'etichetta ad un tono così dannatamente
famigliare da
sfuggirle nell'immediato: la sua mente viaggiò alla
velocità della
luce, raggiungendo gli sfocati ricordi del mese precedente e
collegandoli con la massima precisione.
Collegando
il locale a lontani – ed estremamente importanti per i suoi
secondi
fini – attimi che lei stessa aveva volontariamente smarrito
nel
tempo; era necessario giungesse ad una sola conclusione, per quanto
non le piacesse.
In
fondo chi poteva esser riuscito a fregarla, se non chi aveva una
discreta conoscenza della sua persona?
“Divertita
dici, Riven – Darcy si lasciò scappare l'accenno
di un aspra
risata, il viso teso rimaneva rivolto verso il vetro – Non
sei mai
stato abbastanza importante per suscitare del divertimento in
me.”
L'affermazione
così diretta le ferì la bocca nell'uscire, nel
dirigersi al di là
della barriera che sostava fra di loro: doleva nel profondo, doleva
dove aveva imparato a relegare e sopprimere tutto ciò che
aveva
riguardato il periodo nel quale si erano frequentati; per motivi
diversi, poteva aver quasi la certezza che lo stesso fosse per lui.
Il
meccanismo di difesa da entrambi attuato era stato spinto, nel caso
dello Specialista, dalla forza distruttiva del tradimento, che ogni
esperienza aveva spazzato dalla sua mente e lasciato il solo eco di
una raccapricciante risata; nel caso della strega era stato indotto
per necessità.
La
distrazione che la sua mente, in un caso simile, rappresentava poteva
risultare dannosa per l'obiettivo: era stata avanzata l'ipotesi di
eliminare totalmente il problema, ma lei si era opposta con
determinazione.
Ovviamente
aveva giocato bene le sue carte con le sorelle, prediligendo per
Riven una lenta e dolorosa dipartita, talmente lenta che non
sarebbe mai arrivata: se l'era giocata così bene
da riuscire ad
ingannare pure sé stessa per qualche tempo, fino a quando il
doppio
taglio delle sue scelte non si era presentato con un retrogusto di
rimorso.
Ed
allora era stata costretta a disilludersi di nuovo e fasciare le
sanguinanti ferite.
“Il
tono della tua voce mentre parlavi alle tue sorelle non diceva lo
stesso. Comunque, sono qui solo perché mi hanno ordinato di
dirti
una cosa.” tenne in sospeso la frase, per suscitare
l'interesse
della sua interlocutrice: era qualcosa che aveva fatto spesso in
passato, nonostante non avesse avuto alcun bisogno di mostrarsi una
persona interessante ai suoi occhi.
Del
resto, lo stava solo usando.
“Ti
hanno ordinato anche di fare delle irritanti pause ad
effetto?” lo
provocò, senza togliere il penetrante sguardo da dove le
pareva di
figurare il suo corpo.
Il
basso ringhio che lo Specialista emise, esternando la propria
frustrazione, le fece piegare leggermente all'insù gli
angoli delle
labbra.
“Non
è niente di piacevole per te –
cominciò, riacquistando man mano
la propria autorità con la quale aveva incalzato
inizialmente la
nemica – Presto ti vedrò vuotare il sacco e nel
giro di questa
giornata sarà tutto finito. Ci dirai dove si trovano
esattamente le
tue sorelle e la vostra fuga giungerà finalmente ad un
termine:
vedremo di agire in modo da non considerarvi più un problema
per la
Dimensione Magica.”
“Ah
davvero? Tu per primo dovresti sapere che non sono così
fragile da
cedere ad un semplice interrogatorio.”
Non
era in grado di vederlo, ma giurò di riuscire ad immaginare
il suo
sorrisetto strafottente.
“Crederci
degli sprovveduti non ti porterà da nessuna parte, strega.
Sappiamo
come agire per ottenere ciò che vogliamo. – fece
una pausa,
compiacendosi del fatto di non aver pronunciato per errore il suo
nome – E poi voi tre festeggiate Calendimaggio,
giusto?”
“Beltane.
Non vorrai continuare a chiamarlo con quel nome da plebei.”
“Lo
chiamo come mi pare.” rispose secco, lasciando per un attimo
il
posto al silenzio: la poteva liberamente osservare, mentre teneva lo
sguardo fisso davanti a sé nel tentativo di individuarlo
attraverso
l'impenetrabile finestra. Era in grado di fermarsi, senza rischio
alcuno, sui lineamenti del viso di colei che un tempo l'aveva
attratto in modo così naturale da fargli escludere d'esser
stato
vittima di un incantesimo durante le loro uscite; colse la sua
espressione leggermente perplessa protetto dal vetro e dal fatto che
nessuna ipnosi avrebbe oscurato i suoi pensieri.
Gli
era apparso chiaro, subito dopo la sua fuga da Torrenuvola, che un
bell'aspetto come il suo gli aveva celato terribili conseguenze; era
stato evidente, nella rabbia del tradimento, come lei stessa avesse
forzato il suo infimo potere nella loro relazione, logorandola poco a
poco dall'interno.
Così
le aveva voltato le spalle in modo definitivo, volgendo tutto l'odio
al quale si fosse aggrappato verso di lei: del resto, dal principio,
era stata completamente colpa sua. Neanche la sua vulnerabile
immagine, nascosta per metà nella penombra della stanza,
avrebbe
suscitato un minimo di pena in lui.
“Cosa
c'entra Beltane, in ogni caso?”
Sapeva
Darcy fosse il tipo da non cascare in certi giochetti, ma aveva avuto
modo di conoscerla abbastanza da esser conscio di quanto
autodistruttivi i suoi ragionamenti potessero risultare: esordire con
qualcosa di totalmente fuori dal contesto, senza darle la
possibilità
di collegarlo ad un qualsiasi ricordo oppure ad una strategia che il
nemico avesse potuto attuare contro di lei, era una delle poche armi
in grado di metterla in scacco.
In
fondo non sperava non avesse scoperto il tranello che le aveva posto:
in una situazione simile la strega non avrebbe avuto alternative che
fare il suo gioco, confidando nella stupidità dell'ex
compagno.
“E'
una festa famosa per i suoi fuochi, no?” le disse, mantenendo
i
violacei occhi sul volto di lei; quel viso che l'aveva osservato
durante qualche inquieta notte, attraverso lo scuro e possente
portone in ferro che lo costringeva nelle segrete di Torrenuvola.
Colse
la sua espressione contrarsi appena, gli occhi più aperti
della
norma contenevano un'indefinita emozione improvvisa, suscitata dalle
parole dello Specialista; le labbra si strinsero, prima di aprirsi
nel permettere alle parole di uscire.
“Deficiente.
Come se potessi credere ad un'idiozia simile.” fece,
ricomponendosi
in fretta: alzare particolarmente il tono non sarebbe mai stato
efficace quanto imprecare, cosa che la strega raramente faceva.
“Non
serve che tu ci creda. C'è chi ha già deciso che
fine dovrai fare.”
tagliò corto lui, compiendo un passo verso la porta:
entrambi
avevano sfoderato le proprie armi e, com'era sempre accaduto, era
stata la mora sorprenderlo: l'espressione di quest'ultima, infatti,
non mutò.
“Ne
sono consapevole: tu stesso l'hai deciso anni fa o sbaglio?”
Subire
un'altra sconfitta verbale ad un punto simile gli bruciò
particolarmente: come gli era venuto in mente di provare a
spaventarla, quando sapeva non ci sarebbe riuscito?
Spalancò
la porta con un brusco gesto del braccio, facendo abbastanza rumore
per farsi udire dalla vulnerabile – ed allo stesso tempo, da
lui,
intoccabile – strega dell'oscurità: prima fosse
uscito da quel
tugurio meglio si sarebbe sentito.
Del
resto era certo non gli fosse permesso di sfondare il vetro che li
separava per prenderla a pugni fino a farla smettere di parlare:
forse, non ne sarebbe nemmeno stato in grado.
Le
colline oltre la palude di Melmamora erano sempre molto popolate agli
inizi di maggio, a discrezione delle condizioni atmosferiche.
L'erba
piegava leggermente la sua testa al temperato vento dai mille
profumi, portatore dei fiori ultimi a sbocciare e del primo accenno
di caldo estivo: il periodo delle improvvise piogge sui sottili
petali dei denti di leone, sui bollenti tetti dei palazzi della
lontana metropoli; il periodo delle danze e dei nuovi amori.
La
vita era esplosa e si era diffusa con la primavera, mostrando il
proprio aspetto migliore negli ambienti verdeggianti e ricchi di
colore: le pause nel verde attiravano, per ovvi motivi, una gran
parte di popolazione. In pochi, in fondo, non traevano giovamento da
cinque minuti alla luce di un sole ancora un poco debole ed incapace
di scottare le pelli che vi si esponevano.
Non
era il solo giorno ad attrarre chi, in cerca di un attimo di pace, si
immergeva nella sgargiante bella stagione: la notte, dalla mite
atmosfera e temperatura, perdeva la propria solitudine davanti a
gruppi di persone che ne esploravano le ombre, che ne ammiravano le
meravigliose e numerosissime stelle.
Lontano
dall'inquinamento luminoso, la grandiosità della volta
celeste su
mari colorati dalla fioritura, risultava all'occhio evidente.
Osservandola, comune era figurarsi come misere gocce nell'oceano
dinanzi a tale immensità, ma la speciale vista che offriva
spazzava
da ogni esistenza la negatività della realizzazione della
propria
universale impotenza, colmando la vita di meraviglia.
Le
prime sere, in particolare, risuonavano di voci e profumavano della
dolce resina, mentre molte creature magiche si accingevano a
preparare la festa da loro preferita per le danze, per l'ardore del
fuoco nell'aria non troppo calda; per la felicità intrinseca
nella
trepidante attesa dell'estate.
Così
la natura, ogni anno ed in quello stesso lasso di tempo, non restava
quieta a causa di Beltane.
I
falò ardevano più di mille soli
nell'oscurità, proiettando le
ombre di sensuali corpi in movimento anche la sera del cinque maggio:
i festeggiamenti erano iniziati da appena un ora e, secondo
tradizione, sarebbero andati avanti per la notte intera.
“Vuoi
spiegarmi cosa cazzo ci facciamo qua?”
Una
bassa giovane dai lisci capelli castani, lunghi fino alle spalle,
piegò appena la schiena verso la compagna per tendere
l'orecchio: i
canti intonati dai presenti l'avrebbero spinta ad urlare per far
udire la sua voce, ma il buonsenso in lei era stato abbastanza da
farla desistere.
L'altra
non fece nemmeno lo sforzo di guardarla, contraendo il suo chiaro e
tondo viso in un'espressione appena scocciata.
“Te
l'ho spiegato tre volte prima di venire qui. Come può non
esserti
ancora chiaro, idiota.” sbottò con il tono grave
che solitamente
contraddistingueva il suo parlato. Il volto, nascosto in parte dai
corvini capelli, era l'unica parte di lei che la ragazza accanto era
in grado di delineare nitidamente dal buio che circondava i numerosi
fuochi.
“Non
ho capito come facciano a non vedere i Vacuum, in ogni caso. Quei
fottuti cosi risplendono e lo sai anche tu, di sicuro si faranno
qualche domanda vedendoli.”
“La
risposta non è così difficile, sorella. Se ti
sforzassi ad usare il
cervello di tanto in tanto, ci arriveresti tu stessa senza il bisogno
di una mia ennesima spiegazione.”
La
diretta interessata sbuffò, distogliendo lo sguardo
dall'irritante
espressione saccente della sorella: anche senza i suoi originali
lineamenti era in grado di innervosirla notevolmente.
Evidentemente
aveva un talento naturale nel farsi odiare da chiunque avesse a che
fare con lei.
“Senti,
non fare la stronza che sa tutto e dimmelo, così la facciamo
finita
in fretta e possiamo muoverci.”
“Un
amuleto. – le disse, facendo comparire fra le mani la fine
boccetta
di cristallo blu che, talvolta, emetteva un debole bagliore –
Per
la fertilità o per l'amore, contenente gli ingredienti atti
ad
amplificare tale intento. Con una spiegazione simile non chiederanno
ulteriori informazioni.”
La
serietà del suo tono venne mandata in frantumi dalla
fragorosa
risata della minore: le era uscita in modo talmente naturale, quando
ella aveva aperto bocca per rispondere, da non permetterle di
trattenersi. La sua voce, solitamente sgraziata, si unì in
modo
quasi armonioso con i gioiosi canti degli altri esseri magici
presenti, danzando con loro fra le venerate lingue di fuoco.
“Cosa
cazzo hai appena detto! – biascicò fra una risata
e l'altra,
cercando di porsi un contegno più per non prenderle che per
altro –
Avrei dovuto registrarti!”
“Non
eri tu che mi stavi mettendo fretta? Smettila di fare la stupida e
fa' come me: oppure preferisci lasciare nostra sorella nelle mani di
quelle fatine?”
L'ultima
frase pronunciata dalla maggiore la fece smettere quasi
nell'immediato. Non credeva che qualcosa di diverso dalla minaccia di
arrivare alle mani sarebbe stato in grado di troncare un attimo di
ilarità in tal modo: tuttavia non era falso affermare che,
data la
situazione riguardante la loro assente sorella, non avrebbe dovuto
stupirsene.
“No,
no.” e dopo aver soffocato fra i denti una colorita
imprecazione,
fra i piccoli palmi della strega delle tempeste comparve una seconda
boccetta, dello stesso materiale della prima ma di forma e colore
diversi.
“Ora
concentrati sulla sua energia magica e figurala nella tua mente. I
Vacuum reagiranno ad essa e ci indicheranno il luogo in cui l'hanno
portata.”
“E
se non dovesse funzionare?”
Finalmente,
Icy la degnò di uno sguardo: nonostante i suoi occhi non
avessero la
solita e glaciale colorazione, sortirono lo stesso effetto.
“Funzionerà.
Sicuramente le avranno soppresso i poteri con un incantesimo, ma
saremo in grado di individuarla comunque. Adesso taci e
concentrati.”
e detto ciò lasciò che le palpebre calassero
sulle sue nere iridi.
Anche
Stormy chiuse gli occhi, cercando di svuotare la propria mente per
dedicarsi all'incantesimo: solitamente le veniva facile, ma non
pensare alle condizioni della strega delle illusioni in un attimo
simile pareva impossibile.
“Chissà
perché per te è più facile non
riflettere su nulla.” le
avrebbe detto, con un fastidioso sorrisetto stampato sul fine volto.
Già,
glielo avrebbe detto, se fosse stata lì.
Cercando
di localizzare la traccia lasciata dalla sua magia, fu in grado di
scorgere la sua figura davanti a sé, voltata di spalle verso
le più
alte fiamme: immobile, permetteva alla vitalità di danzarle
intorno
senza farsi sfiorare. Le distese dita accarezzavano la cenere portata
dalla brezza, i petali dei fiori ed il profumo d'estate; i lunghi
capelli ondeggiavano nella notte.
La
strega delle tempeste avrebbe voluto che si voltasse ad osservarla
ancora una volta, conscia che la sua pazienza era già
sparita da
tempo: sperò lo facesse, altrimenti non le rimaneva che
partire la
sera stessa, con l'intento di friggere chiunque si fosse posto fra
loro due.
Invece
Darcy restò immobile, preda delle luci e delle ombre di
Beltane.
“Non
ti stai concentrando abbastanza.”
“Vaffanculo,
Icy.”
“Non
è possibile, quelle arpie mi stanno rovinando un'altra
festa! Questa
proprio non me la dovevano fare!” strillò
per l'ennesima volta Stella, mentre a grandi passi si accingeva a
raggiungere la grandiosa
scuola per maghi. Il suo dorato vestito, che le cadeva
meravigliosamente sui fianchi e scivolava lungo le sue abbronzate
gambe con molta leggerezza, aveva rischiato più volte di
sporcarsi o
di rimanere impigliato; i suoi tacchi erano affondati un po' troppo
nel terreno per almeno sette volte e l'insieme delle cose l'aveva
mandata su tutte le furie.
“Sforzati
di comprendere le loro difficoltà, Stella.”
cominciò Tecna, con
la calma che le era rimasta: la gran parte era stata perduta durante
il cammino.
“Dovevano
farlo proprio questa notte? Non potevano farglielo prima il lavaggio
del cervello?!”
“Forzare
ed oltrepassare le barriere psichiche di Darcy non è
esattamente
un'impresa facile. Anche noi avremmo impiegato lo stesso tempo, se
non di più: personalmente avrei categorizzato il 'trovare
le informazioni necessarie senza allarmare le difese del soggetto'
una missione pressoché impossibile, trattandosi di qualcuno
esperto
nel campo.
Inoltre
non dovresti sottovalutare il potere di Saladin: il fatto che abbia
impiegato parecchio tempo a raggiungere il compimento mi porta a
pensare che abbia agito con particolare cautela, per evitare di
ripetere interamente la procedura. Un semplice errore e la strega
avrebbe espulso l'incantesimo dalla sua mente.” spiegò
con precisione la fata della tecnologia, mantenendo il passo della
compagna per potersi far sentire al di sopra dei borbottii e delle
lamentele di quest'ultima.
“Allora
potevano aspettare fino a domani, invece di mandare all'aria i miei
piani per la serata.” rispose con un accenno di broncio,
senza
farsi mancare d'incrociare le braccia per enfatizzare maggiormente il
proprio disappunto.
“Oh,
certo, ora contatto Icy e Stormy dicendo loro di non attaccare per
sta sera, dato che la nostra principessa deve uscire con il
fidanzatino.” fece Musa,
che, a differenza della compagna di stanza, la pazienza doveva averla
persa una volta varcati i cancelli di Alfea. Era stata lei a proporre
di raggiungere Fonterossa a piedi, in un giusto compromesso fra
dovere e piacere: così facendo avrebbero svolto il loro
compito, ma
si sarebbero anche godute una parte della festa alla quale avevano
dovuto rinunciare.
Nonostante
i fuochi fossero visibili solo in lontananza, l'aria di gaiezza era
giunta fino alla foresta, sfiorando loro le pelli, muovendo dei ciuffi
di capelli lasciati liberi dalle acconciature che, per l'occasione,
si erano fatte: e ciò per la fata della musica era stato
abbastanza,
ma evidentemente qualcuno si
trovava in disaccordo.
“Sappiamo
entrambe che non attaccheranno oggi, quindi sì, questa resta
una
gran perdita di tempo.” disse a tono Stella, allungando
ulteriormente il passo come a chiudere definitivamente la
discussione, sottintendendo il fatto che avesse avuto ragione su
tutto fin dall'inizio: ovviamente l'asiatica non era disposta in
alcun modo a cedere.
“Se
lo facessero proprio perché non ce l'aspettiamo come
reagiresti?”
“In
effetti Musa ha ragione. Potrebbero batterci sul tempo ed arrivare a
Fonterossa prima di noi.” fu Bloom ad intervenire in favore
dell'amica, notando come nel gioco di strategie e contro-strategie le
streghe le avevano, quasi sempre, colte impreparate: non sarebbe
stato insolito vedere la scuola per maghi sotto attacco al loro
arrivo; né lo sarebbe stato trovare la quiete, qualche
stanza
distrutta ed il vuoto nella scura cella dove Darcy era relegata.
“E'
ragionevole. Non sarebbe la prima volta, nonostante al momento le
Trix non potrebbero permettersi rischi: tuttavia, le abbiamo
già
viste adottare un simile modo d'agire ed, in una situazione come
questa, sarebbe totalmente inaspettato.” precisò
la zenithiana,
facendo in modo da far sbollire la rabbia che la bionda, altrimenti,
avrebbe scaricato sulla fata della Fiamma del Drago per aver
sostenuto la teoria della sua opponente.
“Continuo
a pensare che sia una gran perdita di tempo. Dovrò aspettare
un anno
intero per festeggiare Calendimaggio in santa pace e la cosa mi fa
dare di matto!”
“Dispiace
anche a me, Stella – intervenne a tal punto Flora, addolcendo
le
parole con il suo tono delicato – Però questo
imprevisto è più
importante, ne va della Dimensione Magica.”
Non
era del tutto vero e la fata della natura lo sapeva: tuttavia era la
frase migliore da dire in una simile situazione.
Sin
da bambina, negli anni trascorsi sul suo pianeta natale, aveva
festeggiato Beltane in grande stile: era uso di Linphea celebrare
come meglio poteva la fertilità e l'inneggio alla vita che
la
foresta ed i fiori fornivano ad ogni essere magico.
I
fuochi magici sulle rive del profondo fiume risplendevano dei colori
primaverili, così come i vestiti portati dai danzatori che,
fino
all'alba, cantavano a bassa voce poesie in favore di Madre Natura.
Flora adorava perdersi nella quieta e delicata magia che la sera di
festa le offriva: ogni stress spariva nelle fiamme, permettendole di
rilassarsi, cullata dall'erba e dai vari profumi che l'aria portava
con sé.
Le
voci degli steli, dei fili d'erba le arrivavano all'orecchio come
docili sussurri nell'armonia della sera: non era l'unica avvolta da
una simile atmosfera e la consapevolezza di ciò la rendeva
ancora
più in pace con sé stessa.
Numerosi
corpi si univano indissolubilmente con la terra, ne sentivano il
calore e l'energia; scambiavano emozioni con essa sotto il variopinto
bagliore delle fiamme che nessuna legna bruciavano.
Sentirsi
negare una tradizione di tale importanza non aveva di certo influito
positivamente sui suoi pensieri, tuttavia la fata era conscia di non
aver avuto a disposizione una qualsiasi alternativa e si era presa le
proprie responsabilità.
“In
ogni caso quelle tre le disfo quando le trovo.” la interruppe
Stella, sbuffando sonoramente. Se non avesse voluto aver l'ultima
parola, le sue cinque amiche si sarebbero preoccupate non poco.
“Lascia
qualcosa anche a noi.” disse Musa, riprendendo un po' del suo
buon
umore e precedendo le altre, dove la foresta lasciava lo spazio alla
grande prateria: sopra di essa, maestosa nella sera, Fonterossa
fluttuava a qualche metro da terra, slanciata verso il cielo a
sfiorare le nuvole con la cupola della sua arena.
Avrebbe
atteso silente il loro arrivo, come di consueto: se solo una tremenda
esplosione non avesse scosso i piani più bassi, arrivando
quasi a
colpirle con la conseguente onda d'urto.
Una
fitta nebbia oscura copriva l'erba del cortile al loro arrivo:
rampicava sulle pareti della barriera innalzata con considerevole
fretta da Saladin; divorava la materia sul proprio cammino.
Pesante
e soffocante, s'innalzava e ricadeva al suolo innumerevoli volte in
un inquieto muoversi che impediva alle fate di concentrarsi, di
udire: il suo movimento nascondeva ciò che, in vero,
fluttuava
indisturbato fra di esso.
Nel
mezzo fra sogno e realtà, le nubi velavano i loro occhi con
una
coltre di desideri ed illusioni: chi scorgeva due figure lontane
tornare ad avvicinarsi fino a ricongiungersi, chi l'apertura della
propria mente alle sconosciute emozioni; chi pareva toccar con mano
il sottile confine fra vita e morte, sfiorando l'evanescente figura
di una fine e gentile donna che l'aveva oltrepassato anni addietro.
Musa
si accorse a malapena di star avanzando, i piedi producevano un sordo
ed appena udibile rumore nell'affondare leggermente
nell'oscurità:
la dolce e famigliare melodia riempiva l'inerte aria dandole la
parvenza che, al suono della voce di lei, essa si muovesse e la
invitasse a sé; la affiancava, spingendola verso la
direzione dalla
quale proveniva.
Con
meravigliose parole delle quali aveva una vaga memoria, le mostrava
la via: ed in fondo, nell'innaturale ambientazione, era sicura di
poter scorgere un lucido pianoforte a coda produrre il brano che
aveva cercato di ricordare, senza successo, per anni.
La
nebbia vibrava ad ogni suo passo, infiniti volti, con i medesimi
lineamenti, impressi in essa osservavano con lieve disappunto il suo
cammino verso ciò ch'era impossibile; scorgevano muti la sua
fine,
all'estremità del sentiero che lei stessa considerava come
la sua
salvezza.
Lucidamente
avrebbe rinunciato ad accogliere i propri sogni: l'aveva fatto in
precedenza, quando il confine era stato reso nullo da Arcadia; invece
proseguì, vittima di un incantesimo in grado di ghermirle il
cuore.
La
musica si faceva progressivamente più forte con il suo
avanzare,
così vicina come, normalmente, non sarebbe mai stata: poteva
quasi
figurarsi ad afferrare quelle dita intente a fare una delicata
pressione sui tasti; e quella voce che infinite notti aveva
sconfitto, portando la luce nell'animo della fata che l'aveva udita.
L'asiatica
affrettò inconsciamente il passo non appena il ritmo si fece
incalzante, coprendo in pochissimo tempo la distanza che la separava
da Wa Nin: i suoi scuri occhi si alzarono ad incontrarla e, con essi,
ogni cosa parve incastrarsi perfettamente e tornare al proprio posto.
In
un attimo di stallo, entrambe rimasero immobili ad osservarsi, a
rivivere l'una nello sguardo dell'altra.
Il
profumo dei fiori di ciliegio le pervase, riportandole con lo spirito
su quella collina dagli stupendi colori dove usavano passare il tempo
prima della malattia della donna: l'immaginazione fece nascere un
timido sorriso sul volto di entrambe, così simile ed allo
stesso
tempo così unico.
Troppo
tempo era trascorso dal loro ultimo incontro, s'era fatto pesare
quasi quanto la distanza incolmabile che con gli anni si era fra loro
creata. Musa era cresciuta più viva, più lontana
dal confine, nella
prospettiva di una lunga esistenza che era stata a sua madre negata:
e tutte e due potevano essere felici di ciò, insieme, per un
momento.
Con
la mente totalmente libera compì per prima un passo verso
colei che
aveva ricercato invano in ogni aspetto del mondo, protendendosi a
sfiorare la sua candida e calda pelle: sperò,
sperò vivamente che
fosse esattamente come spesso la rimembrava.
Wa
Nin non parlò ed attese il secondo in cui le delicate mani
avrebbero
sfiorato la sua evanescente carne. Le sue dita si mossero nuovamente,
mentre senza distogliere lo sguardo dalla figlia aveva ricominciato a
suonare la tenera melodia.
Non
era l'unica a non poter osservare altro: persa nelle sue iridi, la
fata della musica coprì quasi completamente la distanza che
le
separava; il suo corpo trasportato dalla musica in crescendo
desiderava ricongiungersi con quello della propria progenitrice
più
di ogni altra cosa.
E
Darcy ne era ben conscia: del resto era l'unico modo con il quale
poteva ottenere una vittoria, l'ultima spiaggia tramite la quale non
avrebbe pagato la propria disattenzione.
Nel
lanciare un'occhiata alla nemica, mentre si apprestava a sporgersi
ulteriormente oltre alle sbarre poste a protezione del cortile di
Fonterossa, si lasciò scappare un mezzo sorrisetto: unire
l'utile al
dilettevole le aveva sempre fatto piacere, soprattutto quando si
trattava di togliere di mezzo una delle fate. Avrebbe facilitato il
compito alle proprie sorelle nel momento dell'attacco, nessuna delle
due avrebbe di certo protestato.
Così
la lasciò al proprio destino, concentrandosi sulla barriera
per
individuarne un punto debole: il grande apporto di potere che stava
consumando per mantenere l'incantesimo e la ferita abbastanza
profonda – provocatale da uno studente del primo anno
abbastanza
abile da colpirla con la sua spada – non le lasciavano
esattamente
tutto il tempo che le serviva; tuttavia, in qualche modo se la
sarebbe cavata.
In
fondo l'aveva sempre fatto.
Non
osservò Musa sbilanciarsi per raggiungere un'inesistente
proiezione:
e se fosse successo, non l'avrebbe guardata cadere nel vuoto,
perdendo attimi preziosi.
Tuttavia,
le braccia che si erano avvolte attorno alla sua vita, erano state
più veloci dell'epilogo a lei designato.
“Cosa
accidenti ti salta in mente, Musa!”
Stella
puntò i piedi a terra, tirando verso di sé il
corpo della compagna:
l'altra, ancora protesa verso un'indefinita parte di
oscurità, non
si accorse minimamente della resistenza che la presa della bionda le
faceva; apparve perfino immune alle sue stridule urla di protesta.
“E'
sotto l'effetto di un illusione, Stella, come tu stessa poco fa. Si
sveglierà solamente con l'ausilio del tuo potere, in grado
di
indebolire l'oscurità creata da Darcy.” Tecna si
avvicinò,
sciogliendosi leggermente nel scorgere l'amica ancora in vita e
dietro le recinzioni: l'aveva scorta per prima e non aveva esitato
neppure un attimo a credere all'eventualità che fosse stata
un'illusione. Fortunatamente aveva agito nel modo migliore.
“Però
tu dammi una mano a tenerla, altrimenti questa si lancia.”
scandì
ad alto volume la principessa, mentre afferrava più
saldamente il
minuto corpo di Musa. Le mani della zenithiana si aggiunsero in
fretta alle sue, permettendole di sfilarsi l'anello.
Un
forte lampo di luce rischiarò per un secondo la scura notte,
rivelando uno spiraglio di cielo stellato sopra alle loro teste: i
raggi scaturiti dallo scettro della fata perforarono con immediatezza
le ombre nascoste, illuminando di calda lucentezza le loro corporee e
vive pelli.
Gli
occhi dell'asiatica, davanti a tanta magia, accolsero la forza del
sole e si rischiararono alla realtà: la sua mente
recuperò
velocemente la lucidità necessaria per farla desistere dal
superare
le barriere che la separavano da una morte certa. Boccheggiando
leggermente, indietreggiò di qualche passo: sua madre era
ancora là
ad attenderla, eppure le appariva ora chiara l'impossibilità
di
ricongiungersi a lei.
L'avrebbe
per una terza volta lasciata andare, relegando la sua silhouette
nella protezione della sua mente: per quanto fosse stato doloroso
ripetere un'azione simile, la situazione ne necessitava.
Con
una solitaria lacrima rimase ad osservare il ritorno della nebbia,
mentre la brezza s'apprestava
a dissolvere la bella ed elegante immagine di Wa Nin.
Nel
farsi meno tangibile, meno visibile, i suoi occhi si serrarono
lentamente: la sua figura sarebbe tornata a perdersi nelle trame dei
sogni di colei che avrebbe sempre tenuto vicina la sua memoria; e
quando le nubi si richiusero su loro stesse la giovane fata
sentì
che la visione, generata per distruggerla, aveva invece lasciato in
lei qualcosa di fertile che un giorno, se preso in considerazione,
l'avrebbe portata alla sua piena maturazione.
Al
suo faticoso risveglio, la situazione in cui si trovava non le fu
immediatamente chiara: aveva ripreso a respirare affannosamente,
liberando il proprio caldo fiato in eteree nuvole di fumo bianco. Ad
ogni espirazione esse sfuggivano alle sue piene labbra, disperdendosi
in un tempo misero nei dintorni privi di colore.
La
sua fronte era ancora chinata sul capo di Bloom, appena appoggiata ai
suoi fulvi capelli: le tempie pulsavano, bagnate da qualcosa di
tiepido e momentaneamente irriconoscibile; le ci volle qualche attimo
a ricordare il proprio nome ed il motivo per cui si trovava in un
luogo simile.
Sollevando
il capo, lanciando uno sguardo, con gli occhi appena dischiusi, alla
desolata quiete della stanza, Flora permise ai ricordi di prendere
possesso della propria, debole e confusa, mente.
Quando
si era guardata intorno al suo ingresso, del resto, aveva potuto
constatare di non aver mai assistito ad una situazione di tale
criticità: la sala comandi della scuola per maghi era tinta
di rosso
dal preoccupante colore del grande schermo, riflesso sulla vetrata.
La
stessa che ora giaceva al suolo, mandata in frantumi da un
incantesimo che non era stata in grado di scorgere: la stessa sulla
quale poggiavano alcuni immobili corpi, i loro impercettibili respiri
scomparivano nel chiarore del visibile cielo.
Il
collasso delle condizioni aveva immediatamente seguito il forte boato
proveniente dall'esterno, che aveva attirato parecchie forze armate
verso dove un tempo, potente e robusta, si ergeva la barriera
protettiva.
Ricordava
di essersi presa un attimo per riflettere su quanto fosse stato
prevedibile come, per Fonterossa, le tenebre non sarebbero terminate
con l'arrivo del giorno: perpetuate da un'inarrestabile e violenta
tempesta, avevano soffocato la luce che avrebbe decretato la vittoria
del bene sul potere della strega.
Darcy,
in tale arco di tempo, era sul punto di cedere ed abbandonarsi nella
sua stessa oscura coltre di illusioni: i suoi incantesimi l'avevano
quasi del tutto prosciugata della sua magia ed, a causa di eccessivi
sforzi, il sangue non aveva mai arrestato il suo scivolarle lungo il
fianco destro, il bagnarle l'attaccatura della coscia. La vista s'era
fatta sfocata, incapace di distinguere i dettagli che coglieva,
incapace di localizzare un qualsiasi attacco diretto al suo corpo.
Senza
l'arrivo dei “rinforzi” sarebbe
stata matematicamente
sconfitta, così come conseguentemente lo sarebbero state le
sorelle.
Invece,
preannunciandosi con l'improvviso fulmine che aveva perforato le
ultime difese della scuola, distruggendole nella loro interezza, era
giunta la minore, portatrice di una terribile rabbia, rinnovata dalla
presa di coscienza delle condizioni della sorella.
Non
che avesse avuto bisogno di un entrata così teatrale,
l'innaturale
pioggia era bastata ad insinuare non pochi sospetti in chi conosceva
profondamente i suoi poteri.
Con
le sue note capacità, alimentate dalle forti sensazioni di
odio e
rancore verso i propri nemici, avrebbe potuto radere al suolo
Fonterossa in ben poco tempo.
L'ira
e la sete di distruzione erano sempre parse alla fata della natura
infinite, nonostante fossero contenute in quel piccolo corpo:
l'elettricità che senza controllo scaturiva dalla sua pelle
ne era
stata una parziale dimostrazione.
Flora
serrò gli occhi, lasciando che la testa si chinasse
nuovamente per
l'insopportabile fitta che colpì violentemente le sue
tempie: il
forte respiro della compagna ruppe momentaneamente il forzato
silenzio, producendo qualche piccolo eco nel vuoto della stanza.
Il
dolore fisico portato dal ricordare la fece quasi desistere,
facendole desiderare di potersi abbandonare al riposo come la fata
della Fiamma del Drago che, scomposta, le dormiva in grembo: le
sensazioni si sarebbero attenuate nel sonno, mentre i raggi del sole
l'avrebbero a breve raggiunta e riscaldata, nell'attesa dell'arrivo
di chi l'avrebbe portata in salvo.
Eppure
decise di non demordere: qualcosa di irrecuperabile, d'inarrivabile,
gridava dentro di lei per dar voce ai suoi dubbi, gridava per darle
la sensazione che qualcosa, ben celato nelle sue memorie, avrebbe
assunto una vitale importanza qualora l'avrebbe rimembrato.
La
fata di Linphea riaprì lentamente le verdi iridi, dando loro
il
tempo di abituarsi a delineare i contorni della figura a lei
più
vicina: esitante, portò una mano a spostarle leggermente i
capelli
nel tentativo di assicurarsi della sua incolumità. La rossa
chioma
scivolò lungo la schiena della fata con un lento e dolce
movimento,
rivelandone il rilassato viso: le chiare ciglia si mossero appena,
inquiete.
Nel
vederla prendere forma davanti al suo sguardo, Flora ricordò
la sua
presenza nel momento in cui ogni cosa, schermo compreso, si fece
buia: le aveva detto qualcosa con tono risoluto, ma le parole
dovevano esserle sfuggite nel momento in cui era crollata sotto una
sconosciuta forza.
Chiedendosi
se avesse avuto importanza recuperarle, le scostò ancora
qualche
ciuffo di capelli, lasciando che la fioca luce baciasse le celate
parti della sua pelle; e se non le avesse rivolto nuovamente lo
sguardo, nell'inconscio modo di prendersi cura della compagna di
stanza, non avrebbe mai notato i sagomati lividi sul chiaro collo.
Illuminati,
spiccavano nel loro freddo colore fra le delicate lentiggini.
Le
sottili dita che avevano stretto la gola di Bloom, sollevandone il
corpo da terra, ricomparvero in un'immagine talmente nitida da
mettere in allarme la fata della natura: velocemente le sue iridi
guizzarono al resto della stanza, dove nessuno pareva aver mosso un
muscolo.
Aveva
a malapena scorto gli azzurri occhi dell'amica scomparire velocemente
nella rinnovata oscurità insieme a quelle candide braccia.
Le urla
si erano smorzate in fretta, lasciando mozzati respiri e qualche
singhiozzo a sento trattenuto: il panico aveva colto la sua psiche,
impedendole di pensare lucidamente ad un modo per riprendersi la vita
di colei che l'aveva sempre spronata a dare il meglio di sé.
Il
petto si alzava ed abbassava a ritmo irregolare, le lacrime rigavano
le guance fino a scendere al terreno in piccoli rumori sordi, troppo
silenziosi per coprire i rantoli provenienti da una sconosciuta
direzione: fosse stato per lei, la fata della Fiamma del Drago
sarebbe morta.
Si
era questionata su come non potesse esser stata pronta ad un attacco
simile: con il senno di poi, osservando la sua stessa condizione
qualora si fosse trovata nei suoi panni, avrebbe reagito nella
medesima maniera.
In
fondo non era stata in grado di muoversi nemmeno per fermare
l'aggressore; era stato qualcuno alla sua sinistra, dalle simili
emozioni, a premere il grilletto dell'arma alla quale si teneva
saldamente aggrappato. Avrebbe potuto urlare di non sparare, con la
scarsa visibilità Bloom avrebbe finito per rimanere ferita
al posto
del vero nemico: anche riuscendo a pensarlo lucidamente, tuttavia,
non avrebbe avuto abbastanza tempo.
L'improvviso
sparo era stato abbastanza per scuoterla, permettendole di lasciarsi
andare ad un impulso di coraggio: le sue mani avevano raggiunto
l'amica, fortunatamente ancora viva seppur con poche forze, ma non
avevano sfiorato null'altro.
Le
rinnovate emozioni le arrivarono alla testa con la stessa violenza
della prima volta che le aveva provate, togliendole per qualche
attimo il già incerto fiato: era accaduto tutto con una tale
fretta
da mandarla completamente in confusione.
Nel
distrarsi, si perse un attimo nel ricordo di quello sparo che
qualcosa aveva colpito, qualcosa che ancora le stava impedendo di
ricordare completamente il resto della vicenda: aveva forse fatto
ritorno, aveva forse ridotto ad una struttura pericolante la sala
comandi di Fonterossa; le aveva provocato le ferite alla testa dalle
quali il sangue, ora secco, era sgorgato bagnandole il viso.
Ragionare
sul colpevole in tale situazione le risultava quasi impossibile,
nonostante avesse avuto le sospettate sotto gli occhi per l'intera
durata della notte: permise alla sua testa di appoggiarsi alla parete
alle sue spalle, dandole un attimo di tregua.
Ora
era certa che lei, come Bloom, erano al sicuro ed in salvo: a nulla
sarebbe servito allarmarsi oltre, fare da guardia a dei pacifici
dintorni.
Le
altre le avrebbero raggiunte in fretta, tanto valeva attenderle e
riposarsi.
Beltane
non aveva aspettato nessuno durante quell'anno: gli ultimi fuochi
morirono lenti, levando le ormai insignificanti fiamme verso il cielo
rischiarato dai caldi colori dell'alba.
Il
buio aveva lasciato il posto alle prime luci, in attesa del nuovo
giorno.
I
canti erano scemati in sussurri, gli incantesimi in misere tracce di
magia: perfino le danze, in poco tempo, s'erano ridotte a mere
camminate verso la civiltà.
Beltane
non aveva atteso ed era passato come ogni volta, annunciando l'arrivo
del sole di un'ordinaria giornata: eppure v'era stato chi l'avrebbe
rimpianto, chi avrebbe desiderato fosse durato più di una
sola
notte.
In
molti avevano dovuto rinunciare ai suoi gioiosi festeggiamenti, alle
nuove speranze che le numerose voci promettevano: alcuni avrebbero
solamente desiderato più tempo.
L'avvento
di una meravigliosa alba era ormai previsto in ogni angolo della
Dimensione Magica, l'avvenimento che avrebbe segnato la definitiva
chiusura della felice festività: eccezion fatta per quelle
fate, che
ai raggi del sole avrebbero distolto lo sguardo.
Vedere
la propria sconfitta alla luce dell'ennesima giornata non avrebbe
giovato a nessuna, tuttavia la più che legittima promessa di
riscatto era alle porte.
In
fondo, la loro contro-strategia aveva finito per funzionare ed
avrebbe presto dato i suoi frutti.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
*
inserire serie di belle paroline qui *
Questo
capitolo è più lungo del solito, in ritardo e
boh, non so che altro
aggiungere: almeno non mi schifa profondamente, forse sto migliorando
da questo punto di vista (autostima ovviamente, chissà se si
trova
nella pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno).
Eccoci
a Beltane! La festività dei balli, dei fuochi, degli inni
alla
fertilità e all'amore: ho avuto difficoltà
soprattutto con i temi,
i sopracitati non vanno molto d'accordo con il carattere delle nostre
tre streghe preferite, quindi diciamo che ho fatto qualcosa
abbastanza a metà, aggiungendo qualche accenno di
combattimento
siccome siamo alla fine del ciclo.
Anche
la prossima storia sarà più lunga, in quanto
sarà quella
conclusiva della serie dove finalmente (speriamo, perché io
con i
combattimenti faccio schifo) ci sarà una specie di battaglia
finale.
Speriamo
in bene ed in tanta ispirazione.
Mi
scuso ancora per il ritardo e non vi tedio oltre.
Ringrazio
le solite ed onnipresenti Ghillyam ed
Applepagly: grazie
mille ragazze, non sapete quanto mi fa felice sapere che ciò
che
scrivo può piacervi a tal punto da farvi trovare il tempo
per dirmi
cosa ne pensate. Siete fantastiche e non smetterò mai di
dirlo,
anche per il meraviglioso supporto che siete disposte a darmi al di
fuori del sito; anche perché mi ascoltate e mi sopportate
nella mia
complessità e nelle mie paranoie. Grazie grazie grazie!
Un
ringraziamento speciale va anche a LadyNabla che,
attendendo pazientemente questa storia, ha deciso di spammarmi tutto
il suo amore anche nelle altre storie. Sono felice che ti siano
piaciute e non hai idea quanto mi abbia fatto felice cominciare a
parlare con te di una cosa o dell'altra, anche solo nel risponderci
reciprocamente alle recensioni.
Inoltre
ringrazio tutti i lettori silenziosi che stanno ancora seguendo
questa serie ed anche tu, che stai leggendo queste note senza senso!
Grazie
mille per aver letto ed alla prossima missione!
Mary
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