RITORNO A CASA.
La porta di casa si aprì
lentamente al mio tocco, mentre i
topi si mossero frettolosamente verso le proprie tane scavate nel legno
del
pavimento e delle pareti. Erano passati circa quindici, forse
più, anni da
quando fui lontano.
La casa era ancora in piedi ma in
stato di completo
abbandono. Polvere, muffa e numerose lettere giacevano di fronte alle
stipe
della porta d’ingresso. La prima cosa che mi venne in mente
fu quello di
rendere grazie alla provvidenza di essere ancora vivo e in grado di
poter
vedere che l’interno, anche se consunto dal tempo, era tutto
come aveva
lasciato.
Per colpa della pestilenza, molte
case erano state bruciate
o abbandonate di tutta fretta e mai più reclamate dai
proprietari.
Il mio sguardo si soffermò
a osservare brevemente le lettere
accatastate, molte di esse riportavano nomi di persone di cui ormai
avevo persa
la memoria, altre erano cumuli di carta giallognola e illeggibili.
-Pussa via!- Con la mia scopa,
cacciai alcuni ratti arditi
che non si erano mossi dal mio arrivo. Presi le lettere dal pavimento e
le
posai con cura sul tavolo, al sicuro dai denti macilenti e affilati dei
roditori.
Aprii le ante delle finestre, serrate
da molti anni, facendo
entrare una luce chiara e benedicente nella mia casa, tossii molto per
la
polvere che si era alzata, prima di potermi sedere sulla mia sedia e
inforcare
i miei occhiali da vista, conservati nella tasca della giacca.
Con le lenti agli occhi iniziai
lentamente a sfogliare ed
aprire le buste. Mi accorsi con grande meraviglia che le lettere
contenute
nelle buste ammuffite erano bianche e ancora leggibili.
Mi presi del tempo per leggere con attenzione, molte di esse
riportavano
notizie di avvenimenti accaduti mentre ero via, altre erano messaggi
personali
di persone a me care, ma che lo scorrere del tempo e la
fugacità della memoria
mi avevano reso dei perfetti sconosciuti. Tutti i messaggi erano
rivolti a me,
o per meglio dire al me del passato, di quando ancora vivevo in questa
casa.
Piccoli frammenti si aprirono nella
mia massa grigia,
rimasta troppo a lungo indifferente, qualche nome mi riportava a un
viso, a un
evento particolare. Normalmente uno sarebbe stato felice di sapere che
ci
stavano ancora delle persone che lo pensavano, che lo cercavano, che
volevano
notizie da parte sua. Io sapevo bene, in verità, che troppi
anni erano passati
e che le relazioni umane erano come un pozzo al sole: se non metti
l’acqua
presto o tardi il pozzo si asciugherà. E il mio pozzo era
ormai in rovina.
A dimostrazione di ciò, le date delle lettere si
interrompevano in un arco
molto breve: due o tre anni al massimo. Segno che, ormai ero
considerato morto
per loro. Non sarebbe poi servito a nulla provare a rimettermi in
contatto con
le persone i cui nomi figuravano nelle buste, molte di loro erano
emigrati in
cerca di maggior fortuna o erano morti.
Non mi arrabbiai con loro per essersi
dimenticato di me, in
quando ero io a dovermi scusare per prima.
Ripiegai le lettere, imbustandole di nuovo.
Dovevo scusarmi io per primo, sì. Aprii il giornale che
avevo portato con me.
Era un giornale di 15 anni fa, come riportato dalla testata. Lo
sfogliai con
cura, temendo che si potesse ridursi in mille pezzettini alla minima
tensione.
La mia mano si fermò su un articolo in basso a sinistra.
Lessi a mente.
“Scoperta truffa da un
milione di dollari, l’autore è
condannato a scontare una pena di 2 anni.” Vidi la mia foto
con il testo, ero
giovane e ambizioso. Speravo che la mia bravata non fosse stata
scoperta da
nessuno, ma si sa… il crimine non paga ed ero stato chiamato
a far fronte ai
miei errori. Sarebbe bastato che mi mettessi l’animo in pace,
avrei fatto dei
lavori di pubblica utilità e poi sarei stato rilasciato per
buona condotta.
Ma lo stupido orgoglio prevalse sul
buon senso. Ero un
lavoratore come tanti, che era stanco delle vessazioni di uno Stato
ingiusto e
spietato per quelli che vivevano in basso. Per me era una giusta
reclamazione
di ciò che era mio di diritto.
Appena ricevuto la notizia, mi preparai in tutta fretta e portandomi lo
stesso
giornale che ora stringevo tra le mani, scappai. Scappai senza voltarmi
indietro. Il mio nome fu messo in lista dei ricercati, tutte le mie
proprietà
bloccate e i miei amici, veri o presunti, ben presto si sarebbero posti
delle
domande. Domande che ora avevo letto nelle buste semi chiuse.
Lasciai la mia casa e mi ritirai in
completo anonimato,
muovendomi di mestiere in mestiere, facendo valere le mie competenze e,
con il
tesoro della mia esperienza appena avuta, mi guardai bene dal fare
sciocchezze.
Un onesto bracciante, mi offrì un lavoro, dove potei tirare
avanti e
dimenticare il mio passato.
Nonostante le mie intenzioni iniziali, mantenni una fitta
corrispondenza con
uno dei lavoratori più in attivo nella vecchia impresa
manifatturiera. Legati
da una profonda e sincera amicizia, mi mantenne informato e non fece
domande,
mi comprese e mi supportò laddove potesse.
Pochi anni dopo, ormai integrato in una nuova comunità di
nuovi lavoratori e
brave persone, ricevetti una notizia che mi sconvolse non poco.
L’impresa dove lavoravo, era caduta in mano a degli
speculatori di pochi
scrupoli e ben presto la situazione divenne alquanto complicata. Per
usare un
eufemismo.
Di tanto in tanto, in completo anonimato passavo per la stessa strada
che mi
portava ogni giorno all’impresa dove lavoravo e dove si
dicesse fosse lasciato
allo sbando. Volevo vedere con i miei occhi se le voci fossero vere o
fossero
state ingigantite per fare notizia.
Purtroppo le cose erano come
stavano…
I piani alti della direzione, per
colpa di una forte omertà
in basso, non potevano procedere per vie legali senza prove e quelli
che
alzavano la cresta venivano messi a tacere grazie a un giro di
informazioni
false, tanto che non venivano nemmeno tutelati da chi di norma dovevano
difendere.
Mi resi conto che, con il mio capriccio, mi ero salvato da un destino
ben
peggiore.
Il mio caro amico, aveva
già rassegnato le dimissioni e si
era ritirato a vita privata con moglie e figli, scriveva libri su libri
sulle
condizioni della fabbrica dove insieme lavoravamo, abbracciò
persino la causa
comunista nella speranza di veder migliorate le condizioni sue e dei
suoi
colleghi.
Io mi tenni lontano dalla politica e
dal prendere posizioni
estreme, ero più predisposto per il quieto vivere.
Vissi la mia vita in pace e con il nuovo impiego ottenuto dal
bracciante che,
vista e approvata, la mia onestà e voglia di fare, mi
promosse con uno
stipendio più alto che mi permise di vivere ancor
più dignitosamente e fare del
mio meglio per la comunità che mi aveva accolto.
Anche il mio amico se la passava alla
grande, ricevette
numerosi premi letterari e anzi, ricevette l’onorificenza
come gran cavaliere
del lavoro.
Mi congratulai con lui a suo tempo,
con una missiva molto
lunga e appassionata. Le nostre relazioni, a volte, si interrompevano a
causa
degli impegni che ci tenevano lontani dalle scrivanie e la penna
stilografica o
altre volte erano le poste bloccate a causa degli scioperi e della
peste che, a
pochi giorni a quella parte, sarebbe diventata una questione seria.
Insomma, a guardarla così
la storia, parrebbe che non ci sarebbe
stato motivo per cui potessi tornare nella mia vecchia casa.
Ma non era così. Una
settimana prima, mentre ero impegnato
con i miei doveri di capo manifatturiere, nel mio ufficio, ricevetti la
visita
inaspettata di una donna in nero. Probabilmente vedova da molti anni e
che
ancora non si era rassegnata ad accettare la perdita.
Non la conoscevo e in più
il velo sul viso la rendeva irriconoscibile
ma la presenza mi rendeva molto agitato. Mi fece delle domande e mi
mostrò una
lettera scritta di mio pugno.
Era la proprietaria della mia vecchia
impresa. Non potevo
vederla in viso ma dalla voce capivo cosa provava. Era molto seria,
stanca e amareggiata.
Mi diede le chiavi della mia vecchia
casa, la cui serratura
era stata cambiata durante la mia latitanza.
Se ne andò senza dirmi
un’altra parola, la mia lettera era
una lettera di scuse. Colei che avevo truffato era proprio quella
donna. Non truffata
tanto dal punto di vista economico quanto invece dal punto di vista
della
fiducia, che avevo tradito.
Quando andai a lavorare per la sua
impresa ero un giovane di
belle speranze, desideroso di sentirmi valorizzato, apprezzato per gli
sforzi
che facevo. Ma l’impresa era diversa da quello che pensavo.
Molto diversa.
Anche se avevo agito facendo quello
che ritenevo giusto, non
mi ero mai chiesto se era giusto per gli altri.
Ero stato un bastardo egoista, ecco
tutto.
E a pagarla siamo stati io, la
fiducia della proprietaria
nei miei confronti e i colleghi che mi stimavano e mi rispettavano.
Mi presi una settimana di ferie dal mio impiego attuale e tornai nella
mia
vecchia casa.
Mi tolsi gli occhiali, mentre
ritornavo dal mio flusso di
coscienza e di ricordi emersi dal momento che lessi le righe del
giornale.
Avevo molto da fare, forse non
più come prima, ma qualcosa
si doveva pur fare.
Sicuramente non avrei più
riottenuto il prestigio che avevo
un tempo, né la stima dei miei ex colleghi ma ciò
che avevo appreso in quegli
anni che ero stato in quell’impresa mi erano rimasti e
affinati con l’impegno e
la buona volontà ottenuta dal mio capo bracciante.
La pestilenza era sparita, non ero
più un lavoratore per la
fabbrica, avevo riottenuto la mia vecchia casa, ora quello che mi
restava era…
Costruire per mio diletto e non
più impiego. Far sì che le
mie opere meccaniche siano utili a qualcuno, siano delizia e
curiosità per chi
passerà per casa mia.
Convinto delle mie intenzioni, mi
avvicinai alla cucina e
aprii il fornello a legna passatomi di generazione dalla mia bisnonna e
con dei
fiammiferi ancora conservati nello stipetto e in buono stato, iniziai a
bruciare via via, le vecchie lettere, come a voler cancellare un
passato che
ormai non mi apparteneva più. Mi rimboccai le maniche e
iniziai a rimettere in
ordine la casa.
Mentre stavo spazzando via le erbacce
che erano cresciute da
sotto le mattonelle, la porta suonò.
Andai ad aprire e mi trovai faccia a
faccia con il mio amico
scrittore, era venuto a trovarmi senza avvisarmi.
-Pensavo ti servisse una mano.- Con
queste parole ci
abbracciammo, erano anni che non ci vedevamo a causa della peste.
Lo accolsi in casa, rammaricandomi di non potergli offrire qualcosa. Ma
per lui
non aveva importanza, vedere che eravamo in salute era più
che sufficiente.
Con l’aiuto del mio amico,
la vecchia casa in pochi giorni
era tornata più o meno ai vecchi fasti, spoglia ma pronta ad
essere di nuovo il
mio laboratorio d’artigianato. Le tane dei topi erano state
riempite, i buchi
tappati e la polvere spazzata via. Successivamente tinteggiammo la
casa,
lavammo gli oggetti fissi come il bagno, la cucina e quanto altro era
attaccato
al muro o al pavimento.
-Questo è il mio regalo di
benvenuto.- Il mio amico si
congedò dopo avermi aiutato, lasciandomi un meraviglioso
quadro antico. Rappresentava un personaggio storico vissuto nel
medioevo nero.
Prima che ci separassimo, tolsi il
velo dalla targhetta del
cancello. Riportava il mio nome e quello dell’impiego che
facevo prima di
sparire.
Alzai lo sguardo alla casa
nuova… Bentornato a casa, mi
dissi.
FINE
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