- Crow Hogan non riconobbe
quel Reiji Akaba che invase il suo campo visivo, non rinvenne l'algido
caporale
hitleriano nei tratti distorti da un sentimento che agiva come macchia
conturbante su un viso abituato ad apparire come neutrale. Akaba Junior
sembrava appena uscito da una tempesta, e nell'assurdo di un'immagine
retorica
che solitamente veniva accostata a lui stesso, lo scienziato
pensò quasi che
l'uomo vi volesse tornare indietro, le mani ad afferrare i venti
ciclopici solo
per scoprirsi più inumano di quanto già non fosse.
- A fissarlo, mentre
attraversava il corridoio per entrare nella sua stanza, il giovane
sentì
l'inquietudine assalirlo; non che esistesse una versione di Reiji
appartenente
alla macroarea del buon umore, ma vederlo tanto iroso con un qualcosa
che aveva
scardinato dalle sue fondamenta la maschera di impassibilità
che era solito
portare con indifferenza lo rese timoroso, perché nessuno
aveva mai davvero
sperimentato cosa poteva davvero succedere quando si consegnava un
quintale di
tritolo nelle mani di un Akaba furioso.
- "Ecco, io non so
come sia successo..."
- Tentativo patetico di
iniziare una confessione che avrebbe volentieri distrutto sul nascere.
Che
poteva distruggere lui sul nascere.
- Non dubitava che egli
fosse novellatore di cattive nuove, perché la guardia che
gli aveva comunicato
il tutto aveva mostrato garanzia e serietà nel disporsi come
primo
intermediario tra lui e una delle situazioni più bizzarre e
ingestibili
dell'intera zona in quarantena. C'era anzi da maledire il fato e la sua
proverbiale sfortuna, perché quello che doveva essere il
primo uditore non
aveva avuto la facoltà di essere immediatamente
raggiungibile - e Reiji Akaba
che non rimane fisso scrutatore del suo cercapersone non era un normale
esemplare di Reiji Akaba - e quindi era toccato a lui l'onere di
portarsi
dietro quella patata bollente. A cercare pure uno con cui prendersela
finiva
solo per fare la figura dello scemo, perché era del mondo
scientifico dubitare
in modo tanto esacerbato ogni forma di divinità non
spiegabile empiricamente.
- E anche a comportarsi in
modo così irrazionale lui rimaneva lì, fisso
scopritore delle immani tragedie
che capitano a coloro che pestano la coda ad un cane già
furente con l'universo
mondo.
- "Dimmi solo una
cosa, quello che è successo merita la mia attenzione in
questo preciso
istante?"
- Gli occhi di zaffiro
conobbero lo stupore, mentre fissavano cupe ametiste cariche di statica
elettricità. Era necessario? Certo che lo era,
perché in anni di indefesso
lavoro lui non aveva mai, e si sottolinei il mai, incontrato un evento
eccezionale. Perché chiunque si sdraiava sui loro asettici
lettini mai riusciva
ad alzarsi, non con le sue forze e non senza l'accompagnamento di una
cassa di
mogano fornita da Jean Micheal Roger.
- "Credo di si, perché..."
- "Credi o ne sei
sicuro?"
- Nuovo stupore, dettato
dal fatto che mai, mai Reiji Akaba aveva fermato un suo sottoposto nel
mezzo di
una sua spiegazione. Lui era quello che ti fissava con sguardo
indecifrabile,
il mento appoggiato alle mani giunte, dietro una scrivania colma di
rapporti
già letti e revisionati. Mai, mai una volta aveva posto
innanzi una sua necessità
di tempo, perché aveva capito che si chiamava persa
qualsiasi informazione non
riportata puntualmente.
- Chi diavolo era
quell'uomo che si spacciava per il suo capo?
- "Posso dire che è
rilevante, ma..."
"Qualsiasi cosa sia, relegalo a chiunque possa darti una mano. Adesso
ho
bisogno del tuo aiuto. Devo immediatamente cercare Sakaki Yuya"
-
- ***
-
- "Sei ancora
qui?!"
- Yuto sobbalzò malamente,
quando la voce del suo migliore amico invase la stanza nel quale ancora
attendeva con impaziente livore. Ebbe timore di aver svegliato la sua
amata,
ancora vittima dei poteri di Morfeo, ma la mano fremente non colse il
senso di
panico che gli era venuto incontro, e il respiro regolare di lei tolse
ogni
dubbio circa l'agire convulso dei suoi nervi a pezzi.
- "Perché non urli un
altro po'? Credo che Leo Akaba non ti abbia sentito" gli disse quindi
il
moro, piccato. La voce era solo uno sbuffo di vento in una notte di
tempesta,
ma la carica negativa del suo timore la convertì in giusto
rimprovero da
fornire a chi per primo doveva essere cosciente dei pericoli che
correva.
- "Allora datti una
mossa e vattene! Si può sapere perché stai ancora
qui come un beota?"
- Shun Kurosaki non era
ancora entrato nella stanza, quando aveva fatto il suo trionfale
ingresso, e
quei secondi lui li sfruttò per guardarsi intorno e
verificare che nessuno
avesse davvero deciso di piazzarsi in maniera sicura per seguire con
diligenza
le sue mosse. Non aveva bisogno di esporsi ancor di più di
quanto già avesse
fatto, perché dal poco che aveva incominciato a scoprire su
quella faccenda
aveva capito che non rischiava solo il posto di lavoro, in
quell'intrigo, ma
forse la sua stessa vita.
- "Non posso andarmene
adesso" rispose Yuto, semplicemente
- "Come no? Ma si può
sapere che ti prende? Reiji Akaba a chiamato tutti i suoi collaboratori
per una
riunione straordinaria, ci vuole tutti nel suo studio e adesso sta
cercando
Yuya!"
- Yuto sapeva bene che Shun
non avrebbe mai usato un simile tono su di lui, se la
necessità non lo avesse
richiesto. Forse, in quelle iridi di oro fuso che lo fissavano con
tremore, vi
era lo stesso pensiero che aveva appena finito di formulare. Quello
delle
conseguenze in merito ad un'eventuale tragedia.
- Però lui non stava
sottovalutando i rischi della sua missione. Semplicemente era cosciente
di
quello che era il suo posto, il ruolo scelto dal primo burattinaio di
quella
maledetta storia.
- "L'ho visto, Shun.
Lui era qui?"
"Di chi stai parlando?" chiese lo scienziato, palesemente stupefatto.
- "Penso parli del
capo, non è vero?"
- La figura che si fece
innanzi doveva essere un fantasma. Niente l'aveva annunciata, non un
fiato né
uno spostamento d'aria capace di dargli consistenza. Nemmeno la porta
aveva
avuto il coraggio di aprirsi, e con la scarsa luce delle stelle, anche
se solo
per un secondo, Yuto credette davvero di trovarsi davanti ad una figura
ectoplasmatica.
- Ma, seppur pallido come
un morto, chi si fece avanti dalle ombre della stanza aveva
corporeità, una
fisicità che si racchiudeva nei tratti efebici di un
ragazzino, esile come un
giunco ma agguerrito come un soldato. Racchiusa nella buffa divisa dei
malati,
quella che solitamente non si abbandona se non in punto di morte, li
raggiunse
con passo leggero, quasi impercettibile, e ancora nulla
segnò quell'incedere
visibile ai loro occhi, quasi il mondo non riconoscesse nella sua
esistenza una
giustizia inerente al suono.
- "Sei tu la persona
di cui mi parlava Zarc?"
- Shun, che non aveva
nemmeno capito cosa ci facesse lì un suo paziente, quasi
trasalì a quel nome,
rinvenendo quindi l'identità di quel lui che aveva fatto
desistere Yuto alla
fuga. Eppure, guardando il suo amico, ebbe il tacito invito a non fare
domande,
a non porle al ragazzo e a non mostrarsi così eccessivamente
sorpreso.
- "Il mio nome è
Sora" si presentò il piccolo, con un piccolo inchino
deferenziale "Sì,
è stato lui a dirmi di venirvi a prendere. E mi ha anche
riferito che, per
qualsiasi cosa, non devi più pronunciare il suo nome davanti
a lei"
- La falange eburnea del
ragazzino indicò quasi con indolenza la figura ancora
addormentata, pallida di
un malessere che non la lasciava nemmeno nei sogni.
- "Va bene, ma... dove
dobbiamo andare?"
"Prima di tutto, fuori di qui" disse con decisione Sora "Leo
Akaba non è uno che accetta di perdere, ma il mio capo ha
fatto in modo di...
tenerlo impegnato, con un enigma che terrà a freno le sue
mani"
- "Quindi la lascerà
in pace?" fu l'ingenua domanda di Shun.
- "Oh, quando capirà
tutto, credo che la cercherà con ancora più
affanno" rise il piccolo
"Ma temo che non sia questo il momento di parlarne. Tu" e indico lo
scienziato ancora stupefatto di quegli avvenimenti "devi essere lo scudiero del cavaliere"
- "Lo scudiero?"
- "Il tuo compito sarà
quello di aiutare il cavaliere a salvare la sua bella" disse deciso il
ragazzo dai capelli turchini "Quindi distrarrai l'aiutante del nemico a
non scovarla"
- "Stiamo parlando di
Reiji Akaba?" chiese dubbioso quello
- "Si, proprio di lui.
Tu, invece" e indi indicò il cavaliere
"Mi seguirai per sfuggire da questo triste maniero. Ordini del mio
capo"
- "Tanto dovevo farlo
fin dal principio" disse velocemente il moro.
- Il ragazzo sorrise. Tutto
sarebbe andato proprio come nei piani del suo dio.
-
- ***
-
- Leo Akaba non era
cosciente dello scorrere del tempo; i meandri di riflessione nel quale
era
immerso richiedevano ai suoi neuroni una totale e indefessa dedizione
ad un
nucleo tematico tutto rivolto alle sue ricerche, alle sue scoperte e
soprattutto alle sue più recenti rivelazioni.
- Di Zarc, in fondo, non
sapeva assolutamente nulla. Aveva meditato molto sul modo di
neutralizzarlo, ma
negli effettivi non aveva davvero badato al problema di quella creatura
come ad
un qualcosa di concreto, di afferrabile con mano. Di eliminabile.
- No, il suo nemico era la
peste, e in quanto tale quella doveva avere tutte le sue energie. A
Zarc, nelle
sue visioni, avrebbe solo mostrato l'antidoto scoperto, esibito con
sguardo
trionfo e un sorriso cattivo a bagnargli le labbra. Quando aveva
stretto tra le
mani quel sangue puro, cristallino, magico, aveva davvero creduto di
essere
ormai al capolinea del suo problema; il suo paziente era guarito, quel
paziente
su cui aveva basato la sua rivincita e che invece era proprio il suo
nemico ad
esigere spiegazioni.
- Aveva parlato di gioco,
di regole. Se il cadavere di Roger non fosse stato dinanzi ai suoi
occhi, a
simboleggiare un potere che di certo lui non aveva alcun modo di
combattere, le
sue dita si sarebbero certamente strette intorno al suo collo, e
avrebbero
anelato ogni spasmo della sua sofferenza fino a carpirne l'immonda
vita. Perché,
nel suo parlare deviato, aveva praticamente paragonato sua figlia ad
una pedina
caduta, così come pezzi di una scacchiera infinita erano
quegli umani innocenti
che, per una volta, avevano solo dovuto pagare l'indecente richiesta
egoistica
di una sola persona. Ed era una cosa che mai, mai nella vita avrebbe
potuto
perdonargli.
- Ma quell'uomo aveva posto
davanti ai suoi occhi un piccolo lumino colmo di speranza. Aveva
parlato di una
possibilità, la sua possibilità, di riavere
indietro la sua Ray. Un prezzo che
poteva pagare nella soluzione dell'enigma e che... che forse non
esisteva. Perché
la ricerca aveva parlato chiaro, non c'erano strade in grado di
competere con
la Peste. Cercarle era l'arte degli sciocchi, e non una persona aveva
davvero
dimostrato di essersi almeno avvicinata ad una qualche forma di
soluzione.
- Mentre si rigirava quella
piccola speranza tra le mani, Leo Akaba fu colto da un dubbio. Quello
inerente
ad un inganno perseguito nei suoi confronti , principio di una vendetta
che,
nelle sue più esatte forme, allontanava le sue mani dalla
ragazza al centro di
tutto.
- Dov'era Yuya Sakaki, in
quel momento? Aveva promesso a suo figlio che ogni contatto con lei
sarebbe
stato definitivamente tranciato, ma in quei frangenti iniziò
a concepire una
scappatoia che si allineava ad un pensiero ancor più
conturbante, ancor più
sibillino nel far vibrare le sue sinapsi.
- Un pensiero che aveva
origine nelle risposte che Yuya Sakaki poteva dargli; nella
possibilità che
ella non fosse l'innocente ragazzina arrivata da lui senza nemmeno uno
straccio
di idea sulla sua vera identità, sulla sua vera esistenza,
sul significato
insito nella sua vita.
- La sedia, la stessa su
cui Zarc aveva giocato volentieri poco prima, quasi cadde dinanzi
all'impeto
del suo moto di alzarsi.
- Doveva trovare la ragazzina.
Doveva metterla al muro e farsi dire quanto sapeva su Zarc e sulla sua
magia.
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