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Anche I Prof
Hanno Un Cuore
Capitolo 1
Benvenuta Al
Collegio
L’unica cosa che Isabel aveva sempre
amato con tutta se stessa era stato il paese nativo di sua madre, Susan McKing,
l’Inghilterra. Sin da quando Isabel era bambina, la donna, che non conosceva poi
così bene l’italiano, dal momento che abitava in Italia da pochissimo dopo aver
sposato il suo amore di sempre Giacomo Natale, non aveva potuto fare a meno di
parlare la sua lingua madre con la sua primogenita, e fu così che già verso i
sette anni Isabel aveva una padronanza dell’inglese simile ad un ragazzino che
si appresta a studiare una lingua straniera ad un livello intermedio.
Ragion per cui, l’unica cosa che
l’aveva distinta durante la sua carriera scolastica era stata la padronanza
della lingua inglese, e ciò l’aveva portata ad iscriversi alla facoltà di
Lingue all’Università. La sua aspirazione? Diventare insegnante, una semplice
professoressa liceale, ben lungi dalle aspirazioni delle sue compagne di
università, future hostess o cose simili. Lei voleva solo insegnare quella
lingua e quella cultura che riteneva favolose ai ragazzini che vivevano
quell’età un po’ difficile che era l’adolescenza, aiutarli, e non essere la
solita professoressa avara di voti, isterica e pazza. Già i suoi insegnanti erano
stati così con lei, per carità, e di certo non voleva maturare una sorta di
vendetta con i suoi futuri alunni che di colpe non ne avevano nessuna.
Fu così che verso la soglia dei
ventisei anni, dopo la specialistica e la prima supplenza in un liceo linguistico
di tre mesi, un freddo giorno di fine ottobre venne convocata per una supplenza
in un collegio vicino Latina, che si sarebbe protratta fino alla fine
dell’anno.
“Secondo me dovresti accettare,
insomma, fa parte della gavetta, altrimenti come fai a passare di ruolo?” le
aveva detto sua sorella Alice, che non era una comune Alice, no, era un’
“Elis”, come precisava a chiunque leggesse il suo nome sulla carta d’identità,
il passaporto o da qualunque altra parte nel modo italiano. No, lei aveva radici
inglesi, e ci teneva a precisarlo per distinguersi. Ne andava fiera.
“Si, ma come diavolo faccio? Lo sai
che le nozze sono state fissate per il 21 giugno, è un collegio e dovrò stare
lì 24 ore su 24 tutti i santi giorni escluso il fine settimana” si era
lamentata Isabel, togliendo una ciocca castana dalle spalle sottili e
squadrando sua sorella con aria nervosa, in modo che i suoi occhi chiari
risultassero più dilatati del solito.
“Giusto, le nozze, poverina! Ma che
te ne frega, il tuo adorabile Giulio è così iper organizzato che sistemerà
tutto in pochissimi giorni, e poi sei libera nei week-end, no?” si era
intromessa Lara, una delle loro cugine.
Fu così che Isabel si decise ad
accettare, comunicò la sua scelta ai suoi genitori ed infine, cosa alquanto
difficile, al suo fidanzato Giulio che pochi mesi prima le aveva chiesto di
sposarlo. Dopotutto erano fidanzati da quando la ragazza aveva poco più di
sedici anni, e che senso aveva aspettare ancora visto che erano arrivati alla
soglia del decimo anniversario? Nessuna, ed era per questo che Isabel aveva
accettato.
Giulio era fantastico a suo
giudizio, simpatico, colto, solo un po’ fissato ed iper organizzato quando si
trattava di fare qualcosa, ma lei gli voleva bene lo stesso ed era pronta a
diventare sua moglie, e passare da Isabel Natale alla Signora Isabel Soli.
Convincerlo era stata dura, aveva
dovuto esaurire la sua scorta di: “Mi mancherai un casino, ci sentiremo sempre”.
E dopo i vari saluti generali,
eccola lì, nel treno che l’avrebbe portata nella zona del collegio, con due
trolley blu come unici amici in quell’avventura che avrebbe arricchito la sua
carriera.
Dopo circa tre ore di treno, prese
due pullman e poi, con l’aiuto di una cartina e alcune indicazioni fornitale
dai passanti, si ritrovò davanti ad un’istituzione scolastica alquanto
rigorosa, quel nuvoloso sabato 30 ottobre, il collegio “G. Pascoli”.
Il portone d’entrata era color verde
smeraldo, ampio, e sopra vi gravitava una scritta latina in pietra. Ancora più
su vi era una serie di finestre, distribuite sue tre piani, e da un paio di
quelle sporgevano due bandiere, una italiana e una europea. L’edificio,
esternamente era color grigio perla, sembrava enorme e Isabel avvertì una sorta
di smarrimento, si sentiva minuscola, avvolta nel suo cappotto nero e nella
sciarpa abbinata che sua madre le aveva regalato l’anno prima.
Se ne stava ferma, impalata,
dubbiosa sul da farsi, quando davanti a lei comparve una sorta di poliziotto,
un uomo con una camicia azzurra, pantaloni scuri e cappello identico a quelli
degli uomini dell’arma. Ma una seconda occhiata le fece capire che
probabilmente era solo il portiere.
“Lei è la professoressa Natale?” le
domandò garbatamente l’uomo, alto e con alcune rughe sul viso formatasi a causa
del breve sorriso che le aveva rivolto.
“Si, sono appena arrivata e non so
dove andare…” rispose Isabel, sentendosi un po’ stupida. Dove poteva mai andare?
Doveva entrare e basta, no?”
“Certo, capisco. Io sono l’addetto
a… Il portiere, in breve. Mi scusi, ma non ricordo mai il nome preciso che mi
ha dato la preside” si scusò, e Isabel fece una piccola risata nervosa. “Mi
segua, la porto ai suoi alloggi”.
“La ringrazio” rispose lei, e restò
piacevolmente stupita quando il portiere prese i suoi bagagli con fare
elegante. “Grazie”.
“Ehi, mi ha già ringraziato due
volte, professoressa. Comunque, per qualsiasi cosa sono qui, mi chiamo
Giovanni” disse ironicamente lui.
“Mi scusi. Io sono Isabel” rispose
lei, mentre passavano sotto un porticato, ai lati di un antico chiostro al cui
centro vi era una sorta di pozzo.
Giovanni la condusse verso sinistra,
dove, attraverso un ulteriore portone, questa volta in noce, giunsero su uno
scalone al cui termine si accedeva in un maestoso salone lungo almeno 45 metri.
Sui lati adiacenti vi erano numerose porte, e sopra ognuna di essa vi era il
dipinto di qualche uomo illustre.
“Questo è il salone principale, e
qui ci sono le aule delle medie. Il liceo è dall’altra parte, mi segua” spiegò
Giovanni, conducendola verso l’estremità del luogo, dove vi era un arco che
portava ad un'altra zona, buia per la mancanza di luce. Dopo pochi metri,
l’uomo aprì una porta e la portò in un altro salone simile al primo.
“Qui c’è la sala insegnati del
liceo, la segreteria, l’ufficio della preside e qualche classe. Di là invece si
sale verso il resto delle aule e al terzo piano vi sono i dormitori”. Giovanni
indicò una porta, prima di farle segno di seguirlo.
Il corridoio era più normale questa
volta, come quello di un normale liceo, poi, al terzo piano, vi era una serie
infinita di dormitori diramati in una sorta di corridoio ad X, dove da un
corridoio ne fuoriusciva un altro, e così a seguire in un modo che quasi
sembrava infinito.
“Ecco, questa è la sua stanza, la
dividerà con qualche professoressa” disse infine Giovanni, posando i trolley.
Isabel sorrise. “Grazie, già mi
sento più a mio agio dopo il giro turistico” disse con sincerità.
“Dovere, ma nel suo caso è stato
anche un piacere. La saluto” si congedò l’uomo, allontandosi, e la ragazza
esitò prima di bussare alla porta.
Dopo qualche istante, la aprì una
donna con corti capelli biondo chiaro e con indosso un pigiama candido. “Ciao,
tu devi essere Isabel Natale” disse lei.
“Si, sono appena arrivata” rispose,
sentendosi in imbarazzo. Probabilmente l’aveva svegliata dato i suoi indumenti,
ma erano anche le sei del pomeriggio, si disse.
“Entra, io sono Carolina Santi,
insegnante di francese. Tu insegni inglese, vero?” domandò.
Isabel annuì, posando i trolley in
un angolo vuoto. La stanza era ampia, con due letti distribuiti sui due lati,
due armadi, e in fondo vi era una porta che conduceva a quello che di sicuro
era il bagno. “Si, in realtà questa è la mia seconda supplenza, sostituisco la
professoressa Bara” dichiarò.
“Hai saputo che le è successo?”.
“Una frattura al femore, credo”.
“Si, e non sai i ragazzi come sono
contenti, era una vera palla, scusa il termine, invece credo saranno felici di
avere una supplente come te, giovane e bella”. Carolina fece l’occhiolino, e
Isabel scrollò le spalle, imbarazzata. “E anche io sono contenta, a parte il
fatto che quella era una vecchia noiosa, sembrava anche che non mi sopportasse!
Sai, proprio come l’odio secolare che c’è tra inglesi e francesi” ridacchiò.
Si guardarono, accennando piccoli
sorrisi. Carolina sembrava la solita trentenne piena di voglia di vivere e
divertirsi, estroversa, ma soprattutto sicura di sé. E poteva permetterselo,
sospirò Isabel, notando che la sua nuova collega aveva un fisico che di sicuro
aveva lottato molto in palestra per essere modellato così bene.
“Allora questo mi fa sentire meglio,
sono sicura che… Diventeremo buone amiche” disse Isabel, togliendosi il cappotto
e appoggiandolo sul letto perfettamente a posto e ordinato che di sicuro doveva
essere il suo. Fece lo stesso con la sciarpa, e restò con i suoi comodi jeans e
un maglioncino bianco.
“Lo penso anch’io. Un po’ di caffè?”
domandò Carolina, mostrando una macchina per il caffè espresso che funzionava
con le cialde.
“Si, grazie, ci vuole proprio dopo
il viaggio”.
“Da dove vieni? Inghilterra?”
ironizzò la donna, mentre si dava da fare con l’apparecchio.
“No, ma comunque potrebbe essere
così, mia madre è di Oxford, sai” rispose Isabel. “Vengo da Castel Di Sangro,
in Abruzzo”.
“Io sono della provincia di Ancona,
ho sempre vissuto in un paesino di piccolo e sperduto, e venire qui è stato un
toccasana, è divertente, sai? Ci sono alcuni professori che sono peggio dei
ragazzi” la informò Carolina, per poi prendere il caffè e porgerglielo.
In quell’istante bussarono alla
porta, e Carolina aprì, prima di sorridere all’uomo che stava entrando, per
niente imbarazzata per il modo in cui era vestita. Alto, con i capelli castani
un po’ scompigliati e profondi occhi verdi, la salutò con un bacio sulla
guancia prima di guardare un po’ spaesato in direzione di Isabel.
“Lei è la nuova collega di inglese,
Isabel Natale” la presentò subito Carolina con un sorriso.
Isabel si alzò, cercando di
sorridere e gli strinse la mano.
“Alessandro Di Giovanni, insegno
scienze” si presentò lui, sorridente. “Piacere, sono certo che ti divertirai un
mondo qui. Già le hai detto qualcosa riguardo domani?” domandò rivolto a
Carolina.
Lei scosse il capo, ridendo. “Lui
porta la bandiera di quei professori di cui ti parlavo poco prima” spiegò e
Isabel si lasciò trasportare in una risata.
Alessandro si voltò verso Carolina.
“Quali, quelli sexy e preparatissimi?” domandò, ironico.
“No, quelli che sono peggio dei
ragazzi” lo rimbeccò Carolina.
Isabel li guardò scherzare, e si
domandò se ci fosse qualcosa tra loro, visto il modo in cui si erano salutati.
Se così fosse, beh, forse Carolina sarebbe stata una buona compagna ma le
avrebbe anche lasciato i suoi spazi, presa dal suo fidanzato.
“E quindi cosa succederà domani?”
domandò infine, curiosa per il tono in cui Alessandro ne aveva parlato.
“Una piccola festa per Halloween tra
professori, cioè, solo quelli che diciamo noi, diciamo che siamo una sorta di
confraternita” spiegò Alessandro con un finto tono in stile Superquark.
“Quelli che dite voi?”.
“Si, gli under 38” ironizzò
Carolina.
“I ragazzi, come potrai notare per
il silenzio, sono fuori come ogni finesettimana, ed è in loro assenza che
spesso facciamo una sorta di riunione extra curriculare” continuò Alessandro.
“Capisco. Quindi faccio parte di
questa confraternita?” chiese divertita Isabel, dicendosi che una scuola simile
non l’aveva mai vista, anche perché non è che aveva girato chissà quanto.
Alessandro la squadrò. “Ma certo,
anzi, direi che sei il membro onorario, quanti anni hai?”.
“Ventisei”.
“Cavoli, sei la più giovane. Non che
avessi dei dubbi” si affrettò a dire Alessandro, e Carolina lo spinse
lievemente.
Cavoli, le sembrava di essere
tornata al liceo. Ecco davanti a lei la bambolina di turno e il fighetto sicuro
di sé. Come sarebbe stato il suo soggiorno in quella scuola?
Alessandro non sembrava affatto un
professore di scienze, abituata ai tipi scontrosi e pazzi che dedicavano la
vita a quella disciplina, al massimo gli avrebbe potuto attribuire la cattedra
di educazione di fisica se non l’avesse saputo, grazie al fisico abbastanza
palestrato che si poteva notare sotto la maglia blu. E il resto dei professori?
Come sarebbe stato? Se quello di scienze era così, non osò pensare a quello di
matematica.
Ma i suoi pensieri si interruppero a
causa del suo cellulare che iniziò a squillare insistentemente. Era Giulio.
“Scusate un secondo” disse, facendo
per uscire.
“Sono i tuoi genitori?” domandò Alessandro.
“No, il mio fidanzato” rispose
cortesemente lei, e uscì per rispondere. Di certo le cose che aveva da dire
erano numerose, anche se, stordita com’era, non era sicura di riuscire a
formulare molti periodi sensati.
Ciao!
Eccomi con una nuova fic… Anche se
ho scritto solo due capitoli per ora ci sono molto affezionata, e vorrei sapere
cosa ve ne sembra, se vi piace, altrimenti è inutile continuare.
Ho già molte idee in realtà, e mi piacerebbe
continuare per sognare un po’ con voi.
Visto che oggi è il mio compleanno,
me la lasciate una recensione per regalo? xD Grazieeeeee!
Milly92.
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