Lemming 2
Salve
gente,
eccoci alla fine della vicenda,
un enorme grazie a tutti coloro che mi hanno seguito e commentato.
Rimando alla fine del capitolo per gli spiegoni.
Seconda parte
Un piano sotto l'Air Bar, padroni
del ristorante evacuato, Schneider e Stevenson pescavano
distrattamente ghiottonerie dal carrello degli antipasti e intanto
parlavano fra di loro.
Silenziata quasi del tutto, la
radio di servizio che portavano appesa alla spallina gracchiava di
tanto in tanto qualche concitata comunicazione.
“Il
problema è che qui la sicurezza fa schifo,” disse il primo. Si
fece scivolare in gola un'ostrica, le mandò dietro una mezza birra
per non farla sentire troppo all'asciutto, poi proseguì: “Ci sono
i metal detector come in aeroporto, ma lo sai cosa successe a uno che
conosco?”
“No,
cosa?”
“Beh,
il tizio è un fotografo, ok? Foto d'arte, roba del genere.”
“Donne
nude?” chiese Stevenson speranzoso.
“Nah,
paesaggi. Comunque le vende e ci tira su un bel po' di verdoni.”
Altra pausa, altra ostrica. “Insomma, questo tizio va su per fare
le foto notturne. Anche un idiota sa che per fare le foto notturne ci
vuole il treppiede, dico bene?”
“Certo.”
Stevenson provò a sua volta un'ostrica, ma dopo tre secondi dovette
appropriarsi di un tovagliolo e sputarcela dentro. Optò per nachos e
guacamole.
Schneider
proseguì col racconto: “Insomma, il tizio sale su, passa il metal
detector e ovviamente gli beccano il treppiede che ha nello zaino.
Scoppia il casino, manco avesse cercato di portare su una nucleare
tattica. Quelli della security gli dicono che deve portarlo giù al
guardaroba. Il tizio fa: 'e sticazzi. Ve lo lascio qui un attimo e
intanto vado a fare due foto, poi lo riprendo quando torno giù.'
Ancora peggio. Salta su il capo di quegli idioti e fa: 'non possiamo
assumerci la responsabilità.' Gli affibbiano una squinzia che lo
accompagna giù al guardaroba, che rispetto al punto in cui si
trovava il banco controlli era praticamente nel culo del mondo. Lui
da bravo lascia il suo treppiede, si fa dare la ricevuta e quando è
a posto la squinzia gli fa: 'allora ciao, eh?' e se ne va. Lui torna
su, i tizi della security lo vedono arrivare da lontano, sempre col
suo zainetto in spalla, gli fanno vedere i due pollici alzati per
fargli capire che era stato bravo e non
lo fanno ripassare sotto il metal detector. È andato su senza fare
altri controlli.”
Tra un nacho e l'altro, Stevenson
si concesse una risata. “Cioè, quello poteva essere andato a
recuperare qualsiasi cosa, anche la famosa nucleare tattica, e la
security l'ha fatto passare senza controllarlo?”
“Te
l'ho detto, sono dei cretini.”
“Già.”
Stevenson guardò distrattamente la porta che dava sulle scale e
disse: “Chissà a che piano saranno gli altri?”
“Boh,
cazzi loro,” rispose Schneider. “Hai visto gente passare?”
“Un
paio.” L'altro indicò la vetrata panoramica con un nacho carico di
guacamole. “Di là. Sembravano un uomo e una donna, col buio non ho
visto bene.”
“Teste
di cazzo.”
“Già.”
Altri corpi sfrecciarono.
“Mi
sembra che ne stiano cadendo un po' troppi,” constatò Schneider.
Stevenson
ghignò. “Fanno
i lemuri.”
“Non
lemuri: lemming.”
“Sempre
bestie strane sono. Cazzo facciamo? Io ho il cellulare scarico.”
“Che
te ne fai del cellulare?”
“Per
le foto, se riesco a beccarne qualcuno.”
In quel momento, provenne dalle
radio una comunicazione concitata: “Stato d'allarme! Fare irruzione
immediatamente!”
I due, uno con un'ostrica e
l'altro con un nacho ancora in mano, si scambiarono un'occhiata.
“Irruzione?”
ripeté Schneider. Ingoiò il mollusco facendo il rumore di un sifone
ingorgato. “Che cazzo di irruzione vuoi che facciano quelli là?
Saranno al cinquantesimo piano, con la lingua che gli arriva per
terra. Andiamo su a vedere, va'.” Sfoderò la pistola e si diresse
a grandi passi verso l'ascensore.
☺
Sempre con l'immagine dell'albero
che cadeva davanti agli occhi, il negoziatore scattò in piedi.
“E
adesso dove vai?” gli chiese Jim in tono ironico. “A mettere le
reti tutt'intorno alla torre?”
Tabacchi si piantò con le mani
ai lati del portatile e lo fissò con durezza. “Vengo su,” si
limitò ad annunciare, quindi raggiunse gli ascensori.
Chiuso nella cabina, l'uomo
ascoltava la musichetta di sottofondo e fissava le pubblicità delle
varie attrazioni della torre che si susseguivano una dopo l'altra
sullo schermo a cristalli liquidi. Per quella settimana, il
bungee-jumping era scontato.
Regalato,
direi,
si trovò a pensare, nonostante gli innumerevoli corsi di
assertività, empatia e ascolto positivo frequentati.
Sollevò lo sguardo sul display:
i piani aumentavano con velocità crescente. Si mosse a disagio,
cercando di contrastare la sensazione che una mano enorme lo
schiacciasse sul pavimento.
Terapia d'urto. Per quanto nella
sua carriera non gli fosse mai capitato di dovervi fare ricorso,
aveva letto da qualche parte che quando tutto il resto falliva,
quando il criminale decideva di mettere comunque in atto il suo
piano, quello era l'unico tentativo che rimaneva da fare. Poteva
darsi che messo così brutalmente di fronte alle proprie
responsabilità, chi stava per compiere il gesto estremo decidesse di
desistere.
Oppure poteva darsi di no, ma
tanto in quel caso la situazione non avrebbe comunque potuto
peggiorare.
Il display si fermò sul 108, le
ante si schiusero adagio. Tabacchi lesse le indicazioni che si
trovavano sulla parete, quindi percorse un corridoio e raggiunse una
porta alla cui sommità si trovava un'insegna luminosa che recitava
'Air Bar.'
La varcò.
Al di là vi era un'ampia sala in
penombra. Riconobbe il bancone illuminato di verde e le vetrate
panoramiche. La sedia su cui sedeva Jim era vuota. Si guardò
intorno, poi tese l'orecchio e udì dei clamori, come di parecchie
persone che stessero urlando tutte insieme.
Seguendo le voci arrivò alla
scala che conduceva alla terrazza panoramica.
I
due agenti lo videro passare. Stevenson fece per seguirlo, ma l'altro
lo trattenne per un braccio. “Lasciamo che Papà Orso si diverta,”
ghignò. “Io quei negoziatori di merda non li ho mai sopportati,
quindi prima
gli andiamo dietro pian piano e vediamo cosa fa, poi,
se mai, interveniamo.”
“E
se il tizio lo fa secco?”
“Uno
stronzo di meno.”
I due si incamminarono
lentamente.
Dopo un po’, Schneider ripeté:
“Io non li ho mai sopportati, quei cazzo di padreterni. Arrivano
con la puzza sotto il naso, sanno tutto loro, sono bravi solo loro.
Hanno la pretesa di dare ordini ad agenti che stanno sulla strada
tutti i santi giorni, quando magari sono dieci anni che non sentono
uno sparo se non in televisione.”
Dall’alto cominciarono a
giungere clamori sempre più concitati.
“Mi
sa che stavolta ce lo togliamo dalle palle,” considerò Stevenson.
“Beh,
andiamo almeno a goderci lo spettacolo,” fu la risposta di
Schneider, che poi soggiunse: “Tira fuori il cannone: non si sa mai
cosa combinano quei fottuti suicidi, quando decidono di farla finita.
Capace che cercano di tirare sotto anche uno di noi.”
“Se
ci provano, sperimenteranno il suicidio per interposta persona.”
“Sarebbe?”
“Li
faccio secchi io, sparandogli in faccia.”
“Ottima
scelta.”
☺
I l negoziatore si lanciò verso
la scala della terrazza con tutta la velocità che i chili di troppo
gli consentivano. Salì i gradini incespicando, mentre i canti e le
grida si facevano di attimo in attimo più forti.
Già udiva dei vibranti ‘Io
scelgo,’ gravati da un inquietante effetto doppler. Le grida si
succedevano a grappoli, prima due, poi tre, poi altri due, poi
quattro...
Arrivò in cima alla scala e
quando fu sulla soglia della terrazza si offrì ai suoi occhi uno
spettacolo granguignolesco: uomini, donne e anche bambini erano
aggrappati ai parapetti e tutti ripetevano con foga il mantra del
loro maestro:
Possiamo
passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo.
Sani
di mente o pazzi.
Stinchi
di santo o sesso-dipendenti.
Eroi
o vittime. A lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o
cattivi.
A
lasciare che sia il passato a decidere il nostro futuro.
Oppure
possiamo scegliere da noi.
E
forse inventare qualcosa di meglio è proprio il nostro compito.
Le voci erano perlopiù alterate:
incrinate dal pianto, non necessariamente di dolore, o vibranti di
fanatismo. Nonostante il vento, la zona emanava penetranti odori
umani: urina, sudore, il sentore acre del vomito.
Ogni tanto, qualcuno scavalcava
la barriera, si fermava oltre il parapetto qualche secondo a braccia
aperte e tra le acclamazioni degli altri si lasciava cadere.
Jim passeggiava su e giù con
aria soddisfatta, attento a evitare le chiazze di vomito o i convulsi
abbracci dei suoi seguaci, ai quali si limitava a indicare il
parapetto prima che essi giungessero a sfiorarlo.
“Fermi!”
urlò il negoziatore con quanto fiato aveva in gola. “Fermi! Ci
sono altre soluzioni, possiamo parlarne insieme, possiamo capire! Ci
sono tante cose che si possono fare, prima di decidere di morire!”
Tutti si voltarono a fissarlo, la
scena sembrò cristallizzarsi in una specie di quadro di Ensor, in
cui mille facce stralunate guardavano tutte nella stessa direzione.
“Possiamo
parlare,” ripeté Tabacchi, facendo qualche passo avanti. Gli
adepti, che si erano avvicinati, si ritrassero come una specie di
marea. “Possiamo capire insieme cosa fare,” insisté il
negoziatore, catturando ora l’uno ora l’altro degli sguardi che
lo stavano seguendo, e che perlopiù erano accesi di furore mistico.
Passarono alcuni secondi di
silenzio, durante i quali si udì solo il rotolare di qualche
cartaccia spinta dal vento, poi una donna fece un passo verso di lui.
Era un’afroamericana di mezz’età, obesa, alta non meno di un
metro e ottanta. I capelli le si appiccicavano alla testa per effetto
del sudore, sulle guance aveva righe di lacrime ormai disseccate.
Gli occhi nerissimi lasciavano
vedere un’ampia porzione di sclera, il che le conferiva
l’angosciante espressione di un vitello al mattatoio.
“Io
scelgo,” disse. Fece un altro passo.
Tabacchi tese una mano a
incontrare quella che la donna gli stava porgendo, le dita si
intrecciarono, ella strinse la presa con tale forza che il
negoziatore dovette impedirsi di strattonare indietro il braccio. “Io
mi chiamo George, tu chi sei?” le chiese in tono affettuoso,
rivolgendole un sorriso.
Tutt’intorno, gli altri
rumoreggiavano incerti. L’uomo colse una specie di calo di
tensione, un lieve venir meno dell’energia mistica.
“Vuoi
dirmi il tuo nome?” insisté in tono soave.
“Georgine.”
“Ma
guarda, ci chiamiamo quasi nello stesso modo. Hai voglia di scendere
giù con me, Georgine? Ti prometto che troveremo insieme una
soluzione ai tuoi problemi.”
Mosse un cauto passo verso la
scala. Dopo un iniziale tentennamento, la donna lo seguì.
“Molto
bene, Georgine, molto bene. Sei davvero molto brava. Ora andiamo a
sederci da qualche parte, vuoi?”
“No.”
La donna si immobilizzò.
“Coraggio,
non succederà niente di male,” disse Tabacchi. Lanciò un’occhiata
di sbieco a Jim, che in piedi al centro della terrazza, le braccia
incrociate sul petto, lo stava osservando con gli occhi socchiusi.
“Andrà tutto bene.” Poi, a voce più alta, girandosi a parlare
da sopra la spalla aggiunse: “Amici, questo vale per tutti. Venite
con me, troviamo insieme un modo per risolvere i problemi!”
Un altro paio di persone si
mossero nella sua direzione.
“Venite,
amici!” ripeté il negoziatore con maggiore entusiasmo, “Torniamo
giù tutti insieme. Io vi ho a cuore, voglio che stiate bene.”
Jim era ancora immobile.
Quando
Tabacchi e la donna raggiunsero il primo gradino, egli disse: “Mi
deludi, Georgine. Io credevo in te, mi fidavo
di te.” Il tono era quello dell’amara constatazione di qualcosa
di molto brutto e completamente inaspettato.
“Non
dargli ascolto,” intervenne prontamente il negoziatore. “Sta solo
cercando di far leva sul tuo senso di colpa. Ma tu non puoi sentirti
in colpa se scegli di vivere, non credi?”
Silenzio da parte della donna.
“Non
credi, Georgine?”
“Io
pensavo che tu fossi diversa, Georgine,” disse Jim. “Ti credevo
più decisa, più libera.
Pensavo fossi superiore a questi miseri espedienti da grossista di
pentole. Eppure io ti ho insegnato tante cose, ti ho insegnato a
riconoscere le menzogne del sistema. Ti ho insegnato che possiamo
scegliere, al di là di quello che il mondo cerca di imporci.”
La donna tentennò.
Per quanto fosse già ferrea,
Tabacchi risaldò la presa sulla mano dell’adepta, quindi le disse:
“Non ascoltare, Georgine, decidi con la tua testa. Tu vali, tu hai
ancora tante cose da fare.”
“Davvero?”
fu la timida domanda della donna.
“Non
farti fregare,” intervenne Jim alle sue spalle. “Cosa vuoi,
Georgine? Cosa cerchi veramente? Un’esistenza misera, triste, fatta
di regole imposte da altri, oppure una scelta definitiva,
irrevocabile, che toglie al sistema il potere che ha su di te? Vuoi
essere tu a decidere o vuoi che sia il sistema a decidere per te?”
“Io
voglio essere libera,” mormorò Georgine.
“E
allora salta! Lanciati nel vuoto, dimostra che sei capace di prendere
in mano la tua vita!”
“Non
farlo,” intervenne il negoziatore. “Scegli me, Georgine, scegli
la vita.”
Tutt’intorno, i presenti
seguivano in silenzio lo scambio. Una ragazza che non poteva avere
più di quattordici anni, con un ampio abito bianco e i capelli
sciolti, crollò a terra con un gemito e cominciò a contorcersi in
preda alle convulsioni mentre un rivolo di schiuma bianca le colava
da un angolo della bocca. Un uomo ossuto si inginocchiò, levò le
mani al cielo e cominciò a recitare il mantra di Jim mentre copiose
lacrime gli scendevano lungo le guance ispide.
“Non
lasciarci, Georgine!” invocò un’altra donna di colore.
Sempre
fermo al centro dello spiazzo, Jim disse: “Coraggio, amici miei!
Fatemi vedere che scegliete davvero!
Fatemi vedere che non date ascolto alle menzogne di questo emissario
del sistema inviato apposta per farvi dubitare!”
L’uomo che aveva recitato il
mantra si rialzò in piedi. Inspirò a occhi chiusi inclinando la
testa all’indietro, quindi si raddrizzò e in tono fervente disse:
“Io non mi faccio dire dal mondo cosa sono. Io scelgo.”
Salì sul parapetto.
Tabacchi, che aveva seguito la
scena senza abbandonare la presa ferrea di Georgine, fece per
muoversi verso di lui.
“Aspetta!”
gridò. “Non farlo, possiamo parlare, possiamo risolvere tutto!”
Ma l’uomo era già nella
posizione del Cristo Redentore. Un istante dopo ripeté “Io
scelgo!” e si lasciò cadere all’indietro.
“Aspetta…!”
urlò comunque il negoziatore, ma in quello stesso momento Georgine,
con voce stentorea, proclamò: “Io scelgo!” E partì decisa verso
il parapetto. Tabacchi tentò di ritirare la mano, o perlomeno di
fermare l’impeto della donna, ma non riuscì a fare nessuna delle
due cose.
☺
“Che
fine del cazzo,” commentò Schneider.
“Già,
spiaccicato per colpa di una negra,” rispose Stevenson.
“Bella
grossa, però.”
“Attaccato
a un bisonte del genere, ci credo che quello stronzo è finito di
sotto.”
Si scambiarono un’occhiata.
“Beh, sarà ora che ci guadagniamo la paga, direi,” proclamò il
primo, quindi si mosse a grandi passi verso Jim. Gli puntò contro la
pistola, estrasse le manette con la mano libera e in una frazione di
secondo, con un’abilità degna di un prestigiatore, gliele fece
scattare intorno a un polso. L’altro bracciale lo assicurò a un
tubo d’acciaio. “Saltano tutti fuorché te, Zorro,” lo informò
con un ghigno.
I due poliziotti rimasero poi a
osservare la gente che in una frenesia di fuga si assiepava contro le
ringhiere, le scavalcava con gesti resi maldestri dall’urgenza e si
lasciava cadere.
Schneider si sollevò la visiera
del berretto con la canna della pistola, quindi disse: “Chissà a
che punto saranno gli altri?”
Stevenson alzò le spalle con
indifferenza. “Boh. Guarda come saltano quegli stronzi. Bisognerà
che dabbasso stiano attenti a non beccarsene uno in testa.”
“Già,”
assentì Schneider.
Passò qualche minuto, poi
Stevenson chiese: “È vero quello che dicono?”
“Cosa?”
“Che
anche se arrivano giù da quest'altezza non si sfracellano.”
L’altro annuì. “Il coroner
dice che restano interi, tanto che quando la gente trova un suicida
stecchito per la strada, di solito crede che gli sia venuto un
colpo.”
“Sì,
ma anche da trecento e passa metri?”
“Non
lo so. Quando torniamo giù possiamo dare un’occhiata, se sei
curioso.”
“Non
che me ne freghi poi più di tanto. È solo che una volta avevo
sentito raccontare la storia di uno che era caduto dal deltaplano e
il tizio l’ha trovato in mezzo al suo campo pensava che fosse morto
d’infarto, solo che non sapeva come cazzo avesse fatto a finire lì,
dato che ovviamente non c’erano impronte da nessuna parte.”
Stevens fece una pausa, facendosi da parte per lasciare spazio a una
donna che stava correndo con aria spiritata verso il parapetto,
quindi proseguì: “Volevo vedere se è vero che da fuori sembrano
ancora interi, anche se dentro sono sfracellati.”
“Interi
o sfracellati, sono sempre degli stronzi. Io potevo essere a fare i
cazzi miei, adesso, invece per colpa di questi idioti sono qui.”
“Però
ti sei rimpinzato di ostriche. Quant’era che non ne mangiavi?”
“Veramente
non le avevo mai mangiate, però costano un sacco di soldi, ho
pensato di approfittarne.”
“Sei
sicuro che erano ostriche?”
“Sì,
a parte il colore, somigliavano a delle fighe. E avevano quasi lo
stesso sapore.”
“La
figa è molto meglio di quegli affari.”
“Solo
perché sai che dopo segue una scopata, se no farebbe schifo
esattamente come quegli affari.”
“Uhm.
Preferisci il cazzo?”
“Fottiti,
Stevenson.”
“Scherzavo.”
La gente frattanto aveva finito
di saltare. Era rimasto uno sparuto gruppetto di sei o sette persone
rannicchiate in un angolo. Un paio piangevano, un altro si dondolava
avanti e indietro gemendo parole smozzicate mentre si circondava il
torso con le braccia.
Di quando in quando, essi
lanciavano qualche fugace occhiata all’uomo con il volto coperto,
che rimaneva silenzioso e cupo, saldamente immobilizzato dalle
manette d’acciaio.
“E
voialtri?” chiese Schneider col tono che usava di solito per farsi
consegnare i documenti dai fermati.
Nessuno rispose.
L’agente fece un passo avanti.
“Dico: che cazzo fate voialtri? Chi siete, i più stronzi?”
Di nuovo i superstiti mantennero
un circospetto silenzio.
“Ah,
benissimo,” disse allora Schneider, puntandosi le mani chiuse a
pugno sui fianchi. “Mi butto, scelgo, decido della mia vita… un
cazzo! Tutti ammucchiati come delle pecore di merda! Ma li avete
visti gli altri?”
Il tizio che si stava dondolando
smise di farlo. “Noi vogliamo andare via,” rispose timidamente.
“Ah
davvero? E pensate che la faccenda si chiuda così? Scusi tanto,
scherzavamo, arrivederci e grazie?” Poi, a voce più alta: “Pensate
che sia così facile? Avete visto cosa c’è là sotto?” Fece una
pausa, in attesa di una risposta che però non giunse. “C’è
tutta la fottuta polizia di Las vegas,” proseguì allora, “Mezzo
ospedale, una dotazione di ambulanze che non c’era neanche durante
lo sbarco in Normandia, elicotteri, profiler, negoziatori e scommetto
che sta arrivando anche la Guardia Nazionale. Avete idea di quanto
verrà a costare questo casino?”
Alla domanda seguì un silenzio
siderale.
“Senza
contare che vi prenderanno per matti,” insisté l’agente
imperterrito. “Vi beccherete un ricovero al mattile come minimo, vi
riempiranno di medicine fino a ridurvi come larve sbavanti, poi
verrete schedati, apriremo un fascicolo su ognuno di voi.”
A quelle parole fece seguito un
silenzio carico d’angoscia.
“E
forse – anzi, quasi sicuramente – vi faranno anche pagare tutto
quanto,” intervenne Stevenson raggiungendo il collega. “Dovrete
vendervi la casa per far fronte alle spese, dovrete tirare fuori i
soldi che avete messo via per mandare i figli all'Università e
comunque non basteranno.”
I superstiti si scambiarono
sguardi smarriti.
“Saranno
cazzi da cagare,” promise Schneider in tono sinistro.
Stevenson annuì grave. “Al
posto loro, io salterei. Hai idea dei casini che li aspettano appena
tornano giù?”
“Se
tornano giù con
l’ascensore.”
“Già,
nell’altro modo invece avrebbero risolto tutti i problemi.”
☺
Quando gli agenti che erano
saliti per le scale raggiunsero la terrazza panoramica, trovarono il
sospettato numero uno ammanettato a un tubo d’acciaio e gli agenti
Schneider e Stevenson appoggiati al parapetto, che si indicavano l’un
l’altro gli alberghi della Strip con l’aria dei turisti in
vacanza.
I nuovi arrivati si fecero avanti
col fiato grosso e le uniformi fradice di sudore. “Ci sono gli SS,”
ansò un agente, in un tono a metà fra stupore e risentimento.
“Ben
arrivati, ragazzi,” li accolse Schneider, gentilissimo.
“Cosa
ci fate qui?” volle sapere il poliziotto di prima.
“Abbiamo
catturato un pericoloso criminale.” Indicò l’uomo ammanettato.
“E
gli altri?”
Schneider fece un gesto vago con
la mano. “Andati. Del resto, erano saliti quassù con l’intento
di suicidarsi, sarebbe stato impossibile fermarli.”
“Non
è vero!” sbraitò a quel punto il sospettato, strattonando la
catena che lo teneva prigioniero. “Questi due hanno spinto al
suicidio tutti quelli che avevano rinunciato a saltare.”
Schneider lo fulminò con uno
sguardo di ghiaccio. “Nientemeno,” disse. In tono professionale
soggiunse: “Signore, a me risulta che sia lei quello che ha spinto
tutte queste persone al suicidio. Non ci troveremmo qui, se lei non
avesse portato su i suoi fedeli e non avesse cominciato a suggerire
loro di saltare nel vuoto.”
“Anche
voi l’avete fatto.”
L’agente scosse la testa
ostentando un’espressione costernata. “Che lei cerchi di negare
l’evidenza è non solo meschino, ma anche decisamente
controproducente. Scaricare le sue responsabilità su due agenti che
fanno con coscienza il loro dovere, poi, è veramente uno schifo. Che
idea pensa che si faranno i giudici di lei, se si comporta in questo
modo?”
Stevenson intervenne: “Che è
uno che cerca di scaricare le sue responsabilità addosso agli
altri.”
Schneider scosse la testa. “Gran
brutta cosa.”
“Veramente
brutta,” confermò il collega.
☺
“Ma
tu guardali, quei due stronzi,” brontolò l’agente Keller.
“Teste
di cazzo,” replicò il suo compagno, l’agente Page.
L’oggetto delle invettive erano
Schneider e Steveson, che si ergevano tronfi, ostentando la loro aria
da poliziotti dei manifesti di propaganda, sotto i riflettori
improvvisati di un’importante emittente nazionale.
Una giornalista li stava
intervistando. Rivolta alla telecamera, cominciò: “Abbiamo qui gli
agenti Schneider e Stevenson, coloro che hanno materialmente
catturato il pericoloso criminale che ha plagiato e indotto al
suicidio settantadue persone.” Si rivolse ai due poliziotti:
“Potreste raccontare ai telespettatori qualcosa sulla cattura di
Clifford ‘Jim’ Hardy?”
Fu Schneider a rispondere: “Ma
certo, signora. A un certo punto è giunto l’ordine di salire sulla
torre. Io e il mio collega, il qui presente agente Stevenson, abbiamo
valutato la situazione e abbiamo capito che non era possibile
esitare. Invece di salire a piedi come ci era stato ordinato, abbiamo
utilizzato l’ascensore e siamo arrivati giusto in tempo.”
“Avete
salvato delle vite innocenti?”
Schneider scosse la testa con
l’espressione di chi deve sottostare all’ineluttabilità del
destino. “Purtroppo no, signora. Quei poveretti erano stati
plagiati, non avevano più una loro vita, non avevano più una loro
volontà. Non sarebbe stato possibile salvarli.”
La giornalista emise un sospiro.
“Capisco.”
“Ma
abbiamo catturato Hardy, signora. Lui non ci è sfuggito.”
A qualche passo di distanza,
Keller grugnì: “Lo credo bene che non vi è sfuggito, teste di
cazzo. Era su una torre presidiata da cinquecento sbirri, dove poteva
andare?”
“Che
paraculi,” disse Page. “Gli SS sono stronzi come sempre. Noi a
farci scoppiare le emorroidi su per quelle fottute scale e loro in
ascensore, alla faccia degli ordini, dei colleghi e di tutto quanto.”
“Bastardi.”
“E
adesso finiscono al telegiornale, come se fossero loro i due eroi di
tutta la faccenda.”
“Scommetto
che il capo li proporrà anche per un encomio, fanculo a loro.”
☺
“Beh,
questa cazzo di notte dei lemming è finita,” sospirò l’agente
Schneider. Seguì con lo sguardo l’ultima ambulanza che si
allontanava, a sirene debitamente spente, quindi si voltò a guardare
la Strip. Ormai albeggiava e la magia di luci e colori dei grandi
alberghi cedeva implacabilmente il passo a statue di plastica e
impalcature polverose.
Passava qualche veicolo, perlopiù
furgoni di fornitori diretti ai vari hotel. Una squadra di spazzini
stava raccattando le cartacce lasciate in giro da chi aveva seguito
la vicenda aggrappato alle transenne.
Arrivarono un paio di tizi in
tuta bianca e mascherina sterile e cominciarono a spargere
disinfettante sulle macchie di sangue che erano rimaste un po’
ovunque.
“Un
cazzo di casino, eh?” buttò lì Stevenson.
“Già.”
“Laggiù
c’è ancora Ron Jeremy col suo carretto, andiamo a vedere cosa gli
è rimasto? Metterei volentieri qualcosa sotto i denti.”
Schneider si fermò a squadrare
il messicano che stava chiudendo l’ombrellone, poi rispose: “No,
ho voglia di farmi una pisciata, levarmi di dosso questo cazzo di
giubbotto antiproiettile, andare a casa mia e buttarmi sul letto. Va’
tu, se vuoi.”
Stevenson alzò le spalle. “Nah,
hai ragione. Ho mangiato troppo messicano stanotte.”
“Robaccia.
Andiamo a prendere la macchina.”
“Ok.”
Edmundo
Vasquez seguì con lo sguardo i due imponenti poliziotti che si
allontanavano. Quando fu sicuro che se ne stessero effettivamente
andando, chiamò i quattro amici che durante la notte si era
procurato e indicò loro il carretto degli hot dog di Morales.
“Vedete quel cavron?”
chiese. “Mi ha minacciato con un tubo di piombo, mi ha cacciato via
dal mio posto e si è preso tutti i soldi che sarebbero spettati a
me. Voi mi aiutate a sistemarlo e io vi do il cinquanta per cento.”
“Settanta.”
Un tirapugni brillò sinistro nella luce del mattino.
“Sessanta,”
rilanciò Vasquez.
Ci fu un giro di sguardi, infine
l’uomo col tirapugni disse: “Andata. Quanto male dobbiamo
fargli?”
“Non
deve darmi più problemi.”
L’uomo mise via il tirapugni e
fece scattare la lama di un coltello a serramanico.
☺
“Agenti,
agenti! Vi prego, agenti, correte!”
Schneider e Stevenson si
fermarono. “Che cazzo c’è ancora?” brontolò il primo fra i
denti, “Eppure mi sembrava che si fossero ammazzati tutti, quegli
stronzi.”
“Agenti,
per favore!”
Si girarono. Una donna orientale
– una cameriera appena smontata dal turno di notte, a giudicare dai
vestiti – stava indicando concitata un capannello di gente riunito
intorno a un ombrellone chiuso.
“Ma
guarda un po’, è il carretto di Ron Jeremy,” constatò
Stevenson. Poi, in tono professionale: “Qual è il problema,
signora?”
“È
morto!” strillò la donna.
“Beh,
se è morto non c’è più tanta fretta, non le pare?”
Schneider staccò comunque la
ricetrasmittente dalla spalla e comunicò il fatto alla centrale,
quindi si diresse assieme al collega verso il capannello vociante.
Ron
Jeremy, al secolo Jesús
Morales, appariva in effetti decisamente morto: giaceva supino, in
una posizione che ai due ricordò quella che assumevano gli aspiranti
suicidi un attimo prima di saltare, e aveva la gola aperta da un
orecchio all’altro.
“Ma
porca merda,” ringhiò Schneider, i pugni puntati sui fianchi.
“Volevo solo tornarmene a casa dopo una notte di servizio. È
chiedere troppo, forse? Ce l’avranno anche gli sbirri il diritto di
riposarsi, dico io.” Abbassò lo sguardo sul corpo, intorno al
quale il sangue cominciava a farsi nero, quindi in tono risentito
proseguì: “E invece no. Arriva questo stronzo a rovinare tutto.”
Poi, rivolto al collega: “Chiama il coroner, va’. C’è bisogno
di un furgone porta-morti.”
“L’ultimo
è appena partito.”
“Merda!”
imprecò Schneider. “Adesso si alza il sole e questo stronzo si
copre di mosche.” Fece girare lo sguardo sulla gente, che lo stava
fissando perlopiù ammutolita, e in tono professionale disse: “Via,
circolare. Non c’è niente da vedere.” Afferrò per il braccio un
ragazzino che si era sporto a vedere il corpo e lo strattonò
indietro. “Fuori dalle palle, moccioso. Va’ a vendere crack
davanti alle elementari, invece di startene qui a intralciare
un’azione di polizia.”
☺
Schneider rimase per un po’ a
guardare i paramedici che raccoglievano le spoglie mortali del
messicano, quindi si rivolse al collega e disse: “Che palle. Facci
caso, ‘sti stronzi scelgono sempre il momento peggiore per farsi
ammazzare: quando devi smontare, quando c’è un tempo del cazzo o
quando stai per intervenire in un locale di lap dance.”
“Che
ci vuoi fare,” replicò Stevenson con filosofia, “mio zio lo
diceva sempre: il rompicoglioni ha un sesto senso.”
“Andiamo
a fare colazione da Hooters?”
“Ottima
idea, così ci rifacciamo gli occhi. È ancora aperto?”
“Hooters
è sempre aperto.”
“Mi
piacerebbe che fosse così anche per le gambe della bionda che serve
al banco. Quella piccoletta, hai presente?”
“Nah,
quella è talmente piccola che ti può fare un pompino stando in
piedi. Preferisco la sua amica mora.”
“È
sua amica?”
“Uh-huh.”
“Dici
che se la brucano?”
“Se
lo fanno, voglio un posto in prima fila.”
Montarono in macchina. Per prima
cosa Schneider spense la radio di servizio, quindi avviò il motore.
Il veicolo prese a percorrere la Strip, a quell'ora quasi deserta.
Dopo un po', Stevenson buttò lì:
“Certo che... quanti ne sono crepati stanotte?”
“Settantaquattro,
alla fine.”
“Un
bel po', eh?”
“Avranno
intasato l'obitorio,” rispose Schneider. Poi sorrise e disse:
“Guarda là: ecco Hooters. Tettone, arriviamo!”
SPIEGONE
Ok,
gente, prima le cose pratiche:
- La Strip è la strada di Las
Vegas dove ci sono gli alberghi e i casinò più famosi, ovviamente è
anche molto frequentata dai turisti.
-
La Stratosphere Tower è questa:
https://it.wikipedia.org/wiki/Stratosphere_Las_Vegas
- I lemming sono roditori artici.
La leggenda vuole che quando le colonie diventano troppo grandi
saltino in massa dagli scogli uccidendosi. Ovviamente non è vero, ma
la faccenda è rimasta nelle credenze popolari.
-
Ron Jeremy è un celeberrimo attore porno, molto amato dagli uomini
perché è brutto, laido e con la pancia, ma nonostante ciò ha
centinaia di donne.
-
La faccenda del Mandalay Hotel è questa:
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Las_Vegas
-
Per i suicidi di massa, rimando all'ampia letteratura presente in
internet. Jim Jones fu l'ispiratore di uno dei più grandi suicidi
collettivi della storia, in cui morirono più di 900 persone.
-
Hooters è una catena di locali famosa per le cameriere dal seno
particolarmente abbondante e vestite in modo succinto (Hooters in
inglese significa “Tettone”).
-
La vicenda del metal detector è accaduta, esattamente come la
descrivo, al sottoscritto, al momento di salire sulla Stratosphere.
Da allora, il treppiede della mia macchina fotografica è
soprannominato “Arma di fine di mondo”.
-
La storia del deltaplano è a sua volta un fatto vero, raccontatomi
dal medico legale che eseguì l'autopsia sul soggetto.
L'idea
per la storia:
tutto
è partito dalla citazione che ho scelto: mi è sembrato un proclama
da imbonitore, una specie di mantra new age nel quale riconoscersi
mentre si coltiva l'illusione di aver capito tutto della vita e di
essere in grado di scegliere quando in realtà non si sta scegliendo
proprio nulla, ma si sta semplicemente aderendo a un'idea massificata
e stereotipata di “comportamento alternativo.”
Uno
dei protagonisti della storia è infatti un furbastro che ne ha fatto
il motto della sua “setta”. La sua intenzione non è ovviamente
promuovere una nuova consapevolezza nei suoi adepti, ma spingerli al
suicidio collettivo, cosa che a suo parere rappresenta la massima
manifestazione di controllo sulla volontà altrui. La sua idea è
quella di passare alla Storia per quel motivo, e in pratica ha
impostato tutta la sua vita su tale obiettivo.
Fanno
da contrappunto al Jim Jones dei poveri i due sbirri SS, cinici e
paraculi, che in pratica ci forniscono un commento diretto e
politicamente scorrettissimo di quello che succede sulla torre.
Ho
aggiunto poi alcuni personaggi collaterali, il negoziatore, il
venditore di hot dog, il sergente Wilkes e l'altro messicano (quello
che viene sloggiato dal primo) per mostrare un'umanità avida,
cinica, che in pratica se ne sbatte le balle del fatto che settanta
persone si stanno suicidando e pensa solo a trarre un tornaconto
dalla faccenda, a non perdersi lo spettacolo o a non sprecare
comunque troppe energie.
Nessuno si salva, e i pochi che
più o meno si salvano moralmente non si salvano comunque
fisicamente.
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