Lemming 1
LA
NOTTE DEI LEMMING
Prima parte
Jesús
Morales montò in sella alla sua cargo bike e prese a pedalare
lentamente lungo il marciapiede. Era un buon orario: si era fatto
buio e i turisti cominciavano a uscire dai casinò. Passeggiavano su
e giù per la Strip guardando i grandi alberghi pieni di luci, e dopo
un po’ ovviamente gli veniva fame.
Ne adocchiò un gruppetto che si
faceva fotografare davanti all’enorme piramide nera del Luxor
Hotel. Il cielo era già sufficientemente scuro e si vedeva bene il
raggio bluastro che usciva in verticale dalla cuspide dell’edificio.
Passò oltre, lasciandosi alle
spalle anche l’Excalibur, con le sue guglie dal tetto rosso e blu
che sembravano costruzioni per bambini.
Un paio di ragazzotti orientali
lo fermarono e si scambiarono selfie mentre compravano hot dog come i
tipici personaggi dei telefilm americani. Fecero la foto anche al suo
contenitore termico, su cui aveva disegnato, nera sulla superficie
bianca, la silhouette di un cane con una fiammata che gli usciva dal
culo, giusto per far capire che la sua roba era davvero
piccante.
I due ragazzotti non diedero
importanza al messaggio, o più probabilmente non lo colsero, fatto
sta che in un inglese più approssimativo del suo gli chiesero altro
chili, come se la salsa che aveva steso sulle salsicce non fosse già
abbastanza forte di suo.
Li accontentò e se li lasciò
alle spalle che rantolavano come asmatici, disposti anche a ficcare
la testa in una fontana pur di avere un sorso d’acqua.
Salutò con un cenno del capo la
Statua della Libertà posticcia davanti al NY Hotel e vendette un
paio di hot dog a una coppietta talmente impegnata a sbaciucchiarsi
che quasi dimenticava di fargli l’ordinazione. La cosa lo
indispettì, per cui prese dalla rastrelliera delle salse quella
contrassegnata con il teschio e le ossa incrociate e ne strizzò un
bel po’ sui panini. Scomparve nella folla prima che i due li
addentassero.
Ghignò tra sé e sé: niente
sesso anale per un po’, piccioncini.
Dal Caesar’s Palace uscì una
frotta di suoi connazionali che avevano fatto i soldi. Le femmine
indossavano sgargianti abiti da sera, che si tendevano su forme
perlopiù sovrabbondanti. I maschi erano rasati, vestiti di nero e
tatuati ed esibivano pesanti catene d’oro al collo e ai polsi.
Jesús
fece un rapido calcolo di quanti hot dog avrebbe dovuto vendere per
comprarsi il più semplice di quei monili e il risultato fu
sconfortante.
Considerò che invece degli hot
dog avrebbe fatto meglio a vendere cocaina come quei tizi.
Continuò a risalire la Strip e
nel passare gettò uno sguardo annoiato al Venice Hotel, con le
barche nere a forma di banana che andavano su e giù nel canale
finto.
Ricordava ancora quanto lo
avevano colpito la prima volta che le aveva viste. Ora aveva solo
voglia di cagarci dentro, in quel canale: un bello stronzo di quelli
lunghi sarebbe sembrato una barca a banana in miniatura e magari nel
buio qualche turista avrebbe anche cercato di prenderlo.
Raggiunse la Stratosphere Tower.
Come ogni sera guardò in su e si stupì nel notare che le giostre
erano tutte ferme. L’insanity pendeva immoto come una specie di
ombrello mezzo aperto e l’X-scream, che normalmente basculava nel
vuoto carico di turisti urlanti, era immobile e silenzioso.
Fu a quel punto che notò una
forma in movimento. Alzò lo sguardo e vide che si trattava di una
persona, una donna a giudicare dagli abiti ampi e svolazzanti, che
stava precipitando. Sulle prime pensò a un inconsueto
bungee-jumping, ma gli bastò un’occhiata per capire che nessun
cavo di sicurezza avrebbe frenato la caduta del corpo. “Madre
de Dios!” esclamò,
più per abitudine che per altro, giusto un attimo prima che si
udissero un tonfo sordo e poi delle urla di orrore.
Si voltò quasi con nostalgia
verso il punto in cui il corpo era atterrato, nascosto da alti
pannelli, e rimpianse di non aver avuto il cellulare pronto: a casa
si sarebbero goduti il filmato.
Era ancora immerso in quelle
considerazioni quando un secondo corpo, questa volta di un uomo,
seguì il primo.
Ci furono un altro tonfo e delle
altre urla, più forti delle precedenti, poi si udì una sirena della
polizia in avvicinamento.
Fece un rapido calcolo: suicidi,
casino, curiosi, folla. Zona transennata. Niente da mangiare per la
gente che voleva seguire lo svolgersi degli eventi.
Niente a parte i suoi hot dog, se
fosse riuscito a sistemarsi nel posto giusto.
Spinse il carretto alla base
della torre, quindi staccò dalla canna della bicicletta un tubo di
piombo che vi teneva assicurato per i momenti di necessità e si
diresse con fare deciso verso un concorrente, un altro messicano, che
si era accaparrato un posto decisamente migliore del suo e aveva un
chiosco più grande. “Smamma, qui ci sto io,” gli ingiunse torvo.
“E perché?” protestò
l’altro, “Io ero qui prima di te.”
Jesús
passò allo spagnolo: “Ma io ti spacco la faccia se non ti togli
dalle palle.”
“Chiamo la polizia!”
“Che per prima cosa controlla
se sei un irregolare.”
L'altro si mosse a disagio e
fissò lo sguardo sul tubo di piombo, che continuava a ondeggiare
sinistro a un palmo dalla sua vetrina dei panini. Ringhiò fra i
denti cavron
e hijo de puta,
peraltro attento a non pronunciare le parole in modo troppo chiaro,
poi però raccolse il carretto e si spostò di qualche centinaio di
metri.
Padrone del campo, Jesús
si installò nella piazzola, aprì l'ombrellone anche se ormai era
notte fonda e con voce stentorea cominciò a declamare: “Hot dog! I
migliori hot dog di Las Vegas! Patate fritte! Chili con carne!”
Frattanto sogguardava quasi con
affetto il nugolo di lampeggianti rossi e blu che si stava radunando
alla base della torre.
“Hot dog!” ripeté, a voce
ancora più alta. “I più piccanti! Mira
el perro, fuoco al
culo garantito!”
☺
L'agente Schneider smontò
dall'auto di servizio e per prima cosa rivolse uno sguardo torvo alla
cima della Stratosphere Tower. “Merda,” brontolò, “se quegli
stronzi avessero deciso di saltare dieci minuti più tardi, avrei
fatto in tempo a finire il turno e adesso sarei a casa mia a guardare
la partita in televisione.”
Smontando a sua volta, l'agente
Stevenson, che insieme al primo costituiva una coppia affettuosamente
definita dai colleghi SS, solennemente proclamò: “Tutti questi
tizi che salgono sui cornicioni e stanno lì a rompere le palle per
ore sono solo degli stronzi. Ti vuoi ammazzare? Fallo e non rompere i
coglioni, dico io.”
In quel momento, qualcuno balzò
dalla piattaforma del bungee-jumping, sembrò rimanere sospeso a
mezz'aria per un istante, quindi cominciò a precipitare, con gambe e
braccia allargate in quello che appariva come un comico tentativo di
rallentare la caduta.
I due poliziotti seguirono con lo
sguardo i trecento e passa metri di traiettoria, quindi Schneider
disse: “Questo è il terzo, stasera. Che cazzo c'è lassù, una
colonia di lemming?”
Stevenson si voltò a fissarlo.
“Di che?”
“Lemming. Sono quelle bestie
che a un certo punto diventano matte, saltano tutte insieme da
un'altura e si ammazzano.”
“Ma visti. Come sono fatti?”
Schneider alzò le spalle. “Boh.
Come dei topi, credo.”
“Perché saltano?”
“Te l'ho detto, diventano
matti.”
“E perché?”
“Che cazzo ne so? Se lo sapevo,
facevo il fottuto veterinario, non lo sbirro.”
Memori della strage del Mandalay
Hotel, andarono al bagagliaio, infilarono i giubbotti antiproiettile
e presero i fucili, poi Stevenson disse: “Guarda là, c'è quel
paraculo di Morales. Andiamo a prenderci un panino?”
Schneider annuì. “Per me, qua
si fa mattina. È meglio che andiamo a rifornirci prima che quel
mangia-tortillas vuoti la dispensa.”
“Ti ricordi quello che era
salito sul cornicione e voleva che chiamassimo sua moglie?”
“Pezzo di merda. Cinque ore a
parlare di cazzate per farlo scendere. Giuro che se alla fine non si
fosse buttato da solo, l'avrei sbattuto giù io con le mie mani.”
“Da solo? Ma non sei stato tu a
dirgli che sua moglie era a spassarsela alle Bahamas con dieci negri
superdotati?”
“E magari era anche vero.”
Camminarono per un po' in
silenzio, poi Stevenson considerò: “Però fece un bel botto, eh?”
“Sembrava che si fosse buttato
un cazzo di tricheco.”
“Fu lui che fece fuori la
macchina di Ross?”
“Nah. Una vecchia del cazzo gli
attraversò la strada durante un inseguimento.”
“Queste vecchie rincoglionite
creano sempre problemi.”
☺
Morales stava consegnando un paio
di panini a una coppia. Per quanto i due lo infastidissero –
continuavano a guardare il telefonino invece di guardare lui –
aveva rinunciato alla salsa super-piccante, per il semplice motivo
che non poteva allontanarsi da quel posto e non voleva che i due
spargessero la voce che la sua roba era immangiabile.
Probabilmente, considerò
comunque, avrebbe potuto spalmare sui panini anche la merda di
piccione, perché i due erano completamente assorbiti dalla visione
di una pagina Facebook.
Guardavano il cellulare come i re
magi avrebbero guardato Gesù bambino e ogni tanto si scambiavano
smozzicate esclamazioni di stupore.
“Ma...”
“Guarda qui!”
“Oh, cazz...”
“Noo! Non
ci credo...”
L'uomo spostò l'attenzione dalla
coppietta col telefonino a una coppietta decisamente meno simpatica:
gli agenti Schneider e Stevenson, appropriatamente noti come SS, si
stavano avvicinando.
“Buona sera,” li salutò
compunto, ripassando nel frattempo mentalmente tutte le scuse in
grado di giustificare la sua presenza in quella piazza, o più in
generale sul suolo statunitense.
Prima che i poliziotti potessero
rispondere, la ragazza della coppietta, gli occhi spalancati fissi
sullo schermo del telefonino, emise uno squittio particolarmente
acuto e si mise la mano sulla bocca.
Schneider buttò un occhio sul
filmato, forse aspettandosi un porno particolarmente spinto, ma
appena vide di cosa si trattava in tono professionale disse: “Faccia
vedere, signorina.”
Approfittando del fatto che
nessuno faceva caso a lui, Morales aggirò il chiosco e si piegò a
sua volta sull'apparecchio.
Il filmato ripartì. Una donna
con un lungo abito chiaro era in piedi contro un cielo notturno. Alle
sue spalle si estendeva la distesa di luci della città. Il vento le
scompigliava i capelli sciolti.
La donna rivolse a chi la stava
filmando un sorriso tranquillo, poi cominciò a recitare:
Possiamo passare la vita a
farci dire dal mondo cosa siamo.
Sani di mente o pazzi.
Stinchi di santo o
sesso-dipendenti.
Eroi o vittime. A lasciare che
la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi.
A lasciare che sia il passato
a decidere il nostro futuro.
Oppure possiamo scegliere da
noi.
E forse inventare qualcosa di
meglio è proprio il nostro compito.
Tacque per qualche secondo,
allargò le braccia come una specie di Cristo Redentore quindi
concluse: “Ho inventato qualcosa di meglio: scelgo da me. Decido da
sola del mio futuro.”
Dopodiché si lasciò cadere
all'indietro.
“Merda!” esclamò Stevenson
nella generale costernazione. Alzò lo sguardo sulla torre come per
avere una conferma che fosse proprio quella la struttura da cui la
donna si era buttata.
“Io l'ho vista con questi
occhi,” confermò Morales, fissando tutti con aria di importanza.
“È stata la prima che è saltata.”
☺
Quando i due agenti, ognuno con
un panino in mano e un altro in tasca, raggiunsero i colleghi, la
folla di volanti e ambulanze era aumentata ancora. La zona era stata
transennata e già frotte di curiosi si assiepavano contro le
barriere come se fossero stati a un concerto rock.
Il sergente Wilkes stava parlando
in tono concitato al cellulare di servizio.
“No che non ho fatto
irruzione!” sbraitò a un certo punto. “Vuole che quei pezzi di
merda saltino giù in massa? Ci parla lei, poi, coi giornalisti?”
Il graduato camminò su e giù un
paio di volte, come faceva solo quando era bestialmente incazzato.
Alla fine chiuse la comunicazione, buttò il cellulare sul sedile
dell’auto e ringhiò: “Vaffanculo! Possibile che me le devo
beccare tutte io, queste rogne di merda?” Si voltò a squadrare i
due poliziotti, poi proseguì: “Settantadue ostaggi del cazzo,
tutti asserragliati sulla cima della Stratosphere, vaffanculo a
loro!”
I due agenti si scambiarono
un’occhiata, poi Schneider disse: “Beh, chiuda tutti gli accessi,
sergente. Prima o poi dovranno scendere, in un modo o nell’altro.”
“Me le immagino già, le
associazioni politicamente corrette del cazzo, a frignare sulla
brutalità della polizia,” replicò Wilkes.
“La polizia deve anche essere
brutale, quando serve,” intervenne Stevenson. “Sono i pompieri
che trattano qualsiasi stronzo con i guanti bianchi.”
“Anche perché i pompieri
raramente hanno a che fare con negri strafatti di crack che gli
puntano delle pistole in faccia,” soggiunse Schneider.
Tutti annuirono, poi Wilkes
riprese: “La Centrale ci manda un negoziatore,
nientemeno.”
Schneider alzò un sopracciglio
con aria scettica. “Uno di quei tizi che vanno dai sequestratori e
li distraggono finché un cecchino non riesce a stenderli?”
“Già.” Il sergente emise un
sospiro che sembrava l'ultima esalazione di un bufalo morente.
“Settantadue, ce ne sono, di quegli stronzi. Settantadue. Mi
faranno il culo a strisce.”
“Ormai sono sessantanove,
capo,” gli fece notare l'agente.
☺
Il negoziatore arrivò due
suicidi dopo, quando ormai ai piedi della Stratosphere c'erano una
distesa di poliziotti e paramedici in fibrillazione, più giornalisti
che alla notte degli Oscar e un pubblico che sembrava quello di un
concerto dei Queen. Gli ospiti dell'albergo, evacuati in emergenza,
rumoreggiavano in un angolo miancciando interventi legali.
L'uomo dava l'idea del papà
buono, o del simpatico curato di campagna: sulla cinquantina, piccolo
di statura, un po' sovrappeso, brizzolato, espressione pacifica.
Emanava una potente aura di 'Tranquillo,
sono qui. Con me puoi parlare.'
Schneider lo scrutò con aria
critica, quindi proferì: “Non funzionerà.”
Stevenson scosse la testa. “No
davvero. Che cazzo crede di fare quello? È evidente che gli idioti
lassù non li sta spingendo nessuno.”
“Già, basta guardare i
filmati.” L'agente lanciò una fugace occhiata a un gruppetto di
ragazzi che aveva conquistato la prima fila, ma nondimeno era
avidamente chino su un cellulare. “Chissà quanto ci metteranno a
oscurare la pagina Facebook dove li pubblicano?”
“Bah. Zuckerberg di merda. Se
compare un porno, a farlo sparire ci mettono dieci secondi.”
Schneider annuì e imprecò:
“Pezzi di merda.” Si voltò verso Morales, che con un sorriso che
gli andava da un orecchio all'altro quasi faticava a gestire la
frotta di clienti assiepata intorno al suo carretto, e disse: “A
proposito di porno, non ti sembra che il mangia-tortillas assomigli a
Ron Jeremy?”
Stevenson si voltò a fissarlo,
poi rispose: “Cazzo, sai che non ci avevo fatto caso? È uguale.
Stessi capelli unti, stessi baffi.”
“Stessa pancia.”
“Chissà se anche la dotazione
è la stessa?”
L'altro fece una breve risata.
“Perché, ti interessa, per caso?”
“Vedi di non fare lo stronzo,”
replicò il primo piccato. “Sei stato tu a tirare fuori la faccenda
di Ron Jeremy.”
“Tutti i messicani assomigliano
a Ron Jeremy.”
In quel momento dall'alto
provenne un urlo che poteva somigliare a “Io scelgo!” e poi un
tizio saltò nel vuoto.
I due agenti non seguirono
nemmeno più la traiettoria.
“Imbecille,” commentò
Stevenson quando si udì il tonfo.
“Stronzo,” rincarò
Schneider. “È colpa di questi idioti se adesso non sono a casa mia
a bermi una birra e a guardare la partita.”
George Tabacchi, capo negoziatore
della Polizia di Las Vegas, fissò il sergente Wilkes con aria
comprensiva e gli chiese: “Lei è molto stressato, vero?”
Il graduato gli rivolse
un'occhiata velenosa. “Che cazzo fa, Tabacchi, le prove?”
L'altro annuì col sorriso di chi
si aspettava esattamente quella risposta, quindi gli assicurò: “Ma
la capisco. Anch'io lo sarei, al posto suo, se dovessi gestire tutto
questo.”
Wilkes alzò gli occhi al cielo.
“Senta, il matto è lassù. Veda di convincerlo a scendere prima
che qua sotto si riempia di cadaveri spiaccicati, vuole?”
Tabacchi sorrise come se il
sergente gli avesse appena augurato di fare Jackpot in tutti i casinò
della Strip, poi con calore gli rispose: “Ma certo, è un ottimo
suggerimento. I suoi uomini hanno già approntato una postazione, non
è vero?”
Il graduato si limitò a
indicargliela con un cenno del capo.
“Lo immaginavo, sono molto
efficienti.” Poi, in tono premuroso: “Nel
frattempo faccia salire degli agenti, ma per le scale di servizio, mi
raccomando. Non vorrei che gli ascensori in movimento mettessero il
soggetto sotto pressione.”
“Ok.”
“Sia gentile ancora una volta:
dica loro di non intervenire assolutamente, se non do il via libera.
La situazione è molto delicata.”
Wilkes si limitò a emettere un
grugnito.
“Non faccia avvicinare gli
elicotteri.”
“E che cazzo! Vuole anche un
pompino con l'ingoio?”
Tabacchi mantenne un cauto
silenzio.
☺
Schneider diede un'occhiata alle
scale che salivano e disse: “Col cazzo.”
Al suo fianco Stevenson, che
stava sbocconcellando distrattamente il secondo panino, chiese: “Col
cazzo, cosa?”
“Che mi faccio cento e passa
piani di scale.”
“Wilkes ha detto che il tizio
non vuole che si usino gli ascensori.”
“E io me ne sbatto i coglioni
del sergente, del tizio e di tutti i fottuti lemming che ci sono là
sopra. Non ci penso neanche a salire per le scale.”
Stevenson guardò in su. “In
effetti...”
“Sai che ti dico?” concluse
Schneider, “Che io adesso prendo l'ascensore e fanculo.”
L'altro appallottolò la carta
del panino e con un preciso lancio la spedì attraverso la porta,
verso la postazione allestita per il negoziatore, poi disse: “Ok,
fanculo le scale. Andiamo.”
☺
Il negoziatore raggiunse un
portatile e vi si sedette davanti. Sullo schermo c'era il primo piano
di un uomo vestito di nero. La scarsa luce rendeva difficile cogliere
i suoi lineamenti, inoltre aveva una specie di maschera che gli
copriva la metà inferiore del volto. Una corrente d'aria gli agitava
appena i capelli, lunghi fin sotto le orecchie. Dietro le sue spalle
si intravedevano i tavolini e il bancone illuminato di verde dell'Air
Bar. Tutt'intorno, le vetrate panoramiche del locale mostravano la
distesa di luci della città, fantasmagorica da quell'altezza.
Secondo le informazioni raccolte,
doveva essere una specie di santone e quelli che stavano saltando
erano i suoi adepti.
Tabacchi gli rivolse il suo
sorriso più amichevole, quindi disse: “Buona sera, Clifford, io mi
chiamo George.”
“Jim,” fu la risposta
dell'altro.
Il negoziatore si protese appena
in avanti. “Scusami, credo di non aver capito bene.”
“Jim. Ho assunto questo
pseudonimo quando ho capito qual era la mia strada.”
Tabacchi annuì come se la
risposta spiegasse ogni cosa, come se fosse proprio quella che stava
aspettando. “La tua strada,” ripeté. “Molto bene, trovo che
sia bello avere una strada da seguire, dà senso alla vita. Ti
andrebbe di parlami un po' della tua, Jim?”
Gli occhi dell'uomo si strinsero
leggermente come per un sorriso. “Ma certo, perché no?”
Il negoziatore pensò agli uomini
che stavano salendo, e che avevano bisogno di tempo per raggiungere
l’ultimo piano. Sorrise di nuovo. “Beh, ti ascolto.”
Dalla finestra panoramica alle
spalle di Jim si vide distintamente la sagoma di un corpo che
precipitava verso il basso, qualche secondo dopo su udì il tonfo.
Gli occhi dell'uomo si fecero
ancora più stretti, gli comparvero addirittura delle piccole rughe a
raggiera sulle tempie. “Ci sei ancora, George?” si informò in
tono cortese.
Tabacchi annuì. “Certo.”
Jim emise una risatina. “Avevi
una faccia...”
“Ecco, vedi... non sono tanto
abituato a certe cose. Sono rimasto un po' scosso, capirai.”
Le sopracciglia dell'uomo si
sollevarono. “Come mai?”
“Queste persone... ecco...
perché vuoi che saltino nel vuoto? Pensi che non potresti ottenere
quello che vuoi senza ucciderli?”
La risposta fu categorica: “No.”
“Possiamo parlarne? Magari
posso aiutarti a realizzare quello in cui credi. Magari possiamo
provarci insieme.”
“Ma tu mi stai già aiutando.
Tutti voi mi state aiutando.”
“Che intendi dire? Temo di non
riuscire a seguirti.”
Per tutta risposta, Jim chiese:
“Conosci i Veri Credenti?”
“I... Veri Credenti?” fece
eco George perplesso. Intorno a lui, fuori dal campo della
videocamera, ci fu un frenetico battere di tastiere alla ricerca di
notizie. Infine, un agente gli mostrò una schermata su cui compariva
la storia della setta russa del seicento.
Il negoziatore annuì e disse:
“Quindi stiamo parlando di un problema religioso?”
Jim parve deluso. “No. Masada?
Sai qualcosa di Masada?”
L'altro si illuminò. “Masada,
certo! La miniserie TV con Peter O'Toole, giusto?”
“Sbagliato.”
Tabacchi si passò una mano sulla
fronte per tergersi il sudore che cominciava a imperlarla. “Allora
temo di non capire. Puoi aiutarmi?”
“Vedrò di essere più chiaro.
Jim Jones. Ti dice niente questo nome?”
Di nuovo ci fu un frenetico
digitare, poi su tutti gli schermi comparvero file di siti sul
massacro del 1978.
Il negoziatore si costrinse
addirittura a sorridere. “Jim come Jim Jones. Ti chiedo scusa,
avrei dovuto capirlo subito. Vuoi creare una nuova società? È per
questo che stai facendo tutto quanto?”
“No.”
Da dietro le spalle di Jim
provenne una voce femminile che in tono ispirato gridava: “Possiamo
passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo. Sani di mente o
pazzi, stinchi di santo o sesso-dipendenti...”
Una voce infantile la interruppe:
“Mamma, che cos'è un sesso-dipendente?”
Inalterata, la prima voce
proseguì: “Eroi o vittime!”
“Mamma, ho paura, perché
andiamo così vicino al parapetto? Non voglio cadere!”
“A lasciare che la storia ci
spieghi se siamo buoni o cattivi!”
“No, mamma! Torniamo indietro,
ho paura!”
“Possiamo scegliere da noi!”
“No, aiuto! Mamma, non voglio!
No!” La voce del bambino si trasformò in un urlo raccapricciante.
Due figure passarono a tutta velocità fuori dalla finestra
panoramica, poi ci furono due tonfi, uno più grosso e uno più
piccolo.
“Stavamo dicendo, George?”
s'informò soavemente Jim.
Tabacchi si costrinse a
riflettere più veloce che poteva. Conosceva la situazione: fare
irruzione significava scatenare il suicidio di massa, ma d’altra
parte aspettare significava vederli saltare uno dopo l’altro dopo
aver proferito le loro massime deliranti, magari coi figli in
braccio, magari tirandosi dietro gente che non aveva la minima
intenzione di buttarsi.
“Perché lo fai?” chiese.
“Voglio dire, è un credo di qualche genere? Pensi che ci sia un
paradiso nel quale andrete tutti insieme? È la stella Sirio che vi
sta chiamando?”
Jim scosse la testa. “Nessuna
di queste cazzate.”
“Allora spiegami di cosa si
tratta, per favore. L’ultimo che è saltato era un bambino,
Jim.”
“Ho notato,” rispose lui con
distacco.
“E allora? Vuoi ammazzare i
bambini?”
“Tutti dobbiamo morire.”
“Sì, ma...” esordì di getto
Tabacchi, pensando ai suoi due figli. Poi ricordò il motivo per cui
si trovava lì, inspirò, espirò e in tono pacato proseguì:
“Correggimi se sbaglio: questa mi sembra più che altro una tua
questione personale, Jim. Dico bene?”
“Diciamo di sì.”
“E allora, perché non fai
scendere gli altri?”
Jim alzò le spalle, quindi
rispose: “È semplice: perché non vogliono.” Si alzò in piedi
portandosi dietro il telefonino col quale stava comunicando tramite
videochiamata, salì alcuni gradini, si affacciò su una terrazza in
cui si trovavano almeno una cinquantina fra uomini e donne e chiese:
“Amici, chi di voi vuole tornare nel mondo?”
Il coro dissonante di varie
espressioni di diniego fece tremare per un attimo l’impianto audio
del computer di Tabacchi.
Successivamente, i presenti
cominciarono a scandire in coro: “Possiamo
passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo. Sani di mente o
pazzi. Stinchi di santo o sesso-dipendenti. Eroi o vittime. A
lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi...”
Jim li abbandonò alla loro
recitazione, tornò alla sedia nel bar, si accomodò e chiese: “Hai
sentito?”
“Sì,
certo.”
“A
me sembra che non vogliano scendere. Perlomeno non con l’ascensore.”
Fece una risatina. “Tu che ne dici?”
La risposta di Tabacchi giunse di
getto, aggirando alla grande di ogni regola della negoziazione: “E
allora spiegami, per favore. Fammi capire, perché tutto questo mi
sembra assurdo.”
Gentilissimo, l’uomo rispose:
“Ma certo. Vedi, è tutta la vita che mi preparo a questo. È tutta
la vita che studio come controllare gli altri, come spingerli a fare
quello che voglio dando loro l’impressione di essere essi stessi a
volerlo disperatamente. Ho studiato storia delle religioni,
psicologia, filosofia, comunicazione, motivazione e sociologia. Ho
raccolto i maggiori miti contemporanei, ne ho fatto una specie di
dottrina, ho cominciato a insegnarla alla gente e in breve ho avuto i
miei seguaci. Questa è una società povera di mitologie, affamata di
rituali, vuota. Convincerli ad abbracciare le mie idee è stato
facilissimo.”
“Quindi
la tua cosa sarebbe, una specie di religione new age?”
Jim alzò le spalle, gli occhi
gli si strinsero di nuovo come per effetto di ilarità. “Ma no,
figurati. La religione non è altro che l’oppio dei popoli. Io
voglio entrare nella Storia.”
“E
come conti di farlo?”
“Scatenando
un suicidio collettivo. Certo, non saranno i novecento della Guyana,
ma sono pur sempre una settantina, più o meno quelli di Waco. È un
bel numero. Inoltre, la location
è molto più suggestiva, non trovi?”
Un agente mostrò a Tabacchi un
tablet su cui era aperta la pagina di Wikipedia che parlava del
massacro di Waco, in cui i settantasei membri della setta dei
davidiani, assediati dalle forze speciali, avevano dato fuoco al
ranch in cui vivevano ed erano periti nell’incendio.
“Aspetta,”
disse il negoziatore, con una certa precipitazione nella voce.
“Aspetta, non puoi fare una cosa del genere.”
“Perché?”
“Non
puoi spingere settanta persone al suicidio solo per entrare nella
Storia, come dici tu.”
“Non
vedono l’ora di saltare, non vedono l’ora di scegliere, di
decidere da soli del loro futuro.”
“Solo
perché tu li hai plagiati!”
Jim emise un teatrale sospiro.
“Chi può dire di non essere plagiato da qualcosa o qualcuno al
giorno d’oggi? Loro almeno moriranno felici, convinti di essersi
liberati del controllo e delle imposizioni della società.”
“Ma
non è così.”
“Magari
sì. Magari siamo noi che non abbiamo capito niente, i veri saggi
sono loro.”
Il negoziatore respirò
profondamente. Ricordò a se stesso che aveva trattato con
dirottatori strafatti di crack, con rapinatori chiusi nei caveau
assieme a decine di ostaggi, persino con un’infermiera che si era
asserragliata nel reparto di neonatologia pieno di incubatrici e
minacciava di spegnerle tutte. Si costrinse a non cedere
all’emotività. Il tizio mascherato era chiaramente un narcisista
con una struttura megalomanica di personalità e come tale doveva
trattarlo.
In tono tranquillo chiese: “Puoi
dirmi quando hai sentito per la prima volta questa esigenza di
controllare gli altri?”
“Andiamo indietro nel tempo,”
fu la risposta, proferita col tono di una banale conversazione. “A
scuola lessi Demian, di Hesse, e capii tutto.”
Tabacchi annuì, tuttavia chiese:
“Puoi essere più preciso, per favore?”
“Hai presente l'interpretazione
di Demian del mito di Caino e Abele? Il marchio impresso sulla fronte
del fratricida non è segno di colpevolezza, ma di superiorità e
forza di carattere.”
“È questo segno che senti di
avere, Jim?”
“Avrei potuto diventare
un serial killer,” proseguì l'uomo, ignorando la domanda, “Avrei
potuto produrre snuff movie, ma a che pro? Che gusto c'è a uccidere
un corpo? Non c'è controllo in questo, non c'è superiorità. Dire a
qualcuno che farebbe bene a uccidersi e vederlo saltare da una torre
di trecento metri, felice di farlo e convinto che sia la cosa più
giusta e migliore: questo è controllo, questa è superiorità.”
“Ed è questo che stai
cercando?”
“La Storia dovrà fare i conti
con me. Potrà chiamarmi mostro, ma non potrà ignorarmi.”
“Ci sono altri modi per non
essere ignorati dalla Storia, modi che non comportano la morte di
persone innocenti.”
Jim alzò le spalle come di
fronte a una considerazione molto sciocca. “Questo è solo stupido
buonismo. La Storia va avanti sulla morte di innocenti,
come li chiami tu. Cento, mille, un milione muoiono affinché uno
possa vivere in eterno.”
“Beh, Fleming non ha ucciso
nessuno, eppure la sua memoria vivrà in eterno.”
“Ah, sì? Ferma cento persone
per strada e chiedi loro se sanno chi era Fleming, poi fermane altre
cento e chiedi loro se sanno chi era Hitler. Vogliamo scommettere su
quale sarà il gruppo che ti darà più risposte positive?”
Tabacchi annuì con l'aria del
cacciatore che ha appena preso di mira il cinghiale. Dovette faticare
per non sorridere fra sé e sé nel momento in cui si preparava a
sparare il siluro. Poi chiese: “E secondo te, Jim, quanti sono i
passanti che sanno chi erano Jim Jones o David Koresh? Più o meno di
quelli che sanno chi era Fleming?”
Alla domanda seguirono non meno
di venti secondi di silenzio, durante i quali si udirono
distintamente in sottofondo le frasi del proclama sulla libertà di
scelta recitate da due voci. Subito dopo, due corpi sfrecciarono
verso il basso.
Infine, Jim con calma chiese: “Mi
stai provocando, George? Vuoi sapere fino a che punto sono disposto a
spingermi?”
Il negoziatore deglutì. Gli
venne in mente un filmato che aveva visto su Youtube: un tizio
tagliava un albero, ma quando gli dava il colpo per farlo cadere,
esso invece di abbattersi sul prato si inclinava, dapprima con
estenuante lentezza e poi sempre più veloce, verso il tetto della
casa che aveva a fianco e infine vi piombava sopra sfasciando tutto.
Si rese conto con orrore di aver
appena dato la fatidica spintarella al tronco. “No, io...” si
trovò a balbettare.
Con surreale tranquillità, Jim
gli rispose: “Sono più di cento piani e ci sono tre ascensori, io
sto per uscire sulla terrazza. Pensi che i tuoi riusciranno ad
arrivare su prima che l'ultimo di questi stronzi sia saltato urlando
Geronimo?”
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