Him
Era tardi. Stava varcando la soglia della biblioteca, per riporre
l’ultimo libro, prima di dirigersi verso la stanza delle ragazze.
Ripensava alla piacevole serata: la cena, le risate, le chiacchiere
fino a notte inoltrata… Poi, uno per volta, i suoi nakama
avevano cominciato a ritirarsi e solo lei si era trattenuta a dialogare
con Law.
Le piaceva la sua compagnia, nonostante la sua mezza aria di
superiorità: con lui poteva avere quel tipo di rapporto
intellettuale che in linea di massima le mancava con i Mugiwara. Anche
se, a dirla tutta, non le pesava poi così tanto. A questo
pensiero, le labbra si incresparono istintivamente in un sorriso che
racchiudeva tutto l’affetto che nutriva per loro: non li avrebbe
scambiati per tutti i professori del mondo.
Stava per accendere la luce, quando avvertì una presenza
indefinita: c’era un forte odore di alcool, probabilmente
sakè. Dalla finestra filtrava la luce della luna, che delineava
una sagoma seduta sul davanzale: capelli scompigliati, fisico possente,
una bottiglia in mano. Ruotò la testa nella direzione da cui
proveniva il suono dei passi che accedevano alla stanza e la luce
rifletté dal lato sinistro del volto. Si limitò a
fissarla.
“Zoro…?”
Nessuna risposta.
“Ti senti bene? Quanto hai bevuto?”
Ancora niente.
Robin cominciò ad avvertire una sensazione difficile da definire. Restò bloccata pure lei.
Dopo attimi infiniti, finalmente lui parlò: “Cosa ci trovi in lui?”. Un sospiro, appena percepito.
Robin si sentì confusa: “Lui chi?”, chiese, in un
tono che trasudava tutta la sua mancanza di comprensione; ma non
ricevette risposta. Zoro la fissava senza muovere un muscolo, come se
cercasse di abbandonare la propria forma fisica e dissolversi in un
pensiero, un’anima, una sensazione che potesse penetrare dentro
di lei e ottenere quelle risposte che a lui parevano così
inaccessibili.
Con estrema calma, Robin poggiò il libro sul tavolo e
tentò di avvicinarsi, per controllare quanto effettivamente lui
stesse male: era stranissimo.
A pensarci bene, non era improvviso, questo cambiamento: erano giorni
che si faceva vedere poco in giro ed era più taciturno del
solito. Aveva posto poca attenzione a questi dettagli, rispondendosi
che, probabilmente, stava trascorrendo più tempo in allenamenti
e meditazione. Succedeva ogni tanto anche prima, soprattutto dopo uno
scontro importante, in cui lui si era reso conto di qualche difetto
nella propria preparazione. Ora però non c’era stato
nessun grosso combattimento che avesse potuto incrinare
quell’autostima a volte fin troppo pompata. E soprattutto, mai
prima aveva saltato così tanti pasti. Che qualcuno glieli stesse
portando nella coffa? Era alquanto improbabile: avrebbe notato se
qualcuno si fosse allontanato da tavola in modo pressoché
costante. Ma possibile che nessuno si fosse accorto di nulla? A quanto
pare, avevano tratto le sue stesse conclusioni.
Ma cos’era successo? Perché si comportav…
Improvvisamente un volto si fece largo fra i suoi pensieri e si rese
conto di chi fosse quel “lui”.
La sua confusione si amplificò: Zoro era geloso di Law?
Perché mai? Non era il tipo da offendersi se qualcuno lo
strappava dal centro dell’attenzione – non che di solito
fosse così socievole. “Cosa ci trovI in lui?” Non aveva parlato al plurale…
Come se lui stesse seguendo il suo filo di pensieri, in quel momento,
con una lentezza estenuante, si alzò e le si avvicinò.
Era troppo sveglia, sicuramente aveva già capito cosa lui stesse
cercando di comunicarle.
Il volto di lui fu illuminato dalla luce lunare e Robin sentì lo
stomaco contorcersi. Si aspettava di vedere in lui un’espressione
adirata o infastidita, come di solito si confà alla gelosia. Non
lo aveva mai visto così triste…
La fronte aggrottata in cui si disegnavano le tre rughe che gli si
formavano fra le sopracciglia quando era serio; le labbra appaiate e
stirate, quasi a volerle serrare ad ogni costo, nel timore che
rivelassero verità troppo sconvolgenti che l’alcool stava
riesumando dal baratro in cui le aveva affondate; le narici dilatate
come prima di uno scontro, ad arraffare ogni briciolo di ossigeno che
potesse aiutare il cervello a continuare a prevalere sull’istinto
– da quando aveva iniziato a notare così tanto i dettagli
di Zoro? – ; i pomelli arrossati, per effetto del sakè o
di quel tumulto di emozioni che, si vedeva, lo stavano dilaniando.
Ma non poté non sciogliersi nell’osservare
quell’occhio così umido e mai così lontano dalle
lacrime. La scrutava con intensità, quasi a chiederle
perché gli stesse strappando l’anima a brandelli coi suoi
denti bellissimi e perfetti. Robin ebbe l’impressione che la
stesse implorando di avere pietà di lui; stava iniziando a
provare disagio di fronte a quello sguardo penetrante ma immobile: cosa
fissava? Perché era venuto lì? Solo lei accedeva a quella
stanza con regolarità. Cosa voleva da lei?
Cosa continuava ad osservare con tanta ostinazione?
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