Buonasera
a tutti!
Finalmente,
dopo due o tre anni che questa storia giace in un inserto abbandonato
sulla mia scrivania, mi decido finalmente a copiarla, correggerla e
pubblicarla. È veramente una sciocchezza, forse, e mi
preoccupa
davvero la caratterizzazione dei personaggi: desiderando scrivere
qualcosa di comico e poco impegnato, mi sono attenuta soprattutto ad
alcuni aspetti che io personalmente ho colto di loro, ossia alla
nerdaggine di
Rocco
(che mi è sempre parso un personaggio estremamente saggio ma
socialmente un po' ritroso) e all'aspetto camaleontico ed esuberante
di Adriano – perché non penso di averlo mai amato
tanto come nella
scena che precede immediatamente lo scontro con lui in Palestra. Se
non ve la ricordate, vi prego, correte a vederla!
Un
altro paio di cose: il culto dell'Helix, ovviamente, è
ispirato alla
mania che dilagò su Internet qualche anno fa in seguito al
fenomeno
di Twitch
Plays Pokémon, e
sulla quale potrete sicuramente trovare notizie con
facilità.
Nessuno riuscirà mai a convincermi che sia stata una
casualità che,
dopo questo fenomeno, abbiano deciso di inserire un'icona simile
all'Helixfossile dietro la scrivania del signor Petri in Rubino Omega
e Zaffiro Alpha, ma vi sfido a provarci! ;)
Come
ultima cosa: perfettamente consapevole che non si tratta di una
storia impegnata, mi decido finalmente a pubblicarla solo
perché
spero che possa servire davvero a strappare anche solo un mezzo
sorriso a qualcuno, magari dopo una giornata un po' stressante o in
un periodo spiacevole. Anche se non è proprio equiparabile a
una
foto di un gattino o di un bassotto, che sono la cosa migliore del
mondo, me lo auguro davvero con tutto il mio cuore.
Un
enorme bacio a tutti e buona lettura – e come al solito un
enorme
ringraziamento a Fiulopis per tutte le sue inestimabili consulenze!
Afaneia
Praising
Helix
Quando Rocco aveva deciso
di dire a
suo padre la verità, aveva capito subito che si trattava di
una
questione delicata. Gli aveva proposto, con simulata
tranquillità,
di passare a trovarlo nel suo ufficio alla Devon per un pranzo
veloce, dato che si trovava a Ferrugipoli per puro caso; come
c'era da aspettarsi, suo padre aveva accettato con entusiasmo, senza
mancare di muovergli il solito rimprovero circa il fatto che avrebbe
dovuto passare più tempo con lui.
Dell'idea del pranzo in
ufficio
Rocco non avrebbe mai smesso di complimentarsi con se stesso: era un
luogo più intimo di un ristorante, ma suo padre non avrebbe
comunque
potuto fargli una scenata a pochi metri di distanza appena dai suoi
dipendenti. Lo raggiunse perciò intorno a mezzogiorno,
portando un
sacchetto di cibo da asporto e un paio di bottiglie di vino –
perché col vino, quando si dovevano dare certe notizie, era
bene non
risparmiare.
Suo
padre lo accolse a braccia aperte, riprendendo il suo monologo
forzatamente interrotto su quanto crudele e snaturato fosse un figlio
che telefonava al padre meno di una volta a settimana, e
proseguì
poi il suo sermone su altri altri argomenti come la sua magrezza, il
suo aspetto sciupato e il colore della sua cravatta. Rocco lo
lasciò
parlare con pazienza, limitandosi a recepire distrattamente le
variabili tonalità della sua voce, ma senza distinguere
realmente
una sola parola, e gettando di tanto in tanto occhiate esasperate
all'icona di Omanyte appesa sopra la sua scrivania, ripetendo tra
sé:
Mio signore, dammi la forza.
Finalmente, quando
davanti al loro
rapido pranzo da asporto suo padre parve calmarsi un poco, di certo
rassicurato al vedere che suo figlio mangiava veramente,
Rocco
prese la parola con grande cautela. «Senti,
papà... devo dirti una
cosa.»
«Beh, siamo
qui, no?» fu la
flemmatica, serenissima risposta di suo padre, in un implicito invito
a proseguire. Rocco provò quasi un senso di colpa alla vista
del suo
contegno pacifico e rilassato, all'idea di colpirlo in un momento in
cui era vulnerabile e del tutto impreparato a quanto stava per
sentire.
«Sono
gay» disse tutto d'un fiato,
chiudendo infantilmente gli occhi per un istante, per non dover
assistere subito alla sua reazione.
Per quanto potesse
sembrare una
frase piuttosto semplice e priva di particolari sfumature di
significato, in realtà Rocco vi aveva pensato a lungo.
Inizialmente
– circa una settimana prima – aveva pensato di
definirsi, almeno
per qualche tempo, bisessuale: non sarebbe stato vero, certo, ma gli
era parso un atto di compassione quello di dare a suo padre almeno la
vaga speranza che si sarebbe trovato una ragazza, un giorno, senza
demolire in un solo colpo tutti i suoi sogni. Quell'idea gli era
parsa la migliore per circa quarantacinque ore e si era esercitato
molto a ripetere ad alta voce quelle parole, sono bisessuale,
nei
momenti di solitudine. Tuttavia, dopo appunto poco meno di due
giorni, mentre si concedeva un lungo bagno rilassante, aveva
realizzato che suo padre avrebbe negato in tutti i modi la
verità,
se essa non fosse stata inappellabile; che la frase mi
piacciono
sia i ragazzi che le ragazze sarebbe stata filtrata e
interpretata, nella sua benevola ottica genitoriale, come sono
in
una fase di crescita e di cambiamento, i miei ormoni sono impazziti,
perciò a volte provo sentimenti che mi confondono, ma in
realtà
sono etero fino al midollo e tra qualche mese questa fase
sarà
superata. Poco importava che Rocco avesse ormai venticinque
anni
compiuti e che i suoi ormoni fossero felicemente stabili da quando
aveva smesso di crescere in altezza: conosceva bene suo padre e
sapeva che, pur di chiudere gli occhi davanti alla sua
omosessualità,
egli avrebbe tradotto nella sua testa la parola bisessuale proprio
a quel modo. Anche mi piacciono gli uomini, che era
stata
l'opzione favorita per i successivi tre giorni, alla fine si era
rivelata ambigua: il verbo piacere poteva avere
troppe
accezioni e possibilità d'interpretazione.
Sono gay, invece,
era diretto e semplice, facile da pronunciare anche in fretta, e non
presentava particolari possibilità di fraintendimento: Rocco
aveva
trascorso l'intero giorno precedente a ripeterlo a sé stesso
con
varie intonazioni, cercando di suonare al tempo stesso convinto,
persuasivo e poco aggressivo.
Dopo quell'affermazione,
Rocco si
era aspettato urla, recriminazioni o domande sciocche, ma quel
silenzio proprio no. Guardò cautamente suo padre cambiare
una
quantità di colori diversi, dal rosso al viola al bianco
smorto, e
si preparò istintivamente ad alzarsi per soccorrerlo e a
telefonare
al pronto intervento più vicino. Grazie alla
volontà di Lord Helix,
non ce ne fu bisogno: dopo interminabili secondi, suo padre smise di
boccheggiare in cerca d'aria e chiese: «Gay come?»
Questa domanda, almeno,
Rocco se
l'aspettava e poté rispondere prontamente: «Mi
piacciono i
ragazzi, papà.»
«Oh.»
Vi fu ancora qualche istante
di silenzio, in cui suo padre si voltò e gettò
un'occhiata
disperata, quasi in cerca d'aiuto, verso l'icona di Omanyte appesa al
muro, prima di tornare a concentrarsi su di lui. I suoi occhi lo
percorrevano senza realmente vederlo; dopo un poco, giocherellando
nervosamente con il tovagliolo, balbettò: «Quando
ti ho chiamato
Rocco, non era questa l'idea che aveva in mente.»
Prima ancora che Rocco
facesse in
tempo a indignarsi o a protestare o a fare qualsiasi altra cosa, suo
padre parve riprendersi in parte e cercò di affrontare la
cosa
razionalmente: «È per qualcosa che ho fatto?
Qualche complesso di
Edipo, oppure...?»
«No, no,
papà, tu non c'entri
niente» cercò di rassicurarlo Rocco, lasciando
perdere, almeno per
il momento, la questione del suo nome. «Sono io, è
sempre stato
così. Va tutto bene.»
«Ma... e
Laura?»
Laura era stata la sua
fidanzatina
per circa due settimane quando aveva avuto quindici anni. Rocco si
sorprese che se ne ricordasse ancora. «Ero un ragazzino,
papà, e
volevo essere come tutti gli altri... non è un caso che dopo
di lei
non ci sia più stata nessuna» soggiunse cautamente.
Dopo Laura – e
qualunque cosa ne
pensasse suo padre, un paio di baci al parco dopo la scuola non
comprovavano la sua eterosessualità, a maggior ragione visto
che
quei baci egli li aveva dati e ricevuti più come
un'autoimposizione
che perché Laura gli piacesse veramente – Rocco
semplicemente si
era dedicato soltanto ai Pokémon e alle sue collezioni di
rocce, con
buona pace di ogni possibile stimolo fisico o dubbio sui propri
sentimenti: si era limitato a posticiparli... a un ipotetico tempo in
cui la sua anima gemella fosse saltata fuori spontaneamente. Cosa
che, fortunatamente, e in modo del tutto incredibile, era successa,
evitandogli di dover seriamente pensare a che genere di partner
volesse per la sua vita.
«Oh»
ripeté suo padre, un po'
deluso dal crollo della sua ultima speranza di salvezza.
Tornò a
rinchiudersi nel suo cupo silenzio per qualche momento, guardando
fissamente nel proprio piatto, e infine chiese: «Da quanto
tempo...
lo sei, o lo sai? Non so neppure cosa chiederti.»
Povero papà,
così desideroso e
contemporaneamente così incapace di comunicare con lui. Ma
stava
facendo del suo meglio per non mortificarlo, Rocco lo vedeva, e
rispose a bassa voce, in tono caldo e conciliante: «Ne sono
sicuro
da circa un anno, ma mi preoccupava un po' l'idea di dirtelo.»
«La notizia
è di dominio
pubblico?»
«Papà!
Non è una notizia!»
esclamò Rocco indignato. «Non è una
cosa che vado a dire alle
conferenze stampa! Certo, si saprà quando mi vedranno
con...» E un
po' troppo bruscamente, rendendosi conto di essersi scoperto troppo,
ammutolì all'istante. Ma ormai era tardi: suo padre aveva
colto
quanto c'era da cogliere nelle sue parole e aveva sollevato il capo.
«Con...?»
chiese ansiosamente,
scrutandolo con occhi dilatati. «Ti vedi già con
qualcuno, dunque?
E che aspettavi a dirmelo? Dovevo scoprirlo dai tabloid?»
«Non
è ancora nulla di serio,
papà» disse Rocco in fretta, sentendosi avvampare,
sperando di
porre rimedio. «Per questo ancora non te ne ho parlato... ma
non
prendertela, ti prego.»
«Okay,
okay.» Suo padre si sforzò
in modo ammirevole di stare calmo, bevendo un lungo sorso di vino e
allentando un poco il nodo alla cravatta. Trasse un respiro profondo:
«Chi è questo ragazzo? Lo conosco,
almeno?»
«Non
credo» mentì Rocco. «Fa il
modello.» Era solo una mezza verità, ma esistevano
molti più
modelli che Capipalestra, perciò, seguendo quella pista, suo
padre
non sarebbe mai riuscito a scoprire di chi si trattava. Rocco amava
considerare quella risposta, che si era preparato già da
qualche
giorno, come una semplice misura difensiva... nei confronti di suo
padre e della sua situazione cardiovascolare. Aveva deciso che il
miglior modo per preservarlo in vita, o almeno provarci, sarebbe
stato quello di comunicargli le notizie un po' per volta.
«Il
modello» ripeté suo padre con
un mezzo sorriso di circostanza. «Beh, almeno questa
è una buona
cosa.»
Lo smarrimento nei suoi
occhi era
evidente, ma lo era ancora di più lo sforzo che stava
facendo per
non farglielo notare. Rocco gli accarezzò piano il dorso di
una mano
e gli chiese cautamente: «Sei arrabbiato con me?»
Suo padre gli rivolse un
sorriso
stanco. «No, Rocco, non potrei mai essere arrabbiato con te.
Grazie
per aver trovato il coraggio di dirmelo. Ma ora ti prego, lasciami:
devo tornare al lavoro.»
Abbandonato sul cuscino
accanto alla
sua testa, il telefono trillò di un messaggio ricevuto.
Rocco lo
prese pigramente e lo lesse. Diceva: Tuo padre sembra
impazzito.
Che ne dici di una serata rilassante? Puoi dormire da me se non hai
impegni. Bacio.
Adriano sapeva sempre di
cosa aveva
bisogno: Rocco sorrise a quel pensiero.
Che suo padre sembrasse
impazzito,
questo era drammaticamente vero. Erano trascorsi pochissimi giorni da
quando Rocco gli aveva detto la verità e già il
signor Petri –
persino Rocco lo chiamava così nella propria testa, quando
lo vedeva
comportarsi a quel modo – aveva deciso di affrontare la cosa
a modo
suo, cioè inaugurando una campagna per l'accettazione
dell'omosessualità.
Quando l'aveva scoperto,
Rocco gli
aveva telefonato inorridito, soltanto per sentirsi rispondere:
«Non
appena i media lo scopriranno, scoppierà il finimondo. Il
Campione
della Lega Pokémon e l'erede della Devon SPA!
Perciò, quando
verranno a parlarmene, preferisco poter dimostrare di essere
favorevole su tutta la linea.»
Non c'era stato verso di
smuoverlo
dalle sue idee, né assicurandogli che lui e il suo
modello
stavano attentissimi a evitare i paparazzi, né ricordandogli
che
vivevano ormai nel ventunesimo secolo. Rocco si era dovuto limitare a
ricordargli l'esistenza delle lesbiche – perché lo
preoccupava
l'idea che suo padre le trascurasse nella sua campagna - e aveva
riattaccato.
La campagna stava
riscuotendo un
discreto successo. Era un'idea ridicola, certo, ma malgrado il signor
Petri sostenesse che era solo una strategia per ottenere
l'approvazione mediatica, Rocco non poteva non sorriderne tra
sé: in
fin dei conti, quello era il modo di suo padre per accettarlo. Era un
modo un po' strano, certo, e indubbiamente megalomane, ma era l'unico
in cui suo padre fosse in grado di dirgli: Mi vai bene anche
così.
M'importa ancora di cosa pensa la gente, ma piuttosto che ferirti,
piegherò l'opinione pubblica per te. Dopotutto,
se Rocco voleva
che suo padre lo amasse così com'era, coi suoi difetti e
l'omosessualità e tutto il resto, era giusto che anche lui
facesse
lo stesso... megalomania compresa.
E poi i padri sono sempre
un po'
strani. Stiracchiandosi sul letto, Rocco si concesse di ripensare a
quando il padre di Adriano si era rivolto a lui in cerca di aiuto.
Rocco era
Campione ormai da tre
anni e conosceva il Capopalestra di Ceneride, Elio*, piuttosto bene.
Elio non era anziano, almeno non secondo i canoni di Rocco, ma coi
suoi sessantacinque anni, non era neppure giovanissimo.
Sessantacinque
anni, dopotutto,
erano una buona età per andare in pensione, eppure c'era
qualcosa
che lasciava Elio inquieto e poco convinto: Rocco se n'era accorto
già quando aveva letto il biglietto in cui gli chiedeva un
appuntamento veloce per fare quattro chiacchiere. Già,
decisamente
doveva esserci sotto qualcosa, perciò, prevedendo una lunga
chiacchierata, Rocco gli aveva offerto un caffè a casa sua.
«Allora,
Elio» cominciò
allegramente, sperando di stimolarlo a parlare, mentre gli serviva
sul tavolino del salotto un paio di tazzine. «Pronto a
goderti la
pensione, eh?»
«Lo
spero, Rocco» disse Elio
con un sorriso incerto. Lo ringraziò per il caffè
con un cenno del
capo, ma non fece per prendere la tazzina: sembrava molto nervoso.
Forse un decaffeinato sarebbe stata una scelta migliore,
considerò
Rocco osservandolo con un moto di preoccupazione. «A dire il
vero,
c'è qualcosa di cui vorrei parlarti, proprio circa la mia
pensione.»
«Ti
ascolto.»
Elio
tamburellò un poco con le
dita sul tavolo. «Ecco... tu sai che è tradizione
lasciare la
Palestra ai figli, se se ne hanno, al momento della pensione.»
«Oh»
borbottò Rocco,
sentendosi improvvisamente colpito. Non aveva mai sentito Elio
parlare di figli, non aveva mai visto nessuno che gli somigliasse
nella Palestra di Ceneride... Elio colse il lampo di dubbio che gli
attraversò gli occhi e si affrettò a specificare:
«Non credo che
tu abbia mai conosciuto mio figlio Adriano.»
Dunque un figlio
ce l'aveva.
Rocco scosse il capo. «No, non ricordo di averlo mai visto.
C'è
qualche problema con lui, quindi? Non so, non gli piace allenare i
Pokémon, oppure...»
«Al
contrario, è un allenatore
bravissimo» sospirò Elio. «Molto
più bravo di me, per essere
onesti. Il problema è un altro: ha già un altro
lavoro, e non credo
che vorrà lasciarlo.»
Ma quand'era
così, non era poi
un ostacolo insormontabile. Rocco gli sorrise: «Non
è obbligato a
lasciare del tutto il suo lavoro, conosco molti Capipalestra che si
occupano anche di altro nel loro tempo libero. Sono sicuro che
parlandogli...»
«È
questo il punto» disse
infine Elio, apparentemente sollevato dall'essere arrivato al dunque.
«È per questo che sono venuto a parlarti, Rocco...
sono davvero
mortificato, ma ti spiacerebbe provare a parlargli tu? Io e lui non
ci capiamo e ho pensato che... tra ragazzi, sai...»
Ah. Dunque era quello il
motivo
per cui Elio era venuto da lui: chiedergli di andare a parlare per
suo conto a un ragazzino viziato e sconosciuto. Rocco si trattenne
dallo sbuffare dall'esasperazione solo perché Elio lo stava
letteralmente supplicando con gli occhi.
«D'accordo,
va bene. Ma avrò
bisogno di qualche informazione in più. Che lavoro fa, e
soprattutto
dove posso trovarlo?»
«Ecco...
è complicato da
spiegare.»
Cosa mai poteva
esserci di
complicato in un lavoro e in un indirizzo? Rocco seguì con
viva
perplessità i movimenti di Elio mentre si chinava lentamente
e
apriva la ventiquattrore che aveva portato con sé; solo
allora, in
effetti, egli si rese pienamente conto di quanto insolito fosse
portare una valigetta per far visita a un amico. Tirandosi di nuovo
su, Elio posò una rivista sul tavolo e la spinse verso di
lui.
Rocco
aggrottò la fronte senza
capire. «Fa il giornalista?»
A quell'ipotesi,
Elio accennò un
sorriso triste e scosse la testa. «No, Rocco, non fa il
giornalista.
Guarda meglio.»
Sperando di
trovare qualche altro
indizio che lo conducesse sulla strada giusta, Rocco tornò a
chinare
lo sguardo sulla rivista, stavolta con più attenzione... e
con
stupore si rese conto che non era una rivista. Era un catalogo di
moda. «Ah, il fotografo?» chiese di nuovo,
sollevando
meccanicamente la mano per sfogliare il catalogo.
Elio
accennò di nuovo di no col
capo. «La copertina, Rocco.»
La copertina...?
Rocco la scrutò
perplesso, senza capire: non aveva nulla di diverso da qualsiasi
catalogo di moda che avesse mai visto, con un ragazzo snello dagli
occhi azzurri che gli sorrideva ammiccante con addosso solo un paio
di slip e... ah.
Rocco
fissò Elio con sguardo
sgomento, e ai suoi occhi increduli il Capopalestra rispose con
stanca rassegnazione.
Se
non fosse stato per Elio, chissà se avrebbe conosciuto
Adriano e se
tra di loro le cose sarebbero andate allo stesso modo. Rocco
guardò
la sveglia sul comodino: erano appena le sei del pomeriggio. Riprese
il telefono e digitò una risposta veloce per Adriano: Mi
faccio una doccia e arrivo. Rimango volentieri da te – bacio.
Certo, era difficile a
volte trovare
il tempo di vedersi, abitando così lontani e con impegni
tanto
diversi: Adriano si divideva tra la Palestra, le Gare
Pokémon e i
servizi fotografici, mentre lui doveva trascorrere molto tempo a
Iridopoli, a completare noiose scartoffie... essere il Campione non
era poi interessante come qualcuno avrebbe potuto pensare. Nei
prossimi mesi avrebbero potuto lavorare su quell'aspetto,
pensò
oziosamente mentre si dirigeva in bagno... sull'accorciare le
distanze, insomma.
Elio gli aveva
dato l'indirizzo
dello studio fotografico di Porto Alghepoli dove lavorava suo figlio.
Rocco aveva rimandato, posticipato, offrendo a se stesso le scuse
più
assurde per non dover incontrare quel ragazzo che sembrava
dannatamente sexy, ma alla fine, tre giorni dopo, ci era andato.
Essere il
Campione aveva i suoi
vantaggi, sotto certi punti di vista, e la signorina della reception
l'aveva fatto entrare senza esitazione, quando le aveva detto che
aveva bisogno di vedere il figlio del Capopalestra di Ceneride.
«Adriano
è impegnato al
momento» aveva cinguettato indicandogli una porta.
«Ma tra una
decina di minuti dovrebbe aver finito. Lo aspetti pure dentro, ma
faccia piano» aveva concluso in tono di
complicità, poggiandosi un
dito sulle labbra.
In che guaio si
era cacciato,
solo per fare un favore a un amico. Rocco era entrato nello studio di
soppiatto, sorridendo discretamente per l'imbarazzo.
La stanza era
piena di fotografi,
di luce e di gente: mantenendosi vicino alla porta, Rocco si guardava
attorno cercando il suo obiettivo con lo sguardo... ma si rese ben
presto conto che non c'era bisogno di cercarlo a lungo.
«Adriano,
guarda un po' a
destra, per favore! Abbiamo quasi finito.»
Oh, Helix. Se
Rocco non l'avesse
visto coi proprio occhi non avrebbe creduto mai che il figlio di Elio
fosse proprio così... così... effeminato,
esagerato, fuori
dalle righe. Come altro poterlo definire? E non era
perché era un
modello di biancheria intima, o per il suo ridicolo taglio di capelli
che comunque gli stava benissimo, o per il suo snello e tonico corpo
candido e liscio perfettamente depilato... o forse era per tutte
quelle cose insieme. Davvero Rocco non sarebbe riuscito a deciderlo
in quel momento: si limitava a fissare senza parole, né a
dire il
vero troppi pensieri ben definiti, quel ragazzo sorridente, sensuale,
seducente che ammiccava alla macchina fotografica con addosso
nient'altro che un paio di slip...
«Mi
scusi, signore, chi l'ha
fatta entrare?»
Rocco
chinò lo sguardo sul
giovane assistente che gli aveva rivolto la parola a bassa voce e gli
dedicò il suo sorriso più smagliante. Trovarsi in
quel posto lo
metteva tremendamente a disagio, ma che altro
poteva fare se
non mostrarsi calmo e sicuro di sé come tutti si aspettavano
di
vederlo?
«La
signorina alla reception mi
ha dato il permesso» mormorò tendendogli la mano.
«Rocco Petri,
molto piacere. Dovrei parlare col signor Adriano per conto di suo
padre, se non disturbo troppo.»
«Oh.»
Quell'assistente non
doveva essere lì da molto, decise Rocco quando lo vide
guardarsi
attorno arrossendo, decisamente in difficoltà.
«Beh, penso che vada
bene. Non dovrebbe stare qui, ma Adriano ha quasi finito,
perciò...
lo avvertirò che lo sta aspettando» concluse in
fretta prima di
allontanarsi quasi senza guardarlo, e Rocco si sentì quasi
in colpa
perché, decisamente, non era sua abitudine mettere a disagio
la
gente. E poi, a disagio perché?
Si
dedicò distrattamente a
osservare il servizio fotografico. Così era quello il lavoro
di
Adriano: decisamente avrebbe potuto portarlo avanti anche facendo il
Capopalestra senza troppi problemi, se farsi vedere da tutto il mondo
in mutande gli piaceva proprio tanto.
Finalmente il
servizio finì:
Rocco vide che Adriano si rilassava all'improvviso, ma senza smettere
di sorridere, e il giovane assistente con cui aveva parlato un attimo
prima che si avvicinava per porgergli un accappatoio e gli mormorava
qualche parola all'orecchio. Si sentì imbarazzato
all'improvviso
quando Adriano sollevò lo sguardo su di lui: Helix,
perché sono
qui? Gli rivolse un nervoso cenno di saluto con la mano,
maledicendo mentalmente suo padre, la carica di Campione e tutti gli
studi fotografici del mondo.
Adriano
ringraziò gentilmente
l'assistente e s'infilò l'accappatoio, muovendosi verso di
lui:
persino la sua camminata aveva qualcosa di disperatamente provocante,
e i suoi occhi erano fissi nei suoi come quelli di un predatore.
Rocco si scoprì fastidiosamente imbarazzato.
«Rocco»
cominciò fermandosi
davanti a lui. «Finalmente ho l'occasione di conoscerla. La
manda
mio padre?»
«Io,
ecco... piacere di
conoscerla, Adriano.» L'abbondante porzione di pelle che
l'accappatoio semiaperto lasciava scoperta, così candida,
abbacinante, indecente, era semplicemente
perturbante, per
qualche strano motivo. Rocco si sforzò di non guardare il
petto di
Adriano e cercò invece di concentrarsi sui suoi occhi, salvo
poi
scoprire dopo un istante che quella scelta non gli era d'aiuto in
alcun modo: i suoi occhi erano di quell'ipnotico azzurro-verde delle
acque limpide poco profonde, sulle cui increspature riluceva il sole.
Si affrettò a porgergli ansiosamente la mano.
«Posso chiamarla
così?»
«Ma
certo, e io posso chiamarla
Rocco, non è vero? È davvero un nome...
intrigante.»
Intrigante,
già. Neppure un
cieco avrebbe potuto ignorare lo sguardo malizioso che Adriano gli
gettò per accompagnare queste parole, e Rocco non era cieco
né
tantomeno stupido. Quello sguardo lo sprofondò
nell'imbarazzo più
totale: ritirò seccamente la mano, cacciandola in tasca, e
si
strinse nelle spalle quasi a voler minimizzare l'indecente vicinanza
dei loro corpi.
«Sono
qui su richiesta di suo
padre, sì» riprese bruscamente distogliendo lo
sguardo. «Avrebbe
qualche minuto da dedicarmi?»
«Ma
certo, Rocco» rispose
Adriano sorridendo. Persino il suo solo sguardo lo metteva in
difficoltà: era malizioso, provocante... Gli fece cenno di
seguirlo.
«Venga, andiamo nel mio camerino.»
Una parte della
sua mente gli
stava dicendo che no, assolutamente non doveva seguire quel ragazzo
che lo stava divorando con gli occhi, che era una pessima idea... ma
subito dopo un'altra parte di lui, una parte razionale e logica, gli
disse severamente: Hai paura che ti violenti? Perciò,
dopo
una silenziosa quanto breve lotta intestina, Rocco annuì e
seguì
Adriano in un'altra piccola stanza.
Era esattamente
come ci si
aspettava che un camerino fosse: Rocco rimase nervosamente in piedi
davanti alla porta chiusa come accanto alla sua unica via di fuga,
anche dopo che Adriano lo ebbe invitato a sedere su una poltroncina.
Lo ringraziò con un cenno. «Non importa, grazie...
la tratterrò
solo un minuto.»
«Come
preferisce. Allora... di
cosa esattamente voleva parlarmi?»
Non guardargli il petto. Con
un
incredibile sforzo di volontà Rocco riuscì a
controllarsi
abbastanza da fissarlo negli occhi... anche se questo continuava a
non farlo sentire molto più a suo agio.
«Suo
padre mi ha chiesto solo di
parlare un po' con lei della faccenda della Palestra. Gli farebbe
molto piacere lasciarla a lei, dopo la pensione.»
«Questo
lo so» ammise Adriano
annuendo gentilmente. Gli sorrideva ancora, adesso in modo un po'
meno provocante e un poco più accogliente, e il suo sorriso
rischiò
di deconcentrarlo per un attimo: accorgendosene appena in tempo,
Rocco si riscosse a fatica e proseguì:
«Suo
padre mi ha detto che
questo lavoro le piace molto, e... beh, mi sembra che sia molto
bravo, in effetti. Per quel poco che me ne intendo, cioè.
Volevo
assicurarle che non sarebbe un problema e che potrebbe portarlo
avanti anche come Capopalestra.»
«Ah,
davvero? Lei crede? Questo
è molto interessante.»
A questo punto,
senza alcun
preavviso, Adriano gli diede le spalle e si sfilò
l'accappatoio. Lo
fece letteralmente: Rocco si sentì
cogliere così alla
sprovvista da sobbalzare. Adriano scoppiò a ridere, ma senza
cattiveria.
«La
metto a disagio, Rocco? Se
preferisce, posso rivestirmi.»
«Ma
no, io... la prego, faccia
pure come se io non ci fossi» balbettò Rocco
guardando
disperatamente ovunque nella stanza, fuori che verso il corpo candido
e invitante del ragazzo che gli stava di fronte. Adriano stava
flirtando con lui in modo semplicemente vergognoso, ma lui era
comunque un adulto. Non avrebbe dovuto sentirsi così
turbato. No?
«La
ringrazio. Non le dispiace
se faccio una doccia veloce, vero? Sa, il trucco, l'olio... non ha
idea di quanto siano fastidiosi. Possiamo comunque continuare a
parlare nel frattempo.»
Alla sua
sinistra c'era un
piccolo bagno che doveva contenere la cabina della doccia. Sarebbe
stato incredibilmente più facile parlare senza poter vedere
Adriano
e le sue oscene grazie: Rocco annuì quasi con riconoscenza.
«Ma
certo, non ci sono problemi.»
A quel punto,
senza smettere di
dargli le spalle, Adriano si tolse gli slip, e Rocco avrebbe potuto
giurare di aver sentito un piccolo arresto
cardiaco.
Adriano
continuò a parlare con
la massima naturalezza mentre recuperava il suo accappatoio.
«Grazie,
Rocco. Dopotutto non s'imbarazzerà certo per così
poco, no? Ho
sempre immaginato che lei sia etero, giusto?»
Rocco si sentiva la
testa
stranamente leggera e... qualche altro problema da un'altra parte.
Helix, che imbarazzo. Si volse discretamente di un
quarto di
giro rispetto ad Adriano, sia per calmarsi che per evitare che
potesse vedere un primo accenno di qualcosa di molto imbarazzante,
maledicendolo in tutte le lingue del mondo, e prima che la sua mente
facesse in tempo a frenare la sua bocca, sbottò:
«Ma lei non lo è!»
Adriano si era
fermato alle sue
spalle e lo stava fissando: Rocco sentiva il suo sguardo sulla
schiena e avrebbe potuto giurare che stesse sorridendo.
«Ha
indovinato: non lo sono»
ribatté divertito. «Ma eviterò di
metterla ancora in imbarazzo,
Rocco. Venga pure, la prego.»
Un minuto dopo,
quando Adriano fu
svanito dietro il vetro smerigliato di un box doccia, Rocco si
sentì
infinitamente sollevato. Non era gay, o almeno immaginava di non
esserlo, o quantomeno non ci aveva mai pensato, ma quel ragazzo lo...
infastidiva, ecco. Senza vederlo riusciva a parlare molto meglio.
L'acqua scrosciava piano a poca distanza da lui, dove non riusciva a
vederla, ed egli si concentrò su quel suono e su quel
fruscio.
«Le
stavo solo dicendo che
potrebbe continuare a fare il modello anche gestendo la Palestra,
è
solo una questione di organizzazione. Non sarebbe disposto a
ripensarci?»
«Le
dirò, Rocco... queste
condizioni mi soddisferebbero molto, ma a dire il vero ho anche un
altro hobby oltre al lavoro. Forse mio padre non gliene ha parlato,
ma io sono anche un coordinatore.»
Effettivamente
questa giustizia
gli giungeva alquanto nuova. «Non mi ha detto
niente.»
«Me
l'aspettavo, sa. Che io sia
un coordinatore gli fa piacere, tutto sommato, ma che io sia un
modello... beh, asciamo stare. Forse lei non capirà, Rocco,
ma io
amo questo lavoro.»
«Al
contrario, la capisco,
invece. Anch'io ho degli hobby a cui non vorrei rinunciare, neppure
per essere Campione.»
«Davvero?
Potrei chiederle
quali?»
«Beh...
colleziono pietre rare.»
Vi fu un attimo
di silenzio.
«Non
è proprio la stessa cosa»
disse Adriano ridendo, e Rocco non seppe bene se sentirsi
profondamente insultato. Era un'implicita offesa alla sua collezione,
quella?
All'improvviso
l'acqua cessò di
scorrere: possibile che Adriano avesse già finito? Per un
attimo lo
attraversò il dubbio che fosse stata tutta una farsa per
metterlo in
imbarazzo e per denudarsi davanti a lui... ma no. Certo che no.
Nessuno si sarebbe spinto tanto oltre solo per il gusto di flirtare
un po'.
Oppure
sì?
«Suppongo
di doverla avvertire
che sto uscendo, così che possa voltarsi. Mi sembra un
ragazzo
piuttosto timido, sa, Rocco?»
Imponendosi
d'ignorare le sue
frecciatine, Rocco diede le spalle ala doccia e ringhiò un
ringraziamento. Sentì che dietro di lui Adriano usciva e si
copriva
almeno in parte e si sforzò di non pensare alla vicinanza
della sua
pelle umida.
«Sa,
Rocco, questo lavoro è una
delle poche cose in cui sia bravo. Mi dà un'incredibile
soddisfazione.»
«Suo
padre mi ha detto che è
bravo anche con i Pokémon» borbottò
Rocco gettandogli un'occhiata
cauta. Per fortuna Adriano era ora rivestito del suo accappatoio e si
frizionava i capelli con un asciugamano, chinandosi sullo specchio.
Gli sorrise.
«Questo
è piuttosto vero.»
E allora dove
diamine era il
problema?
«La
ringrazio molto per il suo
tempo, Adriano» concluse seccamente Rocco avanzando verso di
lui con
la mano tesa: non ne poteva più della sua vicinanza. Si
sentiva
tremendamente a disagio. Aveva fatto ciò per cui era venuto,
e ora
Elio poteva ritenersi soddisfatto. «Spero che
rifletterà su ciò
che le ho detto e non getti via la sua occasione.»
«Ma
come, se ne va già?»
«Non
vorrei disturbarla oltre»
ribatté Rocco inesorabilmente, continuando a porgergli la
mano.
Adriano la strinse appena con la punta delle dita, ma non
accennò a
lasciarla andare, e Rocco ebbe l'impressione che la sua pelle umida
fosse bollente.
«Lei
non disturba affatto,
Rocco, e spero di non avergliene dato l'impressione. Spero che non se
la sia presa perché mi sono permesso di... flirtare un po'
con lei.»
Ignorando i suoi discreti tentativi di divincolare la mano dalla sua,
Adriano gli rivolse un sorriso dolcissimo. «A dire il vero,
avrei
voluto chiederle qualche informazione in più. Non potrei
invitarla a
cena?»
Come al solito, Adriano
era in
ritardo. Rocco aveva ormai smesso di stupirsene: stare con una
primadonna come lui aveva i suoi svantaggi, e i tempi biblici per
prepararsi rientravano tra questi. Ma Adriano era fatto
così, era
vanitoso, eccentrico e ritardatario, e Rocco ci aveva fatto
l'abitudine.
Specialmente al lato
dell'eccentricità. Forse vi era stato un tempo, all'inizio
della
loro relazione, in cui avrebbe sgranato gli occhi al vederselo
apparire davanti con un boa di piume, ma se quel tempo vi era stato,
ormai era finito da un pezzo. Tutto ciò che invece fece
quella sera,
alzandosi dalla panchina in riva al mare dove lo stava aspettando, fu
afferrare la sua mano e stringerla. «Mi sei mancato,
sai?»
Adriano sorrise tra
sé. «Certo che
lo so. Non ci vediamo da domenica.»
Vedersi solo i
fine-settimana
manteneva viva la passione, certo, ma Rocco dubitava che si sarebbe
un granché affievolita se fossero stati insieme un po'
più
spesso... perché Adriano, durante i giorni feriali, gli
mancava e
anche tanto. Si concesse di guardarlo in silenzio per un po' e
Adriano gli accarezzò distrattamente i capelli.
«La campagna di
tuo padre è
patetica, amore. Glielo hai detto?»
«Già,
ma non ha voluto
ascoltarmi.» Rocco sedette di nuovo attirandolo a
sé e scosse la
testa. «È fatto così. Deve esagerare in
tutto ciò che fa, ma
credo che sia il suo modo per dimostrarmi che mi vuole bene.»
«Un modo molto
esplicito» constatò
Adriano ridendo. «Comunque, che cosa ti va di fare? Cena
fuori,
cinema, bowling... o casa mia?» Dal tono in cui
pronunciò l'ultima
proposta parve anche troppo evidente quale fosse la sua preferita. Il
suo ragazzo era sempre molto entusiasta, e discretamente fantasioso,
da quel punto di vista, e Rocco avrebbe dovuto essere un terribile
bugiardo per fingere che questo gli dispiacesse.
«Casa tua va
bene» rispose
stringendogli la mano. Aveva avuto una settimana tanto stressante
che, in quel momento, perdersi e ritrovarsi tra le braccia di Adriano
gli sembrava una prospettiva paradisiaca. «Ma aspetta un
attimo...
prima devo chiederti una cosa.»
Ci stava pensando ormai
ininterrottamente da quando aveva parlato con suo padre e ormai, si
disse per l'ennesima volta davanti al suo sguardo rassicurante, era
il momento giusto. Guardandolo con stupore e forse un senso lieve di
ansia, Adriano gli fece cenno di parlare.
«Nulla di
preoccupante, amore,
solo... mi domandavo se ti farebbe piacere conoscere mio
padre.»
La pallida pietra di
Ceneride
rosseggiava infuocata sotto il tramonto; sotto di loro, sullo
specchio d'acqua fulgida e trasparente che si apriva come una
voragine, il sole ardeva come una sfera increspata d'oro. In
quell'atmosfera di sogno, Adriano scoppiò a ridere.
«Amore, sei
impazzito?»
Di tutte le reazioni al
mondo che si
era immaginato, quella era proprio l'ultima.
«Cosa
c'è di strano?» protestò.
«Stiamo insieme da quasi un anno. Non ti va di ufficializzare
la
cosa?»
«Non
è questo, Rocco, ma... tuo
padre avrà un infarto quando mi vedrà. Sei sicuro
di essere pronto
a ereditare la Devon?»
Di fronte ai suoi occhi
che
vibravano ancora della risata che la sua bocca tratteneva, Rocco si
accigliò per un istante. «Perché pensi
che avrà un infarto?»
«Perché
non credo si aspetti
proprio me» lo rimbeccò
Adriano avvolgendogli il boa attorno
al collo. «Tuo padre mi sembra un tipo un po'... non so come
dire.
Serioso?»
«Preferisci di
no, allora?» chiese
Rocco a bassa voce. Non voleva farglielo pesare, eppure non poteva
negare di sentirsi un po' deluso da quella risposta. Aveva sperato
che anche Adriano, come lui, avrebbe voluto cominciare a rendere
ufficiale la loro storia; ma un istante dopo la presa del boa di
piume attorno al suo collo si strinse un po' di più ed egli
si sentì
attratto verso il petto di Adriano.
«Non ho detto
questo» lo
rimproverò dolcemente. «Penso solo che sia una
pessima idea... ma
se sei proprio sicuro che non avrò tuo padre sulla
coscienza, verrò.
Gli uomini d'affari mi hanno sempre tremendamente
affascinato.»
Rocco si sentì
terribilmente diviso
tra la tentazione di prenderlo a schiaffi e quella di baciarlo... nel
dubbio si guardò attorno. Erano sulla terrazza
più alta di tutta
Ceneride: attorno a loro tutto era deserto. Non c'era nessuno che
potesse vederli, perciò, senza un attimo d'esitazione, egli
si mosse
rapidamente sulla panchina e sedette a cavalcioni delle sue cosce.
Adriano rimase tanto spiazzato dal suo gesto da ridere di nuovo.
«Che fai ora?
Mi violenti?»
«Non sarebbe
una cattiva idea.»
Per il momento Rocco si accontentò di baciarlo molto a
lungo, in
modo forse un po' più passionale e vendicativo del solito, e
Adriano
si limitò per parte sua a ricambiare in modo decisamente
consenziente. Beh, poteva perdonarlo... per quella volta.
Fu Adriano ad
allontanarlo, quando
ormai il bisogno d'aria stava facendosi terribilmente impellente per
entrambi, e gli gettò un'occhiata compiaciuta.
«Sarà meglio andare
a casa, Rocco.»
Forse non era una pessima
idea.
Seppur a malincuore Rocco si alzò e gli porse la mano per
aiutarlo
ad alzarsi. Intrapresero lentamente la discesa ripida verso il centro
abitato del cratere.
«Suppongo che
dovrò lasciare a
casa questo, quando andremo da tuo padre» gli disse
scherzosamente
Adriano gettandogli di nuovo il boa attorno al collo, mentre
camminavano. Rocco se ne disimpegnò ridendo prima di
rischiare
d'inciampare.
«Portalo,
invece. Voglio che tu a
mio padre piaccia così come sei.»
Forse era una di quelle
cose che a
dirle suonavano meglio di quanto facessero nella sua mente. A Rocco
non sembrava di aver detto decisamente nulla di che, e a dire il vero
non ne aveva neppure l'intenzione, eppure lo sguardo di Adriano,
quando incrociò i suoi occhi, gli parve per un momento farsi
più
luminoso.
«Non ti ho
chiesto come mai tutta
questa fretta, comunque. In una settimana hai detto a tuo padre che
sei omosessuale e ora vuoi farci conoscere... va tutto bene,
caro?»
Soffermandosi sulla
discesa
rosseggiante di sole, Rocco esitò un istante. Era il momento
giusto
per chiederglielo? Aveva pensato a una romantica cena al ristorante,
a una serata sotto le stelle, a... eppure decise di non poter
più
aspettare.
«È
solo che volevo chiederti di
venire a vivere con me» rispose sinceramente.
Rocco aveva
accettato la cena
solo perché a Elio avrebbe fatto piacere, e in questo modo
non
avrebbe potuto accusarsi d'aver lasciato nulla d'intentato. E si
trattava, beninteso, di una cena d'affari, nulla di più.
A dire il vero
avrebbe preferito
un pranzo, potendo scegliere: più professionalità
e meno rischi di
fraintendimenti. Ma si trovavano entrambi a Porto Alghepoli quella
sera, e non avrebbe avuto senso rimandare: ragion per cui, dopo aver
atteso Adriano per circa quarantacinque minuti fuori del suo camerino
– perché decisamente non ci teneva a vedere di
nuovo le sue nudità
e a rischiare le, uhm,
conseguenze fisiche – se lo era visto
arrivare davanti
vestito, e neppure in modo imbarazzante, per la verità, con
un paio
di attillati jeans neri che fasciavano il suo sedere in modo quasi
illegale e una camicia azzurra che riprendeva i suoi occhi. Anche da
vestito era bello come un demonio, e per un istante lo aveva
fronteggiato con aria di provocazione.
«Come
sto?»
«Benissimo»
aveva balbettato
Rocco imbarazzato come non mai.
Per grazia
divina, il ristorante
dove l'aveva portato Adriano non aveva nulla di romantico o elegante:
in qualche modo questo lo tranquillizzò un poco. Forse
sarebbe stata
davvero una semplice cena per parlare della Palestra, al termine
della quale Rocco avrebbe potuto tornarsene a casa sua a
Verdeazzupoli, dire a Elio che aveva mantenuto la parola e mettersi a
sistemare quel pacco di pietre provenienti dal Monte Argento che si
era fatto inviare da Johto... dimenticando così Adriano e il
suo
sedere. Perché era questo che voleva. No?
Ma per le due
ore seguenti la
Palestra di Ceneride giacque infelicemente nel dimenticatoio, da
qualche parte molto lontano dal tavolo, e di certo Elio, se fosse
stato lì, non avrebbe visti particolarmente difesi i propri
interessi. Adriano non era poi irritante come sembrava all'inizio,
anche se era tutte le altre cose che sembrava; malizioso, provocante,
egocentrico e tutto il resto. Ma a quanto pareva era anche altro,
ed era questa la cosa che Rocco, forse
superficialmente,
non s'era aspettato. Amava i suoi Pokémon di tutto l'amore
del
mondo, e gliene mostrò delle foto e gli descrisse nel
dettaglio
tutte le loro abitudini, e pretese di sapere dei suoi. Era un grande
appassionato dei miti più antichi di Ceneride e di Hoenn, a
quanto
pareva, e Rocco si sorprese di scoprire che ne sapeva anche
più di
lui sotto certi aspetti. Gli piaceva la filosofia, anche, e gli
sarebbe piaciuto iscriversi all'Università, se solo il
lavoro e
tutto il resto gliene avessero lasciato il tempo...
Rocco si rese
conto dell'orario
solo quando il cameriere venne a chieder loro, in tono di lieve
insistenza, quasi a suggerire la risposta giusta, se volessero il
conto. Sollevando lo sguardo su di lui come riemergendo da un sogno,
Rocco realizzò con stupore che erano rimasti gli unici due
clienti
in tutto il ristorante. Si affrettò ad accettare il conto,
mentre
dall'altra parte del tavolo Adriano lo guardava con aria di simulato
rimorso, mordendosi appena le labbra. «Ops. Abbiamo fatto
tardi?»
«Già»
ammise Rocco, ma senza
sentirsi troppo dispiaciuto. «E non le ho neppure detto
niente della
Palestra... suo padre avrebbe ragione ad arrabbiarsi con me.»
«Non
dobbiamo dirglielo per
forza» lo rimbeccò Adriano sorridendo appena.
«E poi, se posso
essere sincero, non sono affatto dispiaciuto, Rocco. Questo la
obbligherà a tornare a cena ancora una volta con me se non
vuole far
torto a mio padre, no?»
Rocco non aveva
bevuto
sufficiente vino da non riconoscere i suoi plateali tentativi di
flirtare con lui, ma tutto ciò che disse fu:
«Perché no?»
Cenarono di
nuovo assieme il
giorno seguente, a Ceneride, in un ristorante di pesce dal vino
eccellente e dall'atmosfera deliziosa, e poi ancora quel sabato, dopo
una tranquilla serata a teatro. La domenica si lasciarono prima di
cena, dopo aver trascorso tutta la giornata a passeggiare con calma
tra i negozi di Ciclamipoli.
Dopodiché
i loro appuntamenti si
fecero troppo frequenti per continuare a tenerne il conto, e a ogni
incontro la sua parte razionale e incerta e prudente si faceva sempre
più silenziosa, finché Rocco non la mise
autorevolmente a tacere
pensando che, tutto sommato, non gliene importava niente.
Perciò una
sera, un po' timidamente perché quella era la prima volta
ch'egli
baciava un ragazzo e perché Adriano ancora gli pareva un po'
troppo
bello per lui, Rocco lo baciò sulla spiaggia di Ceneride,
nel
biancore accecante della città, ed era un bacio caldo e
rassicurante
come mai egli ne aveva ricevuti dalle labbra di una ragazza.
Quella notte,
dopo essersi
addormentato in un intrico di membra allacciate, del sonno
più dolce
che ricordasse di aver goduto negli ultimi anni, Rocco si
sentì
svegliare da un paio di dita che gli accarezzavano la guancia.
Aprì
pigramente un occhio, cercando istintivamente il volto di Adriano nel
buio, ma tutto ciò che riuscì a distinguere
furono le parole.
«Come
stai?»
«Mmm...
bene.» Rocco cercò di
attirarlo maggiormente a sé tra le lenzuola sfatte, e
decisamente
Adriano non parve opporre particolare resistenza: il suo corpo snello
aderì maggiormente al suo sotto le lenzuola. «E
tu?»
«Molto
bene.» Adriano posò un
bacio da qualche parte vicino al suo orecchio. «Senti,
Rocco...
volevo dirti che ho preso una decisione.»
Forse sarebbe
stato poco
romantico fargli notare che le tre del mattino erano un orario
improponibile per prendere decisioni. Rocco mugolò qualcosa
che,
nelle sue intenzioni, doveva suonare più o meno come un
“ti
ascolto”, affondando il volto nel suo petto nudo. Adriano
tacque
per qualche istante, intrecciando le dita tra i suoi capelli
argentei. Dal modo in cui il suo cuore accelerò un poco
contro la
sua fronte, Rocco intuì che doveva trattarsi di qualcosa
d'importante, sebbene egli si sentisse in quel momento davvero troppo
felicemente stanco e rilassato per prestarvi attenzione.
«Accetterò
la Palestra di mio
padre, se questo mi permetterà di starti più
vicino.»
Persino dal
delizioso stato di
torpore nel quale si trovava, Rocco si sentì profondamente
intenerito a queste parole. Sollevò il capo per affondare un
sonnolento bacio nell'incavo del suo collo.
«Amore...
non potresti dirmi che
mi ami come tutti i comuni mortali?»
Sotto le sue
labbra il collo di
Adriano vibrò di una risata. «Ma io non sono per
niente comune, lo
sai. E poi aspettavo che me lo dicessi tu per primo.»
Quello sembrava
proprio il
momento adatto per dire qualcosa di dolce.
«Ti
amo, cretino. E ora dormi»
borbottò Rocco avvinghiandosi letteralmente a lui in modo
molto poco
adulto.
Non era stata
esattamente la
dichiarazione d'amore più romantica della storia, ma Rocco
se ne
rese conto solo il giorno dopo, quando Adriano, per vendetta, fece
bruciare il caffè.
Il
caffè faceva schifo ma era
pieno di zucchero, e Rocco, tutto sommato, non ricordava di aver mai
fatto una colazione migliore.
Quando
telefonò a suo padre per
chiedergli se volesse conoscere il suo ragazzo, Rocco dovette
sorbirsi un'insopportabile ramanzina sul fatto che gli aveva tenuta
segreta una relazione tanto importante da presentare un ragazzo in
casa fingendo che si trattasse di una cosa di poco conto.
«Volevo
essere sicuro prima di presentartelo» fu la sua linea di
difesa, che
suo padre smontò piuttosto rapidamente sentenziando:
«Se vi
frequentate da un anno, suppongo che tu ne sia già
certo.» Il che
naturalmente era vero, ma Rocco aveva sperato che suo padre non si
perdesse in simili cavilli e apprezzasse la sua buona
volontà.
Per sua fortuna, la
curiosità prese
presto il sopravvento su suo padre: cercando di addolcirlo, Rocco gli
accennò che probabilmente conosceva già, almeno
di vista, il suo
ragazzo.
«Beh, se
è un modello, suppongo di
averlo visto in qualche pubblicità.»
«È
possibile, ma... vedi, ha anche
un altro lavoro, oltre a quello.» Adriano non aveva smesso di
posare, ovviamente, anche se i servizi si erano un poco diradati;
aveva scoperto che, tutto sommato, anche la Palestra gli piaceva
molto. Dopo aver giocherellato per qualche istante col filo del
telefono, Rocco si decise infine a dirgli: «Penso che tu
sappia chi
è, papà. È Adriano, il Capopalestra di
Ceneride.»
Dall'altra parte della
cornetta ci
fu un lungo silenzio: Rocco non riusciva ad avvertire neppure il
più
flebile crepitio di energia statica che gli indicasse che suo padre
respirasse ancora. Si domandò ansiosamente se non fosse il
caso di
riattaccare e telefonare in fretta al suo segretario per avvertirlo
che suo padre stava avendo un ictus.
«Oh»
disse finalmente suo padre
ponendo fine ai suoi dubbi. «Quello. Quel ragazzo che si
veste
sempre in modo strano, giusto?»
«Sì»
rispose Rocco, prima di
sentirsi in dovere di specificare: «È il suo
stile, sai.»
«Ah, certo.»
Suo padre emise un
lungo sospiro che costrinse Rocco ad allontanare la cornetta
dall'orecchio. «Beh, figliolo, suppongo che sia inutile
ripetere che
quando ti ho chiamato Rocco...»
«Lo so,
papà» lo interruppe Rocco
gentilmente. Si sporse un poco sulla sedia per gettare uno sguardo
alla sua camera, dove Adriano, seduto sul letto con la schiena
appoggiata ai cuscini, le lenzuola drappeggiate attorno ai fianchi
magri, stava consultando gli annunci immobiliari sul giornale con gli
occhiali sul naso (Rocco aveva impiegato un po' di tempo ad abituarsi
a vederlo con gli occhiali. Per la verità gli stavano
deliziosamente, ma li portava solo per leggere in privato).
«Lo so
che non ti aspettavi questo, ma Adriano è ciò che
voglio io.»
A questo punto suo padre
gli pose la
domanda che Rocco meno si sarebbe atteso da lui, per quanto,
probabilmente, fosse la domanda più sensata di tutta quella
storia.
«Questo ragazzo ti rende felice, Rocco?»
«Sì,
papà» rispose a bassa voce.
Avrebbe voluto ampliare quella risposta in modo intenso e
significativo, ma tutto ciò che trovò da dire fu:
«Più di una
roccia, non so se mi spiego.»
«Capisco»
fu la risposta. Vi fu un
nuovo sospiro; quando suo padre riprese, Rocco avrebbe potuto giurare
che si stesse sforzando di sorridere al di là della
cornetta. «Va
bene così, Rocco: se sei felice tu lo sono anche io.
Senti...
potreste venire a cena questo sabato e fermarvi a dormire qui, per
non tornare tardi. Farò areare la tua vecchia camera. Che ne
dici?»
«Sarebbe
fantastico, papà. Sabato
è perfetto.»
Forse, in fin dei conti,
suo padre
sarebbe sopravvissuto almeno fino a sabato, quando gli avrebbero dato
la notizia della convivenza. Rocco lo salutò e si
trascinò ancora
in pigiama fino al suo letto, dove si distese trasversalmente
poggiando la testa sulle ginocchia di Adriano.
«Com'è
andata?» s'informò
pragmaticamente quegli senza levare gli occhi dal giornale, ma
posandogli quasi casualmente una mano tra i capelli.
«Bene,
suppongo.» Rocco si
stiracchiò pigramente. «Ci ha invitati a cena per
questo sabato e a
fermarci a dormire da lui e ha detto che è felice per
me.»
A questa notizia, Adriano
depose da
una parte il giornale e si tolse gli occhiali da lettura.
«Felice
per te? Ma ha capito chi sono... glielo hai detto bene il mio
nome?»
Per tutta risposta Rocco
gli morse
scherzosamente un ginocchio da sopra le lenzuola. «Certo che
sa chi
sei, scemo. Si sta adattando all'idea.»
«Oh beh...
meglio così. Te l'ho
detto, non voglio che tuo padre abbia un infarto per colpa
mia.»
Detto questo, Adriano riprese in mano il giornale e tornò a
immergersi nella pagina degli annunci. «È molto
gentile a volerci
ospitare. L'hai ringraziato anche da parte mia?»
«Sì,
ma... bisogna che ti avverta
prima. Mio padre è un uomo molto religioso e... un po'
bigotto.
Penso che avrebbe un infarto se sapesse che dormiamo insieme.»
Questo era
così insolito che
Adriano tornò ad abbassare il giornale, si
sistemò gli occhiali sul
naso e rimase a fissarlo sovrappensiero per un po'. «Vuoi
dire che
ha accettato che tu stia con un ragazzo, ma non che tu ci dorma
insieme... a venticinque anni? Gli hai detto in che anno
siamo?»
«Mi
dispiace» ammise Rocco. «È
fatto così... sostiene di aver dormito per la prima volta
con mia
madre la prima notte di nozze. Se questo ti dà fastidio
possiamo
sempre lasciar perdere...»
«Nessuno arriva
più vergine al
matrimonio da un secolo, e tuo padre ti ha raccontato una gran balla
perché non è così vecchio»
replicò saggiamente Adriano con
l'aria di star pronunciando una gran massima, per poi rimettersi a
sfogliare serenamente il giornale. «Comunque non essere
sciocco,
tesoro, è solo per una notte. Ma come farà a
tenerci divisi?
Dormirai in camera con lui?»
Rocco gli morse la coscia
attraverso
le lenzuola. «Certo che no! Si fida di me. Suppongo che
metterà un
altro letto nella mia camera.»
«Ottimo. In tal
caso, tu farai il
cavaliere e io mi prendo il letto migliore» fu la sua
flemmatica
conclusione. Dopodiché, considerando evidentemente chiusa la
questione, gli spinse il giornale in faccia e chiese allegramente:
«Cosa ne pensi di un quattro vani, amore?»
Contro ogni aspettativa
la cena fu
un successo. Sul fatto che dovesse essere una tranquilla e intima
cena in casa suo padre era stato inflessibile, rifiutando in ogni
modo anche solo la prospettiva di un ristorante: a sentir lui, cenare
fuori sarebbe equivalso a dare alla serata un tono troppo formale e a
escludere Adriano dalla loro famiglia. A nulla era valso ricordargli
che erano ormai nel ventunesimo secolo e che nessuno ragionava
più
in quel modo: a quanto pareva, la versione del signor Petri che
voleva a tutti i costi mostrarsi inclusivo e tollerante nei confronti
dell'omosessualità di suo figlio era ancora più
terrificante, e
inamovibile, di quella che avrebbe a tutti i costi voluto fingere che
nulla di tutto ciò stesse succedendo.
Ma anche volendo, durante
la cena
Rocco non sarebbe riuscito a trovare la benché minima
obiezione da
muovere al padre: fu un padrone di casa eccellente, almeno dopo che
ebbe ricominciato a respirare dopo una decina di secondi di apnea, e
soprattutto non fece commenti e si
limitò a tirare fuori
imbarazzanti aneddoti relativi alla sua infanzia. Nella sua mente era
precisamente così che doveva andare una cena del genere, ed
egli
riuscì persino a trarre un sospiro di sollievo.
Forse fu la straordinaria
capacità
di Adriano di affascinare chiunque, o forse fu semplicemente una
straordinaria manifestazione di bontà da parte dell'Helix,
quella
sera: Rocco non avrebbe saputo dire perché, ma per qualche
motivo a
un certo punto suo padre gli gettò al di sopra di un calice
di vino
un'occhiata compiaciuta. Rocco si sentì mancare l'aria:
Adriano gli
piaceva!
Naturalmente, come nelle
migliori
commedie romantiche all'americana che davano in televisione la sera,
il momento cruciale arrivò assieme al dolce, quando Adriano
gli
strinse delicatamente il ginocchio sotto il tavolo, ricordandogli il
motivo fondamentale per cui erano venuti fin lì. Rocco si
schiarì
la voce un paio di volte, augurandosi vagamente di morire soffocato
nel tentativo.
«Papà,
senti... io e Adriano
dobbiamo dirti una cosa.»
Suo padre volse lo
sguardo su di lui
in un improvviso moto di tensione: nulla di sorprendente, visto che
l'ultima volta che Rocco aveva iniziato un discorso così,
era stato
per rivelargli la sua omosessualità. Come minimo,
probabilmente
adesso si aspettava qualcosa come la sifilide.
«Sai, io e
Adriano abitiamo
lontani, per noi è molto faticoso vederci...
perciò stavamo
pensando di cercare casa insieme.»
Stavolta ha un
infarto. Quella
era la volta buona, Rocco se lo sentiva, nessuno avrebbe potuto
sopportare due notizie del genere in una settimana, non un uomo come
suo padre, che aveva scelto il suo nome in base alla
virilità che
esso gli evocava: avvicinò nervosamente le dita al telefono
che
aveva in tasca per tenersi pronto a telefonare al pronto soccorso.
Lo sguardo di suo padre,
inizialmente, si mantenne impenetrabile e vitreo, quasi che non
avesse neppure udito le sue parole – o avesse davvero un
principio
di ictus. Poi, lentamente, aprì la bocca, gli
gettò uno sguardo
implorante, la richiuse e guardò il piatto in silenzio.
«Beh...
è una notizia...
inaspettata» iniziò.
«Spero che lei
non pensi che sia
troppo presto» intervenne diplomaticamente Adriano.
«Il suo parere
conta molto per noi, specialmente per Rocco.» Rocco lo
guardò con
riconoscenza: come riusciva a essere così schifosamente
convincente?
Anche suo padre parve
parzialmente
risollevato a queste parole: guardò Adriano come se lo
vedesse per
la prima volta e si volse poi verso Rocco, come a cercare da lui una
conferma. Sentendosi direttamente chiamato in causa, Rocco non
poté
fare altro che balbettare: «Io... vorrei sapere cosa ne
pensi,
papà.»
Prima di dare finalmente
la sua
risposta, suo padre si voltò rapidamente a gettare
un'occhiata di
conforto all'icona sacra appesa al muro alle sue spalle,
dopodiché,
con un profondo sospiro, tornò a guardarli con un sorriso un
po'
forzato e batté le mani con decisione.
«Beh! Se siete
contenti voi, io
sono d'accordo» disse con un po' troppa allegria.
«Anzi, per
dimostrarvi che sono pienamente favorevole, vi regalerò una
casa.
Che ne dite?»
Non era possibile, era
assurdo,
doveva essere il primo sintomo dell'ictus. Rocco rimase letteralmente
a bocca aperta, incredulo, e la mano di Adriano perse la presa sul
suo ginocchio.
«Papà!»
esclamò semplicemente,
incapace di formulare alcunché di più articolato.
«Signor Petri,
è troppo!»
protestò educatamente Adriano. «Una casa
è troppo... sarebbe
troppo persino per un matrimonio!»
A questo punto fece eco
una domanda
tanto naturale, spontanea e innocente da sprofondare entrambi nel
panico: «Perché? Non avete intenzione di
sposarvi?»
Ora
l'infarto stava per venire a lui. Rocco
cercò in aiuto lo sguardo di Adriano, ma era smarrito e
sconvolto
come doveva essere il suo, e formulò dentro di sé
un breve pensiero
religioso, nel caso di un'intempestiva perdita di coscienza.
Dall'altra parte del
tavolo, suo
padre aveva osservato in silenzio la loro confusione e il loro
scambio di sguardi e piuttosto rapidamente, come in un incontro di
affari, aveva tratto le sue conclusioni. Trasse un respiro profondo.
«Rocco»
incominciò lentamente, con una tale fissità di
sguardo da non far
presagire nulla di buono. «Vuoi dire che stavi parlando di
convivere
senza essere sposati?»
Ma prima ancora che Rocco
facesse in
tempo a fargli notare che erano nel ventunesimo secolo, o che nessuno
arrivava davvero ancora vergine al matrimonio, o tutta una serie di
importanti nozioni di buonsenso e notizie dal mondo moderno, l'esile
mano di Adriano tornò ad artigliargli il ginocchio e la sua
voce
squillante risuonò nitidamente: «Sa, signor Petri,
il nostro Rocco
non si decideva proprio a chiedermelo!»
Rocco
lo fissò letteralmente sbigottito. Il nostro
Rocco?
Da quando in qua era il loro Rocco? Ma dovette imporsi di richiudere
la bocca e di rimandare a più tardi domande e dubbi quando
Adriano
gli diede un'ultima stretta al ginocchio e suo padre – suo
padre!
Ma che cosa stava succedendo? - gettò al suo ragazzo uno
sguardo di
comprensiva benevolenza.
«Non
preoccuparti, non lo fa solo
con te. Tende sempre a rimandare. Dopotutto ci ha impiegato un anno a
confessarmi di avere una storia seria, no?»
Tutto ciò non
poteva star accadendo
davvero, quella conversazione non stava realmente avendo luogo, Rocco
non poteva crederlo. Si passò discretamente una mano sulla
guancia:
no, non sembrava bruciare. Non aveva neppure bevuto troppo vino. Ma
se non era febbricitante e non era ubriaco, allora stava impazzendo?
«Rocco,
cosa ne dici di portare Adriano a fare una passeggiata, prima di
dormire? Non credo che sia mai stato a Ferrugipoli prima d'ora.
Sbaglio, Adriano?»
«Solo una
volta, ma vari anni fa.
Ti va, amore?»
Rocco fu strappato alle
sue
riflessioni quasi con la forza quando Adriano gli diede una delicata
stretta sulla coscia per farlo tornare in sé. Suo padre lo
stava
fissando aspettandosi una risposta, ed egli non poté che
schiarirsi
la voce e alzarsi in piedi quasi meccanicamente.
«Ma certo... la
Devon di notte è
molto carina. Hai bisogno di una mano qui, papà?»
chiese,
scrutandolo con apprensione.
«E con cosa,
Rocco?»
Con il tuo
attacco cardiaco
ritardato, con la tua demenza senile, o con qualsiasi altra cosa tu
abbia.
«Con i
piatti» rispose invece con
naturalezza. Per tutta risposta suo padre lo liquidò con un
cenno
della mano, sorridendo.
«Devo togliere
solo i piatti del
dolce, e a tutto il resto penserà la lavastoviglie. Andate e
fate
una buona passeggiata!»
Pochi minuti
più tardi, sul freddo
lastricato di pietra della quieta Ferrugipoli notturna, ormai a un
paio di centinaia di metri da casa sua, Rocco afferrò le
mani di
Adriano e le strinse per costringerlo a fermarsi. Non si era sentito
mai più mortificato, umiliato di così, specie
sotto lo sguardo
paziente e divertito dei suoi occhi verdazzurri.
«Mi dispiace
tanto, Adriano» disse
sinceramente, perché davvero non avrebbe avuto altro da
dire. «Non
pensavo che mio padre avrebbe reagito così. Per la cosa del
matrimonio...»
«Tuo padre
è l'uomo più simpatico
e incoerente che abbia mai conosciuto» ribatté
Adriano ridendo. A
quanto pareva, dal suo punto di vista la serata era stata una sorta
di siparietto comico irrazionale e divertentissimo, totalmente privo
di senso, e la cosa gli era piaciuta un casino. «È
straordinario
che sia disposto ad accettare che tu sia omosessuale e che tu conviva
con un ragazzo... purché ti sposi.»
«È
molto religioso» borbottò
Rocco a mo' di giustificazione.
«È
adorabile» concluse Adriano
ridendo, e Rocco si lasciò scappare un sorriso.
Ferrugipoli non era mai
stata una
bella città nel senso più classico del termine, e
a Rocco, nella
fattispecie, non era mai piaciuta molto. Ma la sede della Devon
notturna, illuminata a giorno da un gioco di luci e di fontane
colorate, era davvero il luogo più bello della
città, e Rocco si
soffermò un istante a inalare il profumo umido della pietra
bagnata
delle fontane e della sua infanzia.
«Sai,
Rocco» disse a un tratto
Adriano con calma, e Rocco si riscosse un istante e si girò
a
guardarlo. Si era messo gli occhiali mentre non lo stava guardando,
forse per riposarsi gli occhi ora che era da solo con lui, e non gli
era parso mai più carino di così. «Se
è per la salute di tuo
padre, è un sacrificio che son pronto a fare.»
Questa era una...
discreta novità.
Rocco si volse di scatto verso di lui e lo fissò incredulo,
senza
capire, mentre Adriano sorrideva dolcemente d'un sorriso che pareva
illuminare lo splendore verdazzurro dei suoi occhi.
«Non
c'è bisogno che ci sposiamo»
balbettò, perché gli pareva l'unica obiezione
possibile. «Papà
capirà, vedrai, non è poi
così...»
«Rocco»
intervenne piano Adriano.
«Stavo scherzando. Non dicevo per tuo padre... parlavo di
noi. Non
ti piacerebbe?»
La sua mente era
sovraccarica
d'informazioni, Rocco sentiva che avrebbe potuto esplodere da un
momento all'altro. Cercò di analizzare quella proposta.
«Stiamo
insieme da meno di un anno...»
Adriano si strinse nelle
spalle
ridendo. «I miei si sono sposati dopo quattro mesi, eppure
stanno
ancora insieme. Non possiamo sapere come andranno le cose, visto che
tanti altri matrimoni terminano dopo pochissimo e dopo anni di
fidanzamento. Ma io ti amo e tu ami me. Cosa c'è di
difficile?»
Una risposta da dargli
c'era, ci
doveva essere, Rocco ne era certo; ma quando cercò dentro di
sé per
trovarla, d'improvviso si rese conto che non ne trovava nessuna.
Adriano aveva ragione. Non c'era nulla di difficile, nulla
d'impossibile: se avesse cercato ovunque in tutto il mondo, egli ne
era certo, non avrebbe voluto mai nessuno come voleva Adriano.
Veramente, qual era il problema?
«Hai
ragione» mormorò. Non poteva
parlare a voce più alta, perché se l'avesse fatto
sentiva che
avrebbe urlato. «Hai ragione, amor mio. Sposiamoci.»
Non c'era nulla di
difficile, nulla
di... Era semplice e spontaneo come un bacio di prima mattina, e
Adriano sorrise come se non avesse atteso altro.
«Ora
però devi chiedermelo»
rispose.
Questo lasciò
Rocco alquanto
spiazzato. «Perché devo chiedertelo, se lo abbiamo
appena deciso?»
Adriano mise su un
broncio che Rocco
aveva sempre trovato semplicemente irresistibile.
«Lo so, ma
ammetterai che non è
stata una proposta molto romantica.»
Ma se me lo hai
proposto tu!,
protestò quella piccola parte razionale della sua mente che
ancora
sopravviveva a stento, da qualche parte dentro di lui... tuttavia,
come al solito, Rocco non le prestò una particolare
attenzione.
Reprimendo il familiare desiderio di tirare un pugno sul naso del suo
ragazzo così insopportabilmente irresistibile, Rocco si
rassegnò e
si inginocchiò di fronte a lui per chiedere seriamente ad
Adriano di
sposarlo.
*Non
avevo idea di quale nome dare al padre di Adriano, perciò,
colta
dalla disperazione, ho controllato l'onomastica completa
dell'imperatore Publio Elio Traiano Adriano, e quello mi sembrava
decisamente il nome più adatto tra tutti.
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