“Non lo so, Severus...” La donna tirò un lungo sospiro. “Io
non sono affatto tranquilla. Quel Potter è un vero maestro, nell’arte di mettersi
nei guai, e Albus gli sta concedendo così tanta fiducia, ultimamente... Non credi che finirà per farsi male, prima o poi?”
“Credimi, Minerva”, rispose Snape con la consueta, fredda
educazione, senza voltarsi. “Sono convinto, nella maniera più assoluta, che
il Preside sappia quello che fa.”
Il pallido, serio insegnante di Pozioni - dai tratti duri e taglienti come acciaio - fissava il
caminetto con aria assorta, il mento appoggiato sul palmo della mano:
l’asprezza del profilo aquilino, illuminato dal riverbero tremolante delle
fiamme, risultava stranamente smussata.
Il riflesso rossastro del fuoco ridisegnava, in modo meno severo del
solito, i lineamenti affilati, la linea sprezzante delle sopracciglia nere, le pieghe dell’austero, pesante abito scuro; ciocche di
capelli nero-inchiostro, che ricadevano sulla sua fronte, erano percorse da tremanti
riflessi ramati; il suo intero viso sembrava, in quella luce mobile, insolitamente animato, vibrante... vivo, in qualche modo.
Minerva McGonagall bevve un sorso di fumante vino speziato
dal suo bicchiere di peltro, osservandolo.
In quella luce calda, tremolante, persino la durezza degli inespressivi
occhi neri sembrava addolcirsi.
Naturalmente, la donna sapeva che era tutta un’illusione, un
gioco di ombre cinesi creato dalle fiamme crepitanti...
Altrimenti, avrebbe quasi - quasi - potuto convincersi di avere
intravisto, nel volto impassibile dell’uomo accanto a lei – oltre la linea
severa del naso, la rigidità delle spalle, la piega amara delle labbra sottili - un’ombra di
umanità.
Snape girò la testa per bere a sua volta, e il suo viso, di nuovo in ombra,
tornò ad assumere l’usuale espressione scostante.
Se soltanto avesse sorriso, qualche volta, pensò la donna, o detto una parola gentile, gli studenti non sarebbero stati tanto terrorizzati da lui; e magari gli altri insegnanti non avrebbero evitato tanto di frequente la sua
compagnia.
Ed era un peccato. Le sue frasi beffarde, per quanto caustiche - e, beh, francamente
parecchio moleste -, si disse poi, rivelavano uno spirito brillante, arguto,
una mente sveglia e non certo priva di senso dell’umorismo... di un senso
dell’umorismo sui generis, d’accordo - ma per esserci c’era.
La professoressa sbirciò di sottecchi il collega.
Le acute - e pedanti, e presuntuose, e terribilmente
irritanti, riconobbe fra sé l’insegnante - precisazioni con cui il professore
interrompeva i discorsi dei colleghi (l'appunto che aveva fatto al professor Lupin sui Kappa sarebbe rimasto nella storia di Hogwarts), o le interrogazioni degli studenti, mostravano poi una notevole preparazione
intellettuale.
Severus Snape avrebbe potuto essere riconosciuto per l’uomo sveglio,
ironico e intelligente che era… Se soltanto non fosse stato sempre così
maledettamente acido, insolente e presuntuoso!
McGonagall ebbe un leggero moto di fastidio. Quell’uomo era
proprio insopportabile! Anche ora, dopo averla invitata nelle sue stanze (incredibilmente spoglie, come la cella di un monaco) per informarla
della decisione del Preside, non si mostrava certo molto ospitale, e non...
Improvvisamente, la povera donna sobbalzò per la sorpresa e dette in un'esclamazione di sorpresa: Snape si era
alzato di scatto, in un ondeggiare del mantello, e con un subitaneo colpo di bacchetta
aveva capovolto il proprio bicchiere vuoto sul tavolo (con un sonoro "toc" di metallo contro legno), proprio accanto al
gomito dell’insegnante. La McGonagall strinse le labbra in un'espressione indignata –
principalmente per nascondere il fatto che, quando Snape era balzato verso di
lei, si era presa un dannatissimo accidente.
“Severus…”, balbettò. “Ma che – che cosa... diavolo…?”
Senza una parola, ma facendole cenno di aspettare, Snape prese un foglio di pergamena dal
tavolo e lo infilò con cautela sotto al bicchiere rovesciato. Aprì la finestra con un cenno della bacchetta; poi, con delicatezza,
sollevò, insieme, bicchiere e pergamena.
Si
diresse verso la finestra aperta - una raffica di vento spinse qualche goccia di pioggia dentro la stanza - con in mano il bicchiere, usando il foglio come un tappo per tenerlo chiuso.
“Severus...”
L’uomo appoggiò il bicchiere sul davanzale, poi ne rovesciò fuori, con delicatezza,
il contenuto: un grosso ragno peloso sbucò circospetto dal bordo del bicchiere, e corse sulle lunghe esili zampe giù per la parete esterna
dell’edificio.
“Araneus diadematus.”
Mormorò Snape, stringendo le labbra in una smorfia. "Hagrid dovrebbe davvero imparare a tenere queste
irritanti bestioline lontano dagli edifici della scuola”, sibilò,
recuperando la pergamena e il bicchiere con cui aveva imprigionato il ragno.
Si voltò poi verso la sua collega, che se ne stava - con aria
risentita e vagamente terrorizzata - rigidamente seduta al suo posto, le labbra strette, in attesa di spiegazioni. Stringeva
un lembo della veste nella mano, e lo cincischiava nervosamente col pollice.
Snape fece un cenno con la testa verso la finestra. “Il nostro grazioso amico a otto zampe stava per scalare la
manica della tua vestaglia quando l'ho catturato, Minerva. Una scalata dall’interno.” La informò Snape, con
indifferenza.
Sospirò. “Ho pensato che fosse meglio evitare a entrambi questa
prova.”
La McGranitt si chiese dubbiosa se si riferisse a lei e al ragno – o
al ragno e a se stesso. Decise di soprassedere.
“Oh. Er… Grazie, Severus.”. La donna rabbrividì e si strinse ancora di più la veste da camera di tweed attorno al collo.
Decisamente, i ragni non erano fra gli animali che
preferiva… Specialmente quelli che tentavano di colonizzare l’interno dei suoi
abiti.
Brrr.
“Ah, Severus... Quello non era, er, un ragno velenoso, vero?”
Snape alzò un sopracciglio, col suo solito fare saccente.
“Tutti i ragni sono velenosi, mia cara Minerva. Per tua
fortuna questo, in particolare, lo è soltanto per le sue piccole prede.”
Sollevò un sopracciglio. “Un tipo curioso, tuttavia, per certe sue, uhm, insolite
abitudini.”
La McGonagall assunse un’aria perplessa. Non conosceva Snape
come un entomologo particolarmente appassionato. Forse studiava il regno
animale per elaborare nuovi insulti da indirizzare ai suoi studenti... Sì, blatta
molesta suonava proprio come il tipo di epiteto che poteva rivolgere a quella
povera, giovane Granger.
Eppure... Eppure non aveva ucciso il ragno. E non lo aveva neanche imprigionato. Lo aveva catturato per poi lasciarlo libero.
Snape, ignaro delle elucubrazioni etnoantropologiche della
collega, continuava il suo monologo didattico in tono indifferente. “Il maschio
del ragno crociato…” La McGonagall prese un’aria allarmata “... Crociato,
non cruciatus - su, Minerva, non guardarmi in quel modo… Il ragno, dicevo,
porta una fedeltà assoluta alla compagna, sacrificandosi completamente
nell’accoppiamento, durante il quale subisce una, hmm, dicevo, una ferita irreversibile.
Probabilmente, cercare un’altra femmina è per lui un compito troppo gravoso... Con tutti i nemici e le difficoltà che deve affrontare, è già abbastanza arduo trovarne una, immagino.”
Ci fu una pausa. La McGonagall si schiarì la voce, imbarazzata. “Tutto ciò è molto, ah, molto romantico, Severus. Mi
domando quanto c’è di autobiografico in tutto questo…”
Naturalmente, la domanda dellaMcGonagall era del tutto maliziosa. Non aveva certo nessuna informazione
su una possibile – e, oh, andiamo!, parecchio improbabile - vita sentimentale di Snape… A
parte le illazioni maligne dei colleghi insegnanti. O le oscenità che a volte
Pix gridava dal soffitto della Sala Grande... generalmente evocanti troll e/o
centauri distesi in atteggiamenti inequivocabili sul letto di Snape.
Brrr.
Fu perciò enormemente sorpresa quando il volto dell’uomo
si contrasse per un attimo in un’espressione amara, dolorosa, e Snape si girò verso il camino in uno svolazzare del
mantello, dandole le spalle. “Sono molto stanco, ora, Minerva.” Disse in tono
brusco. “Ti sarei grato se mi lasciassi. Buonanotte.”