I CAN’T STOP LOVING
YOU
1
“Non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l’anima, fino
quasi a renderla un po’ sdrucita. “
Quella notte sembrava che tutte le memorie che aveva nel cuore
avessero deciso di riemergere e di togliergli il sonno. Setsuna
incrociò le braccia dietro la schiena, si alzò a sedere, si rimise sdraiato. A
fianco a lui, Sara dormiva tranquilla. Beata lei. E a giudicare dal russare che
veniva dall’altra stanza, anche Kira stava dormendo
alla grossa. Ma forse per capire meglio, occorre tornare indietro di qualche
tempo e lasciare che Setsuna si abbandoni ai ricordi.
Quando lui e Sara erano tornati sulla Terra, avevano deciso di
continuare la loro fuga per portare avanti il loro amore proibito, ma presto i
soldi erano finiti. L’amore non dà da mangiare. Per due settimane erano
riusciti a cavarsela, dormendo in squallidi motel e mangiando quello che
permettevano i soldi contati. Alla fine, però, se ne erano andati anche quei
pochi spiccioli e loro si erano ritrovati in strada, costretti a elemosinare un
tozzo di pane e a dormire in vicoli sporchi e buoi, insieme a vagabondi e
tossici. Setsuna avrebbe sopportato questo e altro,
ma non poteva sopportare che la sua sorellina soffrisse.
“Torniamo a Tokyo.” Le aveva
detto una notte, tenendola stretta perché non sentisse freddo. Nonostante fosse
una sera di luglio, infatti, la ragazza stava tremando. Lei lo aveva guardato
stupida con i suoi occhi castani cerchiati da profonde occhiaie.
“Perché? Ci separeranno ancora.” Aveva
sussurrato, scuotendo i capelli sporchi e scarmigliati.
“Tu meriti di meglio di questo. E stai
tranquilla, “Finché avremo vita, potremo rivederci.”. ti ricordi mi dissi così
una volta. Io ci credo.” Setsuna
l’aveva baciata. “E un giorno tornerò a prenderti.” Le aveva sussurrato, mentre si addormentava.
Così, un po’ viaggiando senza biglietto sul treno, un po’ a piedi, erano
tornati a Tokyo. Setsuna aveva portato Sara a casa.
“Non vuoi venire?” Gli aveva chiesto, vedendolo andarsene. Setsuna si era
girato, aveva fatto un mezzo sorriso e aveva detto: “A fare cosa? Torna da nostra madre, vai pure in Inghilterra, ma ricordati che
appena potrò, appena potrò renderti veramente felice, tornerò a prenderti.”.
Setsuna aveva seguito Sara con lo sguardo
finché non era scomparsa dietro la porta. Non l’avrebbe più rivista per ben
sette anni. Durante quegli anni cercò di comportarsi come un normale
adolescente, ma dopo quello che aveva visto, era
davvero difficile. Aveva perso la sua ragazza, aveva visto morire il suo
migliore amico, portava sulle spalle decine di vite innocenti. Non avrebbe mai
più potuto essere un ragazzo normale. Pertanto si era isolato di suoi coetanei,
a scuola non parlava con nessuno e appena poteva correva a casa, chiudendosi
nel suo piccolo mondo. Si era guadagnato così l’appellativo di “asociale” ed
era diventato uno degli argomenti preferiti delle chiacchiere scolastiche. Ma i
pettegolezzi erano troppo futili perché potessero turbarlo e alla fine erano
cessati. Certe volte, Setsuna avrebbe volentieri
confessato tutto il suo doloroso passato a qualcuno, anche ad uno sconosciuto
incontrato per strada; poi, però, capiva che nessuno gli avrebbe creduto. Era
da solo. Esistono circoli per gli alcolisti, per i drogati, per le vittime di
violenza, per le vittime di guerra. Ma la sua situazione era troppa strana.
Chissà, forse avrebbe potuto fondarne uno lui, perché no?
“Strani demoni vi perseguitano? Gli angeli
vogliono uccidervi? Siete convinti che Dio vi odi? Avete fatto un viaggetto
nell’altro mondo? Allora, contattateci a: www. God-hates-me-but-I-
don’t-know-why.net. “
Be’, non suonava più strano di tante
stupidate che giravano su internet.
In fondo la sua vita si stava trascinando malamente e, se non avesse
avuto una promessa da mantenere, vi avrebbe messo fine già da tempo. Solo il
pensiero che c’era una persona dall’altra parte del mondo che aspettava il suo
ritorno e che, come lui, contava i giorni, gli dava la forza di andare avanti e
di continuare a lottare per costruirsi una nuova vita.
Tuttavia, se qualche volta si era illuso di poter vivere un giorno
come un ragazzo normale, aveva visto ben presto la sua speranza infantile distrutta.
Un giorno, infatti, Setsuna si era svegliato
con quella strana e non ben definita sensazione che si ha quando sai di aver
dimenticato qualcosa, ma non ricordi cosa. E tanto più la cosa dimenticata è
importante tanto più questa è sfuggente e spesso si mescola e si confonde
insieme a ciò che resta dei sogni della notte. Setsuna,
comunque, non ci aveva pensato troppo, era scivolato giù dal letto, aveva
acceso lo stereo, alzando il volume al massimo, per scacciare la solitudine
opprimente, ed era andato a fare colazione, il tutto con molta calma, perché
era sabato. Quando, però, aveva aperto la porta della cucina, il suo sguardo si
era soffermato un attimo sul calendario.
Era il 10 luglio 2000 .
Gli era sembrato che la data, dalla quale i suoi occhi erano stati
attirati come con una calamita, volesse uscire dal foglio.
Il 10 luglio 2000.
Era passato un anno.
Il 10 luglio 1999 Sara era morta e lui, seguendo un’antica profezia e
compiendo il suo destino, aveva quasi distrutto il mondo.
Il 10 luglio 1999 era partito per un lungo viaggio, che gli avrebbe
procurato dolore e sofferenza, per riportare in vita la ragazza che amava. Perché
“tutto è possibile finché si ha determinazione.”
Per quando il suo viaggio fosse durato giorni, sempre il 10 luglio,
complice la magia del tempo, era tornato a Tokyo, con Sara di nuovo al suo
fianco, accompagnato da una pioggia di piume bianche, che avevano dato
l’illusione di una nevicata estiva.
Quando era partito Sara era morta e Kira, il
migliore amico di Setsuna, era ancora vivo.
Quando era tornato Sara era viva e Kira era
morto.
Non era giusto!
Eppure c’era una strana logica in tutto quello.
Non si può riportare in vita una ragazza morta.
Se quella volta la
Morte aveva acconsentito a piegarsi ai voleri di un
sedicenne, si era presa qualcosa in cambio.
Setsuna si era illuso di poter ingannare
quella vecchia nera e cupa, ma in realtà era stato lui ad essere ingannato.
Una vita per un’altra vita.
Il migliore amico in cambio della ragazza che ami.
Si tratta solo di rispondere a una semplice domanda: “A chi tieni di
più?”.
Sì, c’era una logica, per quanto strana, in tutto ciò.
Setsuna era scoppiato a piangere, versando
tante lacrime represse, e si era lasciato scivolare sul pavimento. Le persone
che aveva incontrato e che avevano creduto in lui, affidando la loro vita nelle
sue mani. Le persone che aveva ferito nella sua stupidità. Quelle alle quali aveva
toccato il cuore e quelle che non era riuscito a salvare. La speranza, l’amore,
l’odio, la delusione e tutti gli altri sentimenti che aveva conosciuto nel suo
cammino, lo avevano travolto e avevano colmato il suo cuore di tristezza. Era
rimasto sdraiato sul pavimento a fissare il soffitto in uno stato quasi
catatonico; immobile, prosciugato da ogni energia, ad affogare nel dolore. Solo
verso sera era riuscito a rialzarsi. Si era già sentito così male; era successo
quando, per colpa sua, buona parte dei ribelli dell’Anima Mundi,
l’organizzazione clandestina fondata dall’angelo Zafkiel,
era stata uccisa. Setsuna si era sentito soffocare
dai sensi di colpa, tanto che si era chiuso in camera, rifiutando di uscire. Ma
allora c’erano ancora i suoi amici, c’era ancora Kira,
pronto a consolarlo e, all’occorrenza, a buttarlo in
una fontana per farlo reagire.
Ma Kira non era più con lui.
Da allora il 10 luglio era diventata la data
personale di Setsuna che segnava lo scorrere degli
anni, una sorta di doloroso capodanno. Non era un’occasione per festeggiare, ma
per ricordarsi degli errori del passato e delle promesse non ancora
mantenute.
Nel 2004 un evento inaspettato aveva movimentato la sua monotona vita.
Il padre era morto in un incidente stradale insieme all’amante. L’accaduto non
aveva quasi toccato Setsuna perché l’uomo lo aveva
abbandonato tanto tempo prima e lui se ne ricordava a malapena. Era come se
fosse già morto. L’unico cambiamento che ciò aveva provocato nella vita del
giovane era stata l’eredità di una grossa somma di denaro che gli avrebbe
permesso di realizzare i suoi sogni. Il primo era l’acquisto di un bungalow in
Australia che Setsuna aveva visto su un catalogo e
del quale si era subito innamorato. Era piccolo, giusto per tre persone, su una
spiaggia a pochi chilometri da Sidney; un luogo non troppo lontano dal Giappone
il cui caldo sole forse avrebbe sciolto il ghiaccio che Setsuna
aveva nel cuore. In realtà la voce del buonsenso gli diceva che era inutile
comprare una casa per tre persone, quando vi avrebbero abitato solo lui e Sara,
ma un’altra voce, quella dell’istinto, gli suggeriva di seguire il suo cuore. Setsuna, infatti, nutriva ancora la speranza che Kira potesse tornare, come se non fosse morto, ma solo
partito per un lungo viaggio.
Setsuna aveva fatto così un paio di
telefonate, qualche viaggio per controllare la casa di persona e l’aveva
comprata. Ormai aveva vent’anni, era un uomo. Aveva finito il liceo, piuttosto
malamente a dire il vero, e, di certo, non sarebbe andato all’università. Non
ne aveva il tempo. Presto Sara si sarebbe sposata e lui non poteva permettersi
di indugiare. Aveva una promessa da mantenere.
Certo, di promesse in sospeso ne aveva tante, troppe. Una, in
particolare, lo assillava di continuo: “Tutti saranno felici.” Ci credeva
ancora. Credeva ancora di poter realizzare, almeno in parte, quell’utopia.
E così i giorni passavano.
Se a Tokyo Setsuna lottava, anche Sara,
dall’altra parte del mondo, tirava avanti e cercava di dare il suo contributo.
Con ancora vivo il ricordo della morte e del male che
aveva causato agli altri, a Cry, a Raphael, a Lily, allo stesso Setsuna,
sapeva di dover fare qualcosa per rimediare.
Il viaggio per Londra era stato una lenta agonia; ogni minuto di volo,
ogni metro che l’aereo metteva tra loro e Tokyo provocava a Sara una fitta al
cuore. Aveva tentato di mascherare il proprio dolore mordendosi le labbra fino
a farle sanguinare e guardando ostinata fuori dal finestrino. Era così vicina
al cielo e nello stesso tempo dentro l’inferno.
“Lo faccio per il tuo bene.”
La frase di circostanza detta con voce triste, l’aveva fatta stare
ancora più male. Aveva annuito, sebbene il suo cuore urlasse che quello non era
il suo bene. Per niente.
A Londra, tutti erano stati gentili, avevano cercato di farla sentire
a suo agio e tessuto le lodi del suo promesso sposo, l’uomo che sua madre aveva
scelto per lei e che Sara non avrebbe mai amato. Alla fine lo aveva incontrato,
durante una cena organizzata apposta, e ne era stata subito disgustata. Era un
sedicenne snob, con i capelli impomatati e l’alito cattivo. Ma era ricco e di
buona famiglia. Il pensiero le aveva fatto rivoltare lo stomaco. Il nuovo
arrivato non l’aveva degnata di uno sguardo, andando dritto da sua madre.
“Lei deve essere la signora Mudo. Sono Carl Bailey.” Le aveva stretto velocemente la mano,
ritirandola subito, quasi temesse di essere contagiato da qualche strano germe,
il germe del peccato. Probabilmente aveva pensato che tutti i parenti di Sara
fossero dei tipi strani. “E’ una bella ragazza e mi sembra a modo, ma anche
ragazze così a volte si fanno deviare.”
Dunque sapeva. Sara si era chiesta con orrore quanto. Aveva aperto la
bocca per ribattere, ma un’occhiata della madre l’aveva zittita. Sara aveva
risposto con un’altra occhiata, altrettanto arrabbiata.
“Gli hai raccontato tutto!”
Nel frattempo, Carl era andato avanti a blaterare con la sua vocetta stridula. “ Ma non si preoccupi, la sposerò, a me
va bene anche così.”
Esistono due tipi di “mi vai bene anche così”. Il primo è il più bel
complimento che un uomo possa fare alla donna amata
perché le dice che la accetta e la vuole con tutti i suoi difetti. Non le
importa del suo passato, se hai difetti nel corpo o nella mente, la ama lo
stesso.
Il secondo tipo è l’esatto opposto. Viene pronunciato con disprezzo e
condiscendenza, significa: “ti scelgo perché non ho
trovato niente di meglio e ci guadagnerò qualcosa.”
La frase pronunciata dal promesso di Sara era chiaramente del secondo
tipo.
Dal loro primo, disastroso incontro, Carl si era presentato a casa
loro sempre più spesso, portando regali costosi, nel tentativo di conquistarla.
Ma più i tentativi si facevano insistenti, più Sara chiudeva il suo cuore. Le
faceva domande sulla sua vita a Tokyo, sui suoi amici, su Setsuna.
“Insomma, che cosa devo fare per smuoverti?” era esploso dopo averla
vista totalmente indifferente davanti ad un anello con brillanti.
“E’ un bell’anello, quanto lo hai pagato?”
Carl non aveva risposto a parole, ma dalla sua espressione orgogliosa
Sara aveva capito che doveva aver speso molte sterline. Almeno un migliaio.
“Ci sarà pur un gioiello che ti piaccia!”aveva insistito Carl.
“Sì, c’è. Un anello da bambini con un vetro rosso, che mi fu regalato
quando ero piccola”
“Posso vederlo?”
“Si è rotto un po’ di tempo fa”. Sara aveva cercato di tagliare così
la conversazione perché non voleva aprire il suo cuore davanti ad un estraneo, ma Carl, non soddisfatto, aveva continuato.
“Chi te lo regalò?”
“Quando avevo sei anni, andai a una fiera vicino Tokyo con mio fratello
Setsuna. Inciampai, caddi e mi misi a piangere. Avevo
paura che mamma mi sgridasse perché avevo sporcato il kimono nuovo. Setsuna mi regalò quell’anello per consolarmi, spendendo
tutti i suoi risparmi e rinunciando alla pesca dei pesci, che amava tanto. Era
un anello giocattolo, ma per me fu come possedere un gioiello preziosissimo.”
Sara si era morsa la lingua, ma era troppo tardi.
Aveva appena confessato a Carl tutto il suo amore per Setsuna.
“Accetta i miei regali finché te li farò. A
me tu non piaci, ma sei di una famiglia ricca e ti sposerò. Faresti
meglio ad accettarlo perché tuo fratello non verrà a salvarti.” l’aveva
minacciata Carl, per nulla toccato dal racconto di Sara, avvicinandosi tanto
che la ragazza aveva sentito il suo alito che sapeva di whisky. Se a
diciassette anni era così, chissà cosa sarebbe diventato!
“Setsuna verrà, l’ha promesso.” aveva
sussurrato Sara, più a se stessa che all’odioso fidanzato.
D’altra parte, Sara aveva altro a cui pensare oltre al suo promesso.
Innanzitutto cosa dare a Setsuna per farsi perdonare
e ringraziarlo di tutti i suoi sforzi. Qualcosa che lo facesse tornare a
sorridere. La risposta, in realtà, Sara l’aveva avuta fin da subito, ma
inizialmente l’aveva scacciata, presa da un’infantile
gelosia. Così la soluzione al problema era stata poi dimenticata. Eppure era
lì, bastava pensare che in ogni ricordo che Sara aveva di Setsuna,
c’era sempre una terza persona.
Comunque la soluzione era rimasta sepolta in un angolo della sua mente
per anni finchè Sara, un sabato mattina, non aveva
trovato Carl nella sua stanza, intento a frugare nei cassetti. Ma come si
permetteva?
“Non sai che è maleducazione curiosare tra le cose di una ragazza?”
l’aveva rimproverato, le braccia incrociate sul petto.
Carl, impegnato a sfogliare un album di fotografie, non le aveva
badato.
“Chi è lei?” aveva chiesto invece, indicando una fotografia. Ritraeva
una ragazza di circa quindici anni, con i capelli neri a caschetto e gli
occhiali, che cercava di nascondersi all’obiettivo. Sara si era sentita
stringere lo stomaco. Ruri!
“Era la mia migliore amica a Tokyo, Ruri.”
aveva sussurrato.
“Era?”
“E’ morta in un incidente.”
Ancora una volta, Carl non le aveva badato minimamente, continuando a
guardare le foto con noncuranza. Di solito, quando qualcuno viene a sapere che
hai perso una persona importante, ti chiede come, quando, perché? O, come
minimo, si mostra almeno un po’ dispiaciuto. Invece niente. Poco dopo il
ragazzo aveva soffermato la sua attenzione su un’altra foto.
“Questa a sinistra sei tu, questo al centro dovrebbe essere tuo
fratello, ti somiglia, ma chi è lui?”. Carl aveva indicato il terzo ragazzo
sulla destra, un diciottenne dai capelli neri, che faceva l’occhiolino e
mostrava il medio alzato.
Sara aveva fissato la foto; era stata scattata durante una gita, tanti
anni prima. Un’altra vita. E la soluzione era ricomparsa, lì, davanti ai suoi
occhi.
“Era il miglior amico di Setsuna, il senpai Kira.”
“Fammi indovinare, morto anche lui?”
Sara stava per rispondere sì, ma… “No, si è solo
trasferito in un altro stato. Non so dove.”
Carl aveva annuito piano e, per la prima volta, si era dimostrato un
po’ interessato.
“Potrei fare qualche ricerca” aveva proposto, con il tono di voce più
gentile che era riuscito a tirar fuori.
Sara aveva rifiutato gentilmente l’offerta. Ci voleva altro, ma ora
che aveva capito cosa fare, non aveva intenzione di arrendersi.
Aveva trovato il modo per rendere Setsuna
felice.
“Come sarebbe che non vuoi che venga a prenderti?” aveva esclamato
stupito Setsuna, quando era venuto a sapere che Sara
non voleva che lui andasse a Londra. Era rimasto a bocca aperta, la cornetta
attaccata a un orecchio. Dopo sette anni di silenzio, sentiva di nuovo la voce
di Sara, grazie a un numero di telefono che la ragazza gli aveva fatto avere
con vie traverse.
“ Senti, se vieni qua devi fare come minimo tre voli.
E’ più comodo che io prenda un diretto per l’Australia, dammi solo l’indirizzo
della nuova casa. “ aveva aggiunto Sara, guardando una foto,
ottenuta anch’essa per mille giri e scambi.
“Comunque ti piace? La casa, voglio dire.”
“E’ bellissima. Ho anch’io
una sorpresa per te.”. Sara aveva sorriso, pensando alla faccia che avrebbe
fatto Setsuna.
“Che cos’è?”. Tipico, non era mai stato capace di trattenere la
curiosità.
“E’ una sorpresa. Pensi di
resistere ancora tre giorni?”
Setsuna era sobbalzato. Solo tre giorni e
avrebbe potuto riabbracciare Sara. La ragazza avrebbe finto di accompagnare
un’amica all’aeroporto di Heatrow e lì si sarebbe
imbarcata su un diretto per Sidney.
“Allora ci vediamo tra tre giorni.”
“Aspetta, non riattaccare” l’aveva pregata Setsuna.
“Mi dispiace, ma c’è la mamma nella stanza accanto.
Potrebbe sentirmi.” si era scusata, chiudendo la telefonata.
Setsuna era rimasto qualche secondo
imbambolato con la cornetta in mano, prima di decidersi a metterla giù.
“Dunque partiamo fra tre giorni. Spero che tu ti sia ricordata di
comprare il biglietto aereo anche per me.”
Un venticinquenne dai capelli neri si era materializzato dal nulla e
ora stava seduto sul davanzale della finestra con una sigaretta fumata a metà
tenuta negligentemente tra l’indice e il medio.
“Non mi dirai che uno come te è vincolato a
cose così umane, Kira?” l’aveva punzecchiato Sara,
aprendo una valigia.
“ Mi piacciono le cose umane. “ aveva ribadito quello, prima di saltare agilmente giù dal
davanzale.
“Ok, Setsuna, datti una calmata.” aveva
continuato a ripetersi il ragazzo durante quei tre giorni che erano stati i più
lunghi della sua vita. Ma ciò non gli aveva impedito di continuare a camminare
avanti e indietro, mentre, agitatissimo, aspettava l’arrivo di Sara. E non gli
aveva impedito di saltarle addosso appena era comparsa, non lasciandole nemmeno
il tempo di poggiare la valigia. Si erano gettati sulla sabbia, avvinghiati in
un abbraccio indissolubile, le labbra che si cercavano con foga. Dio, non si
vedevano da sette anni!
Il tempo non aveva attenuato la chiara somiglianza che c’era tra i due
fratelli. Sara si era tagliata i capelli, per praticità, aveva detto. In realtà
quello era un modo per ricordarsi di Lily, del suo peccato. Setsuna,
invece, se li era fatto crescere, così ora arrivavano
a sfiorargli il collo. Esattamente come li portava Kira
a diciotto anni.
“Aspetta, non vuoi vedere il mio regalo” aveva chiesto Sara rialzandosi,
appena era era riuscita a
liberarsi dalla stretta di Setsuna.
“ Sei tu il mio regalo.”aveva
ribadito il giovane, prima che un paio di mani si posasse sui suoi occhi.
“Ed io mi sarei sorbito un giorno di volo per niente?”.
Setsuna avrebbe riconosciuto quella voce tra
mille. Si era convinto che non l’avrebbe più sentita. Ad udire di nuovo quel
timbro, quei suoni, qualcosa gli si era sciolto dentro, mentre si abbandonava
all’indietro.
“Senpai, sei proprio tu?” aveva chiesto
incredulo, voltandosi. Temeva che quella fosse un’allucinazione.
“In carne e ossa” aveva risposto Kira, prima
che Setsuna gli si gettasse contro, avvinghiandosi a
lui e inzuppandogli la camicia di calde lacrime. Kira
lo aveva abbracciato, sussurrandogli parole calme e cullandolo dolcemente. E
quando Setsuna, calmatosi, si era sciolto
dall’abbraccio, Sara aveva visto riaccendersi nei suoi occhi quella luce che
aveva perso sette anni prima.
E non era stato per merito suo.