[Disclaimer]
Questa
storia è parte di un Alternative Universe chiamato “Run”
ideato da me ed Andrea (kumiho5); per far sì che comprendiate
il contesto, vi lascio di seguito un riassunto veloce della trama.
Buona lettura!
Jungkook
e Taehyung non sono che il prodotto della società in cui sono
cresciuti: poveri in canna, fin dalla più tenera età
tentano disperatamente di sopravvivere tra piccoli furti e
occasionali lavori per criminali più grandi di loro. È
durante uno di questi lavori che conoscono Jimin, un prostituto che
non esita a pugnalare alle spalle chiunque gli diventi scomodo avere
attorno; una serie di sfortunate coincidenze fa sì che i tre
si trovino costretti a dover rapinare assieme una banca. Inizia così
un'improbabile collaborazione – e convivenza – tra Jimin,
terrorizzato dai legami duraturi, Taehyung, innocente e dal cuore
d'oro, e Jungkook, diviso tra l'amore e fiducia che prova per il suo
migliore amico e la tesa ostilità nei confronti del nuovo
arrivato.
NOTA:
QUESTA AU E' UN AU VKOOKMIN IN CUI L'OT3 ARRIVA AD AVERE UNA
RELAZIONE STABILE! Se simpatizzate per solo una delle alternative
(TaeKook/VMin/JiKook) siete pregati di NON ROMPERE :)
Darling,
We Will Never Break
“Va
tutto bene.”
È
questa la risposta che Jimin darebbe se qualcuno gli chiedesse come
sta, cosa ne è stato della sua vita, della libertà e
del totale rifiuto di legarsi ad un luogo: perché Jungkook e
Taehyung sono un ottimo compromesso tra ciò che riteneva
essere i principi base della sua vita ed il contrario di essi,
un'esistenza stabile e sana, da persona normale; sono una via di
mezzo che ha intrapreso in silenzio, spaventato dalle conseguenze ma
un po' più determinato ad ogni passo.
Non
vivono in una casa normale, ma in una roulotte, lontani almeno una
ventina di chilometri da un qualunque centro abitato: una
sistemazione instabile, che non è stata pensata per esistere
in un singolo luogo, ma che per Jimin è ormai sinonimo di
quella sensazione di benessere che ha imparato ad associare alla
presenza di Jungkook e Taehyung. Ricorda ancora la sera in cui
Namjoon, riaccompagnandoli, aveva battuto le mani sul volante e
dichiarato, quasi fiero: “Con la vostra parte della rapina di
ieri potrete finalmente liberarvi di quella stupida roulotte e andare
a vivere in una casa come si deve, eh?”, e la perplessità
che aveva seguito quella frase.
Dal
sedile del navigatore, Jungkook si era voltato a guardare Taehyung e
Jimin – comodamente abbracciati sui sedili posteriori – e
poi aveva risposto per tutti e tre con un semplice, quasi innocente:
“Perché dovremmo?”
Namjoon
non aveva compreso, ovviamente: per lui, come per uno qualunque dei
loro amici, quella scelta continua ad essere un mistero. Se anche
sperimentassero il loro stile di vita per una settimana o un mese
finirebbero per trovarlo scomodo, quasi barbarico, anche e nonostante
loro stessi vivano in piccoli appartamenti ai limiti di una città
che non li ha mai voluti completamente.
A
Jimin piace pensare che sia stata una loro scelta, quella di
abbandonare Seoul e tutti gli orribili ricordi che il suo
mastodontico profilo, stagliato contro l'orizzonte, porta con sé
– una ribellione al sistema, qualcosa di poetico; la verità
è molto più semplice: la roulotte è stata
l'ultima spiaggia dopo che Jungkook e Taehyung si sono ritrovati
senza soldi, ma da allora si è trasformata in qualcosa di più.
Ogni centimetro metallico di quella piccola casa mobile è
pregno di ricordi, di traumi, di vittorie e sconfitte: ogni graffio,
ogni seggiola traballante, ogni lavandino che non vuole mai saperne
di smetterla di gocciolare. Jimin ricorda la prima volta in cui si è
seduto sotto la piccola tendina che funge da patio, la prima mattina
che ha passato insonne a fissare l'alba oltre il finestrino, la prima
notte tra le braccia di Taehyung e Jungkook, nel letto troppo piccolo
per ospitare tutti e tre; e allo stesso tempo ricorda la prima volta
in cui si è voltato a guardare la porta della roulotte alle
sue spalle pensando di lasciarla per sempre, e l'ultima – in
circostanze quasi diametralmente opposte tra loro, una per scelta,
l'altra per senso del dovere. Ricorda di essere tornato indietro
entrambe le volte, però: la prima in macchina e la seconda in
una tortuosa camminata da Seoul all'angolo di mondo che Jungkook e
Taehyung si sono ritagliati, dopo una notte intera passata zoppicando
ai bordi delle strade, ferito ma determinato a tornare nel primo
luogo che, dopo molti anni, avesse potuto definire “casa”.
Jungkook
e Taehyung e la roulotte sono un compromesso, è vero; ma
questo compromesso fa sì che si svegli ogni mattina circondato
dal calore di due persone che lo amano e che vogliono proteggerlo, e
per questo e altri mille motivi Jimin pensa di non potersi proprio
lamentare. Pensa, per una volta, di potersi sentire vergognosamente
felice.
Ha
menzionato loro solamente una volta di essere nato a Busan; solo una
volta, gettando quella dichiarazione in un discorso che non aveva
nulla a che vedere con lui – “Mi piacerebbe andare al
mare”, “Non ci siamo mai stati, eh, Taehyungie?”,
“Io sì. Sono cresciuto al mare, a Busan” –
e poi più niente. Jungkook e Taehyung non hanno dato alcun
segno di aver carpito quell'informazione, e lui non ha mai fatto
molto per riportarla a galla.
Ci
sono molte barriere che ha abbattuto, stando con loro, ma quella che
riguarda il suo passato Jimin non l'ha neppure scalfita – né
ha intenzione di farlo. Porta bene addosso i segni della propria
infanzia, e senza la minima fierezza, ma è passato talmente
tanto tempo da allora che un processo di autoconservazione l'ha
portato a considerarla, in parte, la vita di un'altra persona; per
cui, quando Taehyung si sporge a baciare il neo sul suo collo che
solo lui e Jungkook conoscono, scosta i capelli di lato e sfiora con
le labbra una piccola cicatrice, Jimin si volta lentamente e prende
il suo viso tra le dita e lo conduce in un altro punto di sé;
uno che non abbia mai conosciuto il dolore, l'amarezza del
tradimento, che non sia mai stato macchiato di sangue.
All'inizio
era difficile anche solo trovare uno di quei punti – ma piano
piano, sotto le loro carezze e i loro gesti accorti, Jimin ha
iniziato a percepirli meglio. Le mani di Taehyung e Jungkook lo
spogliano ben più di quanto i loro proprietari possano
immaginare, strappandogli di dosso la pelle sporca ed invisibile ad
occhi esterni.
C'è
stato un tempo in cui ha avuto paura che la sua presenza potesse
sporcarli, macchiarli – ma sono forti, entrambi, molto più
di lui; lo ripuliscono, lo rendono una persona migliore.
Quella
sulla sua città natale è una menzione passeggera,
dunque, e niente lascia intendere che Jungkook e Taehyung l'abbiano
notata; ma una mattina, senza alcun preavviso, Jimin si sveglia
privato della presenza di entrambi e con una novità ad
intossicare i suoi sensi con ricordi, stranamente positivi, che
prendono possesso della sua mente ancora non del tutto consapevole.
Una
mattina, senza alcun preavviso, Jimin si sveglia con l'odore del
mare.
È
con gambe tremanti che scivola giù dal letto, non del tutto
sicuro di essere sveglio; mentre barcolla verso l'uscita chiama i
loro nomi, ma non c'è risposta. Quando finalmente apre la
porta della roulotte si aspetta sinceramente di trovare qualcosa di
incredibilmente stupido ad attenderlo, una piscina gonfiabile e
candele aromatizzate alla “Brezza Marina” o qualunque
piano architettato da Taehyung e portato in vita da Jungkook –
ma non va così, affatto: deve sbattere le palpebre appesantite
dal sonno un paio di volte prima di realizzare che ciò che ha
davanti non è la campagna semi-desertica nei dintorni di
Seoul, ma il mare; nello specifico, il lungomare di Busan.
“Ta-da!”,
la voce di Jungkook è l'unico suono che avverte sopra quello
delle onde che si infrangono sul bagnasciuga bianco. È davvero
tutto lì: la baia e la città che sembra innalzarsi da
essa come un'immensa onda con le case e i quartieri poveri più
vicini al mare che mutano in palazzi, centri commerciali, grattacieli
e poi si riabbassano nei quartieri residenziali, tutti immersi in
quella luce blu che proviene dal cielo azzurro quanto dal litorale,
da quel mare in cui da bambino ha fatto il bagno innumerevoli volte –
un altro Park Jimin, diverso anche da quello costretto in un mondo
terribile, una delle tante versioni di sé stesso.
“Abbiamo
cercato un punto tranquillo”, aggiunge Taehyung, e Jimin
realizza solo in quell'istante quanto – forse inconsapevolmente
– gli stiano donando. Ha stretto le braccia al petto, le mani
ferme sul cuore, tentando inutilmente di fermare la corsa frenetica
che ha intrapreso. Si rilassa e scende lo scalino che lo separa da
loro, afferrando le braccia di entrambi con un movimento rapido –
è sempre troppo facile per lui trovare i loro polsi ed
agguantarli, come fossero collegati alle sue mani, come il suo corpo
fosse sempre alla ricerca dei loro.
“Andiamo”,
mormora soltanto – e poi sorride, perché non ha alcuna
ragione di non farlo. La spiaggia è libera, è appena
l'alba, e Jungkook e Taehyung devono aver guidato tutta la notte;
saranno stanchi, e sa per esperienza che non esiste niente di
rilassante quanto il lasciarsi andare al dondolio incessante delle
onde, senza sentire il fondo sabbioso sotto i piedi anche nel
sollevarsi. Lo sa perché lo ha fatto moltissime volte,
quand'era solo un bambino; e forse, pensa nel liberarsi dei pochi
vestiti che indossa, non esistono poi così tante versioni di
Park Jimin. Forse tutto si riduce a due Park Jimin, che ha vissuto la
sua vita a fasi alterne: quello costretto ad una vita di percosse,
che poteva permettersi di sorridere solamente in quelle acque, e che
dopo aver lasciato sporadicamente posto all'altra versione di sé
ha preso controllo del suo corpo per anni – e quello che poteva
nuotare e non pensare a niente, ripulito un tempo dall'acqua salata
del mare ed ora dalle mani e dai baci delle due persone che lo amano.
Quello che Jimin ha deciso di essere di sua spontanea volontà.
È
guardando Jungkook e Taehyung lamentarsi dell'acqua fredda, bagnarsi
a vicenda con piccoli schizzi d'acqua, farsi prendere dal panico a
causa dell'acqua troppo alta e rilassarsi, finalmente, che Jimin
pensa: “Va tutto bene”. Un tempo, nello sdraiarsi a
pancia in su ad affrontare solamente il cielo ed il sole, amava
sentirsi isolato da tutto se non dal dondolio del mare; ora stringe
le mani di Jungkook e Taehyung – “Come delle lontre che
non vogliono andare alla deriva”, nota quest'ultimo, e la
risata di Jungkook è forte e secca ed adorabilmente stupida –
e, pur privato di quella sensazione di beata solitudine, sorride.
Va
tutto bene.
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Ho
già scritto una oneshot di quest'AU, si tratta di “Somewhere
Over the Rainbow” ma...Run per me è un rifugio, una casa
a cui tornare. Sono sempre felice di esporre al mondo il tassello di
un mondo che ritengo essere grande e complesso e doloroso e bello.
Per
chiarire qualche punto che potrebbe aver causato confusione: in
questo universo Jimin è stato costretto a prostituirsi fin da
piccolo, e salvo una breve relazione con un ragazzo nelle sue stesse
condizioni – finita nel peggiore dei modi – non ha mai
avuto la capacità di stringere legami veri e duraturi con
nessuno. All'inizio del suo rapporto con Tae e Guk pensa più
volte di scappare, fin quando Taehyung non viene ferito e Jimin è
costretto a fare un ultimo, terribile sacrificio per consentirgli di
avere le cure mediche di cui necessita e salvargli la vita.
Namjoon,
che viene menzionato qui per la prima volta, fa parte del piccolo
gruppo di ladri che i ragazzi creano una volta superato questo
incidente e che comprende, oltre a lui ed ai ragazzi, Yoongi (un
abile scassinatore) e Hoseok (un autista eccezionale); Namjoon è
un esperto di truffe che si affeziona ai ragazzi non appena li
conosce. Seokjin, invece, è un poliziotto assegnato al loro
caso che per una serie di circostanze finisce per incontrare ed
innamorarsi di Nam...non mi dispiacerebbe scrivere una NamJin
ambientata in questo universo, un giorno.
Grazie
per aver letto e alla prossima!
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Joice
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