La quiete e la tempesta

di _Maeve_
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la quiete e la tempesta

La quiete e la tempesta.


Ho saputo che nel finesettimana pioverà – bene!
Forse così riuscirò a farmi piacere
la strozzatura dei pomeriggi imp/disimpegnati,
trascorrono solerti e sempre inerti come i rosari di mia nonna
che talvolta sussurrano per casa, sprimacciati dal Vetril -
e intanto la vicina sul balcone
ci offre una spasmodica visione (e la tv a tutto volume)
che nessuno le ha chiesto.
Ma guarda un po' se devo
se devono imprigionarmi in questo squallido quadretto
a metà tra un film di Boldi e un kitchen sink;
mentre il cielo s'imbrunisce, sta lì e non sente
e che sia Estate o Morte, a lui poco gliene frega,
ch'io mi spiaggi o no sul letto come una scia chimica,
alle diciannove di una sera intonse dalle zanzare – non importa neanche a loro.
Serrate pure la saracinesca, a beneficio della strada! Serratela come fossi una tomba,
o la Monaca di Monza; lasciatemi a consumarmi qui
mentre le carte s'ingialliscono e i talloni mi si scorticano
e sarebbe così facile la metafora con Achille, e la Grecia, e addormentarsi giovani
nel tempio di Era, ma no, no, la miglior parte!
Di me si prenderà la miglior parte:
quest'assenza-di-mare torrida e resiliente alla narrativa,
mentre gli altri (non li vedo) son lì dietro l'infinito,
e possono cose
che a me scavano solo le gambe e le guance.  



Note
Un piccolo esperimento, dicevo, che doveva assumere un tono più fosco, in cui il non detto doveva colorarsi di spinte tetre - forse lo è lo stesso, tetro, tetro per straniante contrasto col tono da grottesca commedia che è andato man mano assumendo. Poco male, per il momento lo lascerò qui, come un gorgoglio estemporaneo, la risultante tangibile di elucubrazioni più o meno estenuate, vecchie (come qualche termine già usato, già declinato in maniera simile altrove) e nuove, che s'azzuffano sullo sfondo apatico di un'Estate-non-Estate, ambigua e opprimente.  Altre spiegazioni  svilirebbero il mio discutibilissimo genio poetico,  e che qualcuno le trovi come potenzialità aristoteliche in clausola ai versi, come ci insegnavano i latini - solo due cose: i giovani che si addormentano nel tempio di Era sono Cleobi e Bitone, due fratelli protagonisti di un racconto la cui cornice non sto qui a spiegarvi, ma che sostanzialmente diventano metafora dell'agognata morte giovane quale grazia divina, che evita il decadimento fisico; e, dulcis in fundu, sono proprio soddisfatta di aver messo in poesia il Vetril, le cui virtù pulenti sono tanto decantate che forse, insomma, lo meritava; chiedo infine scusa a Leopardi per le barbare citazioni, e a mia nonna, che però sa che le voglio bene. A presto.






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