ULTIMA NOTTE NELLE FILIPPINE
Mia amata Betty,
anche per noi questa sanguinosa
guerra è finalmente finita.
Ieri ho assistito, guardando il
cinegiornale, alla firma
dell’armistizio
tra il nostro paese e
l’Impero Giapponese avvenuta sulla USS
Missouri.
Qui tutti parlano di come il
generale Douglas McArthur fosse imponente,
a tratti anche dominante, sulla
piccola fragile e zoppicante figura
del Ministro degli esteri
nipponico Mamoru Shigemitsu,
ma io ho soltanto pensato a
ciò che quelle firme
rappresentavano per noi,
e non alla dimostrazione di
forza dei vincitori.
Oggi, prima di chiudere la mia
sacca, ho
l’opportunità di scriverti;
farti sapere che sto bene,
confermarti che fra poco ci metteremo in
marcia,
e che fra meno di un giorno
m’imbarcherò per
tornare a casa.
Non vedo l’ora di
abbracciare i miei tre gioielli!
PS. La mia divisa con il
nastrino che indica l’onorificenza,
la President Unit Citation,
sembra quasi più bella.
La II Guerra Mondiale era giunta al suo epilogo con la firma del
trattato di pace tra USA e Giappone; le truppe americane, dislocate
sulle tante isole dell’oceano Pacifico, iniziavano a
smobilitare realmente soltanto dopo quella data, il 2 settembre 1945,
avvenuta diciotto giorni dopo la resa ufficiale dichiarata
dall’Imperatore nipponico Hirohito. Il 19° Reggimento
di fanteria, guidato dal tenente colonnello Thomas E. Clifford e che si
era distinto nella battaglia delle Kilay Ridges nelle Filippine, il 3
settembre, iniziava a muoversi dalla propria posizione per
raggiungere le navi che avrebbero riportato a casa l’intera
6° Armata.
L’umore dei sopravvissuti era alle stelle; camminare non dava
più fastidio, si poteva mangiare qualche biscotto senza
temere di gettarlo a terra per le raffiche di colpi dei nemici, si
rideva, e si poteva parlare con i compagni d’avventura della
vita che li aspettava tornati a casa. Durante questo viaggio a piedi il
gruppo raggiunse una zona, colpita mortalmente dagli attacchi aerei
alleati, dove la maggior parte delle abitazioni era stata abbattuta
mentre alcune, per una strana decisione del destino che le aveva
risparmiate dal bombardamento, si ergevano quasi intatte e pronte ad
accogliere i soldati del reggimento, così come specificato
nei minimi dettagli sulla mappa fornita dall’Intelligence
Militare. Gli uomini si sorpresero nel vedere delle famiglie native del
luogo ancora presenti in questo strano posto; alcune accampate in modo
molto disordinato, altre proprio stabilitesi all’interno di
queste case e, soprattutto, tutte molto disponibili nel prestare
servizio a dei soldati che fino a qualche mese prima non si facevano
scrupolo a uccidere i loro compatrioti mischiati, anche se non per loro
scelta, con le truppe nemiche. Divisi i gruppi, quattro soldati si
diressero verso una di queste abitazioni, dove ad accoglierli
c’erano una donna anziana, molto minuta, un ragazzino di
circa tredici anni e un bambino forse di sei.
«Salve signora, so che non capisce la nostra
lingua», disse Norman, uno dei quattro soldati, sorridendo in
modo da non preoccupare la donna.
Lei ripose senza battere ciglio: «Vi capisco bene, non
preoccupatevi. Entrate, sceglietevi un posto a terra, dove stendervi e
se avete bisogno di qualcosa, basterà chiamare Pacho, il mio
nipote maggiore, e lui provvederà alle vostre esigenze nei
limiti del nostro possibile».
La donna, senza aggiungere altro, si voltò entrando in casa
mentre i due ragazzini fecero segno, con il gesto della mano e con un
inchino, ai quattro militari di entrare.
Appoggiati i loro zaini, i quattro uomini si sedettero appoggiando la
schiena ai muri di quella che sembrava una grande sala: al suo interno
non c’erano oggetti, né mobili, né
sedie, né letti.
«Ragazzi che stanchezza. Il tenente è sempre
agitato, sembra che non abbia mai smesso di combattere»,
disse Greg allargando le braccia per stirare i muscoli.
«Si dice in giro, nella Compagnia, che, anche se hanno
firmato l’armistizio, ci siano ancora degli scontri a fuoco
con delle sacche di resistenza costituite da uomini che non accettano
la resa, ma che preferiscono morire in battaglia o togliersi la vita da
soli. Preferisco sgobbare e mantenere alta la concentrazione che
ritrovarmi in una situazione del genere senza essere
preparato», rispose il giovane Tony.
Steven fece una sonora risata. «Io ho sentito che i loro
fantasmi ci attaccano mentre dormiamo, quindi state attenti voi due se
vi si chiudono gli occhi», e poi, rivolgendosi al loro
superiore disse: «E lei Willis? A cosa sta
pensando?»
Norman Willis, nativo della città di Houston, aveva scelto
di seguire le orme del padre arruolandosi nell’esercito e in
quest’ambito si era distinto per le capacità
organizzative diventando, ben presto, un punto di riferimento sia per i
soldati semplici sia per gli ufficiali, tanto da ricevere il grado di
sergente prima delle sue stesse previsioni. Grazie al padre,
anch’egli molto apprezzato negli ambienti militari, aveva
ottenuto l’opportunità di servire nella Sixth
United States Army; armata con sede a Fort Sam e dislocata proprio
nella città di Houston. Ventinovenne, sposato con una
bellissima donna di nome Betty e padre di due piccoli gemelli, si
trovava a casa, per una licenza premio, quando fu annunciata dal
Presidente Roosevelt l’entrata in guerra degli Stati Uniti
contro il Giappone reo di avere attaccato Pearl Harbour senza una
dichiarazione ufficiale di guerra. Le ostilità
già divampavano in Europa da due anni ma Norman aveva
continuato a fare il suo lavoro sul suolo americano perché
il proprio paese non partecipava, almeno non apertamente, al conflitto,
ma con l’annuncio del Presidente le cose erano cambiate,
anche se non immediatamente per lui che, infatti, partì alla
volta delle Filippine soltanto tre anni più tardi.
Norman, con lo sguardo rivolto verso il basso, non rispose a Steven,
aveva solo bisogno di tranquillità e riposo dopo tutte le
cose orribili viste nell’ultimo anno su
quell’isola, a lui tanto straniera da porsi spesso la domanda
sul motivo per cui si trovasse ancora lì, nonostante il suo
ultimo scontro a fuoco con i giapponesi fosse avvenuto più
di un mese prima. Nella testa di quest’uomo ormai
c’era solo la voglia di tornare a casa dalla sua famiglia e,
perché no, decidere finalmente di chiudere con
l’esercito per iniziare a lavorare senza dover impugnare
qualche arma. Alzando lo sguardo vide il più piccolo dei due
ragazzini filippini che si avvicinava portando della frutta e che
gliela porgeva facendo fatica a tenerla in quelle piccole manine.
«Grazie. Come ti chiami?»
Il bambino non capiva ciò che gli chiedeva così
Norman, con dei semplici gesti, indicò se stesso
pronunciando il proprio nome. Il piccolo prese un foglio di carta e
scrisse il suo nome, Alon, poi, fece un sorriso mostrando la mancanza
di più denti.
Norman pensò subito ai suoi figli, a quanto fossero
fortunati a vivere in un posto tranquillo e provò pena per
il piccolo Alon, così denutrito, e che si privava di un
frutto per offrirlo a perfetti sconosciuti. Il soldato, impugnato il
suo coltello, tagliò in due il mango offrendone la
metà al piccolo che, sorpreso da quel gesto, dapprima
rifiutò ringraziando con un inchino, ma poi,
all’insistenza di questo bravo straniero, accettò
con le lacrime agli occhi.
«Sergente, non sapevo che lei fosse così
gentile», disse Steven ironicamente.
«Io premio sempre i meriti degli altri. Alon, sorridendo,
meritava di mangiare un pezzo del frutto piuttosto che rinunciarci per
me, tu, poiché ti piace essere spiritoso, meriti di fare una
bella passeggiata fino alla casa in cui si è stabilito il
tenente per raccontagli la storiella dei fantasmi assassini»,
rispose Norman con lo sguardo torvo.
Il sergente, notando che i soldati non capivano che fosse uno scherzo,
iniziò a ridere sonoramente tanto che la faccia dei tre
sottoposti cambiò fisionomia in un istante.
L’anziana donna entrò nella sala.
«Qualcosa non va signori?»
Ripresosi dalla risata Greg la rassicurò dicendo:
«Stia tranquilla, va tutto bene, non abbiamo bisogno di
niente altro. Mi scusi se le abbiamo messo paura.»
«Lei pensa davvero che dei gridolini possano mettermi paura?
Dopo che le nostre case sono state bombardate dai giapponesi, dopo che
sono state bombardate da voi americani, dopo che i miei figli sono
morti per la vostra guerra, crede che mi possa permettere di avere
ancora paura per cose così insignificanti?»,
rispose la donna mostrando nei suoi occhi la rabbia per aver perso
tutto grazie alle colpevoli azioni di persone che, forse, non sapevano
neanche dove si trovassero le Filippine sulle carte fino al momento di
sbarcare.
«Ci scusi signora se l’abbiamo disturbata e perdoni
l’atteggiamento incurante che ha avuto il soldato Houghton
nel risponderle», disse Norman, alzatosi in piedi e dopo aver
accennato a un inchino di rispetto per le perdite avute in famiglia.
La donna fu colpita dal gesto e dalle parole del sergente.
«Se ci fossero più uomini come lei non ci sarebbe
bisogno di un fucile o una pistola per risolvere le questioni
delicate», e mentre si voltò, aggiunse:
«Fra poco ci sarà buio, vi conviene dormire. Alon
ed io saremo nell’altra stanza mentre Pacho
tornerà a breve».
***
Nelle case ancora intatte rimanevano accese delle flebili luci, di vari
colori, prodotte dalle attrezzature dei soldati americani che
svolgevano il turno di guardia mentre il buio della notte, sfruttando
la mancanza della Luna coperta da grosse nubi cariche di pioggia,
circondava questo paesaggio distrutto amplificandone
l’aspetto spettrale e malinconico. Tony, appostato di guardia
all’esterno della casa, si teneva sveglio raccontandosi a
bassa voce delle barzellette, all’interno Steven e Greg
dormivano pesantemente mentre Norman, sfruttando una piccola pila in
dotazione, scriveva sulle parti bianche della lettera indirizzata
all’amata Betty, ciò che stava vivendo in quelle
ultime ore lontano di casa.
Nessuno poteva portare la mia
lettera in anticipo alla nave
così quando la
leggerai mancherà pochissimo al
mio ritorno.
In queste ultime ore
ho conosciuto delle persone del posto
e mi sono rattristato per le
loro condizioni di vita;
sapevo che questa guerra avrebbe
causato tante vittime,
ma non pensavo che la maggior
parte sarebbero state dei civili.
Se tu fossi qui in tempo di pace
sono sicuro che cercheresti di
adottare il piccolo Alon,
un ragazzino, credo, di sei
anni, provato dagli stenti,
ma così gentile ed
educato da farci sembrare dei veri bruti.
Il mio cuore di padre
è sempre stato un bel difetto vero?
Ho voglia di rivedere le faccine
buffe di Terence e Thomas,
sento la mancanza dei loro
abbracci ogni giorno,
così come sento la
mancanza dei tuoi baci.
Spero che i piccoli capiscano
perché il padre è
lontano,
che comprendano ciò
che faccio per tutti noi,
e che mi perdonino se per essere
un patriota
ho dovuto usare le armi ma
Un rumore sospetto mise in allarme Norman che, riposto il foglio nel
proprio zaino, estrasse la pistola dal fodero puntandola, insieme alla
luce della pila, verso l’entrata della sala pronto a sferrare
un colpo mortale ma, notata l’ombra minuscola che si stava
avvicinando, abbassò prontamente la sua arma. Il piccolo
Alon, muovendosi in ginocchio, raggiunse il sergente mostrandogli una
banana; tolse la buccia, la divise in due parti e ne
consegnò una metà al soldato. Norman, che
all’inizio era adirato con il bambino che, muovendosi
così furtivamente, aveva rischiato di farsi colpire, sorrise
e accettò il prezioso regalo e si mise a mangiare solo per
fargli compagnia.
«Grazie Alon, è buona», disse Norman
mentre accarezzava la testa del piccolo che, sorprendentemente, lo
abbracciò.
Il sergente stava per dire qualcosa quando, provenienti
dall’esterno, si sentirono dei colpi di fucile sparati da
poco lontano. Steven e Greg si svegliarono di colpo e imbracciarono le
loro armi mentre Tony corse in casa. «Signore, qualcuno sta
sparando dall’esterno del perimetro. Che cosa dobbiamo
fare?»
«Steven, prendi contatto con le vedette,»
ordinò Norman mentre cercava un angolo sicuro dove
nascondere il piccolo Alon, «chiedi informazioni sulla
direzione da cui provengono gli spari e se dobbiamo mobilitare un
drappello di soccorso».
All’interno della casa giunse di corsa un altro soldato che
disse: «Sergente Willis, il tenente ritiene che si tratti
soltanto di qualche sbandato della popolazione indigena alla ricerca di
cibo. Le ordina di mantenere la posizione».
«Molto bene Donner, dica di fare un passa parola tra le
abitazioni più vicine e lei raggiunga quelle più
distanti», ordinò con veemenza Norman.
Donner si allontanò velocemente dalla casa, il gruppetto dal
sergente si dispose con i fucili puntati verso l’esterno,
pronti a ogni evenienza mentre Alon, per nulla turbato, si
avvicinò a Norman che, vedendolo impassibile al rumore dei
colpi delle armi che si sentivano più ravvicinati,
capì che quel povero bambino era sordo. Lasciata la propria
posizione, Norman afferrò per mano Alon spostandosi verso il
fondo della sala per tenerlo al sicuro dietro di lui, quando Greg,
avvistata una figura in avvicinamento ma ancora nascosta nel buio,
urlò: «Qualificati o un passo ancora e sei
spacciato!»
«Io, Pacho. Io viene a casa, no spara me».
I soldati mantennero i fucili spianati e tolsero il dito dal grilletto
solo quando il viso del ragazzo fu illuminato dalle torce; Pacho, che
portava con sei una piccola sacca sgualcita da cui fuoriuscivano dei
frutti, entrò in casa senza proferire parola. Norman
osservò attentamente il ragazzino che, seduto a terra,
iniziava a svuotare lentamente il sacco, così non si accorse
che il piccolo Alon gli si era avvicinato per guardare cosa stesse
facendo il fratello più grande. Neppure Pacho si accorse
della presenza del fratellino fino a quando prese qualcosa dalla sacca
e alzò lo sguardo verso Norman che, intuendo cosa stesse per
succedere, riuscì a spingere lontano da sé il
bambino utilizzando tutta la forza che aveva in corpo, prima che
l’ordigno esplodesse.
***
Le prime luci dell’alba accarezzavano i tetti bianchi delle
piccole villette a schiera situate in uno dei quartieri più
tranquilli di Houston e le donne, mogli di soldati ancora lontani, come
ogni giorno erano già in piedi per preparare la colazione ai
figli o per sistemare la casa in modo che i propri mariti, ritornati a
casa, potessero stare tra le loro braccia più tempo
possibile. Betty stava sistemando la cucina quando, attraverso la
finestra, vide soltanto i colori di una giacca militare; corse ad
aprire l’uscio e quando capì di non trovarsi
davanti al suo amato marito ebbe una sorta di svenimento che le fece
perdere l’equilibro e solo grazie al pronto intervento di
quel soldato evitò di crollare a terra. Betty pianse tra le
braccia di quello sconosciuto che, senza parlare, attese il momento in
cui la donna si fosse ripresa.
«Signora Willis, mi chiamo Tony Bellano ed è con
profondo cordoglio che sono venuto a comunicarle la scomparsa di vostro
marito, nonché mio superiore nelle Filippine, e soprattutto
amico al quale ho tenuto la mano fino all’ultimo
istante».
«Lei era lì quando è
successo?», chiese Betty asciugandosi le lacrime.
«Sì signora, sia quando è avvenuto
l’incidente, sia nelle ultime ore di vita di vostro marito;
sono qui proprio per rispettare le ultime volontà del
sergente», rispose Tony estraendo dalla tasca due lettere
indirizzate a Betty da Norman.
La prima lettera era stropicciata, aveva parte del bordo bruciato, ma
si era salvata perché Norman l’aveva riposta nel
suo zaino; la seconda era perfettamente inserita in una busta sul cui
dorso era riportato il timbro di un ospedale militare. Betty
ringraziò Tony, attese che il giovane soldato si fosse
allontanato, chiuse la porta e si sedette sulla poltrona preferita dal
marito dove lesse la prima lettera per poi, facendosi forza, continuare
con la seconda.
Mia amata Betty,
in questo ospedale le forze mi
stanno abbandonando
e posso solo dettare
all’amico Tony cosa scrivere
perché non posso
cambiare ciò che il destino ha
scelto per me.
Questa guerra ha portato
sventura in tutte le famiglie,
non solo a quelle che, come voi,
avranno perso i loro cari,
ma anche a quelle che
accoglieranno i sopravvissuti
che faticheranno a vivere
spensierati come prima;
quando vivi ogni giorno
costringendoti a non avere paura della morte,
quando colpisci un tuo simile
per difenderti senza provare rimorso,
e quando porti sul corpo ferite
irreparabili,
in ogni istante, la coscienza
farà sentire la propria voce,
così forte che
sarà inutile chiudere le orecchie.
Io ho cercato di reprimere
questo sentimento di disgusto
e solo all’ultimo
istante sono riuscito a fare la cosa giusta
per mia scelta
salvando il piccolo Alon prima
che perdesse la vita
in una guerra che lui non capiva
e che di certo non voleva.
Spero che voi siate sempre fieri
di me perché, in fondo,
non ho buttato via la mia
umanità.
N.d.A.
- Ringrazio mystery_koopa che mi ha dato
l’opportunità di sistemare, a livello
grammaticale, questa storia.
- Ringrazio yonoi. per il suo commento che mi ha dato
l’opportunità di sistemare un errore anacronistico.
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