A colei che accetta il mio essere sempre un po’ (troppo) bambina.
Ti amo.
[Goodbye
Neverland]
Brian studiò il pavimento pieno di polvere e calcinacci del
Babylon.
Un tempo il locale era pieno di musica, di danze, di risate.
Di corpi nudi che si strusciavano tra loro. Di ballerini ancheggianti e
distanti. Piccoli diavoli seduttori confinati sulle loro torrette.
Intorno a lui, adesso, danzavano soltanto i fantasmi dei
ricordi. Spiriti fluttuanti ed ingannevoli.
La voce di Ted era lontana, distante. Lo sentì bofonchiare
qualcosa a proposito del suo parco giochi personale… Ma non era più così.
In quell’istante, gli tornarono in mente le parole di Ben:
«Non si può essere per sempre Peter Pan.»
Quando glielo aveva detto, Brian aveva riso delle sue
parole; aveva risposto un sarcastico: «Faccio del mio meglio.»
Sprezzante, come sempre. Come solo un eterno bambino come
lui poteva fare.
Aveva avuto la sua Neverland; la sua Isola-che-non-c’-è. Il
Babylon era sempre stato la sua casa, la sua vita.
Adesso che Capitan Uncino l’aveva fatta esplodere, Brian
restava a contemplare le macerie, come un bambino che vede il proprio
giocattolo distrutto.
Ma quella struttura ricoperta di detriti non era solo
un giocattolo.
Era la sua essenza.
Con il Babylon, era sparita la sua Neverland.
Anche Peter Pan deve crescere, prima o poi.
N/A:
Non ha senso. È una doppia drabble priva di senso generata
durante l’ennesima nottata insonne da esame (ormai una notte insonne equivale
ad una fic su queer, a quanto pare).
È ambientata appena dopo l’esplosione del Babylon, quando
Ted cerca di convincerlo a ricostruirlo.
Un po’ malinconica, insomma.