Between dreams, nightmares and reality

di tsukuyomi_
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1.2 
 
Una bambina correva, felice, lungo le strade affollate della cittadina; non aveva alcun genere di pensiero per la testa, tranne quello di essere spensierata e, forse, quell'impazienza innata di arrivare il più presto nel luogo prestabilito. Nulla di che, i bambini sono così. 

«Su, mamma! Veloce, veloce!» gridava, tra una risata e l'altra, girando il capo di tanto in tanto per incontrare lo sguardo gentile della giovane donna.
«Ran, tesoro, non esagerare.» Rispondeva la donna, pacata. «Papà non scappa, è sempre lì» le ricordava, invitandola a seguire il suo passo, senza correrle a un metro di distanza. 

La bambina, però, sembrava non volerla proprio ascoltare, impaziente com'era. 


 


 

La bambina correva incontrollata per i gradini, ridendo, invogliando ancora la madre ad aumentare il passo: manca poco, dopotutto. Nulla di che, i bambini sono così

«Andiamo, mamma!» gridò Ran, dall'ultimo gradino. Gonfiò una guancia, impaziente, attendendo l'arrivo della madre. 
«Arrivo, arrivo» rispose di rimando, arrivando al fianco della figlia, che la osservò sorridendo. «Quindi? Andiamo da papà, Ran?»


 



 

«Fermo! Non ti muovere!»

«Fermo o sparo!»

«Non fare un altro passo, non essere stupido».

Goro si fermò di colpo, imitando i gesti dell'uomo, la pistola stretta saldamente tra le mani e lo sguardo vigile. Lo avevano appena catturato, non potevano permettersi di perderlo in quel modo, in una maniera così stolta, poi! Ne andava del nome del suo distretto, e del suo; del nome che si era creato come poliziotto.
Si morse l'interno della guancia, nervoso, per poi iniziare a parlare con l'uomo, tentando di convincerlo a non fare nulla di stupido. 

Non ha senso, aveva detto. Se scappi ti riprenderemo ancora, ancora e ancora.

Poi, una voce stridula e una adulta — le voci delle persone che riteneva più preziose — lo fecero istintivamente sussultare sul posto. Il malvivente, invece, fermo a qualche passo dalla porta, osservò d'istinto il luogo da cui proveniva quel rumore, con l'accenno di un sorriso vittorioso sulle labbra. 

«Ferma, Ran, aspetta!» gridò Eri, mentre la figlia apriva con enfasi le porte, smettendo improvvisamente di ridere. Eri assottigliò lo sguardo, preoccupata, aumentando improvvisamente il passo. 
«Ran, scappa!» urlò Goro, tenendo ancora l'arma stretta tra le mani. 

Nessun ostaggio. 
Nessuno. 
Non mia figlia.


Eri comparve davanti alla bambina, obbligandola ad allontanarsi alla svelta da quel posto troppo pericoloso per dei semplici civili. 
Fu un attimo: la donna non capì come ma, senza rendersene nemmeno conto, si ritrovò avvinghiata tra le braccia del malvivente, a fargli da scudo umano. 

Goro perse più di un battito osservando immobile la scena; le mani iniziarono a fremere, mentre il semplice gesto di respirare era diventato enormemente più complicato. 

«Goro...», sussurrò la donna, le palpebre socchiuse e le mani sopra quelle del malvivente, a cercare di allentare la presa. 
«Su, grande detective... sparami» lo invitò l'uomo, ghignando. 

Lei... è mia moglie, pensò, non posso sparare con il rischio di ferirla. Non posso restare inerme a vederla in quelle condizioni, a sentire i singhiozzi di Ran, in lacrime. 
Non... non posso fare nulla?


Goro osservò il pallido viso della moglie, la quale lo guardava a sua volta impaziente, spaventata, sì, ma ugualmente col sguardo fiero, da una combattente nata. 

«Su, sparami» lo provocò, ancora. 

Goro riempì i polmoni d'aria, socchiuse le palpebre ed espirò. Guardò un'ultima volta la moglie, chiedendole silenziosamente di perdonarlo, terrorizzato dal suo incubo peggiore, poi... 
Premette il grilletto. 

 




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