The Trickster Tale
The Trickster Tale
Grazie alle iniziative del gruppo We are out of prompt, più idee e più prompt mi hanno permesso di abbozzare un'idea per un fanfiction fantasy.
L'idea originale è evoluta in una Kyo Kara Maou!AU, sono andata oltre la scadenza della challenge e ho ultimato il lavoro per la challenge fanfiction dedicata a Persona 5, creata dalla mia pagina Persona 5 - PhanItalia.
È la
prima volta, in 12 anni di fanwriting, che mi cimento in una fanfiction
fantasy e sono molto nervosa di far leggere ciò che ne è
uscito, soprattutto perché ho integrato al mondo di Kyo Kara Maou! alcuni fatti e caratteristiche di P5, ma il risultato potrebbero far risultare comunque i personaggi OOC per certi aspetti.
La serie
fantasy creata da Takabayashi Tomo vede protagonista un adolescente
giapponese, Yuuri Shibuya, che viene portato dallo scarico di un
water in un mondo fantasy (d'ispirazione germanica). Lì scopre
di essere la reincarnazione del Re Demone, fondatore della stirpe dei mazoku
(termine giapponese utilizzato per indicare i demoni in senso
generico), richiamato per portare nel regno di Shin Makoku la pace.
Yuuri si ritrova a dividersi tra la scuola, la sua famiglia
terrestre, la corte del Palazzo del Patto di Sangue, gli impegni di re,
le guerre, gli intrighi politici e un ragazzo con il quale ha
accidentalmente contratto un fidanzamento che non riesce ad annullare.
Se volete saperne di più vi invito a scoprire la wikia dedicata alla serie.
Vi lascio alla
lettura - ed incrocio le dita - ricordando che le vostre opinioni sono
importanti e sarebbero di grande supporto per farmi continuare a
scrivere.
I fuochi d’artificio colorano il cielo notturno come fiori che si aprono
per mostrare i loro maestosi colori, solo per gli occhi più attenti, solo per
chi sa cogliere la bellezza nell'effimerità del tempo.
I tamburi, accompagnati da flauti, creano il ritmo per danze orientaleggianti
mentre un gigantesco falò sembra voler raggiungere il cielo, mutare anche lui
in un altro tipo di fuoco ed esplodere nella notte.
Sembra quasi di essere a Tokyo, sembra quasi il Giappone, anche se quel posto
non è in alcuna cartina perché solo il Maestro Morgana conosce la magia che
apre portali, che fa viaggiare tra mondi, che rende Shin Makoku il regno più
distante dal suo tempo, dal suo universo e dalla sua realtà.
È ormai passato un anno da quando è arrivato lì attraverso un vortice
fuoriuscito da un gabinetto: credeva di affogare con la testa lì dentro, mentre
dei bulli gli gridavano frasi sprezzanti e invece… dopo l’impossibile è
arrivato in una nuova casa, dove era atteso da anni, dove conoscevano il suo
nome – Ren – senza che lui conoscesse nulla di quei luoghi, neanche la lingua
se non fosse stato per un incantesimo del Maestro Morgana.
In un primo momento aveva creduto fosse un sogno, quando poi si era reso conto
quanto le sensazioni fossero vivide, aveva pensato di essere in un parco a tema
dove si organizzavano giochi di ruolo dal vivo; aveva cercato di aggrapparsi
alla razionalità per tre giorni di viaggio seguendo Morgana e discorsi per lui
senza senso.
“Sei il Trickster di Shin Mankoku!”; “significa che sei lo spirito di Satanael,
il demone che mille anni orsono si ribellò al Dio del Controllo”; “Satanael ha creato la stirpe dei demoni – i
mazoku – che hanno fondato il regno di Shin Makoku”; “Il Re risiede ufficialmente nel Castello del Patto di Sangue, ma il trono
adesso è dell’usurpatore”.
Era difficile seguire quella carrellata di nozioni mentre galoppavano in terre
sconfinate e distese di fiori da colori insoliti, nella notte si illuminavano
creando sentieri naturali che aiutavano i viaggiatori come loro. Particolare
non di poco interesse: lui viaggiava cavalcando un unicorno, Morgana – un gatto
antropomorfo – era invece in groppa ad una creatura chiamata kelpie e Ren non
faceva che chiedersi dove fosse il confine di quella follia.
Era un lettore avido a scuola, amava la letteratura, amava il fantasy, e quello
che aveva vissuto nei primi giorni in quel mondo era aldilà di qualsiasi
fervida fantasia. Vedendo il sole sorgere ad ovest e la luna piena - di un
intenso blu - domare ogni notte, si era arreso a credere di aver viaggiato
davvero oltre un gabinetto.
Il momento che l’aveva convinto era stato però un altro all’alba del terzo
giorno di viaggio, osservando Morgana guardare malinconico il castello del
Patto di Sangue all’orizzonte: quello era il loro obiettivo, ma non la meta
finale che sarebbe stata nella contea di Yongen. Gli raccontò di un falso
profeta, un usurpatore che con la forza aveva preso Shin Makoku e si era
incoronato Re Demone, terrorizzando il popolo con la magia insita nella sua
corona e usandola per rapire la più bella fanciulla del regno – Lady Ann – per
poter far di lei sua moglie.
Il conte di Yongen – Sojiro Sakura – da anni stava cercando di guidare una
ribellione, ma Shin Makoku era grande e – come nella maggior parte delle
regioni – c’era povertà, un miracolo era l’ultima speranza, per questo erano in
attesa del vero Trickster, Ren. Morgana aveva
fatto un lungo viaggio ed eseguito un antico rituale in una terra sacra per
evocarlo, finché… capelli neri, occhi scuri, vestiti neri, i colori degni del
Re Demone, non c’era stato dubbio sul fatto che fosse proprio lui.
A quasi un anno da quel racconto di rabbia e speranza, di viaggi interdimensionali
tra il suo mondo e quello dei mazoku, Re Kamoshida è il ricordo da incubo che
la festa cerca di esorcizzare.
Il racconto di Morgana aveva mosso in lui qualcosa, ma solo conoscendo il
tiranno la volontà di ribellarsi, aveva svegliato in lui i poteri del
Trickster: si era letteralmente strappato la faccia che aveva preso la forma di
una maschera bianca, gli occhi grigi si erano accesi di rosso e dalla sua
schiena erano spuntate due ali nere da corvo, si era trasformato – o meglio –
aveva rivelato la sua vera identità.
Da quel giorno aveva scoperto di possedere abilità sovraumane, agilità animale,
destrezza, forza, e soprattutto la capacità di evocare spiriti di antichi
mazoku e di famigli: le Ombre.
Ma la guerra non si vince solo con poteri da supereroi, l’aver vinto una
battaglia non era stato risolutivo, ma aveva dato speranza al popolo. Per prima
il ricercato Capitan Kidd aveva stretto amicizia con lui e giurato fedeltà dopo
che Ren lo aveva sciolto da ogni accusa e tolto una sentenza di morte sulla sua
testa. Capitan Kidd – per Ren semplicemente Ryuji – aveva allora decantando la
buona novella per i porti, facendola viaggiare per i mari. Le voci dai porti erano
arrivate alla contea di Nijima nel regno, per poi valicare i confini e raggiungere
il regno umano della Piccola Shimaron, dove era sovrana la giovane Okumura.
Milady Haru Okumura aveva chiesto assistenza a un altro regno di umani, Hildyard,
il cui sovrano Yusuke non aveva che interesse per l’arte, ma ascoltando la
triste storia della bella Lady Ann si era votato alla causa pur di incontrarla
e ritrarla.
Persone diverse – razze diverse – si erano incontrate per restituire a Shin
Makoku il legittimo sovrano, ma quello che poteva essere un interesse politico,
Ren sa che è diventato altro dalla vivacità intorno a lui, dalle chiacchere
confidenziali, dai rumori affettuosi di domestiche abitudini. Ren ora sa che
quel luogo gli appartiene e – in qualche modo – anche lui appartiene a quel
luogo, a quelle persone.
È quasi mezzanotte e Capitan Kidd alza la sua mazza chiodata, si sistema il
cappello e urla alla sua ciurma di aprire i barili di liquore perché l’ora X
della serata sta arrivando e gli animi non possono scaldarsi più con solo
musica e buon cibo. Persino ikotsuhizoku – mazoku
non umani – si uniscono a quell’entusiasmo con i loro versi gentili, danzando
con i pirati ed aiutandoli a prendere barili di qualcosa che non potranno mai
bere. Sono un po’ terrificanti i kotsuhizoku se non li si conosce, sono
scheletri con ali di pipistrello dopotutto, ma la loro gentilezza la si può
percepire dai suoni che emettono e che risultano graziosi. Per anni sono stati
tenuti schiavi del tiranno Kamoshida, per anni hanno aspettato l’arrivo del
Trickster sognando la fine della guerra; hanno odiato se stessi per esser stati
costretti a spargere morte e distruzione, torturando i ribelli, combattendo al
fronte con i regni umani più deboli, perché non avevano la forza di sottrarsi
alla magia della corona indossata da Kamoshida.
Ora l’incubo è passato, per questo Ren si avvicina a un kotsuhizoku tendendogli
la mano in segno d’amicizia, ma la creatura – timorosa – s’inchina al suo
sovrano che si limita ad accarezzare il teschio e sorridergli.
“Grazie per il tuo duro lavoro” il tono pacato sembra colpire il mazoku non
umano che fa una riverenza e vola dagli altri.
“Abbiamo tutti bisogno di gentilezza dopo anni di violenza e terrore. E i tuoi
gesti scaldano il cuore” la voce di Lady Ann non sa trattenere l’entusiasmo
avvicinandosi a Ren. Ha le labbra rosse piegate in un sorriso. Prima era solo
una burattina di piacere, obbligata a vestire con un bikini ed orecchie da
gattina, adesso veste abiti da dama: gonna ampia e lunga, una leggera
scollatura, maniche ampie, di un colore rosso che la fa sentire a suo agio. Non
è più una donna-oggetto.
“Non ho fatto nulla di che”.
“Hai salvato un regno. Hai salvato anche me. Salvare vite e fare guerre per la
pace non è cosa da poco”.
Non è quello che intendeva Ren, ma non è in vena di contraddirla, l’atmosfera è
fin troppo piacevole e vuole godersi davvero la festa, anche se il suo
goderselo consiste nello stare fermo, in disparte, ad osservare quello che si
muove intorno a lui. Ren non è molto dinamico, come Re Yusuke preferisce la
contemplazione.
Ren è sicuro che con la sensibilità di uno stalker Yusuke la stia guardando,
può capirlo: la ragazza ha una bellezza fuori dal comune, per questo attira
sguardi e muove corteggiatori che lei rifiuta per il cibo e per stare con altre
coetanee, infatti – non appena Morgana si avvicina per chiederle un ballo –
Lady Ann è attratta dall’odore di capretto alla griglia e si congeda
velocemente per correre verso uno dei tavoli del banchetto.
Tra quelle tavolate ricche di colore e dagli odori invitanti, Ren vede Sua Maestà
Okumura camminare al fianco di Lady Makoto, quest’ultima sempre nella sua
tenuta da guerriera perché è la seconda pelle che sente più comoda, non come
sua sorella Sae che veste di eleganti e importanti vestiti degni di una
contessa che vuole mostrare la forza senza rinunciare al fascino. Makoto si
accorge del suo sguardo – Ren la vede in imbarazzo – e saluta come da etichetta
verso il sovrano, accennando un timido sorriso che pizzica alle guance di Ren.
Nella sua realtà, con una divisa scolastica, con quel carisma, Makoto sarebbe
stata una perfetta presidentessa del consiglio studentesco, di quelle che si
sognano e si temono, perché Makoto non è tutta forza e carattere, è anche bella,
ma Ren è frenato da qualcosa che fatica a capire lui stesso.
Non si può dire che ci sia un’atmosfera romantica attua a voler far incontrare
e magari danzare il Re Demone con Lady Makoto, ma qualsiasi cosa potesse
esserci in quel momento imbarazzante, viene spazzata via dall’arrivo
rocambolesco di Futaba, la figlia del Conte Sojiro. La contessina mostra a Ren
il suo vestito color sottobosco in cerca di approvazione e Ren non può che
annuire con il sorriso, felice che quella ragazza – ora con trecce e fiori tra
i capelli – sia in grado di sorridere. La guerra le ha portato via sua madre e
ha portato lei a chiudersi ed isolarsi nella sua stanza, divorata dal senso di
colpa e perseguitata da fantasmi di bugie e malignità.
Ren vorrebbe darsi il merito di aver aiutato Futaba, ma la verità è che lei è
una ragazzina forte: una volta scoperte le verità dietro le oscure trame
politiche del regno di Kamoshida con quello del sovrano di Grande Shimaron –
Masayoshi Shido – ha realizzato che sua madre è morta non per causa sua, ma per
mano di tiranni che meritavano di essere combattuti. Ren ha dato a Futaba una
mano, ma è stata lei a mettersi in prima linea, offrendo la sua intelligenza
strategica che ha fatto la differenza in guerra.
“Sei felice Futaba?”.
“Sì. Ma sai cosa potrebbe rendere questa festa perfetta?”.
Ren ha paura del suo tono e del fatto che sbatta le ciglia allusiva.
Deglutisce.
“Una proposta di matrimonio per esem-”.
“No!” si appresta ad affermare con durezza Ren, sistemandosi il collo della sua
giacca nera. Cerca di cacciar via pensieri pericolosi e agitazione, se il suo
volto si colora di rosso Futaba potrebbe tormentarlo con più determinazione,
fino a dire cose non adatte a una contessa.
Futaba gonfia le guance e si avvicina al Re Demone con sfida, nonostante sia
piccola e minuta: “nel tuo mondo come funzionano i fidanzamenti, scusa? Perché
essere fidanzati da un anno e non aver neanche annunciato le nozze è ridicolo. A
giorni sarai ufficialmente incoronato re e questo è il momento perfetto!”.
Ren è sempre sorpreso dall’energia che Futaba investe per un matrimonio che
neanche la riguarda.
“Perché non ti preoccupi del tuo di matrimonio?”.
“Non sviare il discorso, Trickster: stiamo parlando del tuo matrimonio” e gli
punterella l’indice contro il petto, facendogli un po’ male, ma evitando di dar
voce al suo fastidio che lo renderebbe sconfitto.
“Il mio fidanzamento con tuo fratello è stato accidentale” è la millesima volta
che lo ripete e sa di parlare invano, ma è l’unica difesa che può costruire in
suo favore. “Sulla Terra schiaffeggiare una persona non significa farle la
proposta di matrimonio!”.
Appena arrivato nella contea di Jongen, un anno prima, era stato accolto da
Sojiro e dal figlio adottivo Goro Akechi, un principe.
Se tutti avevano accolto il sovrano con gioia, Goro l’aveva fatto con
aggressività e frasi al vetriolo, disgustato dal fatto che Ren fosse stato
cresciuto da umani e avesse vissuto in un mondo di soli umani.
Ren aveva cercato di ignorare, voleva essere gentile e farsi conoscere, raccontando
di sé a quegli estranei: aveva spiegato di essere un comune sedicenne
giapponese – e cosa significasse esserlo – ma con la fedina penale sporca a
causa di una situazione spiacevolmente fraintesa dalle autorità locali. Si era
imbattuto una sera in una donna che stava per esser molestata da un ubriaco –
evidentemente un tipo influente – che aveva ribaltato la situazione denunciando
Ren all’arrivo della polizia, accusandolo di essere un violento che lo aveva
colpito e steso a terra in un momento d’intimità romantica. L’uomo era sì
caduto a terra, ma non a causa di Ren, era inciampato per il suo stato di
ebbrezza, agitatosi perché Ren si era avvicinato soltanto per accertarsi della
situazione della donna, la quale non aveva contraddetto il suo molestatore. Lo
scopo della confidenza di Ren era stato per mettere in tavola il suo problema
più grande: era in un periodo di prova giudiziaria e doveva tornare a casa al
più presto, doveva comportarsi da studente modello perché il giudice
riconsiderasse la sua condotta l’anno dopo, ma Goro aveva riso a quel racconto
e cambiato tutto.
Alle orecchie del principe tutto era
risultato una barzelletta di cattivo gusto, prova della viltà umana, perché per
sua esperienza gli esseri umani erano abituati alla violenza, alla menzogna, a
tradire e perpetuare ingiustizia. Ren non sapeva nulla di Goro a quel tempo, se
avesse saputo si sarebbe comportato in modo decisamente diverso; all’ennesima
parola di troppo, non era riuscito a contenersi: si era alzato da tavola con
l’intento di fare un occhio nero a quel principe sul pisello, per farlo
smettere di parlare di cose che non sapeva e – una volta vicino, notato il bel
volto del nobile – il pugno era diventato uno schiaffo, il palmo destro aveva
toccato la guancia sinistra del giovane e tutti i presenti al tavolo si erano
alzati. Non allarmati, ma emozionati.
Morgana aveva tentato di fargli ritirare l’offesa del gesto, l’aveva incitato a
scusarsi, ma Ren aveva fatto la voce grossa dicendo che si rifiutava di doversi
scusare per aver fatto il gesto che riteneva più appropriato alla circostanza.
In sala c’erano stati sospiri e Sojiro si era avvicinato dando al futuro Re
Demone una pacca sulla spalla, felice dell’inaspettato risvolto: “Congratulazioni” – aveva detto – “che Satanael vegli sulla vostra unione”
e alzando il calice aveva fatto un brindisi benaugurale “ai futuri sposi!”. La sala aveva brindato, bevuto e poi gettato
alle spalle le coppe, applaudendo per il lieto evento che solo per i due
interessati era sembrato tragico. Ren cercava di prenderla sullo scherzo non
capendo, per Goro era drammatico: era stato insultato e disonorato.
Morgana soltanto ore più tardi, aveva spiegato che i nobili mazoku si
proponevano schiaffeggiando con la mano destra la guancia sinistra del partner
desiderato. Per tutti era stata solo che l’ennesima conferma che lui era il
Trickster, mentre Ren cercava di razionalizzare quell’assurdità, perché Goro
era un uomo. Quel mondo per certi versi arcaico l’aveva sorpreso ancora: da
oltre due secoli erano stati legalizzati i matrimoni tra persone dello stesso
sesso, non erano così insoliti, per tanto Morgana avrebbe voluto davvero capire
quale fosse il problema di Ren in proposito: Goro Akechi era il mazoku più
bello e desiderato del regno, se non fosse stato un figlio bastardo, non pochi
sarebbero stati i pretendenti a combattere per la sua mano.
Dopo un anno, Ren poteva capire l’eccitazione di Futaba al pensiero che il suo
fratellastro avrebbe contratto matrimonio: significava essere accettato,
rispettato, poter avere una vita normale.
“Tu neanche c’eri, non puoi capire…” solo un mese dopo dal suo arrivo alla
contea Futaba era uscita dalla sua stanza.
“Mio padre mi ha raccontato tutto nel dettaglio a suo tempo” sorride
impertinente, “ha parlato di eccitazione nel tuo sguardo, passione…”.
“Credimi: era rabbia” ed era vero. Ma non poteva negare di non aver mai provato
desiderio – eccitazione – per Goro.
A una settimana esatta dall’accidentale proposta, Ren ricorda come – dopo
occhiate sfuggenti e frasi sibilline – Goro fosse entrato in camera una notte,
vestito di solo accappatoio, lasciato poi cadere a terra per offrirsi a lui: “fai di me quello che vuoi, se mi desideri.
Non sono nella situazione di rifiutare dopotutto. In cambio, tu mi aiuterai a
spodestare Shido dal trono di Grande Shimaron”.
A quel tempo Ren non sapeva niente, non capiva il significato di una discussione politica a letto, quello
che aveva capito era che Goro Akechi si stava denudando e che… era
ingiustamente meraviglioso. Aveva sentito caldo quella sera, aveva sentito il
suo sangue scorrere verso la parte coperta dalle lenzuola mentre la gola si era
seccata e il petto in festa – o in guerra – per la reazione fisiologica non
esattamente eterosessuale che stava avendo.
Non era successo nulla alla fine, perché aveva messo dei paletti tra loro e
Goro si era annoiato, ma sdraiato al suo fianco gli aveva raccontato la sua
storia. Era nato dalla violenza che sua madre aveva subito da un umano chiamato
Shido, un mercenario che aveva preso con la forza il trono di Grande Shimaron.
Sua madre, una principessa, aveva tentato di vivere una vita normale nella
contea di Yongen, protetta dal conte Sakura suo amico, ma la consapevolezza di
aver generato qualcosa di sporco e che mai sarebbe stato accettato né da mazoku
né da umani, l’aveva portata al suicidio. Sojiro aveva cresciuto allora quel
bambino come fosse suo, non gli aveva fatto mancare nulla, ma non avrebbe mai
potuto cambiare le menti e le tradizioni di un popolo e di due razze in lotta
da sempre.
Goro non era nella condizione di rifiutare Ren per questo: era feccia e doveva
solo che essere grato di tale generosa proposta, un rifiuto avrebbe dimostrato
che non era degno di essere parte di quel regno, che il suo sangue mazoku era
corrotto, un traditore annunciato.
Ren non aveva mai ritirato la sua proposta da allora, anche se annunciare un
matrimonio non era esattamente nei suoi piani.
“Io lo so: a te piace mio fratello, quanto tu piaci a lui”.
Ren si risveglia dai suoi pensieri a quelle parole e scuote la testa con
energia, gesto che per Futaba è una conferma. Li ha visti allenarsi insieme con
la spada, li ha visti cavalcare unicorni per il Parco Sakura, li ha visti
difenderla da attacchi di Ombre controllate da Kamoshida, li ha visti praticare
le arti magiche e le evocazioni con Morgana: tra loro si è stretto un legame
che è molto più che amicizia. Ren non si rapporta al principe Akechi come si
relaziona con Capitan Kidd o il sovrano Kitagawa.
“Bene, puoi continuare a vivere nella negazione allora, ma potresti fargli la
cortesia di tenergli compagnia perlomeno?”.
Solo allora Ren realizza che Goro non è nel cortile del castello dove tutti
sono riuniti per i festeggiamenti. Futaba vede Ren cercarlo con lo sguardo tra
i gruppi di invitati, così dà il suo piccolo contributo: “prima era dentro il
castello con nostro padre ed alcuni conti del regno, li stava intrattenendo,
spendendo buone parole su di te”.
Con un sorriso si congeda da Futaba e si dirige all’interno del castello,
allontanandosi un po’ dalla zona della festa e attirando l’attenzione di un
gruppo di pixie che – fingendo di ballare in gruppo – lo osservano invaghite
dal suo aspetto tanto esotico, valorizzato dagli abiti neri, il colore che solo
un Re può indossare.
All’interno del castello vede più servitù e soldati che ospiti, nessun volto
familiare con cui scambiare quattro parole, così segue l’istinto e nel
labirinto di corridoi e saloni del Castello del Patto di Sangue si ritrova
sulla terrazza principale: il panorama lo lascia senza fiato e alza la testa, vedendo
gli stendardi del regno sventolare. Gli sembra di poter toccare la Luna o
venirne schiacciato da essa, la sua luce azzurrina rende il cielo notturno violaceo
e i fuochi d’artificio – che continuano ad essere sparati – risultano ancora
più belli.
“Ehi” la voce che gli è tanto familiare lo fa voltare e poi rilassare.
Quell’uniforme principesca bianca con spalline in oro e mantello rosso
rappresentano il suo status di principe consorte. Goro non la indossa spesso –
solo in occasioni importanti ed eventi ufficiali – ma a Ren piace molto, anche
se non lo direbbe mai ad alta voce perché sarebbe come appoggiare la tesi di
Futaba. “Ehi, troppo prezioso per passare il tempo con noi comuni mortali?”.
“Quali comuni mortali?” ah già.
“No, era un modo… lascia stare. Mi dispiace però che tu ti metta in disparte e
non ti unisca ai festeggiamenti, insomma… abbiamo sconfitto e messo agli
arresti Kamoshida insieme, non può non significare niente per te”.
“Per me significa che uno degli alleati di Shido è stato sottoposto alla
giustizia che meritava, ma lì fuori – e forse tra noi – ce ne sono tanti da
combattere ancora” si avvicina al parapetto della terrazza, fiancheggiando Ren.
Goro è così vicino al punto di distrarre l’altro che ne studia i lineamenti
perfetti e ingannevoli. Dietro la bellezza di Goro, la delicatezza dei tratti,
i suoi modi cortesi, si nasconde un mazoku spietato, capriccioso, irriverente
ed anche volgare talvolta; Ren ha lo spiacevole privilegio di conoscere la sua
vera natura, un pacchetto che comprende il pretendere di dormire nel suo letto,
scalciare nel sonno ed occupare tutta la superficie di un king size.
“…non è esattamente nella mia agenda unirmi a dei rozzi pirati dalle urla
molesta che- …che stai facendo?”.
Ren è risvegliato dai suoi pensieri. “N-niente, pensavo”.
“A me?” domanda Goro con un tono zuccheroso - e derisorio – prendendolo alla
sprovvista.
“Non nel modo in cui pensi”.
“E in che modo penso?”.
“Pensi in modo estremamente narcisista, ovviamente” sorride da vero Trickster,
sapendo di averlo affondato. Goro incrocia le braccia al petto e ignora la
frase di Ren, il quale continua con un tono più morbido: “però sei
straordinario nel modo in cui riesci a fare ogni cosa da solo”.
A giudicare dal colore che prende il volto di Goro, questa non se l’aspettava
proprio.
“Sai intrattenere relazioni diplomatiche quanto sei abile nella spada e
nell’uso della magia. Hai solo un anno più di me, ma sei un adulto a tutti gli
effetti, capace di affrontare qualsiasi difficoltà, senza avere bisogno degli
altri”.
“Credevo a te piacesse avere gli altri intorno”.
“Sì, ma vorrei non coinvolgere nessuno in battaglie e cose simili. Vorrei poter
avere la forza di fare tutto da solo, per tenervi al
sicuro”.
Goro non dice nulla, ma nella sua testa fa eco quel per tenervi al sicuro. Sono parole che hanno una certa delicatezza,
un suono chiaro e morbido che entra sottopelle e tocca punti nevralgici che credeva
anestetizzati dal tempo, eppure proprio per questo è irritato: “tu sei il
Trickster, tu… non hai idea dell’invidia che susciti nelle persone. Tu puoi
tutto, per diritto di nascita”.
“Io credevo di essere solo uno studente giapponese di sedici anni, fino a un
anno fa. Non conosco questo mondo, ancora non capisco come io stesso possa
essere un mazoku, dal momento che sono nato in un altro mondo. Faccio viaggi
interdimensionali, ho ufficialmente due vite ora come ora e se nel mio mondo
non sono ancora un adulto, qui ho la responsabilità di essere un Re e… non è
per gioco. Ora sono dieci giorni che sono qui, quando tornerò devo rientrare
nella testa di dieci giorni fa e impegnarmi nel mio quotidiano per ripulire la
mia fedina penale. Non è che posso fare tutto, mi sto sforzando ad avere due
vite nella consapevolezza che un giorno dovrò fare una scelta” fa una breve
pausa guardando giù chi fa baldoria e urla con i boccali in mano. “Il mio
essere Trickster per me non è un onore, è una cosa che non avrei voluto essere,
perché ne capisco l’importanza. Proprio perché lo sono però, mi sento legato
più di quanto dovrei a questo luogo, a tutti voi. Non sono un rifiuto qui, non
vengo preso di mira dai bulli perché me
lo merito e non debbo temere di finire con la testa in un gabinetto. Qui
potrei venire rapito, ferito, mutilato, oppure ucciso, ma non mi spaventa la
prospettiva, mi sento al sicuro perché sono circondato da persone amiche,
persone che io stesso voglio proteggere e questo credo abbia risvegliato la mia
natura mazoku”.
“Quante belle parole, quanti buoni principi”.
Anche se Goro è derisorio, Ren non riesce ad arrabbiarsi o a rispondere a tono;
forse Futaba ha visto giusto, o forse perché può comprendere quanto sembrino
sciocche le sue parole. “Non posso biasimarti, ma è quello che penso. E penso
che in quanto Trickster non ho dovuto allenarmi o faticare per sprigionare un
grande potere, mentre persone come te si allenano da una vita. Allora perché,
pur lavorando tanto sul controllo di questi poteri, non riesco a manifestarli
nella forma in cui possano impedire guerre? Perché tutto questo tempo, queste
energie, questi costi e una sola battaglia vinta? Potrò essere anche invidiato,
ma sono speciale solo per un potere che non può neanche manifestarsi al pieno
delle sue potenzialità”.
“Credo tu abbia preso un abbaglio, Ren Amamiya: tu non sei una persona
accessoriata di un potere da Trickster, la tua anima è quella di un mazoku, la
tua anima è quella del Trickster che ha creato i mazoku” lo guarda direttamente
negli occhi, in attesa che Ren capisca. “Vivi delle tue esperienze, la tua
forza dipende da quelle e se non ti soddisfa è perché hai ancora potenziale da scoprire.
Non essere avido, finiresti per non riuscire a controllare il tuo potere e…
farti del male”.
“Oh, sei preoccupato per me?” gli chiede canzonatorio, divertito dal modo in
cui Goro si sottrae al contatto visivo.
“Non dovrei, Sua Maestà?”.
“Potreste limitarvi al vostro scopo, Vostra Grazia”.
Goro sembra prendere una certa distanza tra loro e Ren ripensa a quello che gli
ha detto una volta Morgana riguardo il loro accidentale fidanzamento: nessun
mazoku crede nel caso.
La natura del Trickster vuole che ogni cosa sia legata, ogni cosa
precedentemente prevista e calcolata; i fedeli del primo Re Demone – il
Trickster originario – dicevano che egli aveva visto tutta la storia dei
mazoku, inclusa la fine della sua stirpe. Dicevano aveva visto un finale felice
per il suo millenale viaggio e voleva percorrere quel sentiero, pertanto aveva
organizzato le sue vite – anche le più difficili – per arrivare a quel lieto
fine per tutti.
Ren non crede d’aver compreso pienamente il racconto di Morgana e non crede
neanche riuscirebbe mai a spiegare e raccontare la complessità di quel mondo,
c’è sempre un pezzo che gli sfugge, un dato di fatto che non capisce, delle
verità ambigue, eppure gli va bene così.
Forse è solo una persona passiva agli eventi, o forse dipende dalla sua natura
mazoku, ma ha deciso di accettare quello che gli è accaduto da quando ha messo
piede in quel mondo, perché crede un giorno capirà. Forse capirà anche cosa
prova per Goro Akechi.
“Sai, Sojiro mi ha raccontato del fatto che il precedente Trickster apparteneva
alla tua famiglia, era…”
“…la nonna di mia madre”.
“Credevo fosse un uomo”.
“Quei tempi erano complicati, essere donna poteva rappresentare debolezza
secondo molti, per questo ha indossato le vesti di un uomo per tutta la vita.
Io ho preso il suo nome, suppongo mia madre sperasse che diventassi io il nuovo
Re Demone”.
È sorpreso, il racconto di Sojiro era differente. Forse è proprio in queste
circostanze che si creano gli intrighi di corte.
Goro si rende conto della perplessità di Ren e decide di fornirgli un’altra
dose di verità: “Sojiro non ne sa nulla, non sa molte cose. Compreso che inizialmente
avevo pensato di fare il doppiogioco: ingraziarmi Shido, essere una spia.
Volevo vendicarmi di Shido, come di tutti coloro che avevano spinto mia madre
al suicidio”.
“Perché me lo stai dicendo?”.
“Perché rientra nei doveri coniugali, no?”.
È un colpo basso – molto basso – e Ren non sa come fa a dirlo con una faccia da
bronzo, come se stesse parlando del tempo.
In un angolino della sua testa Futaba lo prende in giro.
“Non intendevo… cioè- perché? Non hai paura che io lo possa dire? Cosa ti ha
fatto cambiare idea?”.
“Non è ovvio? Sojiro. Wakaba. Futaba. Se non avessi avuto loro, se non fossi
stato trattato da loro come fossi davvero parte della loro famiglia, adesso non
sarei qui e non parlerei di questo. Ho ancora difficoltà però ad approcciarmi a
umani e mazoku, in molti modi”.
“Per questo non sei tipo da feste?”.
Goro abbozza un sorriso di scuse, un comportamento formale ed affascinante.
Non crede Ren di poter capire cos’ha passato il principe durante la sua vita,
non immagina quanto sia stato difficile, ma ora può dare un senso all’invidia
che ha sempre manifestato nei suoi confronti, alla durezza nei rapporti con il
prossimo ed il suo essere solitario.
Con lui si è aperto – si sente accaldato al pensiero – quindi vuole credere
significhi qualcosa.
“Goro, tu pensi che le credenze dei mazoku siano vere?” La risposta è uno sguardo
confuso. Ren si passa una mano tra i capelli, in imbarazzo, cercando di porre
la domanda nel giusto modo, cercando di non mettere nessuno dei due in difficoltà.
“So che sei un fiero mazoku, ma visto che non sembri amare gli aspetti più
folkloristici, mi chiedevo se pensassi… che insomma… il Trickster potesse esser
dietro alle casualità e…”
“Sei tu il Trickster. Perché lo chiedi a me?” Goro ha i gomiti sul parapetto
della terrazza e le mani guantate si incontrano formando un ponte dove ha
poggiato il mento. Sta guardando Ren dal basso, mentre il vento gli va tra i
capelli e li fa sembrare più lunghi, oltre che davvero leggeri. Dovrebbero
essere morbidi al tatto.
“La vera domanda è: io ti piaccio?”.
“Eh?” poi – ancora – più acuto: “che?!”.
Un ultimo fuoco d’artificio ha l’attenzione di Goro, una luce azzurra lo tocca,
creando l’illusione che sia una creatura sovrannaturale, che non appartiene ad
alcun mondo conosciuto. Ren ha occhi solo per lui in quel momento, qualcosa nel
suo stomaco sembra non andare, deglutisce a vuoto, si sente come assetato e nel
petto il cuore sembra prendere il ritmo di una corsa inesistente.
Non gli piace quella sensazione – o forse gli piace, ma deve solo abituarsi?
Una mano raggiunge quella di Goro e si avvicina a lui, le spalle si toccano, il
fiato di Ren raggiunge l’orecchio del principe. C’è un’oscurità violacea ad
avvolgerli, a coprire l’imbarazzo sui loro volti diventati caldi.
“Sai, non ho mai provato niente del genere”, perché non si è mai identificato
come omosessuale o bisessuale. Non ha mai avuto attrazione per alcun ragazzo, a
Ren sono sempre piaciute le ragazze ma, se deve essere visceralmente onesto,
Goro è più bello di qualsiasi ragazza abbia mai conosciuto. “Non sono sicuro di
cosa voglio, ma credo che una relazione romantica debba essere un po’ come un
posto sicuro, dove poter sempre tornare” abbassa un po’ la voce, non vuole
essere provocante, è l’imbarazzo a rendere il suo tono più morbido. “Ho sempre
immaginato per me un futuro semplice: trovare un impiego di cui poter vivere,
avere una casa in cui tornare e avere qualcuno a cui dire: tesoro, sono tornato a casa”.
“Tesoro?” domanda confuso Goro.
“Quando si ha qualcuno di davvero importante, noi strambi terrestri, lo
chiamiamo così. Perché è prezioso per noi”.
In un mondo in cui i tesori sono oggetti magici, custoditi in luoghi sicuri di
grandi palazzi perché capaci di concretizzare i desideri dei suoi possessori,
la loro pericolosità non offre un’idea rassicurante e semplicemente bella, ma
Goro sembra aver capito, in silenzio le sue dita giocano con quelle di Ren e lo
rilassano.
“Sembra una cosa bella”.
“Lo è” soprattutto ciò che sta accadendo tra loro in quel momento di
distensione. “Sai Goro, credo che chiunque abbia un luogo in cui tornare sia
libero e possa essere felice. Per questo io sono confuso, perché credo che qui
posso essere felice, per… per tante cose. E spero anche tu, un giorno, ti
sentirai così”, spera che prima o poi la sua ossessione per Shido finisca.
“Forse, quando avrò ottenuto la mia giustizia” niente più effusioni tra le loro
dita, sente il vento freddo penetrarle.
“In realtà spero molto prima: hai il diritto di essere felice e di vivere per
te stesso, per le cose che ti fanno stare bene”.
Vorrebbe dire di averlo colpito, di aver usato le parole magiche per addolcirlo
e rientrare in quel mood confuso e sensuale, intrattenuto da tocchi gentili;
Goro invece si ricompone e prende una distanza più formale, tornando con la
schiena dritta e senza più tenere le braccia sul parapetto.
“Credo che andrò a dormire”.
“Ah” sorpresa – perché si sente tradito? – “allora ci vediamo… forse tra qualche
settimana. Sai, devo tornare, devo studiare per gli esami” anche se non crede
Goro capisca cosa significhi.
“Oh, quindi vai già via” sì, e spera gli mancherà. Al momento ha davvero
bisogno che Goro gli manchi, ma vorrebbe – forse – accadesse anche il
contrario. Vorrebbe non essere un semplice strumento perché Goro raggiunga il
suo obiettivo. Forse, tra loro due, dopotutto è Goro quello più ambiguo.
“Quando volevi dirmelo?”.
“Non pensavo stessi andando a letto e non volevo rovinare… sì insomma-”
“Gli esami sono una cosa importante sulla Terra?”.
“Molto. Per gli studenti sono una vera e propria guerra che si deve vincere, a
qualsiasi costo” forse suona un po’ melodrammatico, ma l’affermazione ruba un
sorriso spontaneo del suo interlocutore, facendo dimenticare a Ren qualsiasi
battaglia, se non il conflitto con i suoi ormoni. Vorrebbe dire a Goro di non
avvicinarsi – o potrebbe fare lui un passo indietro – ma non lo fa.
“Buona fortuna allora, torna vincitore”.
Ren sta per ringraziarlo con una frase circostanziale, quando il volto di Goro
si avvicina e sente chiaramente le labbra del principe toccare l’angolo della
sua bocca.
Il mondo si paralizza nella testa di Ren che trattiene il respiro; quando
realizza che Goro l’ha baciato, l’altro è ormai a una distanza di cortesia. Con
la leggerezza di un battito d’ali di farfalla è successo qualcosa d’importante a cui non sa dare un nome.
“…doveri coniugali?”.
Goro diretto verso l’interno non si volta neanche, ma alza un braccio e mostra
la mano serrata in un pugno, solo un dito alzato, il medio. Spera che a Shin
Makoku il gesto non non abbia lo stesso significato terrestre, perché Ren –
decisamente – non se lo merita.
Qualsiasi nome abbia avuto quello che c’è stato è ormai un fantasma, ma ci sono
ancora le tracce di quelle emozioni, le dita di Ren sono ancora elettrizzate
dall’aver giocato con la mano di Goro e toccano quel punto caldo – e
leggermente umido – dove si è posata la bocca. Con indice e medio Ren accarezza
l’angolo e scivola sulle sue labbra secche, chiudendo gli occhi.
Sa già che il suo principe gli mancherà.
*
È una notte particolarmente calda quando ritorna al Castello del Patto di
Sangue, sono passato quindici giorni in quel mondo e non ha avuto modo di
prendere familiarità col palazzo della capitale, necessitando della guida di un
inserviente per raggiungere la sua camera.
Si muove incerto nella stanza, aiutato dal lume di una lampada ad olio
raggiunge il letto e toccato il materasso per poco non strilla: Goro sta dormendo
lì, si è appropriato a quanto pare ancora del suo letto. Fa luce su di lui e… oh.
Ren suda freddo, i suoi ormoni non meritano di essere così scossi. Goro è nudo
nel letto, solo un drappo di lenzuola copre il bacino e Ren non sa se è una
benedizione o una maledizione; ha caldo anche lui, vorrebbe togliersi la
maglietta, ma in un contesto del genere – che fa aumentare solo il caldo – si
sente a disagio. Vorrebbe essere delicato, spostare il compagno per stendersi e
poter avere almeno il bordo del letto, invece nel sonno le braccia di Goro
avanzano e si muovono come se stessero cercano di raggiungere qualcosa. Ren
poggia la lampada sul comodino, la luce li tocca e Ren fa un tentativo per
inserirsi, finché non sente mormorare il suo nome nel sonno.
Arrossisce e la mente corre a idee piacevoli, guarda Goro e per essere un
mazoku è fin troppo angelico, gli stringe il cuore a vederlo così, c’è qualcosa
d’infantile che gli fa venir voglia di sbloccare i freni inibitori. In quella situazione
frustrante si china sul principe, per un istante guarda le labbra schiuse di
Goro, poi avanza vicino all’orecchio ed osa in un sussurro sensuale: “tesoro, sono tornato a casa”.
“Ren…” è la risposta confusa, impastata, dal
mondo dei sogni del bel addormentato “…è a
casa”.
“Sì, lo sono” ridacchia decidendo di lasciare il letto gigante a Sua Capricciosa
Altezza Reale, per accomodarsi sul divanetto ai piedi del letto, come fosse un
gatto. Va bene così: rifugiarsi in uno spazio angusto – al posto di beneficiare
di eccessive cortesie – è un modo per sentirsi a
casa.
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