Shurato
si guardò intorno, sorpreso.
Dove
era finito?
Perchè
non riusciva a distinguere nulla?
Quale
era l’origine di tale oscurità?
– Sohma
nero? – mormorò. Un anno prima, non aveva esitato a
caricare il suo cuore di un peso assai gravoso.
Desiderava
liberare la Terra e il Tenkuukai dalla loro intrinseca oscurità
e, per questo, aveva compiuto quel passo.
Ma
non aveva considerato la tenebra del suo cuore e, per questo, era
quasi sprofondato nell’abisso della pazzia.
In
quel momento, la sua mente, avida di sangue e morte, non distingueva
niente e desiderava l’appagamento dei suoi istinti più
biechi.
Aveva
quasi ucciso Laksu, che aveva tentato di fermarlo.
Ricordava
bene le sue mani serrarsi, come tenaglie, attorno al fragile collo di
lei.
Rivedeva
i suoi occhi, vitrei di terrore e umidi di lacrime.
L’aiuto
di Gai aveva impedito l’attuazione di tale tragedia.
Anzi,
gli aveva rivelato la realtà del dualismo cosmico, che lui,
sulle prime, non aveva voluto accettare.
Ancora
una volta lui, con la sua saggezza, l’aveva salvato da un
destino che pareva già scritto.
Shurato,
di scatto, aprì gli occhi e si drizzò a sedere, il
corpo scosso da respiri affannosi.
Si
strinse una mano sul petto, cercando di lenire i battiti furiosi del
suo cuore. Tutto, in quel momento, gli era apparso così reale…
La
tenebra si addensava attorno a lui, quasi volesse soffocarlo.
In
quei pochi, terrificanti istanti, aveva creduto di essere sprofondato
nell’oscurità della pazzia.
– Come
un anno fa… – pensò, lo sguardo stralunato.
Certo, aveva vinto contro la dea della distruzione, Shiva, ma tale
vittoria aveva richiesto un prezzo assai elevato.
Lady
Visnu, protettrice del Tenkuukai, era perita, cercando di difendere
quel regno di luce e speranza.
E
poi Gai, per riscattarsi di colpe non sue, non aveva esitato a
proteggerlo da un attacco della crudele divinità.
Shurato
si irrigidì e strinse i pugni. Aveva creduto di avere superato
il dolore di quella perdita inattesa, ma quella ferita pulsava, sotto
un’apparente crosta di indolenza e serenità.
Rivoleva
il suo migliore amico accanto a sé.
Certo,
aveva l’affetto di Laksu e degli altri Hachibushu, ma il suo
animo ferito bramava la presenza del suo amico terrestre.
Strinse
le gambe contro il petto, chinò la testa sulle ginocchia e
pianse. Aveva salvato il Tenkuukai e la Terra, ma non era felice.
O
meglio, era contento della tranquillità ritrovata della Terra
e del Tenkuukai, ma l’assenza del suo migliore amico pesava sul
suo cuore ferito, come un macigno.
– Mi
manchi tanto Gai… – singhiozzò. Aveva creduto che
il tempo avrebbe lenito la sua amarezza, ridandogli un po’ di
serenità.
Tale
sentimento, invece, si era accresciuto, a stento soffocato dalla sua
maschera sorridente.
Avvertiva
sempre più forte il peso della solitudine e aveva paura.
Due
braccia forti e sicure circondarono le sue spalle.
Shurato,
sentendo quel tocco, si scosse dai suoi pensieri e sollevò lo
sguardo, umido di lacrime.
–
Hyuuga,
cosa fai qui? – domandò, sorpreso. Quando era entrato?
Non
lo aveva sentito…
La
realtà, in quel momento, gli sembrava ovattata e i suoi sensi
registravano percezioni attenuate.
Un
amaro sorriso sollevò le sue labbra. I suoi tristi pensieri lo
avevano avviluppato, come in una tenace e crudele ragnatela.
In
quei momenti, il mondo svaniva davanti ai suoi occhi…
Se
qualcuno avesse voluto ucciderlo, ci sarebbe riuscito.
Non
si sarebbe opposto, anzi avrebbe accolto con gioia la morte.
Hyuuga,
invece di rispondere, lo strinse con più forza contro di sé
e gli accarezzò i corti capelli neri. La pace, appena
riconquistata, aveva dato serenità al Tenkuukai e alla Terra,
eppure questo pareva non avere toccato il loro amico.
Tutti
si erano ben avveduti della falsità della sua allegria.
Davanti
ai loro occhi, rideva, ma nessuno aveva mai creduto alla sua
finzione, per quanto magistrale.
E
lui, Ten Oh Hyuga, aveva preso la decisione di aiutarlo e di
strapparlo a quell’oscurità che lo stava inghiottendo.
Shurato,
pur di non angosciare nessuno, esibiva una felicità assai
lontana dal suo animo.
La
notte era testimone delle sue pene e, discreta, accoglieva le sue
lacrime.
Hyuuga
imprecò tra i denti e serrò con più forza
l’amico contro il suo petto. Nei primi tempi, lui e i suoi
compagni avevano giudicato Shurato malvagio.
Quanto
erano stati stupidi e ottusi.
Oltre
quell’apparenza chiassosa e rozza, nascondeva un animo limpido
e gentile.
Con
lui, avevano appreso che non sempre ad un’apparenza decorosa
corrispondeva un'anima pura.
E
non meritava ulteriori pene.
– Ti
manca? – domandò Ten Oh, il tono calmo.
Il
più giovane non riuscì a trattenere un singhiozzo. Il
suo amico, in quel momento, parlava di Gai.
E,
pur senza alcuna intenzione, aveva inasprito un dolore assai acuto,
che non lo abbandonava.
– Sì…
Credevo di avere superato la sua morte, ma non è così…
La sua assenza, per me, è un peso troppo grande da sopportare…
– confessò, il tono flebile.
Per
alcuni istanti, tacque e, con forza, strinse le dita della mano
destra attorno alla maglia dell’altro Hachibushu. Non gli
piaceva gravare gli altri dei suoi problemi, ma, in quel momento, gli
pareva di non riuscire a ragionare.
Bramava
appoggiarsi ad una figura amica.
E
l’Hachibushu della Tigre, generosamente, gli stava offrendo un
appoggio morale.
– Gai,
per me, è stato quello che Ryoma è per te… Sono
cresciuto con lui e, con la sua morte, è scomparsa una parte
di me e della mia vita… Riesci a capire cosa intendo? –
chiese.
Ten
Oh Hyuuga, con un cenno del capo, annuì e accarezzò le
spalle dell’amico, scosse da lievi singhiozzi. Già,
capiva bene l’amarezza del suo cuore, perché l’aveva
provata sulla sua pelle.
Certo,
Ryoma era rinato a nuova vita, grazie al Sohma di Lady Visnu, ma
questo non aveva cancellato il ricordo del terribile scontro contro
Akaranāta,
che,
per poco, non li aveva condotti ad una umiliante sconfitta.
Ryoma,
per salvarli, aveva speso ogni stilla del suo Sohma ed era perito
sotto i loro occhi impotenti e addolorati.
In
quel momento, mentre il corpo dell’Hachibushu del dragone si
dissolveva in un fulgore luminoso, il suo cuore si era infranto in
migliaia di frammenti acuminati.
Certo,
erano rinati dalla morte, ma la pena di quell’orrorifico attimo
non era stato da lui dimenticato.
Ma
lui e Ryoma si erano riuniti.
A
Shurato non era stata concessa una seconda possibilità di
rivedere il suo migliore amico.
E,
ne era sicuro, portava dentro di sé il rimorso di non averlo
salvato…
Con
un gesto gentile, Hyuga allontanò Shurato da sé e gli
sfiorò il viso con la mano.
Il
giapponese sussultò, stupito da quel gesto, poi si rilassò.
Quel tocco affettuoso calmava un poco il suo spirito sofferente…
Hyuga,
in quei momenti, aveva la stessa, timida dolcezza di Gai.
Erano
diversi, certo, ma la loro anima era unita da tale delicatezza.
–
Shurato,
non fingere con noi. Nessuno di noi pretende da te un’allegria
fasulla. Certo, ci conosciamo da poco tempo, ma le battaglie che
abbiamo affrontato insieme hanno costruito un legame tra di noi.
Ricordalo. Io e gli altri ti staremo accanto. – dichiarò
il più grande. Sperava che quelle parole non risultassero
artificiose e prive di significato e l’Hachibushu del leone ne
comprendesse il significato.
Nessuno
di loro l’avrebbe mai abbandonato alla sua sofferenza.
Come
avrebbero potuto?
Quel
ragazzo, che loro avevano strappato alla sua esistenza e ai suoi
affetti, non aveva esitato a difendere con energia il loro regno,
malgrado non capisse le loro leggi.
Le
sue origini non avevano sopraffatto la purezza del suo cuore e, per
questo, nessuno di loro l’avrebbe abbandonato.
Shurato
accennò ad un sorriso, rinfrancato da quelle parole. Ten Oh
Hyuga aveva ragione.
Tra
di loro si era creato un vincolo d’amicizia assai forte,
temprato da dure e terrificanti battaglie.
E
lui non poteva dimenticare quanto fosse accaduto in quei lunghi mesi.
Reiga…
Laksu… Ryoma… Hyuga… Kuya… Renge…
Dan…
E
anche Sallas e Mayuri, che pure erano caduti eroicamente per
difenderlo...
Anche
loro erano suoi amici.
La
sorte gli aveva strappato Gai, ma gli aveva dato quei ragazzi
meravigliosi.
Non
doveva lasciarsi sfuggire una simile occasione.
Con
garbo, Shurato sciolse l’abbraccio tra lui e Hyuga.
–
Grazie.
– mormorò, lo sguardo luccicante di gratitudine. In quel
momento, sentiva il cuore leggero, libero da un peso…
Poteva
proseguire la sua vita, senza alcuna angoscia.
Il
ricordo di Gai l’avrebbe accompagnato sempre, ma non sarebbe
stato un tormento eterno.
–
Di
nulla. – rispose l’altro e la luce della luna penetrò
da una finestra e illuminò la stanza di un riflesso argenteo.
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